martedì 26 febbraio 2013

Il volo di Federico Nanker-Phelge


Alzo la testa e lo vedo lassù, in alto,
nel suo volo intento, leggero come un velo
fa grandi volute, si confonde tra le nubi e il sole.
Dove andrà un uccello quand'esso, libero, erra...

Riuscirò un giorno anch'io a fare un grande salto?
Toccherò mai con le mie dita questo azzurro cielo?
O rimarrò intrappolato per sempre in queste suole,
legato all'infinito a questa nuda terra?

Riflessi di Federico Nanker-Phelge


La mia figura si staglia
oltre la nebbia fitta dei miei pensieri,
sull'acqua fredda e calma della
presenza/assenza di me.
Ma è ancora un riflesso sfocato...

Mia di Michele Costantini


Il mio intimo profondo di sensazioni oscene
ti riempirà i frutti della tua passione,
la mia voce ti comanderà decisa ai miei desideri
nutrendoti al mio volere.
Ti violenterò la mente,
esigerò ubbidienza insaziabile , carnale,
prenderò la tua anima, il tuo corpo,
li segnerò senza imbarazzo
e godrai,
del mio istinto di calda possessione .

La mia prima estate di Giuseppe Balsamo


Una città nuova, un mondo nuovo ed ostico per me, trovare quel gruppo di amici con cui uscire la sera fu una vera salvezza. Furono loro a farmi conoscere quel locale in riviera, lontano dal puzzo e dalla merda degli intricati e bui vicoli genovesi, ove il sole non entra nemmeno d’estate.
Il più grande di tutti, Loris, aveva i capelli castano scuri, probabilmente li tingeva, i denti rovinati dalla troppa nicotina e dai caffè presi per tirare la notte. Era il più indipendente, forse per la differenza di età, il più delle volte passava parte della serata con noi, per poi concluderla in qualche night fino alla chiusura, di lui mi è rimasta impressa la parlata, un cocktail di “boia faust” e “belin”, un miscuglio di piemontese imbastardito dal ligure.
Poi c’era Giorgio, il più bello, un viso d’angelo dalla carnagione bronzea e gli occhi verde scuro, anche lui piemontese ma con il piglio dello skipper, quando entrava in un locale non passava certo inosservato. Il terzo nuovo amico era Elio, impeccabile nel modo di vestire, nonostante fosse estate il suo nodo alla cravatta era sempre perfetto e la camicia ben stirata inspiegabilmente prive di tracce di sudore, pur non essendo bello emanava un fascino particolare, dovuto al suo modo di muoversi, di porsi, di parlare; la sua agenda colma di nomi e numeri telefonici femminili era la riprova della prima impressione che si aveva di lui.
Infine c’ero io, il più giovane, non mi va ora di descrivermi, non ne sono capace, posso solo dirvi che nonostante l’età, oggi come allora, conservo il viso di un ragazzino, forse anche i modi, credo anche i pensieri ed i sogni, i più critici potranno contestarmi un’ inguaribile “sindrome da Peter Pan” da cui credo non guarirò mai.
Ci ritrovavamo ogni sera nel solito bar, proprio di fronte al porto, seduti al tavolino all’aperto osservavamo la gente che, frettolosamente, arrivava col treno, per poi dirigersi agli imbarchi non molto lontani. Frotte di turisti provenienti dal Nord Europa, ma anche numerosi sardi e siciliani sudati e stanchi ma con in viso stampata la gioia di poter tornare a casa per le ferie estive.
Di solito non cenavamo, Duilio il cameriere ci portava un contenitore pieno di uova sode, del sale per condirle, patatine ed altre schifezze che mangiavamo frettolosamente, accompagnate da enormi bicchieri colmi di coca e rhum. Ce ne stavamo lì a mangiucchiare, fumare, ridere, scherzare e soprattutto guardare con appetito insaziabile le cosce delle turiste, con la remota speranza che un alito di vento sollevasse le minigonne colorate e ci regalasse lo spettacolo di quello che nascondevano sotto.
Fu Loris a farci conoscere quel locale sulla riviera di ponente, così: quando le uova sode finivano, le navi partivano, il passaggio delle belle turiste terminava, abbandonavamo gli odori di acqua stantia e catrame con cui il vento arricchiva il sapore della nostra coca e rhum e partivamo; ognuno con la sua auto, per essere più autonomi, seguivamo le curve su cui si snoda l’Aurelia fino a destinazione. Era un bel posto all’aperto, vicino al mare, era possibile ballare entrando in contatto con corpi femminili, senza doversi dibattere mantenendo distanze da balli africani, ma anche parlare senza il pericolo di essere assordati dalla musica troppo forte. Soprattutto era frequentato da belle donne, gran parte delle quali non più giovanissime che, annoiate ed approfittando dell’assenza dei mariti impegnati a lavorare a Milano, pensavano bene di accompagnarsi con noi. Mi ritrovavo così, io che non sapevo nemmeno ballare, avvinghiato a quelle carni morbide, spesso prosperose, che odoravano di estate, di crema dopo sole mista a profumi costosi, ma sempre generose, cedevoli, morbide, comprensive, accoglienti. Le mie mani potevano sfiorare quei tessuti sottili, sotto i quali sentivo la pelle desiderosa di qualcosa di diverso, le mie esplorazioni duravano finchè tra le stoffe sottili sentivo il tepore della pelle liscia, potevo divertirmi a sfiorarla con le dita, pregustando il momento in cui l’avrei stretta con prepotenza, violata con le mie labbra, strofinata con il mio sesso.
Le sere di quell’estate, la mia prima da quelle parti, passavano così tra le uova sode di Duilio e l’intrattenimento con donne più grandi di me, disposte a concedersi senza problemi ed anche a volte generose e desiderose di regalare oggetti e capi di abbigliamento di buon gusto. L’unica eccezione tra noi era Elio, perchè lui aveva Michela, una fantastica ragazza bionda ed altissima; a guardarla uno pensava che sarebbe stata più a suo agio su un cubo della vicina discoteca, invece anche lei preferiva stare lì. Indossava solitamente minigonne vertiginose, o pantaloni aderentissimi, le caviglie sottili erano sempre impreziosite da calzature con tacco alto che la facevano svettare sulle altre. Vedendola insieme ad Elio non potevi non pensare quanto stessero bene insieme, infatti facevano coppia.
Entrambi comunque preferivano passare la serata in compagnia, al nostro tavolo, alla fine eravamo sempre noi quattro e lei l’unica presenza femminile fissa, a cui si univano man mano le altre conquiste estive che ruotavano con il finire della vacanza ed il ritorno in città. Soprattutto io ridevo e scherzavo con Michela, si era creato tra noi un buon feeling ed un buon rapporto di amicizia, fatto di ironia e prese in giro reciproche, soprattutto a causa delle donne che invitavo a sedersi con noi e sul mio modo impacciato e maldestro di muovermi in pista.
Un giorno, a fine luglio, Elio partì per le sue vere vacanze con la sua vera fidanzata. Dimenticavo!! Il povero ragazzo si era casualmente scordato di dire a Michela che lui era già fidanzato, cosa che fece non poco incazzare e disperare la ragazza. Fra tutti noi del gruppo la sua disperazione fece sì che scegliesse la mia spalla per sfogarsi: per raccontarmi e ripetermi all’infinito quanto Elio fosse stronzo e quanto gli uomini fossero bastardi e bugiardi.
La mia comprensione, badate bene del tutto disinteressata, perché ovviamente io non sono mai stato bastardo né bugiardo come gran parte del genere maschile, spinse Michela ad invitarmi a cena a casa sua; la ragazza sull’orlo della depressione ed in preda a crisi emotiva non aveva voglia di uscire.
Ricordo ancora cosa indossavo io quella sera, mi vergogno per quanto probabilmente fossi buffo, sentendomi invece a quei tempi appena sceso dalla passerella di “Pitti Uomo”. Nonostante l’attuale imbarazzo, ve lo racconto lo stesso; dopo tutto la storia va narrata fedelmente in ogni particolare: sandali, un abito in lino grezzo di Armani - portato sopra un gilet e null’altro sotto; immaginatevi uno di quei cretini che nel pomeriggio vanno a litigare per la bella di turno in una nota trasmissione televisiva, toglietegli circa 20 centimetri in altezza e la perfezione atletica, avrete così un quadro perfetto del sottoscritto, versione “Uomini e Donne” dei poveri.
Soprattutto però ricordo lei, vi assicuro che non aveva nulla di buffo, mi accolse in costume da bagno, un saluto veloce sulla porta per mollarmi immediatamente e raggiungere i fornelli, davanti cui stava evidentemente scoppiando dal caldo, impegnata in una battaglia che era destinata a perdere.
Sedutomi ad osservala mentre trafficava dandomi le spalle, già immaginavo il suo ennesimo sfogo, le sue lacrime che finivano sempre per impietosirmi facendomi riflettere su quanto fosse meschino il genere umano e soprattutto il sottoscritto a volere con determinazione approfittare di quella situazione; al contrario e lasciandomi interdetto si rivelò allegra e spensierata, o forse troppo indaffarata in qualche cosa che, evidentemente, proprio non le riusciva di fare. Fatto sta che non c’era ombra di tristezza nelle sue espressioni, tutte le volte che pareva accigliata il tutto era causato dalla fiamma troppo alta, dall’acqua che bolliva troppo in fretta, dagli ingredienti che riusciva a spargere per terra, per poi voltarsi e guardarmi di sfuggita, quasi a voler chiedere perdono.
Sorridendole, stappai il vino bianco gelato, mi tolsi la giacca continuando a mangiarla con gli occhi cercando all’occorrenza di rendermi utile, finchè non servì il cibo in tavola. Si accomodò anche lei occupando la sedia di fronte, piazzandomi davanti il piatto colmo all’inverosimile di cibo all’apparenza immangiabile; quasi che nutrimi fosse la sua principale occupazione di quella sera, come avesse l’esigenza di dimostrarmi che fosse una casalinga perfetta in grado di provvedere al uomo, io almeno ebbi questa impressione. Sorridendo con quelle labbra perfette ed i denti bianchi, cominciò a parlare dimostrandomi che quella sera aveva in serbo per me molte sorprese: ”Fa caldissimo, ti spiace se lo levo?”, non aspettò nemmeno la mia risposta, il pezzo di sopra del costume nero era già volato sul divanetto dietro il tavolo. Come un ebete e la forchetta a mezz’aria, incurante della pasta scotta, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo seno perfetto e candido rispetto il resto del corpo abbronzato; non sono certo che se ne accorse ma la “pennetta” che misi in bocca la mangiai come fosse uno dei suoi capezzoli piccoli e scuri, immaginando che sapore potesse avere.
Al di là della qualità del cibo e del mio primo imbarazzo, la cena fu divertente: ridemmo e scherzammo, riuscii come sempre a sporcare la tovaglia di salsa e vino bianco, m lei non sembrò farci caso. La aiutai a sparecchiare guardandole più il culo che i piatti vuoti in tavola.
Aspettate, fatemi fare per un secondo mente locale, si ecco ci sono, fu vicino al lavello, fu lì che la baciai. Inaspettatamente lei ricambiò il mio bacio e finalmente seppi che sapore avevano le sue labbra: erano tiepide, dolci e sapevano di sorbetto al limone; sorrido ora perché per farlo dovetti sollevarmi leggermente, infatti era più alta di me.
Non finimmo di sistemare più nulla, baciandoci impacciati finimmo in camera da letto, dove Michela si sdraio aspettandomi ed osservando i miei movimenti mentre toglievo gli abiti.
Mi sdraiai lentamente su di lei e cominciai nuovamente a godermi le sue labbra perfette, scendendo sul suo corpo indugiando sui seni, finalmente assaporando i capezzoli duri e piccoli, tenendoli in bocca, succhiandoli e potendone scoprire il sapore.
La mia lingua la percorse fino alle gambe, mentre inarcava la sua schiena quasi a farmi capire che pretendeva di più. La esploravo con le labbra e contemporaneamente con le mani, come un bimbo col suo nuovo giocattolo di cui sconosce ancora il perfetto funzionamento.
Il mio unico interesse era di farle provare piacere; quasi disinteressato al mio corpo, volevo che lei godesse, ma non per generosità o altruismo, ma per puro egocentrismo o mania di protagonismo o chiamatela come vi pare, desideravo che lei mi considerasse un uomo in grado di farle perdere la testa, in grado di provvedere alle sue esigenze, forse un po’ come aveva fatto lei in cucina. Volevo che pensasse che fossi più bravo di Elio, è questa la realtà dei fatti.
Fra le sue gambe sentivo il suo odore buono e pungente indescrivibile, con le mie labbra sentivo quanto fosse bagnata ed eccitata; la sua mano guidava la mia bocca affamata sul suo sesso glabro, i movimenti del suo corpo aiutavano la mia lingua ad assaporarla a pieno, fino alla consapevolezza di aver trovato il punto ove desiderava il contatto più profondo. Con entrambe le mani le sostenevo il culo perfetto tirandolo verso di me insistendo a leccarla con la punta della lingua ove sentivo che provava eccitazione, finchè la mia mano sinistra indugiò sulla sua coscia, disegnando i contorni di una lunga cicatrice i rilievo.
Michela venne fra le mie labbra, sul mio viso ormai bagnato di lei, il suo orgasmo, preannunciato da un fremito che le percorreva il corpo, si concluse in un gemito sommesso, mentre le sue mani si stringevano a pugno agguantando lembi di lenzuola, quasi volesse strapparli.
Un istante dopo i suoi occhi si dischiudevano, mentre mi adagiavo sul suo corpo, nella più classica delle posizioni amorose. Mi guardava con occhi chiari e penetranti, assaporando ogni mio piccolo movimento. La penetrai facilmente, come lo avessimo fatto centinaia di volte, aiutandomi lievemente con la mano per trovare quel sentiero che da tanto volevo esplorare. Dentro di lei cominciai a muovermi lentamente e profondamente, sentendo ogni minima sensazione che provocava lo sfregamento del mio sesso nel suo, il ritmo aumentò progressivamente finchè mi resi conto che la stavo prendendo furiosamente, quasi con violenza, istintivamente libero da ogni controllo ed abbandonato alla mia passione. Mentre lo facevo la guardavo fissa negli occhi, come volessi studiarne le reazioni, mi accorgevo però che progressivamente stavo riprendendo a pensare al suo piacere ed al mio Ego contemporaneamente, forse se ne accorse lo lesse nel mio sguardo perché sorridendo si voltò, donandomi le sue terga. La bacia lungo la schiena, col cazzo eccitato che strusciava su quella pelle morbida e vellutata. Il movimento ondulatorio dei suoi fianchi, simile a quello di una gatta in calore, mi spinse a non aspettare oltre, un movimento rapido e completo ed ero nuovamente dentro di lei, aggrappato con entrambe le mani alle sue natiche, mi abbandonai di nuovo all’istinto, eccitato dalla vista del mio sesso che entrava ed usciva dal suo, dal suo viso congestionato leggermente inclinato verso di me, dal suo sguardo e dalle labbra dischiuse e cedevoli per il piacere che la stava travolgendo nuovamente. Immediatamente un altro fremito le percorse il corpo, dalle sue labbra uscì non un gemito, ma un verso di piacere quasi animalesco, contemporaneamente anche io raggiunsi l’orgasmo, tolsi appena in tempo la mia verga dal suo copro, afferrandola con la desta e spargendo schizzi del mio il mio seme sul suo culo candido e sulla sua schiena dorata dal sole di luglio. Appoggia poi il mio corpo si di lei che ancora tremava, piccoli fremiti continuavano a scuoterla, come una preda appena colpita che ansima chiamando a raccolta le ultime forze vitali.
Sdraiati uno accanto all’altro continuammo a ridere e scherzare, ma con piglio diverso, con una complicità del tutto nuova. Appoggiata sul mio petto, le sue dita disegnavano piccoli cerchi concentrici sul mio capezzolo, poco dopo cercando una posizione più comoda la mia mano indugiava sulla sua lunga cicatrice. Fu allora che mi raccontò dell’incidente, del fatto che non poteva fare più sfilate e che il suo lavoro era limitato alle foto per le riviste di moda, per cui posava sempre vestita coprendo le gambe.
Finimmo di bere il vino bianco, non più così freddo, ci rivestimmo ed uscimmo per andare nel nostro solito locale ove gli altri probabilmente ci aspettavano.
Camminare vicino a lei mi divertiva, ancora una volta il mio egocentrismo era pienamente ripagato, passeggiare accanto ad una donna così bella, più alta di me, anche per via dei tacchi altissimi che era solita portare, attirava gli sguardi curiosi della gente, cosa che fondamentalmente mi gratificava.
Ogni volta che un uomo posava gli occhi sul suo corpo l’abbracciavo, o le afferravo una mano, quasi a voler dimostrare che era di mia proprietà, che ero meglio di loro, solo ora a distanza di tempo mi chiedo se lei si rendesse conto di ciò, se quell’avventura in fondo era solo una dimostrazione a me stesso di cosa ero in grado di fare.
Facemmo l’amore diverse volte, qualche volta ci incontrammo in altre città, raggiungevamo le zone verdi appena fuori la periferia cittadina e scopavamo, ridendo per i lividi che puntualmente ci provocavamo in situazioni così scomode, non fu mai però come la prima volta.
Poi venne l’inverno, la pioggia lavò via i miei ricordi e probabilmente i suoi, i vicoli bui del porto mi inghiottirono nuovamente e non la rividi mai più di persona.
Duilio non so più che fine abbia fatto, non ho più mangiato uova sode così gustose.
Giorgio dopo aver ballato con molte donne avvocato di mezza età, alla fine se ne è sposata una più giovane con la quale ha avuto due figli.
Elio, al ritorno dalle vacanze, non aveva più la fidanzata. Non l’ho più visto, mi hanno riferito che fa il rappresentate di video cassette pornografiche, ma non ne sono sicuro.
Loris cominciò ad accompagnare a casa, all’uscita del night, sempre la stessa ragazza, ora ci convive. Continua a fumare ma ha la dentiera così i suoi denti non sono più cosi male.
In quanto a me, vivo ancora qui, i vicoli non sono poi così puzzolenti, ho scoperto che mi fanno sognare e che anche l’odore del porto aiuta i miei pensieri e non è così schifoso come sembrava allora. Porto ancora i capelli lunghi, solo che ora presentano qualche ciocca bianca, il sorriso da ragazzino c’è ancora, ma ci sono anche alcune rughe attorno agli occhi nocciola e sulle guancie che non mi dispiacciono affatto, raccontano la mia vita e guardandole, forse solo io, sono in grado di leggerla. Al completo di Armani ho sostituito un giubbotto da motociclista, credo sia più consono alla mia indole.
Michela ovviamente non l’ho più vista, se non su qualche rivista di moda.
Sono sempre affetto da una grave forma di “sindrome da Peter Pan” e da un egocentrismo smisurato, forse per questo frequento una donna con molti anni meno di me. Tutte le volte che le faccio notare quanto sia giovane le viene il broncio e mi raccomanda di non trattarla come una ragazzina, finisce che però è lei a trattare me come tale e non ha tutti i torti.
Anche a lei , la prima volta che è venuta a Genova i vicoli non sono piaciuti, pur dicendole il contrario non può immaginare quanto la capisco.
Le piace stare ad ascoltare le mie storie, a volte gliele sussurro ad un orecchio dopo che abbiamo fatto l’amore.
So per certo che però preferisce leggerle, così le scrivo. Continuo a scrivere dei miei sogni, a descrivere i momenti della mia vita, non con nostalgia come potrebbe apparire o per alimentare il mio Ego come potreste pensare, ma per non farli morire e per raccontarli a Lei che mi sta ad ascoltare; sta piovendo e non voglio che l’acqua ed il tempo portino via tutto.
G.B.

Abbiamo fatto una prova

Una foto unica per componimenti diversi. Devo dire che sono stata cattivella (Allie Walker so sempre io quella stronza e cattiva) e la foto era MOLTO STRANA. Ma qualcuno ce l'ha fatta. Onore al merito di chi ci ha provato e un plauso sincero dal cuore.



Limerick bovino di Larissa Ragdoll
Un bel cornuto bovino di Arezzo
alle coccole non era avvezzo
e una bella elegante signorina
dal vestito senza spallina
prese per le corna quel bovino di Arezzo

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Ho sempre ragione di Allie Walker

Ecco le corna
te l'avevo detto che
vacca quella è

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ISTINTO BOVINO di Giuseppe Balsamo
Abbandonò ogni ragionevolezza, istintivamente si gettò anima e corpo in quell’istintiva passione, come un bufalo imbizzarrito, cercando di farla sua, di averla.
La bella e la bestia, lei cercò di evitarlo, appellandosi alle sue forze resistendo alle tentazioni. Indomabile creatura raccolse tutte le sue forze perché ciò non accadesse. 
Alla fine lui ebbe la meglio, dopo un tira e molla durato dei mesi, si impossessò di lei, la prima volta la volle prendere come una giumenta, forzandola da dietro, sbattendola in maniera animalesca, pregnandola del proprio seme. La lasciò distesa sul divano, umida e sudata, congestionata e imprigionata dal desiderio

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L'uomo e il bue di Federico Nanker-Phelge

Il bue nasce cornuto
l'uman lo è divenuto
ahi ahi la vita è dura
e non per sua natura
e allor perchè ciò è accaduto?

Cronaca di una morte annunciata di Francesca Delli Colli


Un anno a buttar sangue ,soprattutto con me stessa.
Un anno cercando di capire cosa ho dentro.
Un anno per sapere che cosa sono.
Un anno di dubbi e sicurezze, paura e desiderio,
scappare o rimanere, vivere o morire.
Hai lottato tu, ho lottato io, lo abbiamo fatto insieme.
Tu avevi le tue certezze, ma non so quanto io potevo farne parte.
Ora sono in ginocchio davanti a te,
ma vedo scivolare tutto tra le mani e non so neanche il perche’.
E' umiliante.
Mi sento strappare dentro, disperazione e rabbia, speranza ed illusione.
Un anno per morire di nuovo.

domenica 17 febbraio 2013

L'angelo biondo di Insolito Scrittore


Era solito osservarla affacciato dalla sua finestra, mentre ella indecente si toccava.
Era il suo angelo biondo.
Quel gesto – di toccarsi - lo faceva con una ritualità sistematica, era diventata una routine, non provava probabilmente più nessuna emozione.
Lui scorgeva quella sua stanca mano senza più vigore, immaginava le sue dita scomparire dentro il suo sesso.
Per lei era diventato più un rituale. Quel movimento, quel gesto era stato privato della sua passione e sostituito con una sorta di dovere, per continuare a sentirsi donna.
In lui, invece, vederla cosi indecente le provocava un erezione, più volte aveva dovuto decongestionare il suo sesso, abbassare la zip e tirarlo fuori, già in tensione.
Quella volta lei se ne accorse, lo vide armeggiare all'altezza del suo pube. Qualcuno godeva di lei (era questo il suo pensiero), e prese a muovere le dita con più veemenza dentro di lei.
Lui fino a quel momento non lo aveva ancora trovato interesse a segarsi, ma vide il gesto di lei come nuova linfa e non seppe resistere. Lei era dolce ora, contenta, non cercava di apparire nuovamente donna, si sentiva donna. Che strana la vita....ci sono cose che nascondono in se un potenziale imprevedibile.

Ci sono sensazioni che vanno oltre il visibile, percepisci finanche i dettagli pur essendo a una distanza tale in cui è impossibile tale accuratezza.
La cosa difficile nella vita reale come a volte nel virtuale è quell'andare oltre, manifestare quelle reali sensazioni, spogliarsi di tutti i vestiti (non esclusivamente fisici) e apparire come si è realmente. In questa lotta che interessa ciascuno di noi ci sta un rapporto di fiducia che si può creare solo per un istante oppure per un infinita e prolungata eternità.
Lo stato fisico di ebrezza ed eccitazione è uno dei più belli perché ti fa credere (illusoriamente), seppur per brevi tempi alla felicità assoluta. Ma è solo un assaggio...

Lui massaggiava lento il suo sesso fino a far scappellare il suo glande, in quel ritaglio di finestra che lo inquadrava, ora, la sua asta appariva in tutta la sua magnificenza. Incurante – in quanto trascinato da quell'eccitazione - che altri potessero osservare quell'impudico gesto. Esistevano solo lui e lei e nessun altro.
Lei si stava lasciando invece trasportare dalla sua onda orgasmica. La lingua umettava le sue labbra, il respiro affannoso ogni qual volta le sue dita affondavano. Ora, vedendolo, si vedeva complice, lo voleva aspettare, aveva preso a rallentare il suo movimento assecondando il ritmo di quel pene eretto in suo onore ma anche per far durare quella sensazione il più possibile che la rendeva ora complice.
Entrambi ora viaggiavano allo stesso ritmo e arrivarono a godere simultaneamente.
Sul vetro della finestra colava il suo prezioso seme, lasciando scie che era un dispiacere perdere così. Lei d'altronde quei suoi umori non voleva perderli e diventò ancor più eccitante quando portò le sue dita in bocca. Fece uscire la lingua e si lecco i polpastrelli.
A lui invece era rimasto un po del grumoso seme sul dito indice, mimò di odorarne il sapore e infilò tutto il dito in bocca, facendolo scomparire.
Si cercarono attraverso quei vetri ora leggermente appannati dei loro respiri ancora ansanti, ma le loro parole rimasero incomprensibili. Forse riuscivano a comunicare solamente in quel modo attraverso quella finestra. Era come se tra le loro anime ora c'era effettivamente tutto quello spazio che li separava tra i vetri. A mentre fredda entrambi probabilmente hanno pensato di aver corso un rischio di essere apparsi cosi pubblicamente indecenti, sembrava così deciso che ognuno rimanesse sulle sue, non dando seguito alla cosa. Più volte lui la cercò dalla sua finestra, ma trovava quella di lei avvolta da pesanti drappi che oscuravano l'interno o con le tapparelle abbassate...
Possibile che quel desiderio di masturbarsi ai suoi occhi si fosse fermato li?
E lui cosa aspettava, forse che bussasse alla sua porta e le dicesse chiavami!
Provò a fare ricerche, cercando l'intestatario dell'appartamento da cui aveva goduto.
Si presento una mattina sul presto, era uno stabile di quelli che avevano ancora il portiere.
Provò a identificare l'appartamento contando i piani, il numero delle finestre....
Ma ottenne dal portiere una risposta che lo gelò.
L'appartamento non è più abitato da tanto tempo,
Ma come ho visto che c'era qualcuno
Impossibile rispose il portiere alterandosi un po per aver messo in discussione la onorata sicurezza.
La proprietaria dell'appartamento è morta da dieci anni, il marito e la figlia si sono trasferiti credo in costa azzurra e non tornano più da tanto tempo in quest'appartamento.
Cazzo, lui aveva visto un fantasma...,
lui aveva amato un fantasma,
lui desiderava un fantasma.
Quella notte si sentiva così fragile, aveva messo a nudo il suo desiderio, era stato trafitto dalle sue paure, la morte, l'incomprensibile disagio che quella situazione le arrecava.
Per contro lei entrò nella sua stanza, bionda, profumata e le si avvicinò.
Le trasmetteva sicurezza, lo ringraziò per averla cercata. Per averla fatta sentire donna, e soprattutto una persona desiderata.
Non so come possano aver fatto l'amore, fu splendido per entrambi. Era un incontro di realtà e irrazionale, mondi paralleli che a logica non avrebbero dovuto interagire. Ma loro andarono oltre, vissero quegli attimi l'uno nell'altro.
Nella stanza buia avvertiva le sue vibrazioni, il calore del suo sesso scendergli addosso, ne percepii pure il suoi fluire orgasmico. Era tutto così naturale, così bello. Vedere quel lenzuolo che delle forme aveva di lei, il suo sapore, il suo odore. Si addormentò che la stringeva tra le braccia.... 

Buio di Michele Costantini

L'aria mi porta nuovamente l'eco di parole
ancora troppo amare per me.
L'oramai inutile felicità 
di un caldo attimo d'attesa,
crolla di colpo,
in un assordante silenzio
e lascia solo
un inutile mucchietto
di sogni infranti

Mia di Michele Costantini

Voglia oscena
lussuria, passione
leccare le tue ferite
godendo ai tuoi piaceri,
sentire i tuoi fremiti
ai miei ordini indecenti,
inquietantemente donna,
spudoratamente mia

Neve blu di Giuseppe Balsamo

Imbarazzata non sapeva proprio dove mettere le mani per cercare di rimediare al guaio appena fatto. Con la mano sinistra si scostò una ciocca di capelli biondissimi dal viso, mentre inginocchiata con la destra cercava di pulirgli i pantaloni completamente bagnati dal cocktail che aveva fatto cadere dal bicchiere, attenta a non avvicinare le mani alla patta dei calzoni, completamente bagnata.
Masha Ivanova lavorava da poco come interprete di arabo nell’associazione russa denominata “Amici con la Siria”, in realtà la sua vera professione era un’altra. Dopo aver assunto quell’incarico veniva spesso invitata ai party organizzati dal consolato siriano in città. Elias Hamza, così si presento quell’uomo, le disse che non importava e che sarebbe andato in bagno ad asciugarsi, aiutandola a rimettersi in piedi dopo averla presa per mano.
Fu da quella volta che i due cominciarono a frequentarsi e diventarono amanti. La giovane russa era di una bellezza semplice, le labbra carnose e gli occhi azzurri, non molto alta né eccessivamente magra, con curve sinuose che ne esaltavano una femminilità matura, nonostante la giovane età. Al contrario lui portava capelli lunghi e la sua carnagione era bronzea, non poteva dirsi bello ma senz’altro attraente: nel portamento e nei modi di fare.
Ebbero modo di passare week and insieme e di trascorrere, grazie al ruolo di entrambi, alcuni periodi fuori dalla madre Russia. Fu ai confini del deserto egiziano, in una piccola città gialla come le rocce che la circondavano, che ebbero modo di entrare in quella vecchia libreria ubicata vicino l’ex sinagoga, Masha prese in mano il libro sacro e glielo mostro, constatando in quell’occasione la sua inquietudine nel doverlo maneggiare, quasi lo stesse toccando perché costretto, riponendolo con cura nello scaffale ove era sistemato.
Da allora il sospetto si insinuò crebbe, fino ad avere la certezza che l’uomo non era siriano, come voleva apparire, ma israeliano. Passò intere notti a pensare il da farsi, se relazionarsi con i suoi supervisori per rivelare la cosa. Il cuore ebbe la meglio sulla ragione, l’odore della sua pelle superò il sospetto e fu così che la frequentazione continuò.

La neve scendeva lenta e silenziosa, andandosi ad accumulare sul compatto strato che già ricopriva il sentiero di ingresso di fronte alla Dacia. Lo spettacolo, che d’estate doveva essere bellissimo, con la coltre di neve che copriva tutto assumeva contorni surreali. Pur essendo tutto bianco il colore che predominava, probabilmente a causa del crepuscolo che annunciava la notte, era un azzurro sbiadito, freddo come il cuore che palpitava nel petto di Mascha. L’interno dell’ampio salone era gelido, posarono entrambi le borse da viaggio accanto a letto, aprendole per far respirare i pochi abiti e la biancheria che si erano portati dietro, Elias premuroso come sempre si mise a trafficare con la legna del caminetto, con l’intento di accenderla e creare l’atmosfera del convegno amoroso.
Lentamente la ragazza bionda cominciò ad adagiare sul copriletto in piuma i suoi indumenti, l’intimo curato nero che avrebbe indossato quella notte, le autoreggenti ed il minuscolo abito in caso avessero deciso di uscire. Fu in quegli istanti che i suoi occhi di ghiaccio incrociarono il luccichio freddo del metallo che si intravedeva nella borsa da viaggio di Elisa. Si accovaccio, la sottoveste bianca si sollevò sulle cosce lisce e bianche, e toccò quasi con timore quel bagliore, scoprendo che si trattava di un paio di manette, frugò ancora e trovò anche un flacone di Penthotal. Un brivido le percorse la schiena, acutizzando ogni senso, pur dando la schiena nuda alla porta di ingresso della stanza, le sembro di vedere Elias entrare e sorprenderla a frugare fra le sue cose, in realtà l’uomo era ancora impegnato con il caminetto. In fretta rimise tutto a posto, con le mani tremanti ed il cuore in gola comincio a sistemare le sue cose nell’armadio.
Butto tutto alla rinfusa, senza un ordine preciso, mentre la sua mente viaggiava alla velocità della luce, alla ricerca di una soluzione per tirarsi fuori da quella trappola.
Si sentiva morire dentro, mentre si preparava per la cena. Indossò il minuscolo abito nero, da cui spuntavano le sue gambe chiare, velate dalle autoreggenti che coloravano appena la sua pelle candida di una tonalità più scura. Velocemente truccò gli occhi, facendo risaltare l’azzurro che solo il mar Baltico nelle giornate di primavera può avere, poi passò alle labbra, che diventarono di un rosso acceso, la lingua rosa vi saettò un istante quasi a sottolinearne la corposità.

A tavola recitò la sua parte, fra sorrisi, sguardi, con la morte dentro e la paura che si trasformava in adrenalina, cercò di essere quella di sempre, si concesse più vodka del solito, lasciando che lui le riempisse il bicchiere, stuzzicando appena le pietanze, facendogli intendere che la sua inappetenza era giustificabile con il desiderio di averlo nel letto.
Non ci misero così molto a finire sdraiati uno sull’altra, ansimanti e con i respiro alterato dall’eccitazione. Per un istante il desiderio ebbe il sopravvento, ma il cervello le fece riprendere il controllo, dominando quella voglia che le bruciava nel ventre: vado un minuto in bagno..devo fare una cosa per te”. Le frase rapida sussurrata nell’orecchio di lui, precedette il suo movimento felino.

“E ora che faccio…” questo pensava specchiandosi, con lo sguardo spaurito che scandagliava tutto ciò che era presente sugli scaffali attorno a lei. Si spogliò, restando completamente nuda, sedendosi sul bordo dell’ampia vasca idromassaggio circolare. Aprì la borsetta e bevve a lungo, sorsate di vodka le bruciarono la gola, mentre una lacrima tiepida le scendeva sul viso ovale. Ansimava, e la mano tremante afferrò quella lama acuminata, aprì leggermente le gambe, sapeva dove andare a cercare; l’aveva visto fare in infermeria quando con quella strana pennetta leggevano i dati contenuti nel microchip sottocutaneo che le avevano impiantato ormai da due mesi. Passò appena le dita nell’interno coscia, quasi ad accarezzarsi la pelle, tastò leggermente e trovò la minuscola cicatrice, per sicurezza aprì l’acqua della doccia, facendola sgorgare a vuoto.
Bevve ancora, poi il bagliore della fiammella dell’accendino sulla punta del coltello, quando fu soddisfatta vi versò anche il distillato rimasto nella bottiglia, cominciò a fare quello che doveva, incredula essa stessa di esserne capace.
La punta incise la coscia, scavo nella pelle bianca ed il sangue cominciò ad uscire: prima una goccia rossa poi il resto. Tamponò con il cotone rotondo che utilizzava per struccarsi, amdò ancora più a fondo, non sentendo il male che si aspettava, finchè un guizzo di bruciore e dolore le schizzo nel cervello, facendole sgorgare le lacrime, respirò a fondo intimandosi di stare calma, mentre il respiro irregolare si impossessava di lei. Deglutì, sentendo il rumore della saliva che scendeva in gola, nelle sue orecchie, alla fine lentamente trovò quello che cercava. Il fottuto circuito integrato era minuscolo, rimirò quel corpo estraneo, lo ripulì con della carta igienica e lo nascose accuratamente.
La voce di lui la risvegliò da quel delirio, che non sapeva neppure quanto fosse durato:”arrivo subito..ancora un momento..!!” . Si rese conto di aver combinato un disastro, frettolosamente cercò di sistemare le cose, asciugando il sangue con un telo da bagno, poi si infilò sotto l’acqua bollente, immersa nel vapore acqueo che ormai aveva annebbiato il bagno. Prese la lametta e depilò frettolosamente, il pube già di per se glabro, si insaponò facendo facendosi scendere l’acqua addosso, passandosi le mani sui seni e fra le gambe, quasi questo le facesse ritrovare la calma.

Si rimirò allo specchio, indossò il minuscolo perizoma ed il reggiseno, il cui colore ricordava quello del muschio di inverno, tornò da lui in camera da letto. Quando la vide aprire la porta, con sguardo di rimproverò le chiese spiegazioni per tutto quel tempo. Sorrise, sapeva che la sua bocca era quello che a lui più piaceva, quelle labbra carnose che voleva sempre baciare mordere, che desiderava costantemente sul suo corpo lo avrebbero certamente distratto. In penombra gli rispose:”Hai premura?..ho una sorpresa per te”, era l’unica cosa gli era venuta in mente, l’unica spiegazione plausibile. Lentamente sfilò il reggiseno svelando le sue rotondità ornate dai capezzoli turgidi che sembravano boccioli di rosa, passò al semplice perizoma, che fece scivolare per terra sollevando le gambe in maniera più sensuale possibile. Fece scivolare la sua mano sul ventre privo di peli, ottenne il sorriso di sorpresa di lui, mentre gattonava sul corpo dell’uomo disteso. Si sedette su di lui, prendendogli il sesso in mano, strofinandolo sul suo, finchè non ne fu piena, muovendosi lentamente. Elias dapprima si riempì le mani con i seni di lei, sentendo sul palmo i capezzoli eccitati, poi le parlò, ribaltandola sul letto e mettendosi con tutto il suo peso: “anche io ho una sorpresa per te…”.
Le sorrise, mentre le manette fecero la loro comparsa, il terrore la attangliò, mentre il susseguirsi dei meccanismi metallici, la imprigionava al suo destino.
Non reagì, non ci provò neppure, mentre lui la prendeva lentamente dapprima, con maggior violenza poi, solo alcune lacrime le solcarono il bel viso. Mentre Elias ebbe l’orgasmo, incurante del piacere di lei, che le altre volte aveva cercato quasi ossessivamente, riempiendola del suo seme, le parlò all’orecchio:adesso mi dirai tutto!!”.

Inaspettatamente non utilizzò il pentotal, preferì mezzi più sbrigativi, così Masha morì, senza però dirgli nulla, gli dimostrò come le donne sano sopportare il dolore. Con il corpo imbrattato di sangue, Elias fece la sua telefonata, irritato, cercò dappertutto con rabbia e violenza, senza però trovare nulla. Quando i due uomini arrivarono per recuperare il corpo e fare pulizia, lo trovarono nudo che fumava, un sorriso bizzarro gli disegnava il viso, non disse una parola, si rivestì e sparì, lasciandosi alle spalle quelle mura intrise di sangue, violenza e passioni fasulle.

Il giorno dopo, non lontano da Mosca, la polizia trovò il corpo di una puttana bionda, ricoperta di ferite e priva delle dita della mano destra. L’agente, ebbe bisogno di un sorso di vodka, dopo aver a lungo guardato quelle labbra carnose e tristi.
Il corpo non andò all’obitorio come di prassi, fu recuperato e portato in un palazzone anonimo alla periferia della capitale. I medici incaricati dell’autopsia ovviamente non trovarono ciò che cercarono. Constatando che il luogo sicuro era stato violato, comunicarono l’avvenuto al supervisore.

Il Generale Ivanov, letto il referto medico, accese il lap top; dopo aver inserito credenziali e dato modo di verificare la sua identità, controvoglia accertò il portato delle informazioni che erano andate perdute. Gli occhi, velati da un sottile strato di lacrime paterne, scorsero la lista fatta con i nomi degli agenti sotto copertura. Arrivato a “Stepan Ivanov” si fermò a riflettere, avrebbe dovuto avvisarlo, cazzo era suo figlio. Non lo fece, si limitò a cancellarlo, abbandonandolo al suo destino, dandogli questa unica minima possibilità di sopravvivenza.

Sollevo la cornetta del telefono, dopo breve arrivò una ragazza dai capelli castani e gli occhi dello stesso colore, lo sguardo triste nonostante il sorriso di cortesia dovuto al suo superiore. L’uomo la guardò, valutandola, poi diede i suoi ordini: “vai in infermeria, c’è un lavoro nuovo per te”.
G.B.

Nuda di Anima di Luce


Guardami negli occhi amore mio.
Guardami e dimmi cosa vedi nel profondo della mia anima.
Ho aperto ogni cancello del mio cuore
ho abbattuto ogni muro della mia mente.
Nuda davanti a te
indosso solo il battito d'ali del mio amore.

Vorrei avere un paio d'ali per osare di Insolito Scrittore

Filtra quel pensiero.
Invadente ti osserva.
Ingenuo avanza,

si fa strada,
senza lasciar strascichi di sé,
è li, 
a un passo dall'anima nuda.
Ha già radicato
nei respiri infranti
dalle mie labbra
In quegli occhi leggendoli,
ho affogato ogni mio disio.
Pronto a volare
laddove le ali vorranno osare.

Infinito di Anima di Luce

Angoli dell'anima ti accolgono
Entri in me come sabbia di deserto,
avvolgi ogni desiderio di te

lo prendi
lo fai tuo.
Il tuo sguardo sfiora il mio cuore
librandolo nell'infinito.

Come sabbia nel deserto di Insolito Scrittore

Siamo sabbia

siamo vento ora
indefinite essenza 
nell'infinito
vuoto che ci circonda
fluttuiamo 
senza un tempo
senza una meta
Semplicemente
non esiste altro
che noi

La fenice di Insolito Scrittore

La osservavo puntuale nelle sue abitudinarie faccende domestiche. Forse è nato lì quel desiderio. Ricordo un film “Il Silenzio degli innocenti” quando il Dottor Annibal Lecter, il cannibale, suggeriva all'agente FBI che il serial killer doveva essere cercato tra le possibili persone che avevano avuto la possibilità di vedere la vittima.

E' l'inquilina del piano terra. La mia vittima. Una persona riservata, ci incrociamo raramente. Avevo anche fatto qualche pensierino indecente su di lei, forse le scie di buon profumo che lasciava lungo l'androne del condominio nel quale abita o forse quell'aria di mistero mista a di trasgressione che la avvolgeva. Opium, mi sembra di ricordare che fosse proprio Opium, il profumo che principalmente usasse. Lo associo a lei comunque, quella sensazione carnale che emanavano le essenze di mirra e vaniglia. Le poche volte che l'avevo incrociata indossava sempre abiti eleganti, e i suoi occhi erano magnetici, non ero riuscito ad individuarne il colore, quel leggero trucco sulla bianca pelle era così delicato da sembrare quasi assente.
Ci sono persone che fanno scattare in noi appetiti, il più delle volte sai che non accadrà mai, ma altre volte incominci a fantasticare situazioni più o meno intriganti, creando spiragli, occasioni per incrociarsi. Come quando da adolescente avevo studiato i movimenti della ragazza del piano di sopra, sapevo, conoscevo i suoi orari, riconoscevo il rumore dei suoi passi che si avvicinavano alla porta e stava per uscire, e dirigersi nell'ascensore, e io ero già li a schiacciare quel pulsante dell'elevatore per ritrovarmi solo con lei, offrirgli un passaggio in motorino.....
Cosi, mi trovavo ora a scrutare i suoi movimenti nel giardino sotto la mia finestra, leggermente defilato tra lo stipite della finestra e la tendina. Forse aveva intuito che la osservavo, ogni tanto si girava cercando chi avesse posato gli occhi su di lei, o forse ancora era il suo modo di dirmi che aveva capito. Con il sole innanzi a lei riuscivo a intravedere le sue forme nelle trasparenze degli indumenti che aveva indosso.
Una vestaglietta rosa, semi trasparente con un qualcosa disegnato sulle spalle. Sapete quei disegni sui grossi ventagli orientali, forse un airone nell'atto di librarsi in aria, come un sole che nasce o forse era una fenice che si rigenerava e risorgeva...ecco questo può essere uno spunto per chiedergli il significato. Ma no, troppo banale. Troppo scontato.
Continuava a trasmettere quel suo desiderio di manifestare il suo corpo. Non so perché, voleva che guardassi i suoi lineamenti, ma anche che andassi oltre? Stavo dando per scontato che lei mi avesse visto. Mi avesse smascherato.
Rimasi incantato a guardarla un istante di più, si girò e agitò la manina in segno di saluto. Ecco ora sapevo che ne era a conoscenza, aprii la finestra facendo buon viso a cattiva sorte, pensando di aver fatto ormai naufragare ogni approccio. La solita insicurezza affiorava.
Spalancai la finestra nel timido tentativo di porgere un saluto più consono.
- Buongiorno, come va? (che razza di saluto è questo?, sei un incompetente...ahhahahha)
- Bene, grazie, disse immediatamente lei cogliendomi di sorpresa. Posso offrirle un thè continuò lei.
Mi ero trasformato da cacciatore a preda. Il che era tutto dire sulle doti di cacciatore che pensavo di possedere, meglio dire non doti).
Sapeva, leggere nel mio pensiero, aveva una padronanza della situazione, come pochi, era aggressiva, forse impulsiva, ma lo faceva con dolcezza era riuscita a essere e armonizzare tutti quegli aspetti in sé.
Va bene, arrivo. - Lo accetto molto volentieri il suo thé, rispondendo finalmente alla sua domanda.
Che scemo riflettei un istante dopo e ora cosa le porto. Normalmente si portano fiori o cioccolattini, non posso andare a mani vuote....Che fare? Mi è venuta un idea.....
10 minuti dopo ero davanti alla porta di casa sua. Nervoso.
Avrei immaginato che si fosse cambiata, indossato abiti diversi. Invece indossava ancora quella vestaglia semitrasparente, in cui lasciava intravedere il suo completino intimo fatto di lacci e laccetti, nastri e nastrini.
Prego, si accomodi sul divano. Usava ancora l'impersonale. Non riuscivo proprio a inquadrarla. Era proprio una cacciatrice spietata oppure una saggia persona. Capivo dei segnali e l'attimo successivo ne interpretavo altri.
Ritorno nel soggiorno con il vassoio con alcune tazze vuote, una teiera tutto in stile giapponese.
Suonano alla citofono, prima di alzare la cornetta mi guarda incuriosita.....
Si? risponde. …..prego.
Possibile che siano già arrivati.....avevo ordinato una composizione floreale stile ikebana, semplice ma che avesse le essenze di bergamotto e mandarino che richiamavano il suo profumo Opium.
Ne fu meravigliata e incominciò a scrutarmi come se ci fosse stata interazione ora. Che potesse passare allo step successivo.
L'occasione del thé delle tazze disegnate di orientali richiami mi permise di chiedere a lei il significato del disegno sulla vestaglia.
Le vidi sgranare gli occhi, come se ancora una volta l'avessi sorpresa, nel mio atteggiamento di interessarmi a lei.
Slaccio la vestaglia, per nulla turbata dal mostrarsi in intimo innanzi a me. Piegò la vestaglia in modo che fosse ben evidente il disegno stampato su di essa.
- Conosce la fenice? Chiese lei
- Si certo, risorge dalle ceneri. Risposi baldanzoso.
- La fenice è un animale unico, non ha compagni, esiste per rendere felici gli altri, e in questo consiste la sua felicità estinguendosi, donandosi e rinascendo per donare felicità.
E' un essere che rimane solo tutto la vita, senza un suo simile.
- Ti senti così gli chiesi? Avendo occhi dolci per lei perché vedevo la sua unicità.
- A volte si mi sento una fenice, un essere solitario, incompreso, rispose lei. Ma ora, in questo momento non è così. Ho voglia di fare l'amore con te.
Mi portò nella sua meravigliosa camera.
Nel vederla sopra di me mi sembro di veder estinguere il suo desiderio (oltre che il mio naturalmente) e rigenerarsi. Era quanto di più simile a una geisha avessi incontrato. Era entrata nella mia mente, ora assecondata, era lei che aveva iniziato o ero io? Era tutta farina del mio sacco oppure ancora ora tra le sue braccia era lei che plasmava i miei sensi.
Non so rispondere a queste domande, forse un po' l'uno un po l'altro. Un po' preda un po cacciatore.