sabato 31 maggio 2014

(( DONNA DIVERSA )) di Asianne Merisi




Lei... diversa quando il profumo l' avvolge
La musica arriva a riempire l'aria,
e un brivido inarrestabile che corre lontano
Lei .....guarda le parole e il silenzio,
con gelosia e sospetto,
senza però vedere tutto,nei pensieri nascosti
Lei.....Signora erotica, meravigliosa sirena
fatalità ammaliatrice
sentire la sua pelle fremere a contatto con la tua .....(uomo)
richiamando in coro ii sensi che appartengono a te..(uomo)
direttrice di orchestra della tua estasi.
Ossigeno imperante,brilla di pensieri,
amore erotico che assorbe passione.
Beato amante del suo cuore sei ....(uomo)
Lei.....bagnata da un sapore ricercato,
celata al mondo con tutto il suo creato.
È tua !....(uomo)
Come la rima che appartiene a questa poesia.
Appaga adesso questa voglia.
rendila quella coperta calda di passione,
guardandola ,cercandola, amandola
Lei.......che racconterà questa emozione.... al mondo.
Verso di te spingila, e cola l'amore che invasore lnvade il suo ventre
nello spazio temporale reale.
Gli appartieni.......ti appartiene
E una forza inarrestabile.... Lei.... ti pervade
e pelle trema, Incapace di sostenerla.
La forza ti travolge,in maniera prepotente.
La coscienza è superata, e spazzata via
da qualcosa di più grande la sua stessa esistenza.
l'aria attorno a voi diventa partecipe
Dopo l'amore un lungo abbraccio,grande
quanto una vita,racchiusa nel respiro
e poi un gesto semplice....lei chiusa nella tua camicia
che di te ancora prende amore..... e cerca il tuo sguardo perchè
Lei...... oggi e donna diversa
..oltre .

LE SOTTIGLIEZZE DELL'ARTE di Fabio Morici




Già varcando il portone della Questura , l' Ispettore Capo Walter Capelloni capì che non era giornata , che poi , questo cognome , lui che era calvo e quei pochi capelli che gli restavano se li faceva tagliare a zero , era sempre stato fonte di infinite motteggiature .
In compenso però , portava baffi e pizzetto , così , forse per compensare i perduti capelli.
Orbene , dicevamo , appena entrato , il piantone gli si fece incontro e gli disse che il signor Commissario lo voleva vedere. Subito !
"Un' altra rogna in vista" pensò fra di se, e girò l' angolo del corridoio per andare verso la macchinetta automatica , visto mai , che questo fosse migliore di quella risciacquatura di piatti che la moglie gli preparava spacciandolo per caffè ?
Indi , mogio mogio , trascinò la sua grossa persona verso il suo ufficio , aprì e vi trovò già dentro il Brigadiere Peluso , un amico , erano anni che oramai lavoravano insieme.
Appena lo vide anche Peluso gli disse che il Commissario Capo lo aveva cercato urgentemente ; 
- Vado subito - gli rispose Walter - meglio non farlo aspettare , che altrimenti son "augelli per diabetici".
Bussò delicatamente alla porta del capo ed aprì , senza neanche aspettare una voce di risposta.
- Vieni , vieni avanti , ti stavo aspettando - gli disse il capo - siediti pure , ti volevo parlare. Hai mai sentito parlare di tale Federico Piazzola ?
- Mah , veramente , non ricordo , ma il nome non mi è nuovo - rispose Walter.
- E' un famoso e discusso uomo d' affari , già più volte indagato , ma sempre assolto o prescritto. - gli rispose il Commissario Capo.
Poi , vedendo l' espressione dubitativa del suo sottoposto , continuò dicendo che il Piazzola in questione possedeva una grande villa nelle vicinanze della città e che quella notte vi era stato un furto, i ladri erano entrati eludendo i sistemi di allarme , poi avevano addormentato il custode con del gas soporifero ed avevano trafugato varie opere d' arte .
- Questo tizio deve essere ammanicatissimo , mi ha già chiamato il capo di gabinetto del ministro e poi il sottosegretario agli interni , per sollecitare le più approfondite indagini.
"Ed io , che c'entro?" si stava domandando fra se l' Ispettore Capo Walter Capelloni , quando il Commissario Capo gli aggiunse : - ho perciò deciso di affidarti il caso , datti subito da fare , la scientifica è già sul posto per i rilievi, tienimi sempre informato di tutto , Buon lavoro !
"Ecco" pensò Walter uscendo dall' ufficio "la patata bollente la rifila a me ! Ma tu guarda se uno , quasi sulla soglia della pensione , si deve ritrovare in simili rogne !"
Rientrò nel suo ufficio e disse a Peluso ; 
- Molla tutto , trova una macchina con un po' di benzina che dobbiamo partire subito !
Racimolata bene o male una vecchia Tipo , si volsero per raggiungere la villa insieme ad un autista alla guida.
Giunti che furono , trovarono la scientifica che se ne stava già andando , fermò un collega che conosceva di vista e gli chiese qualche ragguaglio. 
- Un lavoro da professionisti - disse subito lui - non abbiamo trovato nemmeno una impronta, disattivare l' impianto di allarme doppio non era facile , non mi stupirei se abbiano sempre usato dei passamontagna per eludere le varie telecamere che vi possono essere anche all' esterno della villa.
- Va bene , ti ringrazio molto , adesso vado ad interrogare il custode , ha proposito avete una lista , delle foto , qualche cosa delle opere rubate ?
- Tieni questo foglio , è tutto scritto qui - gli disse il collega tendendogli una busta .
L' interrogatorio del custode , come da previsione, non portò a nulla , però il tipo non lo convinse del tutto.
Tornato a casa per il pranzo , che fra una cosa e l' altra si era fatto tardi , meditava sul difficile caso , una ruga , forse più profonda delle altre gli deve aver attraversato la fronte , perché il figlio gli domandò : 
- Che ti succede Papà ?
- Ma niente - rispose lui - mi devo occupare di un furto di opere d' Arte , ma sinceramente brancoliamo nel buio , non so nemmeno che aspetto abbiano. Anzi - aggiunse dopo un po' - tu che stai sempre al computer , vedi se ti riesce di visualizzare qualcosa - e gli porse la lista .
Tempo nemmeno una mezz'ora  ed il figlio tornò con alcune stampe a colori.
- Ecco - disse - sono tre quadri abbastanza famosi , divisionisti russi ed un altro , ma sembra che quest' ultimo sia un falso accertato , anche se antico.
- Almeno adesso vedo di che cosa stiamo parlando , grazie figlio mio - e gli fece una carezza sulle spalle.
Rientrò in ufficio più rinfrancato e subito si mise al telefono per contattare le assicurazioni e sapere per quanto erano , se lo erano , assicurate le opere d' Arte , poi fece un altro gire di chiamate , ma dal suo cellulare, questa volta.
"Fortuna che ho i minuti gratis " pensò ed iniziò ha chiamare i suoi informatori abituali ed i più grossi ricettatori della zona, avvertendoli che questa volata il boccone era troppo grosso ed amaro e che , se avessero avuto qualche notizia , sarebbe stato nel loro stesso interesse informarlo subito.
Naturalmente , tutti giurarono e spergiurarono che , in caso , ma loro non facevano di queste cose , lo avrebbero subito informato .
Le assicurazioni gli fecero sapere che le tre opere principali erano coperte per grosse somme , mentre il falso solo per poche migliaia di euro.
Dopo un paio di giorni , improvvisamente , una svolta inaspettata nelle indagini , in una cittadina non troppo distante , viene ritrovato un furgone rubato con all' interno le tre opere principali che erano state rubate.
Naturalmente , grande soddisfazione da parte delle Autorità e della stampa , che non si stancava di sottolineare come la pressione degli inquirenti avesse spinto i malandrini ad abbandonare il bottino , sul fatto che ne manca una , il falso , la tesi più gettonata era che fosse stata buttata via quasi subito e chissà dove , dagli stessi ladri , una volta scoperto il loro errore.
Una felice conclusione , a quanto sembrava , ma Capelloni con ne era intimamente convinto , il suo istinto gli diceva di non fidarsi , tutto troppo semplice , troppo facile ! In questi casi vi è sempre un basista , e quello vuoi che non abbia informato i complici su cosa prendere e cosa no ?
Tornò a casa per ora di cena e subito chiese di suo figlio.
- E' in camera sua che ascolta la musica con le cuffie - gli rispose la moglie Daniela , mentre era intenta nel preparare la cena .
Entrò nella stanza del figlio e si sedette su di una seggiola , lui vistolo , spense la musica , si tolse le cuffie e gli domandò :
- Che succede Papà ?
- Ma niente figliolo - gli rispose lui - è che siccome mi sei stato molto utile con la tua passata ricerca , vorrei che tu mi aiutassi ad avere notizie più circostanziate di questa opera e gli porse l' immagine del falso.
Il figlio la guardò , pensò per alcuni secondi , poi gli rispose : 
- Faccio un ricerca , chiederò lumi agli amministratori di alcune pagine che parlano di Arte , ve ne sono taluni veramente preparati, vai pure a cena , io vi raggiungo fra poco.
Dopo una mezz'ora eccolo infatti giungere a tavola.
- Fatto - disse al padre - ora non ci resta che attendere , vedrai che per domani mattina ne sapremo di più .
Alle 6 del mattino dopo , Walter già smaniava per svegliare il suo pargolo , e solo le minacce della moglie , riuscirono a stento a trattenerlo fino alle 6.45 , ma poi non ce la fece a resistere oltre ed entrò nella stanza buia , alzando con forza la serranda , e beccandosi un bel vaffa al volo !
- Scusami Matteo - gli disse allora - ma è una cosa importante , tu lo capisci.
Mezzo addormentato ma rassegnato , il figlio accese il computer e gli disse:
- Ora vediamo le risposte - diede auna rapida scorsa e poi , improvvisamente si fece attento - leggi un pò , papà -  gli disse.
Walter lesse , sempre più avidamente e concitatamente e poi esclamò : 
-  TOMBOLA ! Stampami questa risposta , che devo correre subito in questura.
Prese i fogli al volo ed uscì di casa , mentre guidava ebbe l' ardire di telefonare al giudice istruttore e di chiedergli l' autorizzazione per effettuare delle intercettazioni telefoniche , poi , forte di quella concessione verbale , andò in questura ed organizzò il tutto , spiegando che poi sarebbero arrivate le pezze di appoggio ufficiali .
Fatto il tutto disse a Peluso 
- Dai accompagnami , si torna nella villa per parlare ancora con il custode .
Intanto che erano in auto , gli spiegò quello che aveva in mente e quale doveva essere il suo ruolo .
Il custode fu assai sorpreso di vederli arrivare di nuovo , ma non lo dette troppo a vedere , si scambiarono alcuni convenevoli , i due poliziotti fecero alcune domande , poi Capelloni disse quello che aveva veramente a cuore di dire , e cioè che le indagini , dopo il ritrovamento delle tre opere principali , erano praticamente concluse , e che si riteneva che il falso fosse andato disperso, forse gettato in qualche cassonetto dagli stessi banditi .
- Molto bene - disse Capelloni a Peluso , mentre in auto rientravano in città - l' esca l' abbiamo lanciata , ora vediamo se i pesci abboccano.
Mano a mano che le telefonate del custode venivano intercettate , finivano direttamente sulla sua scrivania , alcune sembravano interessanti , parlava con una donna con accento straniero , in modo abbastanza criptico e con fare assai concitato.
Ancora un paio di giorni e poi , la svolta , il custode si doveva incontrare con la donna e con un altro uomo .
- Benissimo , dobbiamo pedinarli e non perderli di vista un momento , intanto intercettate anche la donna !
Al momento opportuno tutto era pronto , due auto civetta attendevano per seguire il guardiano , alternandosi per non venire scoperte.
Il sospettato giunse alfine al suo appuntamento , lo aspettava una bella donna , bionda e assai giovane, vi era anche un uomo di mezza età ; parlarono fra di loro per alcuni secondi , poi si avviarono verso un furgone e fecero per salirvi.
- Blocchiamoli ! - ordinò Capelloni agli altri.
Le auto sgommarono , i lampeggiatori , fissati istantaneamente sui tetti lanciarono i loro ululati , con gran stridor di gomme le due auto si inchiodarono una dinnanzi ed una dietro il furgone !
Gli uomini balzarono fuori con le pistole in pugno , gridando 
- POLIZIA ! FERMI TUTTI !
- Aprite il furgone - ordinò Capelloni , e vide che esso era carico come di mobili , e legname vario .
- Scaricate tutto , voglio vedere bene pezzo per pezzo .
La sua intuizione si era rivelata giusta , fra tutte quelle cose , ben mimetizzata vi era la predella del '400 che veniva ritenuta un falso .
Ma quale falso d' Egitto , era autentica !
Si trattava della parte staccata di un dittico , un olio su tavola di Filippo Vanni , originariamente dipinto per una chiesa toscana e la cui parte mancante apparteneva ad un noto magnate e collezionista russo .
Era stato dunque un furto su commissione , la ragazza era servita per irretire il guardiano che era scapolo e renderlo complice del furto , certo sempre con un ricco premio in danaro finale .
Per fortuna che un critico lungimirante aveva notato questa appartenenza comune delle due parti distaccate e ne aveva scritto, il suo intervento era stato ripreso da altri e suo figlio lo aveva rintracciato.
Il caso poteva dirsi brillantemente risolto ; 
"Bene" pensò fra di se l' Ispettore Capo Walter Capelloni , "la pensione si avvicina !"

DI UOMINI E OMBRE di Alice Stregatta




Del giorno in cui caddero veli, maschere e sipari.
La scena si rivelò di cartapesta, il suggeritore nella botola ammutolì. Il copione prese fuoco, si distrusse per autocombustione. Immobile, mi guardai intorno. Il mio re, splendente come oro, spenti luci e riflettori del mio amore per lui, si rivelò un misero doppiogiochista. Un pusillanime impostore. Un burattinaio, ed io? Una marionetta, la bambola accondiscendente, adorante. Muta.
Passai dallo choc, alla rabbia, dalla paralisi ad una fuga a perdifiato.
Dietro le quinte, come ad aspettarmi, c'eri tu, col deserto emotivo che hai dentro. Il deserto emotivo che è la tua vita.
Ma dopo tutto quel gelo il calore che sembravi sprigionare mi attirò come ape su un fiore, profumatissimo e dal succoso nettare.
Il miraggio di palmeti e lussuriose attenzioni, di passione e di infinito racchiuso in ogni istante: tu, misterioso sultano. Un mondo sconosciuto. Ed io mi ci immersi. Profondamente, completamente, con fiducia. Donandomi a te, mente, corpo, cuore e anima. Tua.
Ben presto il paesaggio mutò anche lì... Aride distese, brulli scenari.
Palme di plastica.
Sabbie invitanti, sabbie mobili.
Lentamente inghiottita, son sprofondata inesorabilmente e con coscienza. Non mi sono agitata e dibattuta, talmente ero felice di far parte di te, pur annullandomi.
È solo quando mi son resa conto che il respiro mancava, sempre più spesso, sempre più a lungo... Mi son sentita soffocare, andare in apnea.
Il cuore perdeva battito dopo battito. Si è fermato... Per un lungo istante. Fermato.
Ti ho finalmente "visto". Scorpione dallo sguardo magnetico e dalla coda avvelenata.
Ho avuto la forza di estrarre un braccio dal caldo serrare della sabbia... Ti ho afferrato e ho stretto. Stretto forte. Forte quanto può essere il mio amore per te.
Ti sei sgretolato anche tu, mio magico sultano. Come il re.
Non siete che fumo negli occhi.
Non siete che cenere. Non vivete che di apparenze e brillate di luce riflessa.
Godete.
Godete, fino al giorno in cui cadranno veli, maschere e sipari.

FOTOROMANZO di Giuseppe Balsamo




Resto a guardare il soffitto, lo so che sto ridendo come un’ebete, non ci posso fare niente. Quel sorriso scemo mi resta stampato sul viso e so che non se ne andrà così presto.
Sono passati due giorni: mi sveglio al mattino, mi sbarbo, lavoro, mangio, mi alleno . Ad intervalli di circa trenta minuti, quando l’astinenza dalla nicotina mi ricorda che devo fumare la mia sigaretta, ritorno a quarantotto ore prima.
Non amo indossare abiti e cravatta, quella sera però sono obbligato. Mi allento il nodo e sbottono la camicia sul collo alla ricerca d’aria, mentre l’ascensore sale verso il sesto piano. Ho la camera 626, in fondo al corridoio, gioco con l’enorme portachiavi, finchè le porte scorrevoli si aprono.
Lei è appoggiata con la schiena al muro, in posa plastica, sembra una modella dei fotoromanzi degli anni ’70, con la gamba poggiata al muro e lo sguardo provocante. Indossa un abitino a fantasia floreale bianco e nero, appena mi vede arrossisce imbarazzata, facendo finta di niente. Ci metto un attimo a capire che era in posa per una strana fotografia, infatti poco distante c’è una sua amica che se la ride. Faccio finta di niente, passo fra le due, chiedendo permesso, raggiungo la mia stanza, riservandomi un’ultima occhiata prima di riuscire ad aprire la porta per poi richiudermela alle spalle. Nel corridoio le sento entrambe ridere, chissà a cosa sarebbe servita quella foto: immortalare un momento di vacanza, da mandare al fidanzato o all’amante, oppure le due erano fidanzate ed amanti.
Sorrido anche io, preparandomi per la notte. Mi è sempre piaciuto intrufolarmi nelle vite altrui, in questi momenti di intimità strappati, per poi cercare di fantasticare sulle situazioni. Forse perché son troppo timido ed a me cose strane ed avventure particolari non sono mai capitate. Spesso le ho sentite nei racconti di amici, con un po’ di invidia, ho sempre pensato che mi pigliassero in giro e che comunque a me non sarebbe mai successo.
La mattina dopo a colazione sono meno a disagio, non ho più il mio abitino formale, i Ray Ban coprono le mie consuete occhiaie, con i jeans e la felpa sono senz’altro a mio agio, uno come tanti che passa inosservato fra i tavoli apparecchiati per la colazione.
Anche lei non ha più il suo abitino ed indossa occhiali da sole alla moda, la riconosco subito, intenta a spalmare della marmellata su una fetta di pane tostato. Al tavolo c’è un uomo, forse è suo marito. Non so perché ma vado immediatamente a cercare la fede al dito, infatti la trovo, anche la modella anni ’70 ha la fede, sono senz’altro sposati.
Il mio tavolo è poco distante dal loro, mi accomodo in attesa che il cameriere mi versi il’ caffè all’americana. Niente espresso, quando sono all’estero evito, anche se probabilmente è buono. Mi limito ad un caffè, ad uno yogurt e dei cereali, il necessario da consentire di apprezzare la mia prima sigaretta.
Mi accorgo che mi sta guardando, cioè io la sto guardando e lei sta pensando : “Questo che cazzo vuole?”, oppure è lei che mi guarda ritornando alla sera precedente. Non lo so, fatto sta che ci guardiamo, insistentemente, ad intervalli di pochi secondi ci guardiamo, ci siamo entrambi tolti gli occhiali da sole per guardarci meglio.
Quella mattina non ci sorridiamo, non accenniamo ad un saluto, semplicemente i nostri occhi si incrociano, ci osserviamo, io non riesco a farne a meno, lei non so. Ormai sono due giorni che ci guardiamo, capita che la incrocio nella hall dell’albergo e non resistiamo alla tentazione, ci osserviamo a colazione ed a cena. A pranzo no, io non ci sono, chissà se tu invece sei al tavolo e mi cerchi con gli occhi, io lo farei.
Ci stiamo raccontando molte cose con gli occhi, so diverse cose di te. Conosco il nome di tuo marito, anzi so il cognome perché il cameriere lo saluta con deferenza chiamandolo per cognome e facendo precedere il dottor:” buongiorno dottor Carli”, “buona sera dottor Carli”, “ben tornato dottor Carli” . So per certo che è tuo marito, me ne accorgo da mille piccole cose. So anche il tuo nome: Asia, perché lui un paio di volte ti ha chiamato così. So che ti piace la frutta, mangi poco pane e ti piace il vino bianco. Mi piace come bevi il vino bianco, porti il calice alle labbra e ne bevi due piccoli sorsetti, resta sempre un ‘ombra di rossetto sul bicchiere. A colazione bevi solo il caffè, fumi anche tu, ti ho visto sulla porta dell’albergo ed una volta anche in tabaccheria all’uscita.
Chissà cosa pensi quando mi guardi, spesso ormai sorridi ed io ricambio. Io ti accarezzo con lo sguardo, non ti spoglio con gli occhi, son troppo timido, semplicemente ti accarezzo, ti faccio i complimenti per come sei vestita. Una volta ti ho tolto una briciola di pane dal labbro con lo sguardo. Sei un po’ pasticciona, sei a tratti disordinata. Chissà se tutto quello che penso è vero.
Ieri sera hai riso di gusto a qualcosa che ti ha detto tuo marito, poi mi hai guardato, quasi sentendoti in colpa per avermi escluso da quella situazione. Forse sono io che immagino tutto.
Conosco la tua voce, ma non ci siamo mai parlati. Quello che conosco meglio è il tuo sguardo ed un tuo segreto, chissà se quella foto era un tuo segreto, forse no, ma mi piace pensarlo. Mi piace pensare di essere in possesso di un tuo segreto, di essere tuo complice.
I nostri sguardi ed i nostri sorrisi sono complici di qualcosa che ancora non conosciamo.
Mi sta esplodendo il cuore nel petto, spero di non darlo a vedere, sei qui vicino a me ad aspettare l’ascensore. Non so che cazzo dirti, cioè vorrei parlarti, ma mi è uscito un saluto stentato.
Non mi stai nemmeno sorridendo, io non riesco a sorriderti, sono impietrito.
Adesso conosco anche il tuo odore, hai un buon odore, di erba appena tagliata, l’ascensore ci sta mettendo un tempo infinito per salire al nostro piano.
Ci guardiamo in attesa, senza proferire parole, sento solo il mio respiro che rimbomba. Come fai ad essere così tranquilla!!
Finalmente il campanello dell’arrivo al piano, le porte scorrevoli che si aprono, spezzano quel silenzio imbarazzante, sono proprio un coglione. Avvilito ti cedo il passo, guardando che vai nella tua camera, ad appena due porte dalla mia.
So che sei sola, tuo marito a cena non c’era, avrei potuto parlarti, avrei dovuto bere qualcosa con te.
Mi lanci un ultimo sguardo prima di aprire la porta, un sorriso, forse è il tuo bacio della buona notte.
Mentre vado verso la mia camera, noto che hai lasciato la porta socchiusa, non hai acceso la luce. Respiro forte, non so dove trovo il coraggio per fare quello che sto per fare.
So pensando di dire qualcosa, un: “permesso, tutto bene?”, ma le parole sono bloccate, non ci riesco.
Lentamente apro la porta e seguo il buio ed il tuo odore.
Improvvisamente sento la tua mano calda sull’avambraccio mi trascini in quello che sto aspettando da giorni. Questa volta non ci sono i nostri sguardi, non ci sono i sorrisi, ma la tua bocca tiepida ed umida.
Nel buio cerco il tuo corpo, mi sazio dei tuoi baci inattesi.
Sei contro la porta del bagno, contro un muro, non lo so. So solo che mi sto riempiendo le mani di te.
Sollevo il lembo del vestitino a fantasia floreale, chissà perché stasera lo indossi, indugio sulle tue cosce, sulle tue natiche mentre le tue labbra impazzite mi mordono il collo.
Ti immagino in quella posa a tratti erotica, da fotoromanzo, mentre ti sollevo una coscia e spingo il mio ventre contro il tuo, mi struscio e ti faccio sentire quanto sono eccitato.
La tua mano cerca il mio sesso, lo impugna, sapientemente lo massaggia, mentre io esploro la tua fica, scostando il pizzo prezioso del tuo intimo.
Ti voglio così: in piedi, tu lo sai e lo hai sempre saputo.
Mi guidi dentro di te ed i miei affondi ti sollevano, lasciando il tuo collo alla mercè dei miei morsi.
Ti stringo un seno, sentendo il capezzolo duro sul palmo. Ti sollevo una coscia perché voglio entrare dentro di te finchè riesco.
“Sbattimi, scopami” ansimi mentre eseguo i tuoi comandi.
Godi nelle mie orecchie ed all’unisono ti vengo dentro, lasciando colare il mio seme tra le tue cosce.
Ti accasci sul mio collo ed io ansimo tra i tuoi capelli setosi e profumati, neri come il buio della notte.
In una notte ho imparato molte cose di te, alcuni sguardi ed alcuni sorrisi non mentono. Ora so come ti piace essere presa, non sei di porcellana, sei stata mia.
Aspetto che tu sia addormentata, faccio andare le mie dita sulla tua pelle ed in silenzio mi rivesto, tuo marito potrebbe tornare.
Sono passate quarantotto ore da quella notte, rileggo il tuo messaggio:”Non dovresti dettare il tuo numero ad alta voce quando ricarichi in tabaccheria”, guardo quella foto, chissà per chi era: sei bella, sembri una modella dei fotoromanzi.
Sono passate quarantotto ore e compongo il tuo numero.

BUONGIORNO! di Alice Stregatta




Rasoio, sapone da barba, pennello... È tempo di prendersi cura di te, tesoro. Immergo il pennello nella ciotolina d'acqua tiepida, lo faccio roteare nell'elegante scatoletta beige. 
La schiuma densa e corposa prende a gonfiarsi, sprigionando aroma di mandorla amara.
Allargo le cosce seduta sul bidet, il solleticare delle setole mi procura sensazioni piacevoli. 
Specchio in una mano, bilama nell'altra, inizio a rasarti con cura.
Liscia, morbida, profumata. Cicciottina...
Ammiro il mio lavoro: stai proprio bene così! Mi coccolo, pensando a te, giro il pennello, lo infilo nella figa, umida di crema e bagnata di te... Immagino sua uno dei tuoi giochini vibranti, godo della sensazione di pienezza, della consistente rotondità del legno. Lo muovo, su giù in tondo... 
Vengo, per te.
Afferro l'inseparabile iPhone, scatto una foto... Apro Whatsapp... seleziona immagine... Invia...
Buongiorno, amore.
Noi pensiamo a te!

VITA di Fiona Miller




Sarà sempre sconosciuta la vita perchè è una variabile e mai una costante, anche quando pensiamo che sia tutto a posto essa contiene un senso d'inadeguatezza che ci spinge a volere altro...ma quando e' la vita stessa a parlare le parole si sbriciolano inesorabilmente dentro il confine del loro stesso limite..Una traccia che rimane li' a descrivere sentimenti che sono fatti di vento...

MI MANCHI di Alice Stregatta




Scende la sera, calano le tenebre e la malinconia. Mi assalgono i ricordi.
Mi avvolgo in una coltre intessuta di desideri mai esauditi e sogni perduti.
Sarebbe bastato così poco... Per rendere la scintilla di alchimia e desiderio che era scoccata tra di noi un fuoco di passione.
A cui scaldarsi attraverso un sorriso, una carezza. Un bacio fugace.
Tempo rubato al quotidiano.
Nulla avrebbe sottratto alle rispettive realtà, ma aggiunto rassicurante presenza. 
Mano nella mano, annullando tempo e spazio.
Colmando distanze e circostanze.
Condividendo emozioni.
Avremmo potuto dar vita ad una forma d'amore, solo nostra.
Creazione.
Saremmo stati felici...
Ma... Se... Puntini sulle i.
Obiezioni. Contestazioni.
Distruzioni.
L'incanto spezzato.
Oblìo.
Dissolvenza.
Fine.

LA VESTALE di Allie Walker




I PARTE

La storia tra me e Marco iniziò qualche mese fa, anche se in realtà lo conobbi due anni prima, quando di sfuggita lo incrociai alla stazione di Milano.
Ero da una mia amica, che mi ospitava per qualche giorno, con lo scopo di conoscere qualche “personaggio” di un ambiente che non si frequenta tutti i giorni, soprattutto in un paesino piccolo come il mio. Feticisti e sadomasochisti, che anche nelle città più grandi sono tenuti ai margini della società, in un paese, dove ci si conosce tutti, sono per forza costretti a rimanere nascosti negli ambienti casalinghi o, al limite, frequentare locali a tema. Approfittavo dei momenti in cui ero fuori dalla quotidianità per coltivare quella mia mania, o vizietto come volete chiamarlo, per fare esperienze alquanto fuori dall’ordinario e straordinariamente perverse. Niente di così malato e travolgente, ma erano situazioni sempre molto intriganti e appaganti dal punto di vista sessuale e feticista.
Fu un incontro fugace il nostro, una stretta di mano fuori la stazione e poi lui, ligio al dovere, corse via al lavoro. Da quel momento lì non c’eravamo più visti.
Leggevo di lui attraverso facebook e vedevo che aveva una relazione con una donna che si dichiarava schiava. Vivevano la loro storia intensamente, a giudicare dai loro scambi di post, battute e commenti, e sorridevo ai cuoricini rosa che si scambiavano. Che fosse solo una facciata, magari per darsi un tono maggiore nei confronti degli altri? Perché ormai è quasi scontato, la gente è strana e sui social di stranezze ne passano tante. Io questo non lo so e non potevo sapere con certezza che cosa c'era fra di loro. Non è che me ne facessi una malattia il voler sapere a tutti i costi, a me, quello che succedeva sul social del momento, passava tutto molto di striscio e continuavo la mia vita alla ricerca dell’altro nella vita reale, di quello che mi avrebbe fatto stare bene sessualmente e sentimentalmente. Ricerca non sempre felice, ma si sa... tutte le ciambelle non riescono con il buco.
Poi il destino ci mise lo zampino. Lo scorso anno, attraverso altre amicizie, potei rivedere Marco e frequentarlo saltuariamente assieme ad altri conoscenti. Era ancora impegnato con la stessa donna e io avevo ben altri pensieri per la testa.
Apprendere, nel frattempo, che lui in realtà era anche una lei, mi incuriosì a tal punto che cercai di immaginarlo con una gonna corta, delle calze a rete e scarpe con tacchi vertiginosi.
Mi rimaneva difficile pensarlo in quella maniera, ma dopo aver visto alcune fotografie delle sue gambe, sottilmente velate con delle calze elegantissime e magistralmente ripreso in una posa molto femminile, mi fece ripensare alla figura dei trav. Cercavo di comprendere, soprattutto, il motivo del travestimento e della femminilizzazione. Era tutto molto distante dal mio mondo e non capivo, di certo c’era una sola cosa: la differenza tra lui e l’immagine di lui trasformata in lei, lasciava a bocca aperta.
Scoprii anche che Marco faceva la Mistress Trav da diversi anni, che frequentava locali e feste ed era molto conosciuto/a. Sentire dalla sua voce le sue esperienze fu illuminante e molto eccitante. Pensai, in quel momento, a come sarebbe stato fare sesso con un Trav e la mia intimità ebbe un moto istintivo di vita propria. Cominciare a sentirci telefonicamente fu il passo più breve e naturale verso un qualcosa che si stava muovendo tra noi. Un qualcosa a cui mai avrei pensato e che non riconobbi, perché pensavo a lui solo e soltanto come amico.
Le nostre conversazioni erano incentrate quasi sempre sulla nostra passione comune della dominazione. Mi piaceva sentirlo parlare del suo modo di dominare, sia in versione maschile che femminile. La cosa mi affascinava, mi incuriosiva e mi intrigava, ma non vi erano interessi sessuali tra di noi. Due amici che si conoscono da tempo non avrebbero potuto avere più argomenti in comune di noi due e più naturalezza nel conversare.
Una sera, Marco capitò a Milano. Sapendo che anche io ero li, mi invitò a una sessione comune in cui c’era anche la sua donna. Accettai. Incuriosita da una situazione a tre, che avevo vissuto poche volte, mai assieme ad un altro dominante, mi preparai con semplicità e, aperta a tutte le sensazioni che da quella serata imprevista sarebbero arrivate, arrivai all’indirizzo che mi aveva passato per sms con un sorriso stampato sulle labbra dipinte generosamente.
Quando vidi Marco in versione Laura rimasi felicemente impressionata. Indossava un abito nero al ginocchio, con una generosa scollatura dalla quale si intravedeva il pizzo di un reggiseno, una parrucca castana dai morbidi riccioli che le cadevano graziosamente sulle spalle, molto naturale, e delle calze velatissime con la riga, di quelle che “attizzano” anche i morti. La cosa che mi colpì particolarmente furono le scarpe: delle decoltè di pelle lucida dal tacco vertiginoso. Il suo incedere avrebbe fatto invidia anche alla femmina più felina ed elegante dell’universo. Insomma, un bel colpo d’occhio.
Tra me e Laura fu empatia all’ennesima potenza, e fu una serata all’insegna del sadismo e di emozioni continue. La schiava, la sua donna, mi sembrò contenta, appagata e orgogliosa di aver ricevuto le nostre attenzioni. Lo scudiscio aveva segnato la sua pelle in maniera estrema forse, ma i mugolii e i lamenti della stessa ci mandavano segnali diversi. La sua donna godeva come una troia e in alcuni momenti implorava i nostri colpi e le nostre mani. Non ci fu sesso tra noi, ma l'eccitazione era tangibile. Rimanere a fine serata distesi tutti e tre sul lettone con le mani che si cercavano fu istintivo, un momento denso di emozioni contrastanti.
Nei giorni successivi cercai di pensarci il meno possibile, ma la figura di Laura con lo scudiscio in mano era ben impressa nella mente. E ben impresso era anche l'aver dato libero sfogo al mio sadismo, cosa che ultimamente avevo fatto di rado.
Pochi giorni dopo appresi che Marco aveva mollato la sua donna. Lui era triste, molto provato da quella decisione. Mi disse che non poteva vivere ancora con una persona che pretendeva di decidere la sua vita, quello che doveva o non doveva fare, o dire, o, addirittura, pensare. Le nostre conversazioni, passato il primo lieve imbarazzo per una relazione finita, tornarono come prima, non era cambiato nulla tra noi: due amici che si confrontavano e si confidavano su qualsiasi cosa. Era sempre molto disponibile con me, pronto ad aiutarmi e a parlare di qualsiasi cosa. Non passava giorno senza salutarci, o scambiare qualche chiacchiera o pettegolezzo. E fu semplice addentrarci in argomenti sempre più intimi.
Conversava con me molto amabilmente, a volte era estremamente serio, ma spesso sottilmente ironico e mi spiazzava continuamente. Quando mi parlò del suo essere donna, mistress trav, mi confdò che adorava sottomettere gli uomini, torturarli fino all'estremo e godeva delle loro suppliche; amava, inoltre, sottomettere le donne con dolcezza, nonostante in entrambi i casi desse libero sfogo al suo sadismo... cosa di cui non poteva fare a meno. Non aveva mai avuto rapporti con uomini, mai nessuno l'aveva convinto a tal punto da cedere la sua verginità in quel senso, ma con la sua donna aveva sperimentato il sesso passivo e ne era stato piacevolmente eccitato e soddisfatto. Quella sera rimanemmo svegli fino a notte fonda a parlare e a confidarci le nostre perversioni. E la sottile eccitazione che pervadeva il mio corpo stava prendendo campo.
Non mi addormentai subito, quella notte. Rimasi a pensare a lungo alla sua immagine, a Laura anzichè a Marco, mentre il ventre si scaldava e la figa si contraeva. Dovevo placare quel desiderio. Infilai le mani sotto il perizoma e toccai il clitoride, già gonfio e teso. Le dita si mossero subito abili e veloci, mi inarcavo accompagnando il ritmo e pensai a quanto mi sarebbe piaciuto essere scopata da Laura. L'orgasmo che mi scosse poco dopo si accompagnò al liquido che sentii colarmi tra le pieghe della figa, fino a raggiungere il culo e inumidire le lenzuola. Raccolsi con i polpastrelli gli umori e me li portai al naso. Annusare il mio odore fu inebriante. Poi assapporai le dita chiudendo gli occhi, pensando di leccare il cazzo di Laura. Mi eccitai di nuovo, i capezzoli si inturgidirono, li strinsi tra le dita torturandomi. Il dolore mi eccitava quanto il masturbarmi, il pensare a lei mi accendeva e di nuovo mi intrufolai tra le labbra a toccarmi e a sfiorarmi e a stringere fra le dita il clitoride e a godere di nuovo delle mie mani. Finalmente appagata mi girai su un fianco e mi addormentai pensando al domani, cosa che non facevo mai. Il domani non mi interessava, amavo vivere gli istanti, la giornata e il futuro per me non esisteva. Quella notte, invece, tornava nel mio esistere, nella mia vita che consideravo vuota, anche un domani.
La mattina dopo mi precipitai al computer, ero impaziente di vedere quel pallino verde che mi diceva che Marco era on line. Mi tremavano le mani, scrivevo e per l'emozione facevo continui errori. Chiacchierare con Marco e pensare a Laura mi fece chiudere tutto il resto del mondo fuori. Qualcosa era cambiato tra noi, non solo in me e più passava il tempo e più mi sentivo coinvolta, come ipnotizzata da quella figura così ambigua. La conferma del cambiamento mi arrivò chiara e limpida il giorno dopo al telefono. La decisione di vederci fu di una semplicità unica e il bisogno di guardarci negli occhi era palpabile quanto il desiderio di approfondire la conoscenza reciproca, pelle su pelle . Lei mi disse: "voglio provare a viverti".
Ci saremmo viste quindici giorni dopo. Giorni che passarono tra il desiderio reciproco e la complicità, e una mente diabolica come la mia che stuzzicava le voglie di lei, che ora chiamo la Mia Laura. Avevo voglia di farla mia, voglia di respirarla, di annusare la sua pelle e colmarmi della sua essenza. Parole e pensieri che ai più sarebbero sicuramente risultate banali e scontate, ma nella mia mente e nei miei pensieri colmavano il mio tempo, gli attimi che si susseguivano veloci ma sempre troppo lenti in quell’attesa che ci vedeva complici e perverse. Inutile dire che in privato Laura si trasformava in un troia lussuriosa.
E mi venne in mente di giocare un po’ con lei fino al giorno del nostro appuntamento.
Il primo giorno le dissi di scegliere dal suo guardaroba un paio di calze nuove, di indossarle durante la notte e poi di riporle il mattino dopo in una scatola, che avrebbe messo a mia disposizione il giorno del nostro appuntamento, assieme ad altre cose che le avrei indicato nei giorni a venire.
Il secondo giorno dovette inviarmi un sms a un orario prestabilito, descrivendomi le calze del giorno prima e indicandomi l’indumento a sua scelta che avrebbe riposto nella scatola. Laura era notevolmente incuriosita da quel gioco intrigante, tanto da chiedermi continue informazioni su cosa sarebbe accaduto quando ci saremmo viste. Così le chiesi di scrivere su un foglio che cosa secondo lei sarebbe accaduto quel giorno, di sigillarlo in una busta e sistemarlo assieme alle altre cose nella “scatola delle meraviglie”.
Certa che non avrebbe mai indovinato il finale che mi passava per la testa, mi stavo divertendo come una pazza, perché la sentivo sempre più coinvolta ed eccitata. Sorridevo di continuo, tanto che al lavoro qualcuno se ne accorse e me lo fece notare: “Hai per caso incontrato l’uomo della tua vita?” Mi chiese il capoufficio. Mi feci una grassa risata e lui scrollò la testa tornando dietro le vetrate del suo ufficio. Ma sapevo io perché ridevo. Forse non avevo incontrato l’uomo della mia vita, ma sicuramente una persona completamente diversa dall’ordinario. E a me piaceva immensamente vivere fuori dagli schemi.
Il terzo giorno la lasciai cuocere nel suo brodo, senza indicargli nulla da inserire nella scatola e cercavo di portare la conversazione fuori dall’argomento “incontro”.
Sentivo, però, che anche lei stava tramando qualcosa e cercavo di non lasciarmi coinvolgere in quel gioco di nascondersi e progettare. A un certo punto mi sembrò di essere entrata in competizione con Laura, ma non era così. Era, piuttosto, una “lotta” a tenere alta l’eccitazione, che scemava solo nei momenti in cui entrambe eravamo coinvolte nei nostri lavori, nella quotidianità.
Il quarto giorno le chiesi di indossare una minigonna di pelle, il quinto un reggiseno e poi un corsetto. E nei giorni successivi le chiesi di mettere nella scatola altre cose utili, come del maquillage e una parrucca castana.
E finalmente arrivò il giorno dell’incontro. Milano come sempre caotica. La giornata particolarmente afosa. Grondavo sudore, un po’ per il caldo ma anche per l’eccitazione. Fuori la stazione salii su un taxi e mi feci portare dove lavorava Marco. Lui era lì ad attendermi, fuori dal portone, sorridente. Pagai e scesi velocemente dal taxi, precipitandomi immediatamente tra le braccia di Marco. Le sue braccia mi strinsero forte e mi diede un bacio, leggero, come se avesse paura di andare troppo oltre e poi non riuscire a trovare la via del ritorno… per strada e di fronte al suo ufficio dovevamo contenere le nostre voglie.
Ci sedemmo per qualche minuto fuori da un bar nelle vicinanze e ci servirono un aperitivo. Poi lui mi diede le chiavi del suo appartamento e mi chiamò un taxi.
Al riparo dal caldo, nel suo appartamento con il condizionatore che funzionava alla perfezione, misi il naso tra le sue cose. Era più un orizzontarmi tra quattro mura che non avevo mai visto e in realtà cercavo di mettermi a mio agio prima che lui fosse tornato dal lavoro. Decisi di fare una doccia per rilassarmi e lavare via il caldo del viaggio.
Tuttavia, dopo essermi tolta di dosso abiti e sudore, ero in ansia. Avevo davanti ai miei occhi la scena di quando sarebbe rientrato e mi buttai sul letto. Volevo che tutto fosse perfetto. Su uno dei comodini la scatola con gli indumenti che Marco mi aveva descritto. Una scatola di cartone nera chiusa con degli elastici. Non l’aprii, volevo farlo assieme a lui e volevo che fosse lui a porgermi le sue cose per trasformarla in Laura. Il tempo passò in fretta e mi resi conto che Marco sarebbe arrivato di lì a poco.
Sorrisi e mi avvolsi con le sue lenzuola.

I PERCHE' E I PERCOME... di Alice Stregatta




Le emozioni non si spiegano.
E io non mi piego alla razionità.
Hanno tutti ragione quando dicono che questa non-storia non è reale, che non te ne importa nulla di me. Che tra di noi non c'è niente. Una sfilza di "non" che non finisce più. Come non finisce questo mio pensarti, non smetto di amarti. Di esserci per te. E tu in me.
Semplicemente, non ci spero più. A un noi.
Tutto vero, tutto giusto, tutto fila.
Ma se solo tu, solo l'idea di te mi colma di passione e tenerezza, cosa ci posso fare? 
Me la vivo, in perfetta solitudine. Ti tengo per mano, ti porto ovunque,con me... In me.
Comunque, non sarei pronta a far spazio. Comunque, non c'è posto.
Nella mia vita, nel mio cuore, nella mia mente.
Perchè io sono piena di te.
Piena di se.
Senza neanche un forse, un magari, un però.
Ho solo un perchè.
Perchè no?

SVELTINA di Alice Stregatta




Immagino. Te su di me.
Il tuo respiro sul collo, eloquenti silenzi. Occhi negli occhi.
Poi.
Giù, sul prato. Addosso. Mi spogli, giusto un po'. Giù gli slip.
Mi tieni saldamente, mani sui polsi... Il cuore che pulsa, lo senti da lì.
Dio come batte quando mi sei vicino sopra dentro... Dentro.
Si. Zitta. Solo ansimi e gemiti.
Zitta. Non parlare, godi. Mugula. Cagna.
Ferma, non ti muovere. Ferma.
Girati. Apriti.
Accoglimi.
Prendimi...
Rivestiti.
Abbracciami.

RANDAGIO di Andrea Lagrein




Sky era un bastardo. Non so chi gli avesse affibbiato quel nome, però rendeva bene l'idea. Aveva due occhi azzurri come il cielo, un cielo freddo, un cielo d'acciaio. Perché lui era un bastardo, un meticcio, un incrocio di moltitudini di razze. Sky era un randagio, senza dimora, senza padrone. E io lo adoravo!
Non lo si vedeva per intere settimane. Poi, d'improvviso, eccolo spuntare, sempre guardingo, sempre all'erta. Non si seppe mai di chi fosse. Ma la cosa in fondo non aveva gran che importanza. Lui era il re incontrastato del quartiere, terrore dei bambini, fastidio per gli ambulanti nei giorni di mercato.
Sky sapeva sempre dove guadagnarsi del cibo. E quando non riusciva a rubarlo, eccolo far gli occhi dolci e lamentosi per elemosinare una pagnotta o un pezzetto di prosciutto. Dannato figlio di puttana! Riusciva sempre, in un modo o nell'altro, a cadere in piedi!
Non si faceva mai avvicinare, se non era lui a deciderlo. Ringhiava mostrando i denti e la gente girava alla larga, imprecando e maledicendo quella bestiaccia. Io ero uno dei pochi eletti a cui concedesse l'onore di una carezza. Forse, fissandoci negli occhi, ci eravamo riconosciuti come appartenenti alla stessa razza. Diseredati, falliti, randagi per l'appunto.
Quanto al sesso, poi, sapeva sempre il fatto suo. "Brutto bastardo!" sogghignai divertito. "Fotti di sfuggita, rubando piacere in clandestinità. E chi mai vorrebbe far accoppiare la propria cara cagnolina con un ramingo della tua specie?"
Un pomeriggio, mentre oziavo su una panchina di un parchetto della zona, lo vidi sfrecciare lungo il prato puntando una cagna che, ignara, scodinzolava beatamente. Udii la padrona urlare allarmata. Ma ormai era troppo tardi. Sky era piombato come un bandito sulla sua preda e si stava già godendo il proprio piacere. Sì, risi proprio di gusto nel vederlo fottere con brutalità quella signorina dal pedigree illibato!
Sky era fatto così. Non chiedeva. Prendeva! E in lui, io, mi ci rivedevo. Esuli senza fissa dimora, senza scopo né obiettivo, reietti della buona società, senza guinzagli nè collari, sempre a rischio di morir di fame ma con il cielo negli occhi. Sky era fatto così. Ed io uguale a lui!
Una sera di nubifragio estivo, mentre correvo a casa ormai zuppo e fradicio, lo vidi immobile sdraiato fra un cumulo di immondizie. Mi avvicinai cauto. Non si mosse. Mi bastò un occhiata per capire immediatamente. Mi sedetti vicino a lui, incurante degli scrosci che ci frustavano violenti. In certe occasioni, una mano amica vale più di ogni altra cosa.
Lui sollevò gli occhi per fissarmi. Gli sorrisi dolcemente. 
"E' finita, vecchio mio! Ti hanno conciato per le feste. E adesso è giunta la tua ora!"
Perdeva sangue da numerose ferite. Qualcuno del vicinato, evidentemente stanco delle sue scorribande, aveva deciso di porre fine al suo dominio. Forse dei bastoni, forse delle mazze, sicuramente calci e cinghiate, avevano piegato il mio indomito amico.
Nei suoi occhi vidi un ultimo lampo di comprensione. No, non ci sono funerali per tipi come noi. E nemmeno omelie o prediche strappa lacrime. Fottuto randagio! Hai vissuto in solitudine. In solitudine morirai.
Chiuse gli occhi ed emise un ultimo sospiro. Lo presi fra le mie braccia e lo abbracciai. Lo strinsi a me con delicatezza, come si fa con un vecchio amico che sta per partire verso luoghi lontani.
Era il minimo che potessi fare per lui, per quel vagabondo senza casa né padrone. Lo abbracciai e piansi. E queste lacrime son per te, brutto bastardo!

PENSIERO FISSO di Alice Stregatta




Lacrime lente ruzzolando si rincorrono dissetando la mia sete di te. 
Goccia a goccia, le lecco una ad una, senza lasciarne scappare alcuna, perchè anche lì dentro ci sei tu.
Salato amore mio.
Stillicidio costante, tormento ed estasi. Assenza invadente, silenzio tonante, tempesta battente.
Sorrisi fulminei, rabbia improvvisa, carezza furtiva, gesto imprevisto, ricordo improvviso.
Struggersi senza distruggersi.
Sfido me stessa.
Fino al prossimo barlume di lucidità, via, ti scaccio: malvagio.
Lasciami immersa in questo mondo sospeso.
Chiudo gli occhi. Sei qui.
Chiudi gli occhi. Sono lì.

mercoledì 28 maggio 2014

NOTTE DI LUNA PIENA di Giovanna Gianna Dandini




Il bosco fà paura ,
rami scossi dal vento ,
cammino pesante ,
ogni passo è scricchiolio sotto di te ,
timorosi insicuri in una terra non mia .
Sei qui straniero , curioso di vivere .
Il tuo respiro si calma ,dopo la corsa ,
senti l'odore del muschio ,
la natura intorno a te
come vergine intatta lasciata dagli indigeni
musica , rompe il silenzio irreale ,
magiche danzano le fiamme di un falò acceso
sei lì , gli occhi brlllano ,
scrutano, i movimenti seguono .
Corpi appetibili ,
gettano ombre fugaci
ti sazi di carne ,
pronto a sfoderare il tuo attacco afferri la preda ,
è tra le tue fauci, splendido esemplare,
argenteo manto sotto la luna piena
acuminati denti bianchissimi  afferrano il corpo ,
la guardi l'annusi , lasci e vai via
non puoi uccidere , lasci la tua ombra . LUPO

UN AVIATORE RACCONTA di Fabio Morici




- Ma venga , venga avanti , caro tenente , via ! Non faccia il timido , questa sera è Lei, l' ospite d' onore in questo mio ricevimento.
Così parlando la duchessa di R. ecc. y ecc. y ecc. ecc. discendente dei Grandi Spagna , prese sottobraccio il giovane e lo trascinò verso un gruppo di donne che stavano chiacchierando fra di loro .
- Permetta , mio caro, che le presenti Dona A. marchesa di S. ecc. y ecc. ecc, e la di lei nipote , la senorita C. - disse , indicandolo ad una vecchia incartapecorita ed a una ragazza giovane , si , ma non troppo carina , per i suoi gusti .
La carnagione olivastra , segno indiscutibile che la dominazione moresca non era stata del tutto vana , il forte naso aquilino, quasi asburgico , il viso assai affilato , tutto l' insieme non gli parvero poi così entusiasmante , anche se i gioielli che indossava , potevano reggere benissimo il confronto con quello delle due anziane matrone .
- Via, ci racconti , dalla sua viva voce , come sono andate le cose , lei è oggi l' Eroe del momento , tutti i giornali non fanno che parlarne .
- Mi consenta di presentarmi - disse allora oramai rassegnato il giovane - mi chiamo Ovidio Belcanto ( nome chiaramente falso ed inventato , adottato in onore dei suoi studi classici, come tutti, del resto, quelli dei membri dell' Aviazione Legionaria  che il Regime voleva si  aiutare il generale Franco ed i golpisti , ma cercando di salvare le apparenze ) - e sono tenente pilota di aerei da caccia.
Un gridolino di ammirazione sfuggì dalle labbra della ragazza, la quale subito si ricompose , dietro lo scudo del suo ventaglio.
- Via , via , non si faccia pregare - disse la marchesa di S. - ci racconti tutto per filo e per segno !
- Dunque - disse lui schiarendosi un attimo la voce - saprete Voi tutte , che è in corso una offensiva contro Madrid  
- Ma certo - risposero quasi in coro le tre dame .
- Sfonderemo presto , non è vero tenente ? -  chiese con voce speranzosa la duchessa di R. - Ma sa cosa ho sentito , ultimamente ? Sembra che ci sia una esaltata , una bolscevica , una nemica di Dio , che ha dichiarato che non ce la faremo , che saremo fermati al grido di NO PASARAN !
Pronunciò queste parole con un odio profondo , che tutti avvertirono , e che tutti sapevano bene che era determinato anche , se non soprattutto, dal fatto che gli immensi latifondi di sua proprietà si trovavano in gran parte nella zona controllata dalla Repubblica , e che le erano stati confiscati senza indennizzo perché le terre potessero essere distribuite fra i contadini poveri. Una bestemmia , ai suoi occhi !
- Questo non glielo so dire - rispose lui, poi per alleviare il senso di delusione che traspariva dal volto della nobildonna , aggiunse - noi stiamo facendo del nostro meglio.
Vistala rinfrancata , proseguì . - Nelle ultime settimane l' Aviazione Repubblicana ha ricevuto numerosi e moderni aerei dall' Unione Sovietica - un bisbiglio di disapprovazione serpeggiò nell' aria - sono aerei moderni , molto veloci e ben armati , l'unico nostro vantaggio è che i piloti non sono ancora molto ben addestrati . (ma lo saranno ben presto , pensò fra di se )
Ordunque ci eravamo alzati in volo su allarme , in quanto era stato segnalato al nostro comando una grossa formazione di bombardieri Tupolef SB2 , meglio conosciuti come "Katiuscia", scortati da numerosi caccia Polikarpof I-16, i famosi " Rata" .
Un preoccupato cenno di assenso della duchessa gli fece capire che erano al corrente , continuò perciò dicendo - sapendo che i russi amano volare ad alte quote e la loro caccia ancora più in alto , io ed i miei due gregari ci siamo portati , su mio ordine , molto in alto , più in alto di loro , e non è stato facile , con l' abitacolo aperto , mentre i Rata lo anno chiuso , ma tantè , il nostro caccia , il Fiat CR32 è davvero un grande aereo !
Come le stavo dicendo , Vostra Grazia , ci siamo arrampicati ad una notevole quota ed ad un certo punto vedo sotto di noi i caccia nemici, dei bombardieri , ancora nessuna traccia , ma non dubitavo che essi fossero ad una quota ancora inferiore .
Segnalo ai miei uomini, a gesti , poiché la radio non è presente , i loro obbiettivi , e via , in picchiata !
Piombo come un falco sulla preda , scendo da dietro , non mi avevano nemmeno visto , armo la coppia delle mie mitragliatrici pesanti calibro 12,7 mm e giunto ad una distanza che reputo giusta , apro il fuoco contro gli impennaggi di coda, un paio di buone raffiche ben aggiustate e il Rata con il timone di profondità e gli impennaggi di coda fracassati inizia a scendere a vite . Quasi subito si apre l' involucro bianco di un paracadute , il pilota si è salvato , almeno per il momento .
L' altro aereo , quello al suo fianco si butta allora in una picchiata vertiginosa e disperata nel tentativo di sfuggirmi .
Naturalmente , anche io cabro di colpo e mi getto al suo inseguimento, ma non seguendo la sua scia , ché il Rata è più veloce del Fiat , e così facendo non avrei avuto possibilità , ma seguendo gli insegnamenti della scuola di volo , decido di intercettarlo nel punto ove penso che interromperà la picchiata per ristabilirsi in volo orizzontale .
Descrivendo un ampio semicerchio , mi porto perciò nel punto designato , ed il russo è puntuale .
Non si aspettava certamente di vedermi dinanzi a lui , riteneva di avermi seminato grazie alla sua maggiore velocità !
Quale sorpresa e spavento , deve essere stato per il pilota avversario !
Approfittando di quei pochi secondi di indecisione , tiro la closce e , lavorando con la pedaliera , richiamo l' aereo da un assetto orizzontale ad uno verticale ed accellero , quasi mi volessi schiantare contro di lui , ma giunto in pochi istanti ad una distanza utile , apro il fuoco !
Le mitragliatrici intonano allegre il loro canto di morte , bastano due lunghe raffiche e vedo distintamente la sua elica andare in pezzi , anche il motore è colpito ed inizia ad emettere fumo . E' spacciato.
Mentre a gran velocità mi allontano , vedo che anche in questo caso il pilota è riuscito a lanciarsi con il paracadute .
Meglio . Penso fra di me .
Mi dirigo allora verso la zona in cui presumibilmente dovevano operare i bombardieri Repubblicani , ed intanto riprendo quota , ho perso anche il contatto con i miei gregari ed il resto della squadriglia , sono completamente solo nel cielo .
Dopo alcuni minuti di volo, ecco che ad una quota più alta della mia , mi viene incontro , assai velocemente , un grosso aereo , la sagoma è inconfondibile , si tratta di un Tupolef !
Dopo un rapido calcolo mentale e considerando che ho il sole alle mie spalle e che quindi , attaccando da sotto , le possibilità che mi vedano sono assi scarse , decido di attaccare .
Do tutta manetta ed i 600 cavalli d' acciaio del motore galoppano furiosamente al disotto del cofano , spingendomi velocemente contro il nemico .
Esso si accorge di me , ma è troppo tardi , nonostante un paio di sventagliate del loro mitragliere , sono oramai troppo vicino .
Apro dunque il fuoco , con lunghe e rabbiose raffiche , intenzionato a farla finita alla svelta .
Prendo di mira il suo motore di destra , quasi subito esce del fumo e poi delle alte fiamme, martello l' ala , fin quasi a staccarla , poi , giunto a meno di 50-60 metri , spingo la closce in avanti e mi butto in picchiata , onde evitare di essere inquadrato dal suo mitragliere di coda , il quale , nonostante la situazione già quasi disperata del suo aereo , non demorde ed anzi riesce a piazzare una raffica della della sua 7,7 mm nella mia carlinga posteriore , per fortuna senza gravi danni , solo un po' di sforacchiature .
Giunto ad una distanza di sicurezza , richiamo l' aereo e rapidamente mi volgo indietro ed intanto riprendo quota .
Il bombardiere stà precipitando in fiamme , ma i suoi tre componenti l' equipaggio hanno fatto in tempo a saltare con il paracadute ed adesso lentamente stanno scendendo verso terra .
Mi avvicino e descrivo un ampio cerchio intorno a loro , essi mi guardano spaventati , pensando che io li voglia mitragliare , ma io distendo la mano in un ampio e ripetuto saluto , ed allora anche essi , forse riconoscenti , si sbracciano per salutarmi .
Ma questo , pensai , è meglio che non lo dica e non lo scriva nel rapporto ufficiale .
- Li ha ammazzati , vero , quei porci rossi ? - Strillò tutta eccitata la Duchessa !
- No , Vostra Grazia - disse allora il pilota - erano Uomini di Valore , ed io rispetto ed onoro sempre il Valore , anche del nemico.
Detto questo , cortesemente si scusò che era già molto tardi , voltò i tacchi e le lasciò sole .

ASSENZA NON PIU' PRESENZA di Sereno Notturno




Chiunque abbia intaccato la tua vita negativamente merita assenza.
Chi gioca e poi si sveglia un giorno dicendo facciamo finta di nulla, merita impassibilità e assenza.
Ci sono sempre assenze dopo essere stati fin troppo presenti.

BUIO... di Fiona Miller




Notti di tempo sospeso...... Dilatate tra la parola ed il respiro. In bilico, tra l'equilibrio conosciuto e uno nuovo, che coglie di sorpresa e tracima senza possibili argini.
Il caso getta i dadi ed esce quella sequenza fortunata che cattura la mente e si insinua sotto la pelle. E non c'è difesa se quei baci raggiungono il cuore. E risuonano più forti di ogni antico ricordo e superano ogni timore. Ed incespicano i passi ma non c'è altra direzione che quella che la magia impone. E manca l'aria se non risplende quella luna e si tende la mano nella notte a cercare quello che la mente fa solo sognare...Ci sono notti che, contengono e mantengono … Diveniamo lancia in grado di offendere e di affondare, diveniamo scudi in grado di respingere, diveniamo blocchi, squadrati ed incastonati in maniera perfettibile, irti a difesa di posizioni avvenute nel tempo.
Spigolosi blocchi, quando vorremmo smussare angoli fino ad arrotondarli e diventare sfere multicolori, liberi di andare o restare, sospesi e amniotici …E quando ciò avviene, quelle notti sono come baci in punta di labbra, silenziose, che si illuminano d’improvviso...

ELEMOSINARE AMORE di Fiona Miller




A volte siamo mendicanti di sentimenti...ladri, ma i sentimenti sono una cosa così fragile e così forte al tempo stesso. Nascono e si sviluppano quando meno te lo aspetti, li cerchi una vita e un giorno te li trovi davanti improvvisamente e ne rimani travolto e confuso... Non sempre portano gioia, bisogna essere pronti anche a soffrirne, per poi ricominciare la ricerca e rigoderne di nuovo... E' una ruota che eternamente gira, ma un giorno arriveranno senza doverli più rubare...
Diventiamo quello che le esperienze della vita e dell 'amore, degli amori e delle passioni hanno tracciato su di noi, come percorsi emotivi sulla pelle e sentieri nel cuore, come ricami nella mente...

RESPIRANDOTI di Medusa Riggio




Il profumo della nostra essenza
ci annebbiava i sensi e il verbo.
Perduta e fragile tra le mie braccia
a me ti donavi in tutta la tua
femminilità mentre io non osavo
far altro che viverti in ogni respiro.

lunedì 26 maggio 2014

MUSCOLI CONTRATTI di Sereno Notturno




La campagna, mai così complice e così consapevole del giorno, ci si attrezzava come si poteva ma assicuro a tutti, quelle erano emozioni, era l'incognito l'eccitazione di non essere visti e la verità di vederla nuda come difficilmente capitava.
Giovanissima più di me, sempre quella della squadra di pallavolo, come avevo raccontato, una con cui ci si perde dietro ogni centimetro di pelle, quella dagli sguardi che incantano, pelle che vibra in un solo sguardo, non ti lascia il tempo di eccitarti che passa direttamente alla fase dello strusciamento della pelle.
Si frappone tra un pensiero ed un'azione rendendo sano ogni gesto, lei sapeva fare e la prima volta rimasi decisamente spiazzato, ma incassato il colpo affrontai fingendo d'aver capito.
“Vorrei avere un metodo per rilassarmi e vorrei correre per affrontare con decisione la partita” mi disse e aggiunse che voleva andare a correre in aperta campagna, in quel posto, proprio quello che sapevamo io e lei.
Fortuna avevo gli occhi bassi sul regolamento della partita, Lei non contenta per continuare ad infierire, lo ripetè un'altra volta, mi sfilai gli occhiali e lei bella come il sole disse 
“Sei o non sei un allenatore, allora dovresti sapere come si esprime un corpo e i propri muscoli al contatto con la nuda terra.” Avevo sinceramente lo sguardo ebete, ma l'eccitazione prendeva il sopravvento, “Quando vuoi farlo questo allenamento.?”
Sinceramente pensavo a tutto fuorché al giorno, immaginavo già la sua volontà, ma dovevo pur far finta di nulla.”Domani pomeriggio non prima delle quattro” ecco avevo un giorno per riflettere, risposi " Va bene, ci si trova davanti alla palestra".
La stagione era ben propizia per questo, la volontà c'era il desiderio pure, quindi l'indomani ci si trovava puntuali all'appuntamento, salì in macchina e la prima cosa che disse fu che era passata in fretta da casa e non aveva avuto il tempo di cambiarsi e l'avrebbe fatto sul posto, che divoratrice d'occasioni era lei, ma era forse questo che portava il mio pensiero ad adorarla.
Musica a palla finestrini abbassati, vento tra i capelli e profumo di pelle pulita, un incanto; era poco distante, circa sei chilometri e man mano si andava avanti, non so come percepivo in lei il desiderio, forse perché vedevo le gambe serrate forzatamente mentre si passava il dito agli angoli della bocca forse ero solo io che fantasticavo, ma nel frattempo eravamo arrivati.
Volto vistosamente felice e rilassato scende dalla macchina con la borsa del cambio in mano, ci si siede e si comincia a parlare del rapporto con le compagne di squadra, bello ma forse troppo rigide al solo allenamento senza pensare alle più piccole distrazioni, “ Capisci cosa intendo vero?” intanto comincia ad arraffare dentro la borsa estraendo un telo enorme e poi il cambio, continuando a parlare si slaccia i jeans, si siede e li sfila alzando le gambe, con una moviola degna della miglior telecronaca, rimane in slip e mi guarda allungando lo sguardo e la mano. Questi lei li chiama allenamenti, per niente imbarazzata si scosta gli slip e passa le dita tra la carne morbida per poi portarsele alla bocca socchiudendo gli occhi, poi torna a frugare come io non ci fossi, presa dal frettoloso gesto e martoria quella carne che si gonfia, continua trema e trema, dopo un minuto allenta il suo contatto non prima d'aver fatto un lungo sospiro con gli occhi lucidi. “Ora mi cambio e corro vanno bene venti minuti qui intorno?” Giuro ero tra l'allibito e il decisamente eccitato, mi aveva lasciato con quell'erezione di cui non mi capacitavo.
La vedevo correre, più la notavo e tanto saliva il desiderio, lei questo lo sapeva, mi voleva cotto al punto giusto.
“ Ogni tanto rallenta e poi riprenditi, cammina e respira poi inizia un'altra volta,”
Questo le dicevo per darmi un contegno, in realtà aspettavo solo finisse.
Da li a poco arrivò bevendo, si sedette sul panno, schiena contro il prato in perfetto relax, quello durò quasi cinque minuti, poi esordì dicendo, " Mi sfili i pantaloncini? ", forse aspettavo quello, lei se li lasciò sfilare e guardandomi aggiunse che voleva sentire una lingua tra le cosce, stavolta non potevo rimanere con l'eccitazione, anche se avevo il timore di si, lei desiderava la lingua contro la carne, voleva che dolcemente la mordessi e così lo feci, mi strinse la testa alle sue labbra per poi capovolgermi e sdraiarmi.
In un solo attimo lo estrasse e non lasciò il tempo di capire, si buttò a capofitto sulla dura carne, mentre intravedevo il contorno del suo culo che si muoveva, lei sopra con sapiente delicatezza, lo assaggiava fin dentro la piccola fessura che pensavo, talmente era stretta, le avrei procurato dolore, esitò un solo attimo poi sparì tra la carne, mentre le mie mani ne lambivano la consistenza del seno.
Felice, che dire era così, non per un posto in squadra, ma perché lei era così amava la vita e il più piccolo desiderio le rendeva emozione, poi poteva essere schierata o no in squadra, lei era felice comunque.

SEI UNA PROVOLA. PROVA. di Alice Stregatta




Un'altra scenata che mi lascia svuotata, senza energie.
Sopraffatta.
Io non rispondo, non parlo. Fisso il vuoto, lo scorcio sopra il suo orecchio: mi assento.
Non ascolto le parole che mi vomita addosso. Le sento in lontananza.
Penso ad una frase che mi dicesti "Sei una provola".
Si, sono una provola. Inerme.
E lui sembra un minaccioso coltello pronto ad affettarmi.
Non glielo permetterò.
Non più. Resisto.
Sono una provola.
Rido.
Si incazza ancora di più, ma finalmente batte in ritirata.
Io mi rifugio nel mio silenzio, testa ovattata, pensieri confusi.
Paralizzata.

UNA VIRGOLA di Andrea Rossi




Cancellare una virgola
spezzare il filo
togliere l emozione
trovarsi il vuoto
la voragine dentro
le luci spente
la strada interrotta
la sabbia negli occhi
ricordi spenti
silenzi
illusioni perse
tavoli vuoti
risate ferme
aspettare
un altro giro
gente migliore
senza biglietto
trovare nuove parole
ricominciare
a sentire il vento
spingere le vele
il frastuono
dentro
la strada che manca
un sogno
le virgole
semplicemente
la vita
ricominciare
ogni giorno.

LA MONETA DEL SOGNO di Andrea Lagrein




La scopai. La scopai con foga e brutalità. In fondo lei era lì per quello. Era il suo mestiere. Nulla di strano nel ritrovarsi sul sedile reclinato di un'auto ferma in un parcheggio deserto, alle due di notte, puzza di alcool e sudore, profumo a buon mercato e precarietà infinita. Quella sera anche l'indifferenza di una puttana poteva esser meglio che ritrovarmi a tu per tu con la mia stessa anima. La sua fica a pagamento era una fugace via di fuga da tutto ciò che mi circondava. Grugnii, gemetti e venni copiosamente. Ritornai poi al posto di guida e le consegnai la cifra pattuita. Tre banconote da dieci euro. Mi sfuggì un sorriso nel vedere che su una di queste qualcuno vi aveva scritto la parola libertà. Ma libertà da cosa? Misi in moto e, muti nei nostri silenzi, la riaccompagnai sul marciapiede dove l'avevo rimorchiata. Lei scese ed io svanii nella notte!

Alina si svegliò in tarda mattinata. Come tutti i giorni. Il suo pappone era uscito presto quel giorno. Pertanto si ritrovò da sola in casa. Un fatiscente appartamento chiazzato di umidità, scarafaggi in sovrabbondanza e il cesso sempre sporco di merda. Si accese una sigaretta e guardò fuori dalla finestra il solito paesaggio suburbano di quella porzione di malandata periferia milanese. Ancora una volta si ritrovò a sognare a occhi aperti i campi, i prati e gli alberi del suo paese in Romania. Sua nonna sorridente sull'uscio della cascina dove abitava e sua madre china nell'orto. Ma come cazzo era possibile che si fosse ridotta così? Puttana e schiava, vuoto involucro di piaceri a pagamento. E non poteva nemmeno scappare. Oh, quante volte lo aveva desiderato. Quante volte lo aveva sognato. Ma il rischio era troppo alto, che se l'avessero ripresa avrebbe fatto sicuramente una brutta fine. Sotto terra! Si vestì velocemente e uscì per fare un pò di spesa. Aveva fame e, al solito, la dispensa era vuota. Entrò in un negozio di alimentari, comprò il necessario e pagò il conto. Quindici euro in tutto. Allungò le banconote alla commessa. Una da cinque e una da dieci. In bella evidenza, scritto con un pennarello rosso, campeggiava la parola libertà. Un sogno, un miraggio per Alina!

Angela abbassò la serranda del negozio. Erano le otto meno dieci di sera. Tutta la stanchezza della giornata ora si faceva sentire. D'accordo, non era poi così vecchia, si ripeteva. A cinquantun anni certi sforzi si potevano ancora reggere. Ma era la crisi che la faceva sentire spossata. La crisi e i continui pensieri di non riuscire più a reggere. Quando lei e il marito avevano aperto quel negozietto, non pensava certo di arricchirsi. Ma sognava comunque un buon tenore di vita per poter far crescere i propri figli in un certo agio e benessere. Ora invece le cose peggioravano di giorno in giorno. La crisi, continuavano tutti a ripetere. La crisi, certo, ma anche una concorrenza sleale e incontrollata, una tassazione ormai impossibile da sostenere, una classe politica inetta e incapace di far fronte ai veri problemi dei cittadini, se non continuando ad andare in televisione facendo proclami altisonanti. E aumentando le imposte! Angela sospirò. Fra poco avrebbero dovuto chiudere il negozio. Troppe le spese da sostenere. E pochi i guadagni da mettere in tasca. Afferrò una manciata di banconote dal registratore di cassa e raggiunse il marito in strada per tornare insieme a casa. Lungo il tragitto incontrarono il figlio quindicenne che stava uscendo per far serata. Le solite raccomandazioni inascoltate. La solita richiesta di danaro. Angela prese dal portafogli due banconote da dieci euro e le diede al figlio, che quasi manco ringrazziò. Libertà, c'era scritto su una. Angela sospirò. Magari avesse potuto avere qualche istante di libertà dalle continue preoccupazioni che l'assillavano. Ma a ben vedere, era una pia illusione!

Filippo entrò nel locale. Non gli era mai andato a genio quel posto. Roba da comunisti, vecchi compagni e sfigati senza una lira. Ma ci andava perché lì si ritrovavano tutti i suoi amici. E quindi, se non voleva passare le serate da solo, era costretto a sorbirsi tutta quella roba tipo bandiere del Che, inni socialisti e sproloqui da sindacalista. Che poi, a lui, della politica in fondo non gli fregava un cazzo! Cioè, se volevi rubare e fare la grana in modo facile, quella poteva essere una buona soluzione. Altrimenti una noia mortale, due palle infinite. Lui aveva altri pensieri per la testa. Aveva altri problemi. Altri sogni. E il suo desiderio aveva la forma di una mela smangiucchiata. Doveva trovare i soldi per comprarsi l'ultimo modello di I-phone, quello che avevano tutti i suoi amici, quello che lui non aveva. Già era imbarazzante essere soprannominato il figlio del salumiere, come lo chiamavano tutti. Il fatto poi di non essere come gli altri, di non avere l'ultimissimo modello di telefono, lo faceva sentire un reietto, un escluso. E queste cose i suoi genitori mica le capivano. Era del tutto inutile spiegargliele. Dunque si appoggiò al bancone e ordinò una media chiara, in attesa che arrivassero gli altri. Tirò fuori dieci euro e li diede a quel cazzo di vecchio barista fricchettone. E manco si accorse che sulla banconota era ben visibile la parola libertà!

Giorgio ne aveva le palle piene. Non si poteva andare avanti così. Spense la radio, immancabilmente sintonizzata su Popolare Network. Era tempo di elezioni e quante cazzate gli toccava ascoltare da parte di tutti quei mestieranti del buon governo! Giorgio era uno della vecchia generazione. Eskimo, falce e martello, pugno chiuso e Guccini. Ci aveva sempre creduto. Anche adesso, nonostante tutto. Cazzo, Giorgio era un comunista, di quelli veri, di quelli convinti, di quelli che ormai erano rimasti in pochi. Ma chi se ne frega, continuava a ripetersi. Lui non scendeva a compromessi. I suoi ideali non li svendeva che oggi, gli ideali, eran merce assai rara. Soprattutto non li svendeva a quelli lì. Alle puttane di Montecitorio. Giorgio ne aveva le palle piene dei vari Berlusconi, Renzi e Grillo, sbiadite figure di politicanti da quattro soldi. Se solo avesse avuto il coraggio, ma non lo aveva, avrebbe fatto come i vecchi compagni di un tempo. Una bella molotov su per il culo di quella combriccola di ciarlatani. Ma Giorgio sapeva bene di non essere un eroe. Sicché si limitava a sbuffare e inveire contro di loro. Alle due di notte chiuse il locale. Ma non aveva voglia di andare a dormire. Non quella sera. Così andò al solito parchetto. Lui era lì, immancabilmente come ogni notte. Andava da lui perché aveva l'erba migliore che avesse mai provato. Il solito? Il solito! Lui gli diede il sacchettino e Giorgio pagò il convenuto. Quella notte si sarebbe rilassato. E gli tornò il sorriso. Sorriso che divenne quasi una risata quando vide una delle banconote che stava dando all'uomo. Scritta in rosso, c'era in bella evidenza la parola libertà. Cazzo, ma allora qualche compagno esisteva ancora!

Kamal entrò nella stazione centrale di Milano felice e contento. Il suo sogno si stava per realizzare. Suo fratello lo aveva chiamato un paio di giorni prima per dargli la splendida notizia. Finalmente Kemal lo avrebbe raggiunto in Germania dove gli era stato trovato un posto di lavoro in regola in una fabbrica metalmeccanica. Kemal avrebbe abbandonato quella vita di merda da clandestino che si trovava a fare qui in Italia. Non che se la passasse male. Spacciare droga gli riempiva le tasche di bei soldi, anche se i veri guadagni li facevano altri. A lui comunque girava bene. Solo che proprio non gli andava a genio dover sempre vivere guardandosi alle spalle per paura degli sbirri o, peggio, di bande rivali sempre pronte a ammazzare per un nonnulla. Figurarsi quando c'era di mezzo lo smercio di droga. Che poi anche la pula voleva la sua parte, per star zitta e non rompere i coglioni! Così, quando il fratello gli aveva detto che poteva raggiungerlo a Dusseldorf, a lui gli si aprì il cuore. Finalmente poteva veramente iniziare una nuova vita. Ed era con questi pensieri e sogni che si avvicinò allo sportello della biglietteria e fece il biglietto, sola andata, per la Germania. Pagò e si allontanò sorridente. Perché sapeva male l'italiano, altrimenti si sarebbe accorto della scritta su una delle banconote che diede al cassiere. Su quella banconota da dieci euro vi era scritto tutto il suo futuro. Su quella banconota vi era scritta la parola libertà!

Ernesto imprecò a bassa voce dopo aver guardato l'orologio. Ancora due ore e mezza. Due ore e mezza di rottura di coglioni in quel posto di merda. Ernesto odiava il suo lavoro. Lo trovava noioso, ripetitivo. Eppure doveva esser grato di averlo. Molti dei suoi amici a quest'ora erano mezzi ubriachi in qualche schifoso barettino di periferia, uccisi dal bianchino e dalla disoccupazione. Lui no! Lui era ancora uno dei fortunati che il posto di lavoro ce lo aveva. E se lo teneva ben stretto, nonostante gli facesse schifo. In fondo star dietro a un vetro a vendere biglietti in una stazione ferroviaria non era il massimo della vita. Ma gli permetteva di avere uno stipendio, modesto d'accordo, ma pur sempre uno stipendio, con cui mantenere la famiglia e, ogni tanto, farsi qualche giro con le battone della zona. Tanto ormai, a cinquantanove anni, scopare con la moglie non se ne parlava più. Che poi, a ben vederla, probabilmente non gli si sarebbe nemmeno alzato. Gesù, quella donna russava e scorreggiava nel letto come fosse uno scaricatore di porto. Va bene, lo faceva pure lui. Ma Cristo santo, lui era un uomo, lei una donna, e certe cose facevano proprio schifo! Così ogni tanto rimorchiava qualche zoccola dalla carne giovane e fresca e sfogava i propri istinti. Chissà, magari questa sera mi vado a fare un giretto! A questo pensava Ernesto quando si avvicinò una ragazza davvero niente male chiedendogli un biglietto per il TGV diretto a Parigi. Fece quel che doveva fare, con i soliti automatismi, continuando a sognare a occhi aperti la fica dolce della mignotta che si sarebbe fatto quella sera. Sì, perché ormai aveva deciso. Nel mentre prese il danaro dalla giovane e le diede il resto. Sbuffò nel vedere che su una banconota da dieci euro c'era scritta la parola libertà. Quanto avrebbe desiderato, lui, avere quella libertà. Prendere il primo treno a caso e partire verso un futuro migliore. Ma poi guardò nuovamente l'orologio. Cristo, ancora due ore di rottura di coglioni in questo posto di merda!

Vanessa accarezzò tutti i suoi libri. Uno per uno. Ci era affezionata. Ognuno di loro, per lei, rappresentava un pezzo della sua vita. Ognuno di loro! Per questo li accarezzò. Per l'ultima volta! Non sopportava l'idea di privarsene, ma non c'era altra soluzione. Non poteva portarseli con sé. E aveva bisogno di soldi per il viaggio che aveva deciso di intraprendere. Una nuova vita. Una nuova esperienza. Un nuovo sogno. Lui la aspettava a Parigi. Lei lo avrebbe raggiunto a breve. Per questo aveva deciso di vendere tutti i suoi libri. Vanessa aveva una bancarella nel mercato del rione, dove vendeva un po di tutto. Si guadagnava da vivere così. E il giorno dopo eccola al suo posto dietro al banchetto, con in vendita la sua biblioteca. Contava di farci su un bel po di quattrini, visto il numero dei libri e l'ottimo stato in cui erano. Gli acquirenti non mancavano. E su questo faceva affidamento. E poi via, verso Parigi e il suo uomo che faceva il pittore. Avrebbero vissuto una vita romantica, fatta di candele e soffitte da bohemien. Sarebbero stati liberi. Liberi da tutto. Liberi da tutti. Libertà! Sorrise quando l'uomo le pagò il libro che aveva in mano. Nel dargli il resto, si accorse che sulla banconota da dieci euro c'era scritta proprio quella parola. Libertà!

Mi piaceva perdermi ogni tanto nei mercatini rionali. Cianfrusaglie, carabattole, oggetti inutili. Ma alle volte si potevano trovare anche autentici tesori. Come quel pomeriggio di primavera inoltrata. Camminando fra le bancarelle assiepate lungo la darsena del naviglio, mi fermai davanti a una che vendeva libri. Molti dei titoli esposti già li conoscevo e li avevo letti, ma uno in particolare attirò la mia attenzione. La bellissima copertina riproduceva La Città Eterna di Peter Blume ed era uno di quei libri che, seppur già letti, lo avrei volentieri ripreso in mano. Marguerite Yourcenar. La moneta del sogno. Non esitai nemmeno un istante. Chiesi quanto e pagai. La ragazza mi diede il resto. E non potei fare a meno di scoppiare a ridere quando vidi quella banconota da dieci euro. Gli scherzi del destino! Me la ricordavo bene. Mi chiesi quante mani avesse incontrato prima di ritornare da me. Quante storie, sogni, affanni avesse conosciuto. Quanti desideri avesse contribuito a esaudire. Con la sua promessa ben evidenziata in rosso. Libertà!