giovedì 13 giugno 2013

BUON COMPLEANNO, TESORO di Allie Walker




Un lungo viaggio. quello che avevo iniziato il giorno prima, in treno, per la mia fottuta paura degli aerei. Dovevo raggiungere i miei genitori, che si erano trasferiti in Francia, a Saint Orens de Gameville una piccola cittadina vicino Tolosa, avevano preparato una festa per il mio compleanno. Un sacco di invitati, mi aveva detto mia mamma al telefono, che non conoscevo ovviamente, ma a lei piaceva così, aveva avuto sempre manie di grandezza. Prima di salutarmi, le solite raccomandazioni e poi una battuta finale: “Mi raccomando, non accettare caramelle da sconosciuti.” Era una battuta che mi faceva spesso.
Dovetti fare una corsa per prendere la coincidenza e passare dal lusso di un treno internazionale a quella carcassa di treno locale, fu quasi scioccante. Si soffocava, il caldo estivo si faceva sentire.
Il treno era super affollato, sudavo portandomi appresso il bagaglio, superai diversi vagoni, evitando accuratamente di inciampare nei piedi degli altri passeggeri e nelle loro valige, prima di individuare un posto a sedere in uno scompartimento verso la fine del treno. Stavo tirando la maniglia della porta scorrevole per entrare, quando qualcuno mi urtò da dietro e mi schiacciò contro la porta. Un'aroma di dopobarba speziato, la sensazione dei muscoli dell’uomo contro di me, rimasi per qualche istante bloccata. Pochi secondi e si staccò, poi un flusso di parole in francese, delle scuse, ma il tono fu come se mi avesse fatto una proposta indecente. Non misi insieme due sole parole per rispondere, anche perché di francese ne masticavo pochino. Alzai gli occhi a guardarlo, un uomo che sembrava un modello, uno di quei tipi che si vedono nelle pubblicità dei profumi. Mi venne in mente “l’uomo che non deve chiedere mai” e gli lanciai uno dei miei sorrisi maliziosi.
Mi aprì la porta e si offrì di sistemare il mio zaino e la mia valigia sul ripiano sopra i sedili. Una buona occasione per dare un’occhiata senza essere vista, soffermandomi sul culo stretto nei jeans. In quel momento benedii la doccia veloce che avevo fatto sul treno della notte e gli abiti che avevo indossato: una camicetta elasticizzata e una gonna piuttosto corta, un completo lingerie bianco che era una meraviglia.
Mi sedetti vicino al finestrino e l’uomo prese il posto di fronte a me. Poco dopo entrarono una donna e due ragazzine, probabilmente le figlie. Lanciai uno sguardo verso di lui e poi alla mia scollatura. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, sentii spuntare sul mio volto ancora una smorfia di un sorriso, ricambiato dall’uomo, e un brivido lungo la schiena. Il suo sorriso si trasformò in uno sguardo compiaciuto, come se sapesse l’effetto che aveva avuto su di me.
Il treno cominciò a muoversi, speravo che l’aria condizionata mi venisse in aiuto, invece capii che l’unica aria fresca sarebbe venuta dalla piccola fessura del finestrino, sentivo gocce di sudore scendere per il collo.
Lui prese un giornale e sembrava concentrato. Presi la bottiglia di acqua che avevo appoggiato sul piccolo tavolino, quando alzò gli occhi di nuovo a guardarmi, lo sguardo intenso. La bocca arsa, non resistetti alla tentazione di leccarmi le labbra e lui ancora con quel sorriso complice. Spuntò la mia vena perversa, quella che tendeva a mettermi sempre nei guai. Buttai uno sguardo alla donna e alle sue figlie e notai che non ci stavano prestando attenzione. Prima che potessi pensarci ancora un po’, aprii la bottiglia e, guardandolo, la portai alle labbra, ma, prima di bere, la inclinai ancora un po’ e lasciai scorrere l’acqua lungo il collo. Lui sgranò gli occhi, poi il suo sguardo seguì il piccolo torrente lungo la curva dei seni. Quando mi guardò di nuovo, accennai un ghigno. L’uomo inarcò la fronte e alzò le spalle, impercettibilmente, come per dire: “E’ tutto qui?”
Un po’ seccata ma eccitata, alzai di nuovo la bottiglia per ripetere il gesto. Un sobbalzo imprevisto del treno e l’acqua spruzzò fuori, sulla camicetta. Abbassai lo sguardo e con imbarazzo realizzai che un capezzolo mostrava tutta la sua fierezza, appena coperto dal tessuto leggero del reggiseno. Gli occhi dell’uomo erano incollati alla mia camicetta e quando incontrai di nuovo il suo sguardo, lessi come una domanda. Mise il giornale in grembo, lo tenne con una sola mano fingendo di leggere, mentre l’altra mano scivolò sotto i fogli, i suoi jeans erano così stretti, che potei vedere il rigonfiamento che nascondeva sotto il tessuto. Cominciò a strofinarsi, lentamente e quando alzai di nuovo a guardargli il viso, lui mi guardava, come se fosse in attesa. Arrossii. Eravamo in un treno affollato e lui non se ne curava, una parte di me avrebbe voluto andarsene, ma l’altra parte, sempre dispettosa e irriverente, voleva vedere cosa sarebbe successo. Chiaramente mi stava tentando a fare qualcosa di simile. Presi coraggio, dopo tutto che cosa avrebbe potuto fare, con tutte le persone che erano attorno a noi?
Mi allungai un po’ sul sedile e lentamente cominciai a dischiudere le gambe. L’uomo emise un basso gemito, morbido, e intensificò il suo sfregarsi, credo avesse intravisto le mie mutandine di pizzo bianco. Poi fece qualcosa di tremendamente scandaloso. Aprì la lampo dei jeans e da sotto il giornale il glande fece capolino. Sembrava un bel cazzo, consistente, la mia lingua scivolò sulle labbra, Ancora un gemito di lui.
Mi venne un’idea, maliziosa mi chinai a prendere la borsa, avevo preso delle caramelle per alcuni nipotini, mia sorella viveva con mia madre e aveva una nidiata di fanciulli, sapevo di avere qualche lecca-lecca. Ne presi uno, lo scartai e lo misi in bocca… fragola, dolce, succoso. Rotolai la lingua su di esso e presi a succhiarlo, enfatizzando un’avidità che serviva solo a fare scena. La mia!
Lo vidi chiudere la mano sul cazzo. Era estremamente affascinante, intrigante, pericoloso. Sentii contrarsi qualcosa tra le mie gambe, guardare soltanto non era sufficiente, dovevo far qualcosa. Uno sguardo alla donna, intenta a leggere, e alle sue figlie, che stavano giocando, e misi una mano sulla coscia, la lasciai scivolare verso l’alto, verso il pizzo delle mutandine, strusciai leggermente il tessuto.
Il treno rallentò, la donna e le sue figlie si prepararono a scendere e io mi ricomposi.
Ci fu un gran movimento, gente che scendeva, gente che saliva, qualcuno sicuramente sarebbe entrato nello scompartimento. Invece quando il treno cominciò a muoversi, mi resi conto che eravamo soli. Io e quel gran fico di fronte a me. Mi sembrò stesse realizzando anche lui la stessa cosa, un ampio sorriso si diffuse sul suo viso. Mi prese un’improvvisa ondata di panico, era molto di più di quanto mi aspettassi e non ero abituata a fare sesso con sconosciuti.
Guardai i miei bagagli, forse con una mossa fulminea, sarei potuta fuggire da lì, ma lui fu più rapido di me. In un lampo fu in ginocchio di fronte a me. Le sue mani sulle mie ginocchia, delicatamente indiscrete salivano verso l’inguine. Cercai di stringere le gambe, ma lui era più forte.
Premette il viso contro le mie mutandine e sentii il suo caldo respiro attraverso il tessuto di pizzo. Grugnì di felicità quando si accorse che il tessuto era impregnato dei miei umori. Scostò il merletto con le dita e spinse la lingua tra le labbra calde. Mi inarcai per riceverla meglio, qualche gemito mi uscì dalle labbra. La lingua contro il clitoride, rapida, era quasi troppo da sopportare. Lui allungò le mani verso le mie natiche e mi tirò contro il suo volto. La vista della sua testa, con i folti capelli corvini tra le mie cosce, fu la cosa più sensuale che potessi vedere in quel momento.
Poi alzò il viso, si scostò da me e mi fece allungare le braccia sopra la testa, le dita toccavano il ripiano dei bagagli, lo afferrai, mentre lui armeggiava con le mie mutandine rimuovendole e mettendole dentro la tasca posteriore dei jeans. Mi alzò le gambe facendomi appoggiare alle sue spalle e, stringendomi per il culo, tornò con la bocca fra le mie cosce.
Leccava, mordicchiava, succhiava il clitoride con passione, ero letteralmente persa. Aggiunse un dito, poi un altro e non la smetteva più di leccarmi, sentivo colare umori dalla figa, che lui raccoglieva avido e gustava emettendo rumori e suoni paradisiaci. Le cosce iniziarono a tremare, i miei gemiti sempre più acuti, l’orgasmo alle porte. Lanciai un grido si frustrazione quando smise e tirò via le dita. Solo per qualche istante. Solo per sostituire le dita con il cazzo. Si aggrappò alle cosce scivolose di sudore e umori e diede il via alla danza. Ogni volta che sprofondava dentro di me, ogni muscolo della figa si contraeva sulla sua carne. Venni copiosamente, la bocca aperta per urlare. Fu fulmineo anche questa volta, mi chiuse la bocca con una mano per attutire i suoni. Lo morsi e si scatenò il suo orgasmo, con un basso grugnito.
Mi lasciò cadere sul sedile e si alzò di scatto, chiuse i pantaloni, afferrò il suo bagaglio e in un lampo era fuori dalla porta dello scompartimento, prima che potessi dire una sola parola. Il treno rallentò, guardai fuori dal finestrino e lo vidi scomparire fra la folla.
Pochi minuti più tardi, alcuni viaggiatori entrarono nello scompartimento. Avevo assunto l’immagine della virtù. Inutile dire che rimasi con le cosce premute assieme per tutto il resto del viaggio, qualcuno di fronte a me avrebbe potuto accorgersi che sotto la gonna c’era solo pelle.
Quando porsi la bustina con le caramelle e i lecca-lecca ai miei nipotini, non li vedevo da tempo, la mamma sorrise: “Mai prendere caramelle da uno sconosciuto, bambini, ma lei è vostra zia. Buon compleanno, tesoro.”


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