Short story – Racconti – Poesia - Drabble... Vogliamo emozionarvi, rendervi partecipi dei nostri flash della mente. Entrate, siete i benvenuti.
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sabato 30 novembre 2013
SOGNANDO BUKOWSKI di Andrea Lagrein
Notte fonda, solo nel letto di casa, mente offuscata dal vino, impregnato dal profumo di amori a pagamento, libero fra le spirali dell'ennesima sigaretta che brucia fra le mie dita. E un foglio bianco in cui tratteggiare i miei indefiniti contorni. Brindo alla sconosciuta che si è concessa per pochi denari. Non ne ricordo il nome e il suo viso già s'è perso fra le nebbie dei miei pensieri. Brindo alla sua fica che s'è dischiusa alla mia tristezza e alla mia solitudine, nella quale io, novello Giuda, povero traditore, per trenta danari sono morto e risorto. Brindo alla vulva della mia ex moglie che indifferente lascia la mia mente intorpidita. Brindo a tutte le puttane del mondo che, senza enfasi, si danno a noi squallidi personaggi senza spessore e senza forza. Brindo a te, sorda e impassibile ai miei slanci. Brindo ai tuoi fianchi, alle tue tette, al tuo culo, alle tue cosce, alle tue forme così perfette da ottenebrarmi la mente. Brindo a te, a te che non sarai mai mia, a te che tanto avrei voluto fossi mia. Brindo a tutti i ladri, assassini e lestofanti, al coraggio e alla disperazione che li sospingono e li sostengono. Brindo ai politici, che invece non hanno bisogno di coraggio e disperazione, ma solo di una faccia come il culo. Brindo ai comici, agli attori e ai musicisti, agli operai, ai facchini e ai dottori, poiché almeno loro, in parte, sono onesti. E infine brindo a me stesso, che sono tutto e sono niente. A me dunque l'ennesimo bicchiere. E che la notte mi rapisca definitivamente!
IL MIO RIFUGIO di Asianne Merisi
Vasca
da bagno piena di schiuma... uno dei pochi luoghi in cui riesco ancora a
perdermi tra una moltitudine di pensieri, senza che i rumori della vita
riescano a fare irruzione e violarli! Respiro l'odore che proviene
dall'acqua con voracità, come se avessi vissuto in apnea fino a quel
momento, e finalmente potessi prendere aria. Viaggio... viaggio verso
mondi che non esistono, costruendo storie a lieto fine che mi fanno
sorridere. Tutto questo ad occhi chiusi. L'unica luce è quella di una
candela che mi sono premurata di accendere prima di immergermi tra le
bolle... una luce fioca, ma che bene si adatta alla leggerezza
dell'acqua e dei miei pensieri! Quando riprendo contatto con la realtà,
mi sento una persona nuova. È come se il peso della vita fosse stato
inghiottito dallo scarico, come se niente, fino a quel momento, fosse
avvenuto. È come rinascere, ma senza dover affrontare tutte le tappe
della crescita... Il contatto con la realtà è quasi uno scoprirmi in un
posto nuovo, dove non ero ancora stata prima. Io sono ancora io,
sicuramente! Sono ancora io, ma sono leggera come un gabbiano in volo
sospinto dall'aria... Questo è un posto fantastico per chi riesce ancora
a sognare. È un posto fantastico per chi ha ancora l'energia per
rinascere ogni giorno come se niente, fino ad allora, fosse ancora
successo!
..oltre
RAGAZZI DI PERIFERIA (cahiers del tempo che fu) di Andrea Lagrein
A lui, lei, non interessava. A lei, lui, piaceva da morire. Io, di lei, ero follemente innamorato. Periferia milanese, di quella squallida, di quella brutta, di quella misera, di quella pericolosa. Lui era il capobanda del quartiere, di quelli che non domandano, ottengono. Solo con lo sguardo e, beninteso, un coltello nascosto in tasca. Lei era la ragazza dalle belle tette, il culo sodo, le gambe slanciate e ben fatte, bionda fin nell'anima. Io ero la mosca bianca, il secchione di turno, lo sfigato che andava al liceo classico e suonava il pianoforte. La famiglia di lui era un concentrato di delinquenza assortita. La famiglia di lei, piccoli commercianti al dettaglio. La mia famiglia, onesti impiegati che andavano a messa alla domenica. Non stupitevi poi che mi piaccia così tanto la birra! Comunque a lui, lei, non interessava. Ma in mio onore, quella sera, in quel parchetto, per ribadire la propria superiorità, la chiamò a sé e le chiese una prova del proprio amore. Davanti a tutti noi. Davanti soprattutto a me. Si slacciò i pantaloni e tirò fuori l'uccello con gesto arrogante. Sogghignante le intimò di succhiarlo. Lei si inginocchiò e lo prese in bocca. Tutto quanto. Con una feroce luce negli occhi lui mi guardò. E nel mentre sorrise soddisfatto alla corte dei suoi sensali che lo circondava. Ero sopraffatto. Eppure non riuscivo a distogliere lo sguardo. Da lei, che così follemente amavo. Dalle sue labbra, che così intensamente succhiavano. Da lui, che così fieramente dominava. Quel giorno capii molte cose della vita. Quel giorno capii le dure regole del gioco. E quella notte, steso nel mio letto, piansi. Piansi lacrime amare!
giovedì 28 novembre 2013
INNAMORATA PAZZA ( O VICEVERSA ) di Alice Stregatta
Il suo Amore poteva sembrare un fuoco di paglia.
Lui aveva tentato di dissuaderla in tutti i modi possibili. Freddezza, gelo, parole di ghiaccio.
Non aveva tenuto conto della sua passione per gli ossimori.
Ghiaccio bollente.
Più Lui manteneva le distanze, più lei lo rincorreva. Non si chiamava mica Alice per niente, caro il mio algido Bianconiglio.
Lei pensava a Lui, continuamente, pur sapendo che il suo Amore non era
ricambiato. Era stato chiaro: non voleva nessuna relazione.
Ma si sa... Per una donna innamorata erano parole al vento.
E lo amava. Silenziosamente? Per niente!
Lo sommergeva di messaggi, suppliche, citazioni, canzoni, poesie.
E parlava di Lui: con le amiche, con i colleghi, con chiunque le capitasse a tiro. Una pazza nevrotica in pieno delirio.
È passato un anno. Ha festeggiato il non anniversario, come il
Cappellaio Matto e il leprotto bisestile festeggiano il non compleanno.
Si tatuerà la sua iniziale.
E poi? Poi la psichiatra ha detto che prolungheranno il TSO, ovviamente!
lunedì 25 novembre 2013
VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE di Andrea Lagrein
Celine e una birra. Celine e una serata in solitudine. Celine e una lunga notte davanti a me. Tutto sommato ero soddisfatto.
Vaffanculo, puttana! Lo sanno tutti che troieggi con mezzo mondo. Zoccola che non sei altro!
Bastardo, bastardo, bastardo! Toglimi le mani di dosso, stronzo! Sei
sempre ubriaco, non fai mai un cazzo, e ti sbatti tutte quelle
puttanelle che rimorchi al bar. Ti odio, sei un fallito di merda!
Io ti ammazzo! Hai capito? Ti faccio sputare anche l'anima a forza di calci nel culo. Troia!
Stabile C, appartamento F 13. Edilizia popolare. Sussulti di ordinaria
vita coniugale. Squarci domestici fra le macerie delle nostre miserie.
Prosit! Ci bevo sopra. E meno male che avevo una buona scorta di Beck's,
altrimenti sarei impazzito ad ascoltare queste litanie di amori ormai
smarriti.
Però, cazzo! Celine meriterebbe un pò più di rispetto.
Non era da molto che vivevo in quel bilocale in affitto, zona
ortomercato di Milano, dove miseria e povertà si mischiavano a un certo
benessere di chi si faceva il culo lavorando onestamente da mattina a
sera, senza troppi grilli per la testa.
Ne ho piene le palle, di una come te! Me ne vado!
E vattene, stronzo, che ne trovo cento meglio di te. Vattene!
Puttana! Vieni qui che ti massacro. Vieni qui!
E poi c'era gente come loro, i miei vicini. Lui, un omaccione grande e
grosso, trasandato, spettinato, barba incolta, pantaloni larghi e
maglioni sformati, puzzo di fritto e andatura caracollante, sempre
gentile e educato nelle rare volte che ci si incontrava nell'androne,
sempre sorridente e cordiale nei suoi buon giorno e buona sera. Lei, bel
culo e belle tette, viso da ragazzina di trentacinque anni su per giù,
occhi cerchiati dalle troppe notti insonni, schiva e timida, sguardo
sempre basso e saluti sussurrati quasi fosse uno sbaglio, carina se non
fosse stato per quell'aria sciupata ed eternamente malinconica. C'era
anche una figlia, di undici anni, bella, bellissima in quella sua aurea
di fanciulla cresciuta troppo presto, in quel suo veloce e continuo
sgattaiolare fuori di casa in cerca di un riparo dal dramma familiare.
Brutta testa di cazzo, non mettermi più le mani addosso, altrimenti ti denuncio!
Mi denunci? Mi denunci? Ma io ti spacco la testa, hai capito? Puttana!
Quella sera, proprio, non c'era verso. Erano particolarmente esaltati.
Cristo, stavano dando il meglio di sé! Forse è meglio che esca, non è
certo il clima adatto per Celine! pensavo quando d'improvviso bussarono
alla porta. Non è proprio serata questa, guardai sconsolato il buon
Louis Ferdinand.
Andai alla porta. La aprii. Due grandi occhi
supplicanti mi fissavano. Alessandra, la figlia undicenne dei miei
vicini, era in piedi davanti a me. "Posso entrare?" chiese in un timido
bisbiglio. Mi feci da parte e con un ampio gesto del braccio la invitai
dentro. Addio definitivo a Celine!
Si guardò fugacemente attorno.
"Posso stare un pò da te? Vorrei guardare la TV!". Sorrisi sconsolato.
"Mi spiace, ma io non ho il televisore!". Mi fissò stupita, come si
osserva una bestia rara. Non avere un televisore in casa, al giorno
d'oggi, è decisamente sinonimo di follia.
Con chi sei stata, eh, puttana? Da chi ti sei fatta sbatterre oggi? Dimmelo, cazzo, perché tanto lo so. Lo so, troia!
Non te ne deve fregare un cazzo con chi sono stata io oggi, hai capito?
Sì, sì, sì, ho spompinato tutto il giorno, alla faccia tua, cornuto di
merda!
Vieni qui. Vieni qui, che ti cavo le budella! Così la finirai una volta per tutte di troieggiare in giro, stronza!
Alessandra mi guardava, non so se più con occhi imbarazzati o
sofferenti. Non ero preparato a tutto questo. Cristo santo, se si fosse
trattato di fica, di scopate, di whisky, birra o puttane, allora va
bene, non c'era problema, ero nel mio territorio. Ma trovarmi di fronte
una bimba quasi in lacrime, che chiedeva conforto e un pò di calore per
sfuggire, anche solo per breve tempo, a due genitori che di genitori
hanno ben poco, beh.......questa era tutt'altra faccenda.
Venne lei
in mio soccorso. "Allora perché non ascoltiamo un pò di musica?".
Scoppiai a ridere. La tensione si stava allentando. "Buona idea,
piccola. Vediamo un pò cosa farti ascoltare!". Non avevo dubbi. Rage
Against the Machine. Killing in the name. La chitarra di Morello e il
basso di Commerford invasero subito la stanza. Le urla di mamma e papà
svanite come d'incanto. Alessandra mi guardò soddisfatta e sorridente.
"Fuck u, I won't do what ya tell me......mutha fucker!". Fanculo, non
farò quel che mi dirai.......figlio di puttana. Urlò la voce di Zack.
Più che altro era un augurio per lei, diventare altro dai suoi genitori.
"Potrei avere qualcosa da bere? Ho sete!". Cazzo, non sono mai stato
bravo con le buone maniere. "Ma certo, piccola. Adesso vedo cosa posso
offrirti". Impresa ardua! A parte l'acqua del rubinetto, temevo di avere
solo birre e qualche super alcolico. E invece..........una bottiglia di
Coca-cola, arma da taglio per il mio rum invecchiato sette anni,
efficace in quei rari momenti in cui desideravo sognare notti all'Avana.
Le allungai il bicchiere. Mi sorrise grata in un cenno di
ringraziamento. "Che lavoro fai?". Gesù, mi sembrava di stare nel bel
mezzo di un interrogatorio. Ma forse era il suo unico modo che conosceva
per instaurare una sorta di relazione. Decisi di mentirle. Viveva già
sufficientemente nella merda per buttarle addosso anche la mia.
"Racconto storie. Le racconto a chi le vuole sentire e si diverte ad
ascoltarle". Ci sedemmo sul divano. "Che bello! E' forte!". "E' forte?"
chiesi divertito. "Sì, è forte! Creare storie e aiutare la gente a
sognare, a volare lontano!". Mi sorrideva ma nei suoi occhi leggevo
tutta la sua tristezza. Volare lontano! Come poteva essere altrimenti,
se non che il suo desiderio fosse volare lontano dallo schifo in cui si
trovava a vivere.
Dove cazzo sei stata questo pomeriggio, eh? Me lo vuoi dire o no?
Non sono fatti che ti riguardano. Faccio quel che mi pare, hai capito?
Noooo! Tu non fai quel che ti pare, stronza! Tu mi devi dire cosa fai, altrimenti ti ammazzo a furia di sberle!
Bussarono nuovamente alla porta. Feci ripartire la musica. Andai ad
aprire. Questa serata cominciava ad essere decisamente affollata.
Samara, il trans dell'appartamento sopra il mio! "Ma li senti? Va a
finire che questa volta si ammazzano per davvero!". La guardai. Pronta
per i marciapiedi. "Non vai a lavorare?" chiesi ironico. "Certo, tesoro!
Solo che sono preoccupata. Se questi si ammazzano, sai che giro di
sbirri qua attorno? Non mi va tanto l'idea!". Sghignazzai divertito.
"Dai, buona samaritana, non preoccuparti, che quelli lì mica si
ammazzano. Dovresti esserci abituata, ormai!". Fece spallucce. "Sarà! E
la figlia dov'è?". Mi scostai leggermente e le indicai l'interno
dell'appartamento con un rapido cenno del capo. "Hai bisogno d'aiuto?".
La squadrai. "Desiderio di maternità?" sogghignai. "Fottiti!" disse
entrando senza attendere un mio invito.
"Ale, tesoro. Che bello
vederti!". Samara prese subito in mano la situazione. "Oh, ciao Sam!
Stavamo ascoltando un pò di musica!" salutò Alessandra. Mi appoggiai
allo stipite della porta osservando la scena. Surreale!
Passo tutto
il giorno a bere per dimenticare la tua faccia da troia! Non sopporto
più di vederti. Non ti sopporto più, hai capito?
Vai affanculo,
merda che non sei altro! Vattene, vattene, che di una testa di cazzo
come te qui non sappiamo che farcene. Vattene!
"Bene, e adesso che
si fa?" chiesi per alleggerire la situazione. Lei sorrise timida.
"Inventiamo delle storie, dai!". La guardai con infinita tristezza nel
cuore. L'invenzione come via di fuga. L'immaginazione come difesa
dall'inferno della realtà. Quante volte ho visto le colpe dei genitori
riversarsi sui figli. Quante, Cristo santo! E so già come andrà a
finire. Strafatta di crack e vodka da due soldi. Finzioni per
dimenticare. Finzioni per sopravvivere. Ma che si fottano!
Così,
seduti sul divano, passammo un paio di ore a inventare storie
divertenti, allegre, esilaranti. In fondo anche questo era un modo per
dimenticare, un modo per sopravvivere. Un mezzo fallito, un trans e una
piccola disadattata. Praticamente la famiglia perfetta!
All'una e
mezza eravamo ancora aggrappati a noi stessi fuggendo dai nostri demoni
in quella lunga notte. Alessandra sbadigliò stropicciandosi gli occhi.
"Posso rimanere da te a dormire?". Più che una domanda era una supplica.
Guardai di sottecchi Samara. Cristo, proprio non son buono con ste
cose. La parte del buon padre di famiglia, poi....!
"Era da tanto
tempo che non stavo così bene. Avessi io una famiglia così.....". Non
terminò neppure la frase. La voce strozzata pronta al pianto. Mi passò
le braccia lungo i fianchi e nascose il volto sul mio petto, in un
abbraccio struggente. Cazzo! piccola mia, devi proprio star messa male
se per te il massimo della famiglia è rappresentato da un fallito come
padre e da un trans come madre. Birra e tette al silicone! E' questa la
famiglia che vuoi?
Ma non ebbi il cuore di dirglielo. Invece la
tenni stretta fra le braccia e la baciai delicatamente sui capelli. Lei
mi abbracciò ancora più forte. E nel calore di quel contatto tutto il
mio cinismo, tutto il mio schifo, tutta la mia irrequietezza, tutto il
mio ribrezzo per la vita si sciolsero e svanirono improvvisamente,
lasciando il posto a un'infinita dolcezza e tenerezza che da anni non
riuscivo più a provare.
Mi commossi. Un terribile groppo mi si formò
in gola. E senza che io potessi farci nulla, le lacrime iniziarono a
scendere lungo il mio viso. Fica, scopate, whisky, birra e puttane!
Nulla! Tutto svanito. Tutto senza più importanza. Era rimasto solo il
nostro abbraccio, il nostro calore, il nostro dolore e la nostra,
immensa voglia di dimenticare i propri inferni.
Sentii un dito
asciugare delicatamente la mia guancia. Alzai lo sguardo. Samara mi
sorrideva dolcemente. Era il suo indice. La sua consapevolezza. La sua
comprensione. La ringraziai con gli occhi. Lei mi accarezzò come solo
un'innamorata può accarezzare. Questa era la mia famiglia. Questa la mia
ancora di salvezza.
Ci addormentammo così, tutti e tre sul divano,
ognuno perso nei propri sogni, nei propri incubi. Non so quanto dormii,
ma mi svegliai che era ancora notte. Mi alzai. Osservai le mie
impreviste ospiti, fiocamente illuminate dai lampioni della strada.
Samara, con il capo reclinato indietro, russava rumorosamente a bocca
aperta. Alessandra invece dormiva placida sdraiata con il viso
appoggiato sul ventre del trans. Le fissai i lineamenti del volto.
Dolci, delicati, d'una bellezza infinita. Cristo santo! e un futuro
sulla soglia di un precipizio!
Andai alla finestra. Un camion
dell'immondizia iniziava il suo turno. Le strade erano deserte. Presi
una birra e mi accesi una sigaretta. Che cazzo di colazione!
Lentamente, a est, il cielo rischiarava. Era giunto a compimento questo
mio lungo viaggio al termine della notte. L'alba stava sorgendo, e io
ero lì, fermo di fronte alla finestra, a un passo dall'aurora!
domenica 24 novembre 2013
DESTARSI SEDOTTI di Sereno Notturno
Sono
sempre quelle le note del mattino, che ti assaporano nel piacere di un
sonno passato, tra desideri e voglie, con una vena d'ottimismo ai lati
del piacere della carne.
Suggestione di stimoli che hanno preludio
in un pensiero, con le mani nella pelle calda che assapora ancora la
necessità nonostante il giorno che arriva.
Forse sono solo ricordi
che non dimentichi e li tieni come promemoria in una fase rem senza
freni inibitori, che squagliano piaceri tra le mani come desiderio
effimero.
Girando delicatamente il
capo verso l'altro bordo del pensiero che inesorabilmente vorrei credere
già sveglio, ma che resta immancabilmente assente.
LA FAVOLA AL CONTRARIO di Alice Stregatta
Aveva vissuto per anni in un castello incantato con il suo Principe.
Era sempre inquieta senza capirne il motivo: aveva tutto!
Era amata, venerata, protetta, accudita, coccolata, viziata, mantenuta.
Un brutto giorno di febbraio, il castello di cristallo mostrò strane incrinature. Che lei si rifiutò di vedere.
"Sono ghirigori che il Principe ha fatto incidere per noia."
Poi... a dicembre le crepe divennero voragini, abissi da cui entrava un freddo glaciale, paralizzante.
Il castello di cristallo si frantumò, crollando in un frastuono che,
finalmente, la risvegliò dallo stato di trance in cui era tenuta,
rivelando un'enorme gabbia la cui doratura ormai scrostata rivelava i
segni del tempo.
La serratura arrugginita era saldata dall'esterno.
La Principessa capì che era prigioniera. E lui non era altri che un
vampiro che si nutriva della sua solare bellezza, del suo sorriso e del
suo infinito Amore.
SABATO DOPO SABATO di Alice Stregatta
Quella volta era stata lei a scappare. Troppo difficile gestire quel groviglio di emozioni, belle
e inaspettate, che facevano a pugni col suo stato d'animo. Un momento
difficile, due,tre vicoli ciechi. Chiunque sarebbe andato fuori di
testa.
E infatti. Accadde.
Poi, una sera, bussò alla sua porta.
Aveva voglia di coccole.
"Ti va di abbracciarmi, nonostante tutto? Lo so, ho una testa di cazzo, ma mi sei mancato."
Lui non rispose, spalancò le braccia e la accolse, sprofondando il viso
tra i suoi capelli. Inspirò a fondo. Sapeva di buono, la stronza.
Passarono la notte in silenzio, avvinghiati. Non c'era nulla da dire.
Viversi, per quel poco che potevano.
Sapevano entrambi che l'uno e l'altra sarebbero fuggiti, ancora, tornati, ancora. A modo loro si amavano.
Un peu, beaucoup, énormement...
A modo loro. Sbagliato, malato, disperato.
"Il sabato è nostro, a dispetto di tutto. Il sabato, esistiamo solo Noi."
venerdì 22 novembre 2013
L'AURORA SENZA UNA ROTELLA di Supermario Bross
Lucente
si alza baciando il cielo, silenziosa o rumorosa, tenuo o forte, calda o
fredda...non sempre la scorgiamo…a volte la intravediamo, un raggio che
scavalca la tapparella, alle volte la aspettiamo ansiosi di uscire
dalle tenebre notturne e metterci in salvo da tetri pensieri, alle volte
si nasconde avvolgendo il tutto in un bianco biancore con un certo
candore….per un momento pensavo di esser diventato cieco, ma dicono che i
ciechi sian avvolti in un’oscurità senza fine, non in un biancore così
lucente…oh che stupido tiro un sospiro di sollievo la cornice della
finestra è a me ben chiara…alle volte ci sorprende…ci affacciamo
assonnati e la guardiamo…rossa, viola, arancione, gialla, l’azzurro del
cielo che prende il posto del blu della notte, il sole, eccolo là…stà
arrivando, tutto stà incominciando….è autunno? è inverno? è primavera? è
estate? non importa…è sempre meravigliosa…grigia...grigia? chi ha
parlato? come grigia? Si si grigia, disse
lui che è sempre me, grigia sempre grigia per me...come il muro di 4
piani del dirimpettaio...bagnata? E ora chi ha parlato? Son
qui...quaggiù...come bagnata? Spiegati, ma attento, non ammetto
sconcerie.... Ma che sconcerie, magari... è che ieri ho aperto, pioveva e
una ventata mi ha lavato da capo a piedi, però in tempo di crisi, dai, ho
fatto sia il bucato che la doccia in un colpo solo, non mi è andata
tanto male.... Oggi mi ha fatto un regalo…la sveglia suonò, la mia donna
si alzò, aprì la finestra e….eccola là la neve…si girò…mi guardò…avvolta
in quell’aura di luce e silenzio…si sbottonò, seducente ammaliante…il
suo sguardo furbo e birbante…intravedevo i suoi seni, un capezzolo…si
avvicinò a gattoni sul letto…pensavo sussurrasse, invece quasi urlò:
”Esci a spalare il viale che devo andare a lavorare!!!! Muoviti! “
Ebbene si…alle volte è anche stronza…ma no, cosa avete capito, non
lei…. lei! Ma questo lo dico io, e tu che potresti esser uno dei tanti me
che han parlato, che ne pensi? Ma non so, io penso che tu, che alla fine
sei me, stai divagando.... Zitto tu, la domanda non era per te ma.... e chi
te lo dice a te? Shhh zitti voi me... che come è arrivata ci saluta e ci
lascia ad un'altra splendida giornata.
SolaMente ME di Alice Stregatta
È finito il tempo dei sogni e delle speranze.
Ciò che resta è un desiderio tangibile di rendere concreti ai miei pensieri, che sono Tuoi.
Amore, non ne vuoi.
Hai però la mia assoluta ed esclusiva dedizione.
Mi farò bastare ciò che mi neghi, anelando a ciò che mi concederesti.
Non mi è permesso dire " io voglio", ma bramo il Tuo collare, Simbolo di un'Appartenenza totale.
Le tue mani a prendere possesso del mio corpo, come la tua mente ha già fatto con la mia.
Legata da Te, oltre che a Te.
Usata a tuo piacimento, godendo della soddisfazione di essere piegata al Tuo volere.
Portando con fierezza i segni che vorrai infliggermi.
Solo questo conta. Solo questo ti donerei.
Solo me stessa. Anima mente cuore.
giovedì 21 novembre 2013
PIOVE CHE DIO LA MANDA di Alice Stregatta
Dire che pioveva era un eufemismo...
Secchiate d'acqua gelida buttate giù da qualche angelo addetto alle pulizie del Paradiso. Probabilmente con le palle girate.
Lei sbuffò, chiuse l'inutile ombrello e chiuse gli occhi. Tanto vale godersela, questa tempesta.
Alzò le braccia e riverse il volto verso l'alto: occhi chiusi, bocca spalancata, la lingua a ghermire acqua piovana.
Tornò ragazzina, nel cortile del liceo, a quando era una graziosa
stronzetta con il codazzo di spasimanti. Ma lei... Oh lei non aveva
occhi che per il bel rosso che la degnava delle sue scarse attenzioni.
Il flashback la illuminò con l'ovvietà lapalissiana dei suoi irrisolti.
In fondo, scappare da chi la rincorreva ed elemosinare amore da chi,
per puntiglio, aveva eletto ad unico destinatario delle sue attenzioni
era il leit motiv delle sue vicende sentimentali.
Fradicia, tremante, finalmente consapevole di ciò che tutti le ripetevano da mesi.
"Devi bastare a te stessa. Amarti.
Solo così troverai il tuo equilibrio."
Vaffanculo. Saputelli del cazzo.
Avete ragione.
IO, TU... NOI di Federico Guidotti
Penombra...caldo asfissiante...cerco con un piede un angolo freddo del letto, impresa impossibile...
Accanto a me il tuo corpo nudo. La luce lo sfiora timidamente,
impressionata anche lei dalla tua disarmante bellezza. Piccole gocce di
sudore brillano come diamanti illuminati dal bianco assoluto della luna
che filtra dai vetri. Dormi.... il tuo respiro calmo risuona nel
silenzio della notte come una ninna nanna infantile. Accosto la mia
bocca alla tua. Vorrei baciarti, ma mi limito a respirare il tuo respiro
che diventa ora il mio. Sulle tue labbra è dipinto un sorriso,
struggente, una lama calda nel mio cuore di burro. Una lacrima mi
scivola lungo il viso e cade sul tuo. La tolgo con un dito e il contatto
con la tua pelle mi da un brivido, ancora più intenso vista la
temperatura della stanza. E comincio piano a sfiorarti, a disegnare su
di te infinite linee immaginarie che uniscono tutti i punti più dolci ed
invitanti del tuo corpo, una ragnatela, come quella che mi ha
imprigionato legandomi a te. Sfioro le tue labbra umide, assaggio il
nostro sapore che ancora è mescolato con la tua saliva, seguo il profilo
dolce del tuo naso fino alle sopracciglia, ai tuoi occhi che bacio
dolcemente...
E che stai aprendo...ad un respiro dai miei...
Un bacio, e i nostri due corpi diventano uno solo....
UN'ULTIMA VOLTA ANCORA di Giuseppe Balsamo
Come un affamato che non tocca cibo da molto.
Mai sazio l’ho voluta più e più volte.
Esausto e col corpo ancora umido e caldo, le mie mani andarono fra le sue cosce per un ultimo assaggio.
La punta delle mie dita stuzzicarono il clitoride ancora gonfio di
piacere, si insinuarono fra le sue labbra calde e accoglienti. Nelle
orecchie il suo respiro pronunciava i mio nome, le sue parole dicevano
“basta” ed anelavano il mio sesso. Le tappai la bocca con la mia finchè
non la sentii mugolare di piacere
Solo allora fui dentro di lei per l’ultima volta.
mercoledì 20 novembre 2013
RED PASSION (cahiers del tempo che fu) di Andrea Lagrein
Eravamo
migliaia di persone, accomunati da un unico grido. Abbasso la guerra,
viva la pace! Una sorta di comunione laica. Emozionante. Era tutto uno
sventolio di bandiere rosse, striscioni, slogan, canzoni e birre che
passavano di mano in mano.
Rivendicavamo il nostro futuro, allegri,
pacifici, scortati e scrutati da poliziotti e carabinieri in assetto
antisommossa. Voglia di farsi sentire, di dire noi ci siamo, siamo qui, e
non siamo d'accordo!
Camminavo in mezzo a visi noti e a volti
sconosciuti. Parlavo con conoscenti ed estranei. Indossavo il mio
giubbotto di jeans, con la foto di Jim Morrison stampata sulla schiena
ed il ritratto del Che sulla spalla.
Avevo diciotto anni, bevevo
birra, ridevo e scherzavo, era una bella mattinata di sole tiepido e
urlavo tutta la mia rabbia contro il sistema. Mi sentivo bene, mi
sentivo euforico, mi sentivo vivo.
Poi mi ritrovai casualmente lei al mio fianco. Marika. E mi sentii ancor meglio!
Vorace. Animalesca. Vogliosa. La mia lingua, con fare lussurioso, non
dava pace ai suoi turgidi capezzoli. E le mie dita affondavano in modo
libidinoso nelle sue grosse tette. La mia eccitazione non aveva freni e
il suo piacere era esplosivo. Baciavo, mordevo, succhiavo senza tregua,
mentre le mie mani scivolavano fra le sue gambe, fra i suoi ansimi e
gemiti di godimento.
Marika! Marika la compagna, Marika la
rossa, Marika la passionaria. Tutto quel che volete. Per me era Marika
dalle grosse tette. Ci conoscemmo in manifestazione, nell'ultima parte
di corteo. Lei faceva il primo anno di università. Io la trovavo
bellissima. Faceva parte di non so più bene quale comitato direttivo di
non so quale associazione di sinistra. Io mi perdevo nei suoi occhi
verdi. Lei odiava i fascisti e i porci colonialisti americani. Io ero
follemente irretito dal suo culo. Lei era per la classe operaia e il
proletariato, succubi del capitalismo imperante. Io ero decisamente
schierato dalla parte delle sue tette. Lei si immaginava schierata fra
gli intellettuali di sinistra nella lotta di classe. Io mi vedevo
scivolare fra le sue cosce palpitanti.
E quando mi propose di andare a casa sua non ci pensai due volte ad accettare. Sesso e politica, ottimo connubio!
La sua eccitazione era vorace tanto quanto la mia. Quasi con rabbia mi
afferrò i calzoni. Mi tolse jeans e slip, e afferrò con decisione il mio
uccello. Mi fece sedere a cavalcioni su di lei e quindi portò il mio
cazzo fra le sue tette, iniziando poi un vorticoso massaggio. Quel che
noi giovani maschietti in calore, agognandola ardentemente, chiamavamo
volgarmente spagnola!
Mi parlò della sua famiglia, o di ciò che
ne restava. E per me fu il primo contatto reale, fisico, con una realtà
differente dalla mia. Il padre se n'era andato quando lei non aveva
ancora nove anni. Fuggito con una ragazza di dieci anni più giovane.
Faceva l'impiegato in un qualche ufficio pubblico, lei l'operaia in una
fabbrica. Si erano conosciuti in un bar. Prima sporadiche
frequentazioni, poi sempre più assidue e frequenti, finché finirono a
letto.
Storie di tradimenti come molte. Storie di separazioni e
divorzi. Per sua madre fu un trauma. Non si riebbe più del tutto.
Cassiera in un supermercato, per lei iniziarono le tante difficoltà,
economiche e psicologiche.
Per Marika fu un trauma altrettanto
grande. Non ebbe più fiducia negli uomini ed appena giunta alla soglia
dell'adolescenza, iniziò a concedersi a chiunque senza ritegno. Quasi
che, scopandosi il mondo intero, cercasse quel padre fuggito
inaspettatamente molti anni prima.
Il mio uccello scoppiava dal
tanto desiderio. Lei aprì le gambe, io feci appena in tempo a sdraiarmi
su di lei che mi afferrò il cazzo con selvaggia brutalità e se lo
infilò tutto dentro. Gridai, del tanto quasi mi fece male. Ma gridai
anche per l'eccitazione del gesto.
Voglio essere la tua puttana,
fottimi, fottimi, fottimi, urlava con il volto trasfigurato dalla
libidine. Iniziai a darci dentro come un forsennato. Sono la tua troia?
Dimmelo! Si',si', si' che sei la mia troia. E più la insultavo, più
Marika godeva.
Mi affondò le unghie nella schiena. Intrecciò le
gambe sui miei fianchi e mi strinse così forte che sembrò quasi volesse
farmi entrare tutto quanto in lei. Sì, sono una vacca, montami, montami,
montami tutta.
Vienimi in faccia, dai, riempimi tutta. A questa
sua ultima richiesta non riuscii più a controllarmi. Mi sollevai
velocemente, mi sedetti sopra le sue tette e iniziai a masturbarmi con
foga. Dopo pochi istanti scoppiai. Affondo' le dita nei miei glutei e,
aprendo le labbra, iniziò a bere avidamente.
Il telefono
squillò libero per non so quante volte. Nessuna risposta. Nessuna
spiegazione. Semplicemente sparì! Di Marika la rossa, Marika la
passionaria persi completamente le tracce.
Allora capii che anch'io ero stato uno dei tanti nei cui occhi aveva ricercato il padre. Senza trovarlo!
Due anni dopo, casualmente, venni a sapere che si era trasferita in sud
America. In cerca dell'unico vero uomo che avesse mai amato. Suo padre!
Io, da parte mia, mi porterò sempre dietro il ricordo di quella
manifestazione. Ed anche il ricordo della sua immensa passionalità.
Ovunque tu sia in questo momento, Marika, ti abbraccio forte forte!
SEGNI di Federico Guidotti
la tua carne
come calamaio
il tuo piacere
come inchiostro
scrivi parole sulla tua pelle
pensandomi
il tuo orgasmo
la nostra poesia
"NON TUTTO QUEL CHE BRUCIA SI CONSUMA" (Jovanotti) di Alice Stregatta
Il pensiero di Te, fisso, costante: la mia ossessione, il mio sogno.
Erotico passionale dolce,
deciso perverso,
assente distante.
Algido.
Il mio ossimoro.
Ghiaccio bollente.
Tu, la mia fuga dalla realtà.
Ma avrei preferito: fuga.
E basta.
SOGNI. di Alice Stregatta
Coltivo il mio Amore per Te.
Ti custodisco nell'angolo più prezioso del mio cuore, che è Tuo.
Ricordo ( poco), immagino (molto) e sogno, sogno, sogno...
Ho preso residenza nell'Universo Parallelo in cui Noi siamo insieme e Tu... Tu non puoi fare a meno di me.
CUCCIOLA DI CAGNA di Alice Stregatta
Una
carezza sulla guancia. Il calore delle tue mani che mi fa bruciare di
passione. Una presa forte, mi giri e mi fai mettere carponi sul letto.
Poi, i colpi. Ritmo e cadenza all'unisono con i battiti del mio cuore,
impazzito.
Sorrido, è bello essere sculacciata. Da Te. Dio, da Te!
Continua, non fermarti. Giochi, natiche arrossate, poi sento che mi infili qualcosa. Ahi. Ahi cazzo.
Ma non lo dirò... Ahi. Che dolore, meraviglioso.
In rapida sequenza, il mio culo riceve un giochino vibrante, poi...
Cosa sarà? Fa male, godo.
-Smetti di farti domande, spegni il cervello.
Goditi l'istante... -
Sospiro, gemo.
Poi, finalmente, mi penetri. Credo. Sei Tu? Bendata, al buio, non lo so.
So solo che sto godendo. Un orgasmo mi scuote, mi scende una lacrima. Gioia. Paura. Gioia pura.
Cagna per un giorno.
Tua. Per sempre.
VENERE SFUGGENTE di Andrea Lagrein
Nel suo giovane corpo fasciato dal nulla risiedeva un’anima, una
persona con i suoi desideri, pensieri, sentimenti, aspettative, dolori, gioie,
tristezze, ignorati dai pellegrini di queste strade.
- ... guarda quella!
sulle loro alcove a quattro ruote, finestrino abbassato
- ... quanto vuoi
amore?
e via con la cantilena del listino prezzi, si mercanteggia un
po’
- ... e se te lo prendo in bocca io?
- Lo steso tessoro.
- D’accordo! Sali.
la portiera si spalanca, lei sale, il calesse del piacere si rimette in
movimento lungo vie, muri, strade differenti eppure identiche nel gioco di
ombre e luci, trasformismo da grande illusionista
- Come ti chiami
piccola?
- Ana Paula e tu?
- Lorenzo.
- Sei di Milano?
- No no vengo da fuori, e
tu da dove vieni?
- Sau Paulo Brasil
- Cazzo che bei posti! Ci dovrò
andare prima o poi
- Che anni tu tieni?
- Trentatre e tu?
- Venti e uno
- Sei
giovane
- Già! Tu es sposado?
- Sì! con un figlio
sempre uguali, gli stessi
dialoghi, doverosa conversazione per ingannare il tempo prima di
raggiungere la destinazione dove il suo giovane corpo verrà asperso da
una lussuria estranea che non le appartiene, situazione partorita dalla
necessità, che cazzo m’importa chi sia questo Lorenzo, è solo lavoro,
soldi, per tenere accesa la speranza, la speranza poi di cosa? Per poter
vivere la propria femminilità interiore senza dover ascoltare ogni
notte queste frasi idiote.
- Gira dietro chela machina, cossì bravo
una
stradina chiusa, poco illuminata, lunga teoria di automobili parcheggiate
appartenenti a chi di questi problemi non ne ha, o forse sì, ma non ha
importanza. La vettura ferma, i fanali spenti, le sue dita ingorde sulla
sua coscia annoiata
- Prema i soldi tessoro
fruscìo di banconote che
rapide vengono inabissate nello stivale, scricchiolio del sedile mentre
viene reclinato, lei che si stende si sfila gli slip e divarica le
gambe, lui che si china ed afferra ciò che impedisce a lei di essere
veramente donna, qualche movimento verticale per erigere ancora una
volta la sua consapevolezza di essere fisicamente uomo, quindi le labbra
e la lingua a inumidire il tormento della sua femminilità nascosta dai
lampioni del mestiere, ma ben desta sotto quei vestiti da mignotta
sudamericana, indifferente al libidinoso con il quale ora si trova,
qualche frase per lusingare la lascivia di questo succhiatore di
impossibili gocce di latte al silicone
- Dio tessoro che boca calda che
tu tieni! Ah Dio, cossì, cossì, gustosso sì...
e lui che aumenta il ritmo come
spronato da queste parole mentre lei aiuta il movimento con le mani fra
i suoi capelli, e la sua destata mascolinità che sta per esplodere
- Adeso basta tessoro si no vengo
- Vieni, vieni!
Mugugna con la voce rotta
dal perverso piacere
- No puede, devo lavorar...
lui che si stacca
- Cazzo!
Mi piaceva così tanto, la prosima vuelta me dai de più e andiamo a cassa
mea sta bien?
cliente dopo cliente le medesime azioni, le medesime
parole, i medesimi olezzi disciolti su volti sempre differenti già
scordati alla chiusura della portiera, nudità accettate con indifferenza
sotto lune dal sapore aspro.
Seduta su uno sgabello fissava la sua
immagine allo specchio, faro inesorabile di dualismi incompresi, facili
prede dei cacciatori di spicciole morali assetati del sangue del
diverso, forti di sentenze decretate da chissà chi e chissà dove,
all’ombra di una croce o in un salotto per bene, perseguitati per
equivoci genetici e scelte obbligate, ma lei ormai non vi badava più,
che cazzo! Di giorno mi sputano addosso, di notte cercano i miei baci,
che cazzo! Di giorno tracciano svastiche sui miei muri, di notte pagano
per il mio culo, che cazzo! Di giorno parlano di ghetti per nascondermi,
di notte visitano i marciapiedi del peccato, il segreto è non farci più
caso, seduta su uno sgabello si accarezzava il seno gonfio di chirurgia
plastica, illusione di una vagina che non c’è e non ci sarà mai, ma è
davvero così importante un buco per determinare la psicologia d’una
persona? Sì, no, graffiti confusi su membra venute da lontano da
baracche, da povertà, da emarginazione, finocchio finocchio mi gridavano i
miei amici nella calura di immondezzai mai sopportati. Seduta su uno
sgabello lasciava scivolare su di sé il profumo pungente, aroma di
carezze e baci ricevuti con la stessa indifferenza di quelli dati alle
fanciulle delle mie baracche, per dimostrare che anch’io, cazzo, sono
uguale a voi, non sono diverso, ma quando poi Isabella prese in mano il
mio sesso e lo trovò moscio, quando poi Maria lo prese in bocca e sempre
moscio rimase, quando poi Ramona aprì le gambe senza sortire alcun
effetto, capìi allora che ero immune dall’eccitazione dei miei amichetti, e
cominciai a cercare altrove la mia identità. Seduta su uno sgabello
fissava allo specchio la sua trovata personalità, un reggiseno più nero
della notte che fascia a stento queste mie tette più tette delle tette
della più formosa femmina, desiderio di sospiranti mani maschili, velate
autoreggenti cingenti queste mie gambe da lamette monouso che fanno
invidia a fotomodelle da passerelle, copertine, cartelloni pubblicitari,
rossetti, trucchi, acconciature da professionista di tacchi a spillo e
borsetta ondeggiante. Anna Paula guardava ciò che appariva agli
avventori di strade e carezze a pagamento, ma vi era altro oltre
all’immagine di mercenaria che contemplava, altro di cui solo io conosco
l’esistenza, Cristo! Nessuno s’è mai fermato a parlarmi, nessuno se
n’era mai interessato, vogliono solo insalivare o essere insalivati,
indifferenti a chi sta dietro a questa mia impalcatura, attratti solo
dalle pubblicità su due gambe di questi marciapiedi. Seduta su uno
sgabello si rimirava rimirando la donna che era, nonostante la voce
tenorile e il grosso uccello, non aveva importanza perché lei si sentiva
donna, sì! Sono donna, sì! Era donna perché se lo sentiva dentro, e
questo era più che sufficiente.
Cerca di smorzare il tuo livido
rancore Garcia, vecchio padre dai dettami radicati nell’alba dei tempi
insensibili a cervelli differenti dal così fu, così è sempre stato, così
dev’essere ora, dimenticami se ciò ti fa sentir meglio, vecchio padre
frutto di incroci fra i corazzati conquistadores e i nudi indios,
partorito dalla giusta civiltà sanguinaria giunta all’insegna d’una
croce e l’incolta barbarie di genti la cui unica colpa era essere altro,
ma dimenticarmi non cambierà la mia natura che così faticosamente sono
giunta a comprendere, vecchio padre sempre in cerca d’un lavoro in
quell’angolo fatto di catapecchie di lamiera, al riparo delle quali
sfondavi nostra madre, pace all'anima sua, per sentirti un vero uomo e
farci imparare come si comporta un vero uomo.
- Non entrare che ci sono
mamma e papà.
sbuffi, sbuffi, colpi da percussionista volenteroso
- Ma devo
far pipì
- Vai a pisciare dietro al muro
- Vecchio padre, io andavo a
pisciare dietro al muro, in strade polverose ricoperte dalla più povera
delle povertà, ma quel rumore tambureggiava così forte nei miei timpani
che dovevo coprirmeli con le mani del tanto la tua mascolinità sradicava
la mia ingenuità infantile.
Stava immobile su quel ritaglio di
asfalto che ormai le apparteneva per diritto grazie alle innumerevoli
ore notturne, trascorse sotto qualsiasi cielo, madido di nuvole e piogge o
lindo e stellato, sotto acquazzoni, nevicate, , venti, nebbie, calure e
afosità d’ogni tipo, in una vetrina senza vetro ad attendere il prossimo
portafogli, con rossetti al gusto di fragola, mela, amarena, vaniglia, per
meglio insaporire gli olezzi della cupidigia a buon mercato, il sapore
di vecchi rugosi e i liquami di giovani virgulti in cerca del brivido di
facile sesso, ottenuto senza regali di compleanni, anniversari, Natali.
- Stronzo! Trovati una ragazza da amare ed essere amato, da poter stringere
come io vorrei un uomo tutto mio, per essere vezzeggiata e coccolata e
potergli dare un figlio dal mio grembo, e allattarlo al mio capezzolo, ma
non posso, perché Garcia, vecchio padre, vedendomi appena nata giustamente
mi diede il nome di Pablo.
- Guarda quanto è maschio questo mio nuovo
figlio!
diceva a tutti mostrandomi nudo, non sapendo dello scherzo che il
destino gli avrebbe tirato.
- Stronzo! Trovati una ragazza...
perché lei era
troppo maschio per essere una donna
- ti posso baciare, ti posso leccare,
ti posso succhiare, ma non potrò mai essere la ragazza da amare ed essere
amato, nonostante tu mi dica ti amo amore mio, sotto l’effetto
dell’attualità dell’orgasmo compreso nel prezzo. Altro giro, altra corsa. Inserisci il gettone e la giostra si rimette in movimento eseguendo ogni
tuo desiderio, portandoti in quell’inferno mascherato da paradiso,
preteso dalle banconote che mi hai allungato, rantoli, sudori, sussulti, cosce, braccia, profumi sovrapposti, frasi lusinghiere, bugie, ormonali
liquidi al dettaglio, passioni all’ingrosso, amori ammortizzati da
ammortizzatori dei più svariati modelli di automobili. Stronzo! Guardo
il tuo giovane volto e provo invidia per quel che tu potresti avere ed
io non ho, per ciò che non cerchi ed io vorrei, ma se vuoi la mia lingua
sul tuo cazzo di matricola universitaria va bene, dammi i soldi che il
mio lavoro è questo, ora ti invidio e provo rabbia ma appena scesa dal
tuo carrozzone ti avrò già dimenticato, come tutti gli altri, che il suo
lavoro era questo.
Si svegliava alle due del pomeriggio
stiracchiando le gambe nel lenzuolo azzurro, si guardava nello specchio a
muro e contemplava la perfezione del suo giovane corpo femminile, i suoi
lineamenti delicati e allo stesso tempo provocanti.
- Dio! Farei
impazzire qualsiasi uomo, salvo poi indugiare su quei ventidue
centimetri in eccedenza e maledire il giorno in cui Garcia, vecchio padre,
mi mostrasti nudo a tutti esultando per quel maschio che più maschio
non si può. L’ho fatto io, cazzo! È mio, maledetti i tuoi spermatozoi
Garcia vecchio padre, spermatozoi di vero uomo, uomo che vorrei stringere
e fare mio e amare alla luce del sole solo che non puoi Anna Paula al
secolo Pablo
- Ti devi nascondere, vai contro natura, sei uno schifoso,
vergognati finocchio, finocchio
mi gridavano i miei amici anche quando
decisi di andarmene e me ne stavo andando, neanche un saluto, un sorriso
mentre lasciavo alle mie spalle la calura di quel letamaio che non mi
capì e non mi accettò, neanche una mano amica o una frase gentile - addio
Pablo buona fortuna - no! Solo cori di scherno di gente che si faceva
forza nel numero e cacciava il diverso in quanto tale, perché il diverso
fa sempre paura in quanto tale, e tu Garcia, vecchio padre, acconsentisti a
tutto ciò, anzi fosti il primo a salire sulle barricate dell’ottusità e
a urlare più forte di tutti.
- Vattene schifoso, che non ti conosco più,
sei la mia vergogna, madre de Dios, uno lavora tutta una vita si spezza la
schiena, cresce i propri figli come è giusto che debbano crescere, perché
è sempre stato così, e poi si ritrova un finocchio in casa. Vattene che
mi hai spezzato il cuore!
e lei abbandonava, abbandonata,
quell’immondezzaio che era l’unica cosa che aveva per andare non si sa
dove, ma con la speranza di poter essere finalmente ciò che era. Ma, cara
Anna, nemmeno all’ombra dell’angolo più scuro del paese più sconosciuto
potrai evitare i millenari pregiudizi di menti coltivate con le sementi
della piccolezza, cara Anna te ne accorgesti ben presto, ancor prima di
giungere fra questi asfalti uguali a tutti gli altri che ti desiderano
per l’eccitazione del momento, fregandosene della tua storia di
principessa imprigionata tra i bastioni di una roccaforte maschile.
Baciata dal sole passeggiava solitaria fra queste vie straniere
recandosi a fare spese utili ed inutili, corazzata di mascara, cipria, rimmel, incurante degli sguardi altrui e dei ghigni di ragazzini
allattati alla tetta dell’ovvio, visitando negozi e sfidando la
cattiveria di bottegai troppo simili a te Garcia, vecchio padre, che la
gente anche se divisa da migliaia di miglia e secoli di tempi, su certe
cose, è fin troppo unita.
- Garcia, vecchio padre, non ti rividi più, non so
nemmeno se il verme sta indugiando sulle tue fredde carni o se stai
ancora ribadendo la tua virilità con giovani fiche, visto che nostra
madre, pace all’anima sua, la sfondasti fino all’ultimo, e nostro Signore
per pietà la richiamò al suo fianco. Garcia, vecchio padre, andai a San
Paolo ed anche lì trovai le stesse difficoltà, solo che trovai anche più
indifferenza ed imparai a nascondermi come è giusto che si debba
nascondere il reietto, solo che lei non aveva nessuna colpa, che colpa
ho se il destino ha fatto in modo che potessi amare gli uomini, visto che
mi sento donna, nonostante la tua fierezza, Garcia, vecchio padre,
nell’aver messo al mondo un nuovo maschio che più maschio non si può. Colpe non ne hai, cara Anna, sono colpe altrui che ti vengono riversate
addosso in nome di una natura innaturale che non tiene conto dei
sentimenti ma solo di ataviche apparenze, e per queste colpe dovrai
scontare la tua pena di asfalti brulicanti di indifferenza e piaceri
comprati con qualche banconota. Cara Anna, grida forte il tuo
diritto, la tua libertà ad essere ciò che sei, ciò che vuoi, che in fondo
non hai mai fatto nulla di male, non hai mai nuociuto a nessuno. Esatto,
dolce Anna, ma sei andata contro una tradizione che il maschio è maschio
perché fotte la donna con tutta la sua mascolinità, e la donna è donna
perché viene fottuta da tutta la mascolinità del maschio, perché un
maschio non può essere fottuto altrimenti che maschio è? E non conta ciò
che provi ciò che senti, madre de Dios, tutto si divide in fottere o
essere fottuti, è così che vanno le cose, cara Anna, e il tuo seno non ha
alcun valore perché quando nascesti Garcia, vecchio padre, ti mostrò nudo e
pianse ringraziando Dio per avergli concesso ancora un altro figlio
maschio, che cazzo! Perché il mondo è degli uomini, è di chi porta i
pantaloni, capisci Anna Paula? E Garcia, vecchio padre, non è il solo a
pensarla così, e chi ha di queste idee non potrà mai accettarti per
quello che sei realmente, perché ha orecchie solamente per la tua voce
tenorile e occhi solamente per quei ventidue centimetri di virilità,
sicché sei costretta a salire in auto con Riccardo e a spalmare di
libidine Antonio dai gusti nascosti, chè questo è il tuo lavoro. Giusto,
Anna Paula, perché se si continuerà a pensare in questo modo quello sarà
il tuo unico solo lavoro.
Cara Anna narrami la tua diversità perché
in tutta questa diversità siamo uguali tu, io, il casellante, la barista,
il lettore di queste pagine, perché è la persona con i suoi sentimenti e i
suoi pensieri che conta, e non le lenzuola frequentate, e allora non ci
resta che fuggire scomparire nascondersi dietro un muro, una lattina di
birra, un rossetto, una palma, una penna con cui annotare le proprie
sconfitte e delusioni, cazzo! Garcia, vecchio padre, si affanna tra la sua
normalità e le sue vagine perché, madre de Dios, - sono un vero uomo io - , e ti ha scacciata. I tuoi amichetti d’un tempo, fra i primi seni e le prime
cosce, non erano pronti a concepire altri cieli che non fosse il loro e ti derisero, e ora sei qui, in auto, per l’ultimo tuo viaggio su questi
viali, con l’ultimo cliente di cui già non ricordi più il nome, ma non
importa perché questo è il tuo lavoro, niente nomi, niente volti, niente
passati, solo sesso di pochi minuti scivolato fra una banconota e una
sigaretta, ritmato da autoradio sempre differenti, dalle più svariate
colonne sonore, mentre ti sfili gli slip sotto la pressante richiesta di
questo tuo ultimo cliente, sotto un manto di stelle che non conosci e che
presto abbandonerai. Fuggiamo cara Anna, che non ci resta altro, fuggire
da tutto e da tutti, dove non si sa, ma è sempre meglio di questo
lampione di solitudini ataviche e mentre lui si affanna attorno al tuo
corpo tu pensi al biglietto d’aereo che hai in borsa, al cielo azzurro
infinito, sola e sconfitta ritorni da dove sei venuta, solo e sconfitto
rimango in questo mio freddo inverno a cantare la storia di Anna Paula e
della sua ambiguità, la storia di una donna imprigionata in un uomo ma
pur sempre donna
- Sì! Sono donna, sì!
Era donna perché se lo sentiva
dentro e questo era più che sufficiente.
TUA. di Alice Stregatta
Le tue mani scivolano lente lungo il mio collo. Un brivido, metallo freddo.
Agganci il collarino, click. Lo scatto del lucchetto. Lanci la chiave, lontano... Non servirà più.
Ti ho scelto, mi hai concesso di essere Tua.
Tutto il resto non conta più.
Seguirò Te, ovunque vorrai condurmi.
Felice, appagata.
Finalmente. Tua.
martedì 19 novembre 2013
ESISTERE NELLA CONSAPEVOLEZZA di Sereno Notturno
Forse si, esistono le espressioni che non sono solo sembianze, ma veri e propri stili di vita.
Non tutti sono in grado di metterle in pratica, ma solo chi ne è consapevolmente attratto.
Qualunque cosa lecita o illecita ma non dannosa, esca da uno schema è perfettamente adorabile nel suo complesso e instaura la vera complicità mentale.
Non tutti sono in grado di metterle in pratica, ma solo chi ne è consapevolmente attratto.
Qualunque cosa lecita o illecita ma non dannosa, esca da uno schema è perfettamente adorabile nel suo complesso e instaura la vera complicità mentale.
lunedì 18 novembre 2013
PRIMA CHE GIUNGA L'AURORA di Monica Finotello
Mi trascino lenta
nel sentiero della vita, ad un tratto
appari tu
sogno di un'esistenza
arida di sentimenti.
Mi tendi la mano
la mia, tentenna.
Il tuo sguardo
mi colma di emozioni mai vissute.
I tuoi occhi, mi spogliano
penetrano
nella profondità dell'anima.
Mille incertezze
si scontrano in me
buttandomi nel vortice
della follia pura.
Sì, prendi la mia mano
accompagnami
nel tortuoso sentiero della vita
e portami via
dalla sterilità di sentimenti
non vissuti.
Fammi vivere,
prima che giunga l'aurora.
CERCAMI. SALVAMI. di Allie Walker
Cercami tra le linee della mia poesia,
in mezzo alla nebbia dei miei pensieri,
sotto la maschera del mio sorriso.
Cercami, salvami.
Mi troverai lì,
rannicchiata e nuda,
tra le lacrime
di questo freddo autunno.
Portami fuori da questo grigio,
anche il bianco della neve
sarebbe migliore.
Cercami, salvami.
Tienimi tra le tue braccia,
fino a scaldare il mio sangue.
Guidami verso la primavera
e fammi brillare sotto il sole
di un’estate calda.
Tutti i miei strati stanno cadendo,
come le foglie di questo autunno
senza colore, senza calore.
Cercami, salvami.
COSA RESTA di Asianne Merisi
Cosa
resta nel cuore dopo un dolore immenso che ha stravolto l'anima. Cosa
si può aggiungere ai pianti disperati di chi credeva fermamente ad un
sogno diventato realtà. Inutili versi, inutili gesti, inutili speranze,
adesso è chiaro ciò che il cuore sordo e cieco non voleva accettare.
Capita di convincersi della bontà dei sentimenti altrui, capita perché
si è semplicemente innamorati, quindi non vedi e non senti nulla e
nessuno. Passerà questo momento, resterà un dolce ricordo tutti
ripetono, resterà io aggiungo una profonda delusione. Delusione per aver
creduto contro tutto e tutti ad un qualcosa di irreale, un sogno che
solo io ho vissuto. Io non ho considerato che si deve essere in due a
far vivere i sogni. Non mi sono accorto che ero solo io a vivere,
dall'altra parte c'è chi viveva nella speranza che mi accorgessi della
fine di un rapporto strano e conflittuale fin dall'inizio. Chi non
s'impone per il proprio amore non ama abbastanza.
Chi ripete per adesso è presto, non è ancora il momento, non ha paura,
non vuole solo rischiare la propria dignità. Chi vuol vivere
nell'oscurità nascondendo anche l'ombra della persona, tra virgolette,
amata, non ama e basta. Non ci sono altri motivi, nessun ostacolo
dovrebbe fermare due cuori decisi a vivere per l'eternità insieme. Tutti
noi umani a volte le risposte le conosciamo, ciò che è giusto o
sbagliato è chiaro al nostro intelletto, ma la paura di affrontare la
triste realtà fa male e nascondiamo alla nostra anima ciò che provoca
più dolore. La fine di un amore non si accetta facilmente quando chi ha
amato, o peggio chi ancora ama, viene destato improvvisamente da ciò che
in effetti era chiaro ma non si è voluto mai capire .
..oltre
QUELLA NOTTE DI RESPIRO PERSO di Asianne Merisi
Ti sto aspettando li su la casa a posillipo.
HO preparato tutto candele, musica, vino.
HO messo l‘acqua in vasca, con i miei oli .....
Ho comprato l‘intimo piu sexy e accativante
Ti sto aspettando la porta e aperta entra non bussare.
Segui il mio
profumo togliti il tuo pantalone verde,
la giacca marroncina, la camicia
e‘ la cravatta, immergiti con me.
Non parlare .....rilassati, ti ascolto
col silenzio, e stata dura vero?
Ora sei qui tra le mie braccia non
pensare.
Mi piace l‘odore che emana la tua pelle ....
si respira ora puoi farlo. Sei con me
Ti volti mi guardi lo dici :...
““Ti desidero ti voglio mia““....
Sono tua ora lo sono nella mente ...
con l‘anima,col corpo ,mi prendi
tra le braccia
e ancora bagnati mi porti a letto
dove io, per te, ho messo
lenzuola di seta grigia.....
Mi asciughi col tuo corpo
Mi inebri con la tua bocca
Mi lecchi con la tua lingua
E le mani?
Si, le mani, quelle possenti che si appropiano del mio corpo,
con cenni di carezze e a tratti violente .
““Baciami respiro sapessi quanto ti ho desiderato““
E io ...
““sono tua, lo ero con la mente, lo sono con l‘anima, lo saro‘ col corpo.
Rendimi tua, portami dove nulla ti porti via da me"".
Donami spasmi, passione, calore, bramosia,
irruenza, dolcezza,sii maschio con la sua femmina
Sii uomo con la sua donna
Sii preda e cacciatore
Sii anima e respiro.
Raggiungimi nell‘olimpo
Del desiderio e placa le tue voglie
Ancora..... ti sussurro ancora .......mio respiro
Ecco mi rendi donna, la tua
Ogni cosa è lecita, ogni cosa è giusta nel nostro letto.
Giochi ,passioni, fantasie.
E insieme guardandoci
Arriviamo a toccare l‘infinito.
Si .....oooo... si hai placato i nostri desideri
I nostri istinti
Ora dammi la tua camicia,
Lascia che la indossi e mi porti a te, sul tuo petto.
Perche io possa godere di te anche quando sei compiaciuto di me,
Si... sfiorami i capelli
E dormi con me tutta notte.
Ma con istinto e voglia di non rinuciare
Mi dici .....““piccola e con te che voglio stare““
..oltre
RESPIRO di Asianne Merisi
Ti prego
accoglilo.
È un pensiero senza ragione e senza altra volontà che quella di volare da te
. È un pensiero carico di tormento, di pena e desiderio. Ma anche di
gioia, di forza e di passione. È un pensiero . Tu, ascoltalo. Non posso
più contenerlo, né trattenerlo qui con me per sempre. Non so
cancellarlo. Non potrò impedirgli di raggiungerti. Non voglio. È nato
per te. Ti troverà tra mille, ovunque sei. Lo porterò fino a te. Non
mandarlo via, non odiarlo, solo, ascoltalo. Ti racconterà di me, non
senti ciò che io sento, non vedi ciò che io vedo, nulla provi di ciò che
io provo. Ascoltalo lo stesso . Ti porterà il mio respiro
..oltre
VIAGGIO A GRATOSOGLIO di Andrea Lagrein
La
sua mano esperta mi indica la strada. Le sue dita sapienti scivolano
sulla mia coscia. La luce dei lampioni si mischia ai neon delle insegne
commerciali di attività chiuse a quest'ora di notte. Percorro il viale
sul mio ferro vecchio, lei al mio fianco nella sua minigonna
vertiginosa.
E' strafatta, un mix di non so bene cosa. Coca, acido,
anfetamine, erba e cocktail assortiti. Probabilmente già domani mattina
non si ricorderà più nulla. Intanto però è sulla mia auto e mi sta
indicando la strada verso casa sua. E le sue dita salgono
pericolosamente verso Big Jack.
L'ho rimorchiata in un pub.
Sculettava davanti a me al ritmo di una qualche hit del momento. E che
cazzo! Resistere non è mai stato il mio forte. E poi, resistere perché?
Per il semplice fatto che si era calata l'impossibile? Il moralismo non è
affar mio. Sicché quando mi si è avvicinata sorridente e mi ha chiesto
di offrirle una birra, non ho saputo dirle di no. Detto per inciso,
nell'appoggiarsi alla mia spalla, manco fossimo due vecchi amici,
schiacciò le sue tette sul mio braccio. Big Jack ha apprezzato
all'istante.
E ora siamo per strada, direzione il suo appartamento.
Mi ha invitato lei. Non aspettavo altro. Ho colto l'occasione. Via dei
Missaglia, Gratosoglio, profonda periferia milanese. Oltre, c'è Rozzano
e......il far west, con i pellirossa pronti a prenderti lo scalpo.
Zona di confine. Zona di miseria. Puzza di povertà e brutale
criminalità. Afa e zanzare d'estate. Nebbia e zanzare d'inverno. Zanzare
che devono combattere quotidianamente contro nugoli di puttane
nigeriane pronte a contendergli i lampioni di quei viali. Là dove il
naviglio si allunga verso la campagna, vele di cemento e torrioni
popolari svettano su spacciatori, vagabondi, baldracche, nomadi e
macerie umane ridotte in miseria in mezzo a cumuli d'immondizia, muri
scrostati, merda e piscio. L'ironia più grande è passare di fianco a un
concessionario Ferrari. Il lusso più sfrenato nel tempio del degrado!
Le rotaie del tram mi scorrono a lato con le banchine malamente
illuminate, dove bulletti di quindici anni tengono banco in attesa di
una promozione sul campo, a base di calci, pugni, sprangate e affilati
coltelli.
A quest'ora la brava gente è barricata in casa, dietro
inferiate che ricordano una galera. Questo è Gratosoglio. Questo è
l'inferno. Questo è il mio viaggio.
Parcheggio. Cristo, chissà se la
ritroverò? E' un rottame, ma qui, un rottame, è pur sempre meglio di
niente. Magari ci viene fuori una dose. Comunque non è il momento di
filosofeggiare. Entriamo nell'androne dello stabile. Un'infinità di
cazzi sono affrescati sapientemente su tutte le pareti. Evidentemente
c'è ancora chi si crede Michelangelo e deve aver scambiato questa
portineria per la Cappella Sistina. L'opera però, devo riconoscere, è di
buona fattura, di grande realismo e anche di forte impatto. Peccato
solo l'odore acre e stantio di piscio. Ahimè, l'arte non sempre vien
capita!
Prendiamo l'ascensore. Tredicesimo piano. Credo di non
essere mai salito così in alto in vita mia. OK, baby! Sono pronto a
volare.
Alessia ci mette un po a trovare le chiavi e, una volta
scovate, a centrare la serratura. La mia impazienza aumenta. Anche
perché, chinandosi, mostra tutto il suo splendido culo. Questo viaggio
all'inferno deve pur meritare una qualche gratificazione, o no?
Entriamo in casa. La luce è già accesa. Ma lei pare non farci caso.
"Vado a pisciare. Tu aspettami qui! Se vuoi farti una birra, è nel
frigor". E svanisce dietro a una porta. Noblesse oblige! Son finito
senza accorgermene nella dimora di una duchessa, evidentemente.
Mi
guardo attorno. La sala non è granché. Arredamento un tot al chilo, e
tanto basta. Mi gratto le palle. Così, come per ribadire anch'io il mio
quarto di nobiltà. Non vorrei certo sfigurare!
D'improvviso si apre
una porta. Un tizio e una tizia fanno capolino. Completamente nudi. "E
tu chi cazzo sei?" mi domanda la ragazza. La squadro truce in viso.
"Buona sera" rispondo di rimando, in un mezzo sogghigno. Il ragazzo
ridacchia pure lui. Lei continua a fissarmi. "Ah, devi essere la scopata
serale di Alessia!". Le sue labbra si aprono in un sorriso malizioso.
"Già! Mi chiamo Andrea e ho intenzione di dare una gran ripassata alla
tua amichetta!". Il ragazzo scoppia a ridere e si butta sul divano con
le lacrime agli occhi. Cazzo, è strafatto pure lui. Lei lo guarda con
occhi liquidi. Evidentemente non è gran che sana pure lei. "Lui è Sid ed
è il mio ragazzo". Faccio un cenno a Sid, superfluo, perché pare non mi
veda. In realtà pare non vedere nulla. "Sid come Sid Barrett?" domando
ironico. Ma l'ironia non viene colta. "No, Sid come Sid Vicious!".
Dovevo capirlo dalla cresta da nipote sfigato dei Ramones.
Mi
avvicino all'angolo cottura. Apro quel che dovrebbe essere il frigor e
mi servo da solo una bella birra fresca. "Allora? Scopiamo, scopiamo,
scopiamo?" ulula la contessa di ritorno dal cesso. Butto giù una bella
sorsata. Porca puttana, forse avrei fatto meglio a passare la serata con
i miei vecchi giocando a ramino!
Si ripresenta con addosso solo una
maglietta di due taglie più grandi e un paio di tanga neri col pizzo.
Solo ora pare accorgersi dei due ragazzi. "Ma che cazzo ci fate voi
nudi?". "Stavamo pregando!" ribatte astiosa la ragazza. Sid scoppia
nuovamente a ridere. Credo sappia fare solo quello!
Alessia mi passa
un braccio sulla spalla. Più che altro per non cadere a terra. “Seee,
come no! Alla missionaria stavate pregando?”. Sghignazzo divertito. “Non
sapevo che ti piacesse scopare con i vecchi!” dice la sua amica.
Evidentemente alludendo a me. Alessia si volta a guardarmi. Pare che mi
veda per la prima volta.
Ci fosse stato al mio posto il buon vecchio
zio Buk, avrebbe saputo come rispondere. Con molta probabilità
scopandosele entrambe contemporaneamente. Ma io non sono il buon vecchio
zio Buk. E guardo l'amica con occhi incazzosi.
“Lasciala perdere.
Non capisce un cazzo!” mi blandisce Alessia, mordendomi il lobo
dell'orecchio. “Voglio solo che mi scopi. Ne ho una gran voglia!” le
ultime parole le biascica, del tanto è fatta. Ma Big Jack è già
sull'attenti, fregandosene di quel che si è calata la tizia. Bontà sua,
non ha tutti i torti. Pertanto lo assecondo.
Andiamo in camera da
letto. Alessia si lascia letteralmente cadere sul materasso. A gambe
aperte. In fondo questo viaggio ha avuto il suo perché!
Mi ci butto
avidamente in mezzo. Le sfilo senza troppi complimenti il tanga e mi
eccito alla visione della sua fica. Lei mi passa una mano fra i capelli e
mi spinge il viso verso la vulva. Non chiedo di meglio! La mia lingua
vorace affonda fra le sue pieghe. I suoi umori mi inondano
immediatamente.
L'odore di sesso si diffonde in tutta la stanza.
Afrore intenso, pungente, animalesco. Cristo santo, avrebbe bisogno di
una bella doccia. Non è il momento però di fare i sofisticati. Certo è
che rischio di venir sopraffatto da quell'odore di eccitazione misto a
sudore, piscio e indumenti da quattro soldi. In fondo mi trovo a
Gratosoglio, mica in via Montenapoleone!
A Big Jack pare piacere,
però, questo aroma di periferia, e reclama soddisfazione. Al tempo
amico! qui il lavoro non è ancora finito. Sicché lecco, bacio, succhio,
mordo, incitato sempre più dai suoi ansimi e gemiti. Le sue dita tirano
con maggior vigore i miei capelli. Sento i suoi talloni conficcarsi con
più forza nella mia schiena. La sua figa tracima, del tanto è eccitata.
Urla. Ha perso il controllo. Muove il bacino al ritmo della mia lingua.
E il suo orgasmo è lungo e indemoniato. Le sue mani si contraggono. Il
ventre è scosso da brividi. Le gambe fremono. I suoi umori, misti alla
mia saliva, colano fra le cosce. E' il delirio dei sensi. E' una
melodia. E' il canto della profonda periferia!
Poi.......più nulla.
Mi sollevo sui gomiti. La guardo. Ha gli occhi chiusi. Il suo corpo
completamente immobile. Cristo! E' collassata. Letteralmente andata. E'
nel mondo dei sogni. Big Jack freme di rabbia! A questo giro gli
toccherà fare da spettatore. Mi sollevo dal letto. Ormai qui la partita è
chiusa. Game over. Sospiro. Torno in soggiorno.
Anche l'amica è
crollata su una poltrona. Il regno degli zombie! Sid invece dà ancora
segni di vita. E' sempre sdraiato sul divano. Gli occhi vacui sembrano
osservare un punto imprecisato. Con le dita disegna strani cerchi
nell'aria. Bisbiglia frasi incomprensibili.
Mi siedo al suo fianco.
Gli do due pacche sulla coscia. “Come va, vecchio mio?” domando. Lui si
porta l'indice alle labbra. “Shhhhh!” mi fa quasi in un sussurro. “Sto
parlando con Dio!”. E mi fissa come se avesse condiviso un grande
segreto.
“Posso parlarci anch'io?”. Dio a Gratosoglio è la cosa più
plausibile di questa serata. Sid scuote la testa. “Solo io posso
parlarci” bisbiglia con fare cospiratorio. “Ah, capisco. E' un peccato,
perché avrei tanto voluto chiedergli un paio di cosettine!”. Gli
accarezzo la cresta e mi rialzo. Vuoto d'un fiato la lattina di birra
che avevo lasciato sul tavolo. E' ora di tornarsene a casa. Ma mi blocco
all'istante. Vado al frigorifero e lo apro. Mi ricordavo bene. Afferro
le due confezioni da sei birre che sono sul ripiano. Quindi me ne vado.
Il mio catorcio è ancora parcheggiato dove l'avevo lasciato.
Evidentemente non vale nemmeno il prezzo di una dose. Avvio l'auto e mi
rimetto in strada. Direzione lo svincolo della tangenziale ovest.
Mi
lascio alle spalle Gratosoglio. Mi lascio alle spalle quel cazzo di
viaggio. Mi lascio alle spalle l'inferno. Ma almeno mi son ripagato
della serata. Sogghigno. Guardo sul sedile di fianco. Dodici lattine di
birra fresche e invitanti!
giovedì 14 novembre 2013
mercoledì 13 novembre 2013
MOMENTI DI ATTIMI di Francesca Delli Colli
Ci sono momenti in cui
vorrei barattare il tuo pensiero con la pace della mia anima.
Elaborare il desiderio che sconquassa ogni mia parte razionale
soffocando il suo dolore latente,
impregnato tra i lividi del cuore.
Ci sono momenti in cui
vivo affogando nelle attese,
Non sapendo mai cosa mi concedera’ il tuo domani.
Ci sono momenti in cui
vorrei vivere al di fuori del nostro cerchio,
Caleidoscopio di mille spicchi intersecati
dei quali regoli il movimento,
alternando colori confusi,
alternando buio e luce.
Ci sono momenti in cui
Maledico la tua presenza.
Ci sono momenti in cui
Lecco le sue gocce.
RINASCITA AL RALLENTATORE di Alice Stregatta
La
bomba stava per scoppiare,lì, tra le mie mani. Non volevo rumore,
casini, sconvolgimenti. Avrei fatto come sempre: l'avrei nascosta. Ma
dove? La ingoiai.
Esplose- Boom- Implosi.
Schegge di granata
conficcate ovunque, dentro. Cuore spezzato, polmoni bloccati, un
groviglio di budella che si contorcevano come serpenti. Spire di dolore
che salivano dalle viscere al cervello. Coma. Ma l'apparenza era salva,
io sembravo intatta. Fuori.Sorridevo, ridevo, persino.
Crepata. Morta. Dentro.
Per un certo periodo la pantomima ha anche funzionato ma ora ogni
movimento, pensiero, azione mi feriscono. Fingere è faticoso. Sono
esausta.
Il mio corpo vuole espellere il corpo estraneo. Liberarsene.
Trasfigurata dalla serpe che ho in seno, ho bisogno,NO,voglio, VOGLIO cambiar pelle.
Rinascere Alice.
Rinascere Me.
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