mercoledì 23 luglio 2014

CONTRAPPOSIZIONE D'ANIME di Francesca delli Colli




Il rimpianto scivola liscio e lento
come un'olio caldo
sulla pelle inaridendola.
Penetra
prosciugando il ristagno del rimorso
nell'aver allontanato le tue mani
da mio cuore.
Il vuoto scivola veloce nell'anima
riempiendola di molecole fatte di nulla.
Preme sui miei respiri aria rarefatta,
priva di quell'ossigeno a me vitale.
Serra la gola
come le tue mani sul collo.
Hai osato accarezzare
la fragilita' che ti si offriva,
stringendola tra i palmi ansiosi
e nervosi.
Sento freddo.
Il gelo della ragione si sta
riappropriando dei miei sensi
fino ad ora riscaldati
da quel senso di leggerezza
di un'istinto affabulatore,
manipolatore di emozioni incontrollate.
Un caos nelle mie viscere,
nella mente,
nel mio corpo.
Ora il silenzio
nell'anima.

martedì 22 luglio 2014

TAUMATURGIA DELLE PAROLE di Federico Nanker Phelge








La leggerezza delle parole
Riempie gli spazi vuoti
Che ti separano

Dal mio tempo e
Dal mio spazio
Lunghe cime di lettere intrecciate
Con cui ti tiro a me e ti lego stretta
Nodi saldi che imprigionano il cuore
Calligrafia di corde sulla pelle
Le ore passate scrivendo
Alleviano il dolore
Del rumore del silenzio
Ma nulla potrà mai curarmi le ferite
Come cinque minuti
Della tua pelle


lunedì 21 luglio 2014

ANALISI CONTINUA di Sereno Notturno




Con prodigioso istinto di sopravvivenza ed un'attenta analisi, il più delle volte si arriva ad una bozza di pensiero.
Ci si vive troppo in fretta, simili ad una scatola di cioccolatini, ingordi di ciò che non si era abituati, come chi di nascosto ruba la marmellata e poi sorpreso nega l'evidenza.
Assiduamente troppo freneticamente si vuole rifare tutto e si incappa nell'abitudine, ogni istante invece va vissuto anche facendosi carico di altre realtà, quindi scatta la paura e i fantasmi del passato, memori di ciò che sgretola... la noia o l'abitudine, quasi un'ossessione o un modo per non dire di no.
Il coraggio e con esso tutte le considerazioni, situazioni vanno prese con cautela, perché quando si è liberi si tende a voler dare all'altro la stessa libertà, senza sapere che nonostante la buona volontà d'intenti, così facendo la si nega.
Nella vita chi non desidera libertà di pensiero e d'azione, nel mondo questo è un diritto, ancor oggi nazioni lottano per quello che dovrebbe essere un bene protetto.
Quindi nessun timore ma consapevolezza che esiste una sacrosanta libertà dopo anni in cui si pensava d'averla e la si era miscelata in dosi uguali alla rassegnazione-.

E UN BAMBINO MUORE di Allie Walker




Certe sere non trovo le parole 
per descrivere come la mia testa 
si piega verso il basso, 
sotto il peso dei ricordi
delle ore innocenti, ora perdute.

Gli orrori che ogni giorno
mi passano davanti agli occhi
- il prostituirsi mediatico delle immagini -
feriscono la mia anima:
ragazze rapite, poi dimenticate;
donne trattate come bestie da monta;
guerre di potere,
con indosso la maschera di un Dio,
un dio macchiato di petrolio e di dollari
e di armi e di un consumismo sfacciato.
E c'è ancora chi muore di fame
nel più sperduto angolo della terra.

E i cieli prendono fuoco,
i bambini piangono, le madri urlano,
i padri…
e i padri?
I padri bestemmiano
con un bazooka in mano!

Da qualche parte, in lontananza,
un pavone piange;
è il solito pavone di tutte le notti,
quelle che vedono il mio soffitto
popolarsi di orrori.

E un altro bambino muore.

I miei occhi si chiudono,
mi rifiuto di guardare lontano,
anche se tento di capire
e mi chiedo:
dove sei Dio?
- qualunque nome tu abbia -.

EFFETTO DOMINIO di Alice Stregatta




Un semplice, banale commento tra milioni di altri. Ammiccanti, adoranti, ambigui. 
Semplice. Lampante.Illuminante.
"È tempo per amare e farsi amare."
Ma nessuno ha mai nominato il sentimento, in quella pagina.
Si blatera di fugaci emozioni, di passione, di appartenenza, di dominio, di possesso.
Lei no, aveva osato pronunciare la parola magica, proibita, bandita: Amore.
Candidamente consapevole di poterselo permettere. Che lui avrebbe approvato.
Lui approvò.
Aveva accesso alla persona e al personaggio. Conosceva ogni lato di lui. Anche quelli a me nascosti, omessi, celati. Negati.
Che dire? Che non ci sia rimasta male? Malissimo?
Che seguendo le tracce telematiche tutte le sue bugie son crollate come le tessere del domino, trascinandone una via l'altra, ad una velocità impressionante?
In meno di mezz'ora ho "scoperto" cose che avevo immaginato, senza averne la certezza, per due lunghissimi anni.
Come Pollicino nel bosco, ho seguito le briciole di pane sul sentiero. Mi hanno condotto ovunque e in ogni luogo, indietro nel tempo e nello spazio. Da te, da lei. Adesso.
Hai lasciato tracce virtuali, le ho trovate. Ho letto di te.
Ora so come ti chiami, so chi sembri, ma, purtroppo, so chi sei.
(Mister Onestá!)
O, meglio, chi sei stato con me.
Un emerito stronzo!

ABBRACCIO LIQUIDO di Allie Walker





Dove vai quando 
è buio dentro? 
Quando ogni cosa 
che ti sfiora ti distrugge?
Quando ogni parola che senti
ti riempie il cervello di caos?
Trovi quegli spazi nascosti,
dove il canto della luna
non può giungere,
dove non ci sono stelle
a guardarci e guidarci.
E’ nelle tue braccia, mare,
che misuro la mia disperazione,
dove le onde sono sinfonie
di catrame e di sabbia.
La bassa marea
non mi porta alcun sollievo,
mi costringe a riemergere
a trovare la forza per lottare.
Non ne ho voglia.
Voglio solo affondare ancora un po’,
rimanere a corto di fiato
e poi lasciarmi andare.
Tanto nell’aria non ci sei.
Non c’è nessuno fuori
da questo abbraccio liquido.

L'ONESTA' (NON) PAGA di Alice Stregatta




L'Onestà si imbarcò per una lunga crociera intorno al mondo. Bagaglio leggero, pochi fronzoli. L'Onestà è di poche parole, molti fatti. Zero apparenza. Tutta sostanza.
La Sincerità, scoperto il fatto, accorse trafelata all'imbarco.
"-Hei, dove vai da sola? Noi siamo inseparabili! Non puoi andare in giro per il globo senza di me!
-Ma certo che posso, stolta sognatrice idealista! Basta un minuto d'onestà, e poi puoi raccontare tutte le frottole che vuoi!
-E se ti scoprono? Cioé, quando, non se...
-Se mai accadesse, basta lasciar cadere la laconica frase "io son sempre stato onesto con te, ma evidentemente l'onestà non paga!"
E l'interlocutore ammutolisce. Non ha spazio di manovra: qualsiasi obiezione s'infrangerebbe contro lo scudo dell'Onestà cristallina.
-Sei furba, Onestà... Ma io preferisco essere quel che sono."
E se ne andò, lasciando la tronfia Onestà, sul bastimento, sola. A far più danni di un tornado.
Da quel giorno, Onestà e Sincerità non si riunirono che in rarissime occasioni.
Non questa.
Non qui, non ora.
Non per quel che riguarda te...

SPETTATORI di Sara Zanchetta




Il compiacimento è una burla,
è quel racconto di destini
di attimi infiniti,
di saggi aforismi, usa e getta, come le prostitute,
di belle parole di cui si riempie ingorda, ogni bocca.

Bocca di uomo,
bocca di donna,
bocca di maiale, di serpe, di locusta. Bocche che si muovono, si aprono, si chiudono.
Bocche piene di merda da masticare, da rigurgitare.
Bocche senza volto, nascoste da nuvole di mosce gravide di larve. Larve non morte, subito portate via da eserciti di calabroni che lasciano il posto a cicatrici e pustole.

Pustole di idiozia
E di altri tipi di escrementi, alternativi: cuori putrefatti e anime ammuffite

PETER PAN di Andrea Lagrein



La porta si aprì violentemente. L'aria gelida si riversò nel locale, accompagnata dai violenti scrosci della pioggia che da ore stava imperversando. Tutti noi ci voltammo verso l'ingresso, sorpresi da quell'imprevisto fuori programma. In fondo, a quell'ora della sera inoltrata, la noia rapiva le menti di noi usuali avventori, persi fra boccali di birre, bicchieri di whisky e vacui vaneggiamenti da delirio alcolico.
Ma era solo Pietro, e noi tutti tornammo ai nostri miseri pensieri. Io ero seduto al bancone e osservai Saverio, barman nonché padrone della baracca, scuotere il capo. - Prima o poi io a quello lo sbatto fuori a calci in culo!-. L'italiano non era proprio il suo forte, ma a me bastava che ogni tanto mi offrisse da bere per soprassedere su questi particolari. - Lascia perdere!- tentai di rabbonirlo. - In fondo è un povero diavolo come tutti noi. Svitato, d'accordo, ma non farebbe male a una mosca!-. Saverio mi guardò dubbioso, prima di andare a servire un altro cliente.
- Ehi, proprio te cercavo!- urlò Pietro al mio indirizzo, avvicinandosi tutto trafelato. Era bagnato fradicio, ma pareva non accorgersene. Qualcuno dei presenti sghignazzò. Oggi era il mio turno di sorbirmi i suoi farneticamenti.
Tutti nel quartiere conoscevano Pietro. Fossimo stati in un paese, sarebbe stato indicato come lo scemo del villaggio. Ma eravamo a Milano, in città, e ben pochi si curavano di uno dei tanti folli che si trascinavano lungo i marciapiedi. Alcuni lo guardavano bonariamente, altri con spavento, altri ancora con ribrezzo. Ma tutti, ma proprio tutti, facevano di tutto per evitarlo. La fortuna dei folli!
A me stava simpatico. Nella sua pazzia intravvedevo una certa logica. E un po lo invidiavo anche! Per il solo fatto di essere matto gli venivano risparmiate un sacco di seccature. In fondo era un uomo libero, libero nel suo mondo perfetto!
- Che vuoi stavolta, Pietro?-. Continuava a guardarsi furtivamente intorno, come per accertarsi che nessuno ci sentisse. Poi iniziò a parlare sussurrando. - Presto, dobbiamo andare!- furono le sue uniche parole. Lo guardai con un mezzo sorriso. - Andare dove, se non ti dispiace?-. Era visibilmente agitato. - Da Guenda!-. Il suo tono misterioso mi incuriosì. E mi incuriosì anche che parlasse di Guenda.
Guenda, Guendalina, era una battona della zona. Ogni sera stazionava sul marciapiede poco distante dal locale dove ci trovavamo. Tutti noi bevitori incalliti del posto ci avevamo fatto almeno un giro, chi prima chi dopo. Ci conosceva tutti per nome. E conosceva perfettamente tutti i nostri uccelli!
- E che ci andiamo a fare da Guenda? - chiesi sorpreso. - E' in pericolo. In grave pericolo!- bisbigliò furtivo. Mi allarmai immediatamente. A Guenda ci tenevo. Era una brava ragazza, spesso veniva a casa mia a scambiare quattro chiacchiere. La vita non era stata benevola con lei. Insegnante precaria, era stata costretta a far marchette per tirare fine mese. Le volevo bene. E inoltre era anche molto carina, cosa che non guastava affatto!
- Che le è successo?- domandai forse con troppa foga. Pietro mi fissò stupito per la mia reazione. Poi tornò a guardarsi intorno. - Ancora niente, per il momento. Ma l'ho vista passeggiare sul marciapiede vestita in modo provocante. E poi salire su un'auto guidata da un brutto ceffo. Dobbiamo correre a salvarla!-. Lo guardai allibito. Poi scoppiai a ridere. Stupido io che gli avevo dato credito. - Non ti preoccupare, Pietro!- dissi tornando alla mia birra. - E' normale quello che hai visto. Guenda sta solo facendo il suo lavoro!-. Mi scrutò perplesso. - Che intendi dire?-. Lo fissai con una certa tenerezza. - Ascolta! Guendalina fa la puttana. E' normale che si vesta in quel modo e salga sulle auto di sconosciuti. E' il suo lavoro!-.
Pietro mi guardò quasi con le lacrime agli occhi. E iniziò a urlarmi contro. - Come ti permetti? Come ti permetti di parlare così della mia principessa? Sei diventato arido e insensibile come tutti gli altri. Ti sei lasciato plagiare e sei diventato come uno di loro!- indicando i pochi avventori del locale.
Uno di questi, il più ubriaco e rissoso di tutti, si alzò e venne minaccioso verso di noi. - Senti un po, fottuto pazzo figlio di puttana. Se non ti levi subito dalle palle, ti apro quella testa marcia in due, capito?-. Mi frapposi fra i due. Con Giacomo non c'era da scherzare. Non so se fosse vero o meno, ma si diceva che aveva fatto un bel po di anni di galera. Non era tipo con cui litigare!
Pietro sghignazzò. Nella sua follia, sembrava non avvertire la minaccia incombente. - Eccolo qui il capo banda della ciurma. Miseri bucanieri senza sogni, senza speranze, spugne intrise di cinismo e tristezza!-. Sospirai. Giacomo lo avrebbe sicuramente fatto a pezzi. - OK, state calmi! Adesso lo porto via, non c'è bisogno di sporcarsi le mani, Giacomo!-. Mi squadrò truce, ma fortunatamente sembrò desistere dai suoi violenti propositi.
Afferrai per le spalle Pietro pronto a spingerlo fuori dal locale, quando la porta si aprì nuovamente. E comparve Guenda. Evidentemente aveva terminato il suo turno ed era venuta al locale per scaldarsi un po. Appena mi vide sorrise.
- Guenda, sei salva. Non ti è successo nulla per fortuna!-. Pietro le corse incontro, abbracciandola. Lei cercò il mio sguardo perplessa. Feci segno di non farci caso. Le avrei spiegato tutto più tardi, magari dopo una bella scopata!
A rompere l'idillio, però, ci pensò Giacomo che, appena vide Guenda, si avvicinò a noi con un mezzo ghigno. - Ciao bambolina! Questa sera ho proprio voglia di sbatterti un bel po. Dai, andiamo da te che c'ho le palle belle gonfie!-. E scoppiò in una grassa risata. Fece per afferrarle il braccio, quando Pietro con un colpo secco glielo allontanò immediatamente.
Tutti noi lo fissammo sorpresi. Giacomo più di tutti! Poi si fece livido in volto e un'espressione truce gli si disegnò sul viso. - Giuro che adesso ti ammazzo, maledetto bastardo!-. Non ci sarebbe stato nulla da fare. Lo avrebbe ammazzato sul serio. Lo avrebbe fatto se non fosse intervenuta Guenda.
- Lascia stare, Giacomo! Questa notte l'ho promessa a lui!- disse indicando Pietro, mentre con una mano accarezzava il braccio di Giacomo, tentando di calmarlo. - Non sarei comunque potuta venire con te. Che dici, facciamo domani?-. L'uomo sospirò rassegnato. Ancor più rassegnato quando vide Guenda abbracciare teneramente Pietro, che la fissava con sguardo adorante. Alla fine si voltò e tornò al suo tavolo.
- Allora? Andiamo mio eroe?- chiese Guenda a Pietro. Lui balbettò qualcosa di confuso e infine, insieme, uscirono dal locale.
Terminai velocemente la mia birra e tornai a casa. Non avevo sonno. Cercai e trovai il libro che volevo. E mi immersi nella sua lettura. L'avevo letto quando ancora ero bambino, ma quella sera mi tornò alla memoria.
Mentre leggevo ripensavo a Pietro. Pazzo visionario! Ma se in fondo avesse avuto lui ragione? E se noi tutti, cinici naufraghi avvinghiati a incombenze e preoccupazioni non nostre, fossimo stati nel torto? Cristo, e se fossimo noi i matti? Lui sognava, e in questo momento era nel letto di Guenda a fare l'amore, abbracciato alla sua principessa.
Sorrisi felice mentre terminavo il libro scritto da Barrie, Peter Pan. In fondo, alle volte, il lieto fine non avveniva solo nelle favole. A volte anche la vita reale poteva stupirci con i suoi tesori!

UN SALTO NEL VUOTO di Andrea Lagrein



Jeanne aprì la finestra. La gelida aria invernale le sferzò il volto, il suo splendido volto. Tutto era buio. Tutto era silenzioso. Erano le tre del mattino di quel 25 gennaio. La gente del vicinato, buoni borghesi zelanti come i suoi genitori, dormivano placidamente nelle loro dimore. Rabbrividì. Si accarezzò il ventre, un ventre gonfio da nove mesi di gravidanza. Fra poco avrebbe dovuto partorire. Fra poco avrebbe dovuto dare alla luce il frutto dell'amore con l'unico uomo che avesse mai amato.
Quell'uomo non c'era più. Era morto il giorno prima, stroncato malamente dalla tubercolosi, ma prima ancora da alcool e droga, da una vita dissoluta vissuta intensamente, e che intensamente aveva finito per bruciarlo. Quell'uomo era un genio e senza di lui, ormai, nulla aveva più senso.
Davanti a quel davanzale, fluì davanti ai suoi occhi tutta la sua vita. O meglio, i tre anni che aveva vissuto con lui, che poi null'altro erano se non la sua stessa vita.
A quel tempo, a Parigi, se si frequentava la vita artistica di Montparnasse, si doveva per forza essere dei folli. O dei geni! Jeanne amava l'arte e aveva pure talento. Suo fratello, anch'egli pittore, l'aveva spinta verso quel mondo. Era diventata modella del grande Foujita. E per tutti era divenuta noix de coco, in onore dei suoi lineamenti bellissimi.
Quelli erano gli anni dove nelle strade e nei vicoli parigini si incontravano artisti maledetti, pazzi ubriaconi intrisi di genialità, opere straordinarie partorite da menti folli. Jeanne sorrise mestamente al solo ricordo. Picasso, Utrillo, Rivera, Apollinaire, Foujita. Tutti presi da un unico sogno, da un unico demone. L'arte!
E pure lei ne fu rapita, grazie al suo talento, grazie alla sua bravura. All'accademia di belle arti Calorossi non le lesinavano i complimenti. Si vedeva che quella ragazza ci sapeva fare.
Ma tutto cambiò quando arrivò lui. Lui che divenne l'unica ragione della sua vita. Lui, a cui tutto sacrificò e a cui tutto dedicò.
La creatura che portava in grembo iniziò a scalciare. Evidentemente non gradiva l'aria gelida che entrava dalla finestra. Jeanne si accarezzò il ventre con tenerezza. Non ha senso, piccolo mio, che tu nasca senza aver avuto la possibilità di conoscere tuo padre. No! non ha proprio senso, pensò con tristezza.
Per Jeanne, dopo essersi scaldata al fuoco della passione, essersi abbeverata alla fonte della genialità, essersi sfamata con l'amore più intenso che si potesse avere, nulla aveva ormai più senso. Nemmeno la creatura che di lì a poco avrebbe dovuto dare alla luce.
Era andata contro tutto e contro tutti pur di rimanere al suo fianco. I suoi genitori le tolsero il saluto e la parola, rea ai loro occhi di aver dato scandalo con quella relazione, un concubinaggio così distante dal loro placido mondo borghese, dove la donna doveva sposarsi con un buon partito vivendo silenziosamente all'ombra del marito e delle incombenze domestiche. Gli amici la deridevano, considerandola poco brillante e senza carattere, ragazzina insipida pallido riflesso dell'uomo amato. Per tutti, lei stava facendo un salto nel vuoto, una discesa negli inferi da dove non sarebbe più tornata, strada senza speranza e senza futuro!
Ma Jeanne sapeva bene che non era così. Non era la sua ombra, bensì la sua luce splendente. Fu la sua grande musa ispiratrice, fu l'essenza stessa della sua anima e per lei, questo, fu il più grande segno del suo amore.
Ricordava ancora il primo giorno in cui lo incontrò. Jeanne era una ragazza bellissima, della qual cosa lei ne era conscia. Viso perfettamente ovale, lunghi capelli lisci castano chiaro, occhi a mandorla di un azzurro intenso, labbra tumide, un collo fine e allungato, carnagione pallida e diafana. Aveva molti ammiratori e spasimanti, soprattutto nella cerchia di artisti a Montparnasse, scopatori incalliti che non si lasciavano mai sfuggire un'occasione. Ma lei scelse Amedeo. Lei si innamorò perdutamente di lui.
Quando lo vide, quando vide il suo sguardo, capì immediatamente che la sua vita si sarebbe legata indissolubilmente a lui. Puzzava di alcool e di fumo. Era sbronzo marcio. Vestiti sporchi e scarpe lise. Ma quando la vide, lui rimase a bocca aperta, come fosse davanti a una dea. E così Jeanne si sentì. Una dea agli occhi di Amedeo. Lui le sorrise, un sorriso franco e gentile, un sorriso da innamorato perso. "Questa ragazza ha delle ossa bellissime. Va assolutamente ritratta". Poi collassò a terra svenuto.
Jeanne si sporse dalla finestra, ispirando l'aria gelida della notte. Quanta purezza trovava in quel momento. Quanta pace e serenità. Pace e serenità che non trovò mai nei tre anni trascorsi con Amedeo. Però trovò passione, fervore e intensità. Tutte cose che spesso, alla gente comune, venivano precluse.
Sorrise amara nel ricordare quegli anni. Lei ben presto si trasferì da lui. Non fu per nulla facile vivere al suo fianco. Vivevano in una casa diroccata, che lui utilizzava come studio. Amedeo, poi, tornava spesso a notte fonda, sempre ubriaco o strafatto di droga. Era un bell'uomo e le donne non gli mancavano. Che si trattasse di puttane o gran dame, modelle o artiste, lui non si tirava mai indietro. Quanti tradimenti dovette ingoiare Jeanne in quel periodo!
Ma lei lo amava. E lui amava lei. In modo tenero, disperato, furibondo, appassionato. Jeanne salì in piedi sul davanzale tenendosi allo stipite della finestra. L'aria sferzava le sue vesti ma lei non sentiva il freddo di quella notte. Lei era scaldata dal ricordo dell'amore prepotente di Amedeo.
Le lacrime iniziarono a rigarle il viso. Sì! era stato proprio un amore prepotente, pieno, assoluto, di una forza inaudita. Jeanne passò ore e ore in posa davanti a lui. Lei, che ai suoi occhi era la sua musa ispiratrice. Lui, l'unico che riuscì mai a carpirle l'anima. E a metterla su tela!
La vita fu veramente dura al suo fianco. Riuscivano a sfamarsi grazie al buon cuore degli amici, o quando Amedeo raramente piazzava qualche suo disegno. Era un genio, ma un genio incompreso. Vivevano in un appartamento umido, dormendo sul pavimento, sopra un materasso sfatto. Ma vivevano, vivevano sostenuti dalla loro passione e dal loro amore. Che senso c'era nell'avere una bella casa, calda e asciutta, una tavola ricca e imbandita, vestiti sempre freschi e profumati, se la forza prepotente e impetuosa dell'amore non era un inquilino ben accetto?
Jeanne si sporse dal cornicione. Le pareva proprio di vedere il volto di Amedeo innanzi a lei. Era il volto dell'amore, di quell'amore che li aveva sostenuti durante quegli anni. Lui la dipingeva e lei gli donava l'anima. In fondo, lui, l'aveva resa immortale. E nulla si può chiedere di più al proprio amato!
Ancora in quel preciso istante lo vedeva seduto sulla sedia di paglia, davanti a lei, dietro il cavalletto, con l'immancabile bottiglia di vino rosso, piena prima di iniziare, vuota alla fine del dipinto quando lui, in una sorta di rituale, vi infilava il pennello come ultimo gesto finale.
Era un genio, un demone, un folle, un puttaniere, un ubriacone. Era l'uomo che Jeanne amò più di se stessa. E ora che se ne era andato per sempre, nulla aveva più senso!
Un leggero movimento in avanti. Un ultima carezza al ventre gravido, estremo gesto di tenerezza. E poi il salto, un salto nel vuoto, proprio come furono quei tre anni di folle passione. Il volo durò la lunghezza di cinque piani. Le lacrime si asciugarono sul suo viso, facendo posto a un caldo sorriso. Sì! Finalmente era felice. Finalmente Jeanne Hebuterne si stava rincontrando con il suo Amedeo Modigliani.
E il loro amore sarebbe durato per l'eternità!

PROSTITUTA PER AMORE di Francesca delli Colli


Dio solo da quanto ti ho amato!
Ogni respiro che per te mi ha tenuto in vita, 
senza remore e con l’anima protesa ti ho donato.
Nel l’imbrunire di ogni indifeso di,
mai i mie occhi si son celati il giorno,
senza che il mio pensiero pregno di te
mi volteggiasse attorno.
Di palpiti impazziti e di emozioni adorno,
precursore di una notte insonne,
in cui mi rifugiavo con animo felice e tremebondo,
accarezzando l’idea di un vorace amplesso
per il quale avrei barattato anima e il corpo, reo confesso ,
di tutto quel tormento dalle mie membra mai dismesso.
Quel distacco,
arrivato come un’inatteso attacco,
ha fatto barcollare la mia fede.
Con le preghiere mi son venduta,
ma son state le armi piu’ sincere,
affinche’ potessi rimetter il cuor tuo battente
li dov’era
e dissipare una dolorosa chimera.
Per averti ho svenduto ogni mio onore e orgoglio,
ma senza di te io muoio.

DOLCE E SALATO di Giuseppe Balsamo



La città era totalmente al buio, almeno in quel punto dove si trovava lui non c’era luce. Così era stato costretto ad incamminarsi su quelle stradine bagnate, alla ricerca di una fonte di luce. Non comprendeva come mai fosse asciutto, nonostante avesse evidentemente piovuto da poco, certo aveva freddo e la magliettina smanicata non era affatto sufficiente a coprirlo dall’umidità, inspiegabilmente però non era bagnato.
Prese a camminare, a passo rapido, verso l’unico lampione acceso, sostando appoggiato al freddo metallo, quasi volesse prendere fiato. L’ampio spiazzo che si trovò davanti, conduceva ad almeno quattro strade urbane, alcune persone, di spalle, camminavano con andatura caracollante facendolo sentire meno solo.
Quasi si fossero tutte accorte contemporaneamente della sua presenza, si voltarono a guardarlo, consentendogli di appurare che avevano tutte le stesso viso, la stessa espressione per nulla stupita nel vederlo lì.
Ne contò nell’immediato quattro, come volessero presidiare ogni via di fuga, le donne erano abbigliate tutte nel medesimo modo: un abito sciatto e sformato di colore scuro, lungo appena sotto il ginocchio, i capelli scarmigliati e neri, scarpe basse da collegiale, occhiali dalla pesante montatura nera, stonava e contrastava il rossetto di un acceso color rubino.
Riconobbe bene quel viso, anche se quell’espressione, a metà tra il ghigno malefico e canzonatorio ed una minaccia sussurrata a bassa voce, non l’aveva mai veduta.
Il primo istinto fu di andare da loro, non sapeva da quale delle quattro; restava però immobile, bloccato, come se per uno strano incantesimo i suoi muscoli non rispondessero alla sua volontà.
Cominciarono a quel punto a sopraggiungere altre donne, tutte uguali, tutte identiche. Questa volta non si erano limitate a voltarsi per constatare che fosse lì. Si dirigevano a passo spedito verso di lui; cominciava a contarne dieci, quindici, venti, trenta. La piazza era gremita di queste femmine, con lo stesso volto e la stessa smorfia innaturale, ormai si avvicinavano a lui pericolosamente.
Doveva fuggire, immediatamente, ma non riusciva a farlo, perdendo il conto di quegli esseri che sembravano moltiplicarsi per osmosi. A questo punto ne poteva sentiva il respiro, il puzzo acido ed innaturale dell’ alito, si sentiva tirar via i pantaloni e le scarpe da quelle che erano riuscite a raggiungerlo per prime. Le mani, ossessivamente, gli laceravano la maglietta, spingendolo e facendolo rovinare a terra. Avvertiva i denti e le unghie, sapeva che si volevano cibare del suo corpo, sentiva la saliva calda ed aveva la percezione del suo sangue che ormai sgorgava impiastricciando l’asfalto.
Un morso più incisivo e più deciso degli altri, gli provocò uno squarcio nell’addome, il dolore fu lancinante, una sorta di fitta che gli arrivò dritta al cuore.
Quel cuore che batteva all’impazzata, mentre respirava quasi a fatica seduto sul letto, completamente coperto da un sottile strato di sudore gelido.
Ci volle un po’ prima di riprendersi da quell’incubo ed orientarsi nel buio della stanza, le mani appoggiate sul materasso ed il petto che faceva su e giù seguendo il ritmo impazzito del respiro.
Il pomo d’adamo si muoveva allo stesso modo, costingendolo a deglutire la saliva bloccata in gola.
Le due donne gli davano la schiena, immerse nel sonno. Erano nella stessa posizione fetale, eguali in tutto e per tutto. Si domandò se facessero anche gli stessi sogni, notando che ognuna di loro aveva poggiato sul comodino gli occhiali da vista, con la vistosa montatura nera., esattamente nel medesimo modo.
Un brivido lo percorse, mentre Anna e Irene respiravano profondamente.
Facendo attenzione, scavalcò Anna e si rintanò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle. La luce gli diede sollievo, riportandolo ad una dimensione più razionale e tranquillizzante. Si svuotò la vescica, sciacquandosi abbondantemente il viso con l’acqua fresca. Seduto sulla tazza, completamente nudo, si accese una sigaretta:
”Che situazione di merda”.
In fondo la nottata non era stata male, però adesso doveva fare i conti con la realtà e quell’incubo spaventoso ne era il chiaro segnale, insomma le sue solite lacrime da coccodrillo.
Aveva conosciuto Anna alla fermata del 72 sbarrato, la ragazza era lì ogni mattina alla stessa ora, quella fermata era proprio davanti l’edicola di Armando, il suo spacciatore preferito di quotidiani ed altre riviste più o meno serie da quando si era trasferito lì. Anche Anna si rivolgeva a lui per l’acquisto dell’abbonamento del bus e per rifornirsi di ciarpame da leggere; così dapprima limitandosi ad un saluto, era finita che qualche volta le aveva dato un passaggio in auto fino all’università.
Anna Carlisi, oltre ad essere molto carina, si era rivelata simpatica, così l’aveva invitata a cena ed avevano cominciato a frequentarsi ed erano finiti a letto insieme.
Una relazione apparentemente del tutto nella norma: ci stava bene con Anna e poi cazzo a letto era fantastica, sembrava ogni notte di far l’amore con una donna diversa, talmente era fantasiosa e vogliosa.
Si accorse immediatamente che qualcosa non andava e che era diventato oggetto di uno strano gioco la prima volta che lei lo aveva invitato a mangiare dai suoi.
Seduto a tavola con quel simpaticone di papà Carlisi e con Anna, si prospettava una gran bella serata, non pensava nemmeno lui che si sarebbe potuto sentire così a suo agio a casa della fidanzata e dei potenziali suoceri
Prima che la padrona di casa portasse in tavola gli antipasti, però era arrivata trafelata in sala da pranzo anche Irene.
Anna gli aveva appena accennato all’esistenza di una sorella, non approfondendo più di tanto l’argomento, né lui si era incuriosito dell’esistenza di una cognata; quando però la vide entrare, non fu più così certo che la cosa non lo riguardasse da vicino.
“Ciao Angelo…scusate il ritardo”, si era poi seduta a tavola con noncuranza alla sua destra, mentre anche Anna, come se nulla fosse successo, era alla sua sinistra.
Stralunato, con la tartina alle uova sgombro a mezz’aria, la bocca semi aperta come volesse imitare l’espressione della “signora sgombro” mentre faceva le uova, osservava le due ragazze.
Due gocce d’acqua: cioè due gemelle che più gemelle non si può. Nessuna minima differenza, quasi fra loro ci fosse la spasmodica ricerca del particolare per rendersi indistinguibili l’una dall’altra. Stesso taglio di capelli, stesso smalto, stessa marca di jeans e stessa felpa, identiche le scarpe, uguale la voce ed il modo di parlare, cazzo anche l’anello e la collanina erano uguali.
Poi quel modo di rivolgersi a lui, quel: “Ciao Angelo…” pronunciato in maniera così naturale e scontata, così come lo aveva sentito ripetere molte volte, gli aveva dato la certezza di quello che stava accadendo.
Si seguirono le portate, pur sforzandosi di partecipare al momento conviviale, peraltro era la prima volta che conosceva i genitori di Anna, non riusciva a non pensare che le due si stavano prendendo gioco di lui. Glielo leggeva negli occhi, ogni volta che si voltava a guardare prima l’una e poi l’altra, aveva la netta sensazione che gli lanciassero sorrisetti ambigui che solo lui riusciva a percepire.
La situazione era veramente imbarazzante, alla fine cominciò ad avere persino dubbi che l’ultima arrivata fosse Irene e non Anna.
Fortunatamente la cena finì in fretta, fu Anna (oppure era Irene?), a toglierlo da quella situazione scomoda, proponendo di andar fuori a bere qualcosa.
“Quasi quasi vengo anche Io…”.
Sconsolato Angelo, abbassò il capo afflitto, ascoltando l’affermazione di Irene (oppure era Anna?).
La cosa positiva era che l’allegra famigliola abitava in centro, non lontano da casa sua, quindi era possibile spostarsi a piedi; inoltre c’era un ottimo pub a pochi passi da casa. Affrontando cinque minuti di gelo, si rintanarono nel locale caldo e già gremito di gente; era venerdì sera i molti dei presenti erano lì per la bevuta pre discoteca.
Angelo non aspettò nemmeno di uscire fuori dall’androne del condominio elegante, troppa l’ansia di capire, rivolgendosi ad Anna (oppure era Irene?), chiese le dovute spiegazioni:”Mi spieghi che cazzo sta succedendo?”.
La ragazza sorridendo, prendendolo sotto braccio, come una dama d’altri tempi, gli posò un bacetto sulla guancia:”Non sta succedendo proprio niente, ho una sorella gemella, tutto qui, cosa c’è di sconvolgente?”.
Per un istante fu sollevato da quella affermazione, probabilmente era tutto un equivoco, fu però immediatamente smentito dall’altra gemella, anche lei lo prese alla stessa maniera, posandogli le labbra sulla guancia:”Il lato positivo di essere gemelle è che possiamo dividerci gli impegni ed ottimizzare i tempi…”.
Il vero terzo grado avvenne all’interno del pub, più Angelo andava avanti con le domande, più lo sconcerto cresceva:
”Quindi quella sera al cinema era Irene?”
“La festa di compleanno di Mara è venuta Anna?”
“Il week and alla SPA eri tu Anna vero?”
Non riusciva a capire come aveva fatto a non accorgersene, però obiettivamente erano veramente due gocce d’acqua, anche a letto non aveva fatto differenze, gongolandosi nell’idea di aver trovato una donna estremamente fantasiosa, rendendosi invece conto che aveva avuto due donne, si esteticamente uguali, ma comunque due persone diverse.
L’aspetto paradossale di tutta la vicenda era che, le due, affrontavano la situazione con una tranquillità che rasentava il disturbo psichiatrico; allegramente ridevano sulla questione, adducendo scuse assurde sui continui scambi di ruolo:
“Angelo quella sera ero veramente stanca”,
“Angelo, il fatto è che Anna quella sera aveva il ciclo”,
“Angelo, cazzo renditi conto che Anna aveva l’esame all’università”.
Le due ragazze, solo a fine serata, si resero conto che probabilmente avevano inferto un duro colpo al loro fidanzato comune, concordarono quindi nella necessità di accompagnarlo entrambe a casa.
Una volta nell’appartamento, riuscirono un minimo a sciogliere la tensione dell’uomo, ormai entrambe conoscevano bene sia quell’appartamento che il proprietario.
Angelo effettivamente si rilassò un minimo, era però allibito nel constatare come le sue si muovessero a casa sua con estrema naturalezza. Era come vedere la stessa persona duplicata, come fosse ubriaco e ci vedesse doppio, così da osservare due copie della sua fidanzata in movimento nel suo appartamento.
Bisogna dare atto che sia Irene che Anna erano estremamente allegre, per di più così a loro agio. Cercarono di coccolarlo, avendo un minimo senso di colpa per quello che era accaduto.
Farsi coccolare da due donne non è poi una cosa così brutta, questo pensava Angelo sentendosi le due donne addosso, così cercò almeno di sfruttare l’aspetto positivo della questione.
Dalle coccole ben presto passarono al materasso.
Non servì certo a distinguere chi fosse Anna e chi fosse Irene, non era importante, le ebbe entrambe.
In un turbinio di corpi aggrovigliati, dolce e salato diventarono tutt’uno, le assaggiò contemporaneamente e le due donne ebbero la soddisfazione di averlo insieme.
Non fu affatto male, a parte l’incubo e quell’ultima domanda, seduto sulla tavoletta del cesso:
”Ma poi, è veramente una situazione così di merda?”

venerdì 18 luglio 2014

Recensione "Le confessioni di Eva" di Allie Walker



Eccomi qui, per la prima volta, a recensire un libro della mia dolce metà. Lei sa bene che il mio esser critico, in qualsiasi cosa, non la risparmierà, come già è successo. “Le confessioni di Eva” di Allie Walker edito nel 2013, è un romanzo ambientato tra Milano e Roma, scritto da una Donna che ha fatto della scrittura una vera e propria passione. Esordisce nel 2012 con alcuni racconti sparsi per la rete, passando per la poesia erotica, la ritroviamo a scrivere un paio di romanzi, fino ad arrivare a quest’opera. "Le confessioni" è un romanzo erotico che conquista e appassiona, arrivi a fine pagina e ti prende la smania di proseguire a leggere. Una lettura scorrevole una trama intrigante, affascinante per vari motivi. Eva, la protagonista femminile, è un "personaggio" libertino e arrivista, una figura che non annoia mai, vuoi per le sue avventure erotiche e piccanti, vuoi per le vicende che si susseguono, una dietro l'altra, nella scalata verso il successo nella carriera lavorativa. Un romanzo disincantato con dei momenti di suspance e un finale che lascia molto spazio a un seguito, che a detta dell’autrice è in fase di lavorazione.

 Eva Galli è una donna nata e cresciuta in un paesino di provincia, segnata alla tenera età di nove anni da una violenza sessuale compiuta da un amico di famiglia, sfruttando la sua innocente volontà di aiutare il prossimo. Si trasforma in seguito in bambina "in carne" giusto per non farsi notare troppo dai suoi coetanei. Questa vicenda la si legge all'interno di una lettera che Eva scrive a una sua amica, una lettera molto commovente, una confessione che scrive, non tanto per liberarsene, ma per spiegare all'amica tanti suoi comportamenti. Giunta all’età adulta, scoperti i piaceri peccaminosi del sesso, si trasforma in una femme-fatale dalla doppia vita. 

“Io sono l’enigma, la tua fantasia, sono quello di cui non puoi fare a meno nella vita di tutti i giorni. Mi piace spingerti verso di me, voglio provocarti, mente corpo e anima. Voglio che ti senti al sicuro nel parlarmi, ma allo stesso tempo, voglio che le cose che confidi a me, tu non lo dica a nessun altro. Dai, confessami il tuo segreto.” 

Conosce un uomo, Luigi avvocato di successo, e va a viverci insieme continuando i suoi studi che lo stesso compagno la sprona a proseguire. All'interno delle quattro mura Eva si trasforma In una semplice donna di casa, sfruttata sessualmente dal proprio compagno, ma allo stesso tempo si trova a diventare una delle Prodommes milanesi più ricercate. Una doppia vita, un'altra vita che tiene nascosta al compagno. 
Laureata alla Bocconi in Economia e Marketing con lode, durante gli studi conosce Lucia una ragazza che odia gli uomini e che diventerà sua amica intima. Ma proprio durante la festa di laurea, Eva perderà ogni diritto e ogni dignità di fronte al compagno per aver messo davanti a tutto il proprio orgoglio da Mistress. Eva pur di arrivare al potere, ruba dei documenti, fugge e da quel momento in poi non guarderà in faccia a nessuno, catalogando i clienti, nomi noti della Milano bene, in vari documenti. L'avidità e la voglia di arrivare in alto, la metterà al rischio di perdere la vita, coinvolgendo anche altre persone e pur di non perdere informazioni e giochi di potere, si ritrova da sola di fronte a un bivio. Fantasmi del passato e del presente, le faranno cambiare città, facendo perdere le sue tracce. Ma Eva non perderà la sua doppia vita, infischiandosene di tutti e usando tutti i mezzi a propria disposizione per arrivare ai suoi obiettivi. Un finale che ci lascia in sospeso. Sicuramente un romanzo da non perdere. Mi chiedo se l’autrice, in questa storia, ci abbia messo qualche vicenda personale o di qualche amico/a (la metterò sotto torchio e so come farlo, sghignazzo). Di certo ci ha messo tutta la passione che Eva trasmette a chi legge.

mercoledì 16 luglio 2014

ANIME DI FUOCO di Laura Grimaldi



"Spogliami!". Imperativo, urgenza, voglia di quel corpo, voglia di leccare la sua pelle sudata, voglia di riempirmi la bocca del suo sapore di maschio rude e le narici del suo odore intenso di sesso sporco.
Sono senza freni, senza inibizioni, puttana all'ennesima potenza, consapevole di perdermi in quei momenti di piacere assoluto, dove i nostri corpi si uniscono, le nostre menti affini si collegano e le nostre anime si fondono, divenendo un unico essere.

POSSESSO di Elsie R Stone




Lui è il mio fuoco, la mia voglia più sfrontata, lui fonte del mio desiderio più carnale e audace.
Mi inginocchio e gattonando raggiungo i suoi piedi, li bacio e scopro le mie natiche, due promontori candidi e sodi, fonte del suo piacere più perverso. Mi offro tremante e eccitata al suo assalto, fatto di attese, sguardi torbidi che sciolgono la mia voglia libidinosa inumidendomi vergognosamente.
Lo voglio con una passione inaudita, dentro di me, fino in fondo, fino allo sfintere e in quel possesso sodomizzante mi sento veramente posseduta, fottuta nelle viscere, dove dolore e piacere raggiungono vette altissime e dove la mia anima si dona a lui, completamente.

MARE DENTRO di Francesca delli Colli



Onde burrascose si infrangono
Contro scogli di un tormentato animo.
Mare in tempesta nella cui forza
Si nasconde una primordiale pace ,
il tumulto interiore che arde...
smorza
ed ogni cosa tace.
Umile essenza che disperata pensa
Di esser trasportata via come l’inerme rena,
imprigionata dall’abbraccio di una
spumosa risacca che con vigore lambisce,
raggiungendo ogni impensato anfratto,
la corposita’ terrena.
La forza insita in ogni granello di sabbia
si aggrappa a quell’amor con rabbia,
ancorando la voglia di vita
a quello scoglio tormentato
da un fatuo fato
fino ad offrile la via.

MISERIA E NOBILTA' di Andrea Lagrein



Osservai affascinato e al contempo stupito quadri e tappezzerie, mobilio e suppellettili, tendaggi e lampadari, broccati e taffetà. Non mi ero mai trovato in mezzo a tale sfarzo, nemmeno nei miei sogni più sfrenati.
Gesù, ma questi son pieni di soldi! continuavo a ripetermi. Guardai i miei vestiti, sgualciti e mal ridotti. Questo potrebbe essere un gran colpo di culo! pensai speranzoso. Il colpo che mi avrebbe tolto dalla merda in cui ero piombato. Forza Big Jack! Questo è il tuo momento!
Raffaella entrò sorridente e compiaciuta, indossando unicamente una sottoveste nera trasparente. Devo dire che i suoi cinquantanni li portava veramente bene, nonostante l'età e le rughe del tempo. Evidentemente il blasone della nobiltà aveva grandi proprietà terapeutiche!
Sì, perché Raffaella era contessa, gran dama di non so bene quale reame. Inattualità dei tempi moderni ma inattualità che comunque, a ben vedere, gonfiava ancora i portafogli e i conti in banca. Il suo blasone era servito a strappare un ricco matrimonio con un noto industriale. Tu mi porti in dote la nobiltà, io i quattrini! Roba da medioevo, ma evidentemente roba che funzionava bene anche ai nostri giorni. Ognuno poi a farsi gli affari suoi, che questo non era contemplato nei patti stipulati. Roba da nobili, roba da ricchi!
E Raffaella ben si calò nella parte di gran dama degli uccelli altrui, cerimoniera di godimenti e tradimenti, tanto da venir soprannominata la lupa famelica. Per lei di problemi non ve ne erano. Se l'arma del fascino non arrivava all'obiettivo, ci pensava un bell'assegno a comprare giovani corpi disponibili. E i suoi orgasmi erano garantiti!
La conobbi a una festa. Charme e eleganza stonavano vistosamente con i miei jeans bucati e maglietta macchiata. Lei non se ne fece un cruccio. - Mi hanno detto che sei uno scrittore!- mi sussurrò soave dalla coppa di champagne che stava sorseggiando. Scoppiai a ridere. - Di stronzate se ne dicono tante, evidentemente! E questa è anche piuttosto bella grossa!-. Buttai giù in un sol sorso quel che restava della mia birra. In segno di rispetto nei suoi confronti evitai di ruttare.
- Che peccato! Mi son sempre piaciuti gli scrittori!-. Il suo viso rugoso si accigliò. La guardai bene per la prima volta. Una cinquantenne notevole, dovevo ammetterlo. Certo, il giudizio non era completo. Non l'avevo vista ancora nuda. Qualche sorpresa avrebbe sempre potuto riservarmela!
- Invece a me non piacciono. Intellettuali del cazzo che girano sempre a vuoto su argomenti inconsistenti!-. Ordinai una nuova birra. - E chi ti piace, allora?-. Il suo sguardo mi stava provocando. Volevo troncare abbastanza velocemente quella conversazione. Non mi piaceva. Decisi di essere brutale. - Le puttane! Almeno loro sono sincere e oneste. Sai sempre qual'è il prezzo che devi pagare. E i folli! Sono visionari e hanno la capacità di guardare con occhi diversi. E gli ubriachi poi! Che vuoi che ti dica, apprezzo sempre chi ne ha le palle piene dello schifo che ci circonda!-.
Raffaella scoppiò a ridere. - Vedo che ti sai descrivere bene!-. Sogghignai al suo acume. Questa era davvero un osso duro! Tornò seria. - Basta con i fronzoli e le battute! Voglio venire a letto con te. Mi piaci!-. Cristo, si vedeva proprio che non era abituata ai no! Provai a osare. - Mi hai appena dato della puttana. Ci sta, è tuo diritto. Ma se vuoi scopare con me ti costerà parecchio!-.
Non avevo nulla da perdere. Fra una settimana mi avrebbero buttato fuori di casa se non trovavo un bel po di bigliettoni per gli arretrati dell'affitto. Ero al verde ed ero disperato. Lei mi guardò divertita. - Mille euro e sei mio per tutta la notte!-. La guardai fingendo di provare disgusto. - Big Jack non si scomoda per la miseria di mille euro. Tenta con qualcun altro, bella principessa!-. Stavo bluffando, ma era la mia unica chance. Continuò a sorridermi. - Farai tutto ciò che ti chiederò?-. Soppesai la risposta. Era un azzardo. Chissà che cazzo mi avrebbe chiesto! - Certo! Sono una puttana, no?- sogghignai cercando di darmi un tono. Anche lei sogghignò. - Va bene! Tremila euro e non se ne parli più!-.
Esultai fra me e me. Questo mi avrebbe salvato il culo. Non che ci tenessi gran che alla topaia in viale Certosa dove abitavo, ma l'idea di finire in qualche dormitorio per diseredati proprio non mi allettava. Non ero Bukowsky io, cazzo! Cosi ci accordammo per la sera successiva. E quella notte dormii splendidamente.
Dunque ero lì, a casa sua, davanti a lei, mentre la guardavo sedersi. Finalmente la potevo osservare quasi nuda. A parte le grosse tette un po cadenti per via dell'età, per il resto faceva invidia a molte ventenni che si vedevano in giro. Magie della chirurgia plastica, centri estetici e spa assortite!
-Spogliati!- mi intimò in modo perentorio. Avrei tanto voluto mandarla a farsi fottere, ma tremila euro erano pur sempre tremila euro. Eseguii ubbidiente. - Avvicinati e inginocchiati!-. Mi balenò per la testa l'idea di rivestirmi e andarmene. E invece, ancora una volta, eseguii ubbidiente. Mi facevo schifo. Ma la mia miseria mi faceva ancor più schifo!
Iniziò a titillare Big Jack con il suo piede. Lui non aveva moralità di sorta e reagì immediatamente. Raffaella se ne compiacque di tale reazione. La sua vanità femminile veniva appagata! - Baciami! - ordinò sollevando la gamba. - Bacia mostrandomi la tua devozione! -. Il suo piede era all'altezza del mio viso. Non so se fosse per via dei tremila euro, ma il gioco iniziava a stuzzicarmi. E anche a eccitarmi!
Così iniziai a baciarle il piede. Lentamente, sensualmente, devotamente. I suoi occhi luccicavano di lussuria. D'improvviso scoppiò a ridere, mentre appoggiava il secondo piede sulla mia testa. - Adoro avere gli uomini ai miei piedi! Mi da una sensazione di superiorità inappagabile. E non m'importa se devo pagare. Anzi! Ancora meglio! Siete solo degli oggetti al servizio del mio piacere. E adesso leccamela e fammi godere!-.
La osservai. Non stava scherzando. Godeva del fatto di trattarmi come una puttana da marciapiede. Doveva aver avuto un'esistenza difficile se si era ridotta così. Nessun sentimento, nessun trasporto. Solo un triste, desolato senso di rivalsa verso il genere maschile. Che probabilmente, pensai, doveva in passato averla ben presa a calci nel culo!
Feci come mi chiese. E così, ubbidiente, andai avanti tutta la notte, esaudendo ogni sua più sfrenata libidine. Big Jack, fortunatamente, fu all'altezza, e io, da troia in cui mi ero trasformato, guadagnai i miei bei tre bigliettoni.
La lasciai all'alba, stanca ma soddisfatta. Uscii da casa sua, dalla sua reggia, con il gruzzolo che avevo pattuito. L'affitto era salvo. E ci veniva fuori anche una bella scorta di birra, il che non era male. L'aria fresca del mattino attenuò la puzza che mi portavo addosso, un misto fra fica, sperma e Chanel numero cinque. Era la puzza del mio compromesso per sopravvivere. Era la puzza dell'incontro fra miseria e nobiltà!

SINTONIA DI DUE ANIME di Elsie R Stone




Sono qui, dinanzi a te, dinanzi al tuo sguardo attento e indagatore, che osserva ogni mio piccolo movimento, ascolti ogni vibrazione del mio corpo e lentamente ti insinui nella mia mente, nella mia anima senza che io possa fare nulla. Resti immobile e mi scruti come un lupo che blocca la sua preda prima di divorarla e io fremo di piacere al sol pensiero di quello che mi farai, la mia pelle rabbrividisce mentre emetto dei piccoli sospiri che non sfuggono alla tua attenzione, la mia eccitazione cresce, insieme alla tua, la mia essenza brucia orgogliosa di quel magnetismo che ci accende, con i soli pensieri, senza toccarci....

PERCORSI di Sereno Notturno



Vorrei spedire una lettera ad un'ipotetica persona, ma dovrebbe fungere da madre, padre, sorella o fratello, suora confessore o ladro di verità, un primo amore dei sedici anni o chiunque voglia ascoltare.
Forse nemmeno questo, ma sarebbe troppo complicato anche per me che degli intrugli so arte e parte, vorrei capire talmente tanto, da scoppiare di verità udite.
Scorgere chi sbaglia o chi ha devotamente ragione, desiderio di continuare a trasgredire alle regole mai seguite, picchiare nel culo ad un passante e girare il dito come a dire "chi è stato".
In fondo io sono quello, che non può far stare col muso nemmeno chi non ha mai riso in vita sua, quello che tempo fa gli s'impose scherzando di prendere la porta e la scardinai portandola con me... Saper le risate... sono quello che pettinava i capelli dell'amico con il rastrello per farlo apparire più rude.
Poter essere talmente tante cose da non valere il tempo consumato, nella realtà mai consumato, ma vissuto, quello dei mille orari e delle volute certezze.
Tu chi sei per avermi attraversato la strada sulle strisce pedonali dell'anima, per aver sconfitto l'afa col sudore degli orgasmi, trovando semplice esporre il tuo piacere e farmene reso partecipe scorgendolo sulle tue cosce, mai sazia di possedermi ed io mai stanco di dare, anche quando passava l'attimo e si aspettava il prossimo sospiro.
Vorrei scrivere queste righe al vento, tenendo ben ferme le mani perché non volino nell'infinito colorato d'emozione e non restino solo parole scappate, scippate o vittime di refusi, vale la pena correggere ogni scritto e sottolineato con enfasi il suo perché, ma come riuscirci.
Si perdono attimi folate di vita per il solo pensare si possa o si debba cambiare, hai questa possibilità di scindere l'anima a quadretti colorati con tante caselle per ogni perché, fare qualcosa per non rendere arido un pensiero o secco un desiderio.
Stringere con foga la carne, fino a sentire piacevole dolore nell'entrare, perché quello rende vivo il benedetto sisma dell'anima, dove i fremiti si muovono in moto sussultorio e poi ondulatorio senza recar alcun danno ma lasciando morbido un solco di piacere.
Vorrei spedirla quella lettera e aver la percezione di leccarne i contorni sigillandone un'eccitazione e pensare che dall'altra parte non pensi sia la solita busta delle offerte del mese, ma puro piacere di lettura, lasciandone trasudare lo sperma inghiottito dove ancora se ne sentono i profumi.
Per poi trovare alla fine scritto, l'orario di chiusura è stato anticipato, per troppi desideri dell'anima.