martedì 28 ottobre 2014

MALIZIOSAMENTE di Asianne Merisi




Che ne sai di me?
sconosciuto passeggero...
Che ne sai dei miei silenzi
delle mie paure
Che ne sai delle mie fantasie
delle mie certezze
mi osservi
uno scambio di sguardi
un gioco pericoloso e con un teatrale gesto,mi sfilo il cappotto...
Così mi puoi vedere,mi puoi quasi sfiorare
il mio profumo ti inebria...
Ti lascio così fra mille pensieri...
mi piace
sapere che il tuo cuore batte più forte...
Conduco il gioco
pericolosamente
sfrontatamente.
..oltre

CADO di Sereno Notturno



Poi deciderò 
chi portare sulla luna
la desidero a quarti 
per potermi appoggiare.
Non voglio scivolare
cadrei da lì
e farei troppo rumore.
sicuramente qualcuno se ne accorgerebbe.
Quel rumore cupo e ruvido
di chi non ha appigli
di chi non ha sorrisi
mentre si sente cadere.

VOGLIO UN LIVE di Alice Stregatta




Il tuo sguardo penetrante, fisso nel mio.
La tua bocca, da baciare, la lingua da succhiare. Leccarsi a vicenda.
Desiderio palpabile.
La voglia di essere lì, con te, a bere la tua saliva. Dissetarmi dalla sete di te, sfamare la mia bramosìa.
In ginocchio davanti al tuo cazzo.
Non riuscivo a staccare gli occhi dai tuoi, avrei voluto entrarti dentro.
Poi tu, dentro di me.
In modo diverso.
Io, impalpabile: tu, carnale.
Fottersi pensieri e corpi. 
Mente e anima.
Fottersene del resto, intorno.
Il passato alle spalle.
Nessun futuro.
Solo il meraviglioso istante in cui avrei desiderato annullare le distanze e berti. E mangiarti.
Possederti essendo posseduta da te.
Mio signore. Silente, ma non silenzioso.
Non ho potuto far altro che godere della tua vista.
Senza audio.
Buonanotte, in milioni di pixel.

A TE di Andrea Lagrein





Se fossi acqua, in te vorrei naufragare
e avvolto dal tuo abisso i miei giorni terminare;

Se fossi terra, in te vorrei arare
e all'ombra d'una quercia il raccolto aspettare;

Se fossi cielo, in te vorrei volare
e nel tuo abbraccio infine riposare;

Se fossi fuoco, in te vorrei bruciare
e ogni giorno con passione sulle tue labbra ricominciare;

Sei la strada maestra che il mio incerto passo percorrerà.
Sei la fonte cristallina che la mia arsura placherà.
Sei il vento rinfrescante che la tempesta via porterà.
Sei la pulsione squassante che il mio cuore spezzerà.

REGOLA di Sereno Notturno






Fuggendo dalle persone pretestuose, si evita sempre quel senso di opportunismo. 
Rimanendo, si può essere preda di un desiderio squallido insito in chi se ne approfitta.

AMICO DI GUERRA di Asianne Merisi





In vita sei stato un grande bugiardo amico mio. 
Quando mi dicevi che le lotte si fanno sempre insieme. 
Ed ora mi hai escluso proprio dall'ultima, la più grande! 
Sì, non mi hai voluto al tuo fianco. 
Cos'hai pensato? 
Che forse questo miserabile non è capace di darti una mano proprio quando ce n'è più bisogno?
Vigliacco, hai dimenticato le tante lotte che abbiamo sostenuto insieme, sin da giovani? 
quelle di dare la pace e il sorriso a quei piccoli che conoscono solo la guerra?
Quelle per dare le terre ai poveri contro tiranni e dittatori ? 
Quelle contro la corruzione dei tanti compagni deviati? 
Le hai dimenticate tutte? 
Eppure io non ti ho mai lasciato solo! 
E tu invece, cosa fai? 
Mi lasci qui da solo contro tutta questa marmaglia! 
Avevi ragione. 
Hai sempre avuto ragione, non sei stato tu a lasciarmi,
ma io a non seguirti. 
E per questo non mi sono mai dato pace. 
Ma cosa potevo mai fare io per te?
Se non darti calore e incoraggiamento? 
L'ho fatto, amico mio, ma senza farmi mai vedere. 
Quante volte ho pregato Dio per te affinché desse a te la forza di mantenerti onesto in questo mondo di disonesti! 
E Dio mi ha ascoltato perché tu sei sempre stato l'uomo più corretto e onesto che ho mai avuto l'onore di conoscere. , amico mio, te ne sei voluto andare da solo, perché? 
Non potevi chiamarmi? 
compagno mio! Mi hai lasciato qui ma non pensare di avermi abbandonato ancora perché ti prometto che presto ti raggiungerò. 
Noi siamo stati sempre insieme e sempre insieme resteremo. 
Addio, amico mio!"

"Un'altra convocazione, maresciallo?"
"No, voglio augurarti la buona notte".
"Hai ragione, maresciallo, bisogna andare a letto. 
È tardi, e domani sarà una lunga giornata" 
la promessa la fatto al suo grande amico, quella notte, e la manterrà 
..oltre

UN GESTO di Sereno Notturno




Un gesto
Sei tante sensazioni messe insieme
Sei nuda, ma vestita
Ti fiori e lo racconti.

sabato 18 ottobre 2014

PIENO DI ME di Asianne Merisi



Ho sorriso all'Aurora
Ho cantato sole
Ho urlato alla Luna
ho distratto le notti ai miei piaceri.
All'improvviso Tu!
Poi mi guardi,
Tu ami osservare,cercarmi nel'incastro perfetto
per non dare mai troppo
Assaggiami è brama in quel'attimo,di trepidante passione,
con tutto il tuo calore,non proferire più parole.
Aria sarò che riempie i tuoi polmoni
Alito vitale, sospiro sensuale,aroma di voglie, fragranza d'amore
Godrai i sapori che per te saprò trovare.
Uragano sarò per tua difesa che cadranno ai miei piedi
frantumerò ogni barriera
Mostrami la via per renderti mio....Amore
..oltre

MI INNAMORO DI CONTINUO di Asianne Merisi





Sei come sole che scalda fino a bruciar la pelle!
È faticoso camminare dove manca l'aria
il piacere non viene dalle tue labbra... ,
non è nel tuo orgasmo..
ma è nel saper apprezzare l'attimo vissuto.
Forse è in me quel piacere eterno
Ma ora, se vuoi, cercami anche altrove,
in quell'eterno piacere che tu non conosci.
Entrambi, possiamo appartenerci,ma non posso solo possederti,
tu non sei mio, né io tua,apparteniamo a qualcosa che ci lega
Non cercarmi solo per le tue umane voglie,
ti vengo incontro ogni giorno, lo sai.
Sono una terra rossa,irrorata di sanguigno desiderio
Se semini con amore nel mio campo.
Se penetri quella piccola barriera,formata per proteggermi
non ragiono, non posso farlo se d'amor la mia anima gode
Stammi dentro, nella gola infila un'altra emozione,
assetata al tuo vizio,lasciami bere.
Continui a far urlare la mia anima,anche senza sfiorarla con niente.
Perchè in quel niente c'è tutto
..Oltre.

AMNESIA DI LUCE di Indeeper Yoursoul





E' all'oscuro di me stesso
che spesso nascondo quei pensieri
e poi non li ritrovo più.
Mi scivolano giù per le pieghe dell'anima
si celano tra gli strappi del cuore
e pesano, si, pesano.
E quando mi illudo di vivere
essi tornano su e mi trattengono giù,
zavorre mafiose, letali apnee dell'esistenza.
Provo sempre a scappare da questa prigione
cercando te come punto di riferimento
nel dedalo dei tunnel delle mie speranze.
Ma poi, mi siedo, penso
e un altro granello di buio profondo scivola giù
là dove la notte è per sempre e la paura fa tremare.
Prendimi per mano, tirami su
non lasciare che affoghi di niente
ti ricompenserò con un bacio
sarai la mia compagna per il tempo di un tramonto
prima che la linea fuggente del sole che ci abbandona
non ti faccia svanire come ombra nell'ombra
Ed è così che ogni notte rendo la mia parte oscura più scura
e mescolo me stesso nel brontolìo del buio che ci ricopre
e lascio, infine, che la notte si impossessi di me. 

MIELE di Asianne Merisi




Due corpi. 
Intorno a noi tutto tace,
ma il silenzio è rotto dai nostri corpi,
che di roventi pensieri sembrano gridare
nel mio corpo la tua linfa.
Si impossessa d'ogni mia facoltà.
Il tuo amore riempie, di me ogni più piccolo spazio
Acquarelli d'estasi,i nostri attimi d'amore.
Quadri di cuore e corpo 
Spudorato amore mi chiami!
Mentre ti lasci andare per farti rubare l'anima.
Guardo fisso e mi incanto, e accecata da tanta luce ti cerco,
perdersi è un piacere in questo immenso universo dell'amore
Porta via il freddo dal cuore, è nello spazio temporale
conquistato dalla quiete.
TU m' appartieni.
..oltre

venerdì 17 ottobre 2014

BAGNO DI PIACERE di Sereno Notturno



In fondo quel giorno sarebbe stato sicuramente diverso dagli altri, con un unico filo conduttore la conoscenza. Per farlo l'uomo accostò la bocca al collo della sua bottiglia di whisky e con le mani fradicie di piacere ne sentì il profumo. Anche lei con onesta pazienza di sentire ancora, stropicciò le labbra di quel suo corpo dolente di piacere, lo guardava sperando di poterne sentire ancora l'odore. Fottendosi degli sbagli della vita lei chiuse gli occhi e si lasciò rovesciare addosso quella bottiglia colma di alcool, poi annebbiata la vista si trovò in balia di quella sensazione pura e folle chiamata orgasmo.

SAMO di Andrea Lagrein





"Sei un fottutissimo negro del cazzo, anche se vai in giro vestito Armani e con il buco del culo pieno di dollari. Tornatene a imbrattare i muri con i tuoi amichetti graffitari!”. “L'arte è una cosa seria, non è per i musi neri come te. Andy ti tiene nel suo serraglio perché avrai l'uccello grosso e a quel dannato finocchio piacciono maledettamente gli uccelli grossi!". I due uomini scoppiarono a ridere di gusto, soddisfatti di aver urlato tutta la loro invidia in faccia a quel negraccio strafatto di crack. A loro, divinità di Wall Street, semplicemente non andava a genio che guadagnasse dieci volte quel che loro si sudavano faticosamente.
Questa storia dello sporco negro a Jean-Michel non gli era mai andata giù. Eppure la maggior parte delle persone così lo trattavano. Come quando la Nosei lo rinchiuse letteralmente nello scantinato della sua galleria d'arte a SoHo. Era uno schiavo incatenato. Dipingeva e si faceva di coca. La Nosei faceva scendere i ricchi clienti collezionisti per far loro osservare la sua bestia rara, il nuovo fenomeno da baracconi della pop-art. E i dollari frusciavano che era un piacere! Non che stesse male. Là sotto aveva tele, colori, pennelli e soprattutto una montagna di coca. C'era cocaina dappertutto. Un giorno addirittura era sceso Jagger. Cazzo, Mike Jagger davanti a lui in carne e ossa. Gli venne quasi da ridere nel ricordare quell'incontro. "Ehi, amico, vuoi della coca? " gli chiese. Jagger lo guardò serio. "No, grazie, faccio jogging!" rispose.
La coca lo faceva star bene. Lo ispirava e al contempo lo faceva volare lontano da tutta quella merda che sentiva di avere dentro. Semplicemente lo esaltava. I collezionisti parevano iniziare a interessarsi dei suoi lavori, i galleristi dell'East Side facevano a gara per accaparrarsi i suoi lavori, il danaro finalmente scorreva a fiumi e tutte le più belle fiche di Manhattan facevano a gara pur di scoparselo. Cazzo, e allora perché smettere con la coca, l'eroina, il crack e gli acidi se i risultati erano questi?
E difatti non smise. Appena poteva correva a casa di Jeff lì vicino al Chelsea Hotel. L'appartamento di quel bastardo era un vero e proprio covo di drogati d'alto bordo. A Jean-Michel spesso gli capitava di farsi insieme a gente come Billy Idol, John Lurie, Fab 5, David Bowie.
Ma rimaneva sempre un negro e un negro pieno di soldi destava sempre sospetti. Come quella volta a Roma, all'aeroporto, quando gli sbirri lo beccarono insieme alla sua Suzanne con la bellezza di centomila dollari in contanti. Fu dura far digerire a quella gente che se li era guadagnati vendendo i suoi quadri piuttosto che droga. Cazzo, un negro rasta, con centomila bigliettoni in tasca, doveva per forza essere uno spacciatore. Altro che artista!
Certo, era un negro con talento. Ma ben presto iniziò ad avere la stramaledetta sensazione di essere uno schiavo al servizio dei mercanti bianchi, che gli imponevano di dipingere otto, dieci quadri alla settimana per poi rivenderli a prezzi esorbitanti. Si sentiva prigioniero di una catena di montaggio. E coca, crack ed eroina erano il solo mezzo che conoscesse per fuggire da questa alienazione. Lo volevano così. E infondo a lui andava bene, perché ormai era divenuto una star.
Lasciandosi alle spalle Stuyvesant Street, imboccò la Broadway per arrivare al 33 di Union Square. Entrò nella Factory e cercò disperatamente Andy. Lui lo vide e si avvicinò immediatamente, fulminato dallo sguardo allucinato di Jean-Michel. Andy era un uomo troppo sensibile per non capire che l'amico nonché collega fosse profondamente scosso. Quegli occhi non erano solo occhi di un drogato strafatto di coca, ma rivelavano la profondità del baratro in cui Jean-Michel era scivolato.
"Vieni qui, caro. Vieni qui!" furono le sole parole che disse Andy, abbracciandolo e baciandolo teneramente sulla bocca. Jean-Michel si lasciò cullare dall'amico, riuscendo finalmente a calmarsi. La vita era una merda e Andy rimaneva la sua unica àncora di salvezza. Per Andy invece Jean-Michel era stato motivo di rinascita, nuova linfa vitale che quel ragazzino selvaggio e complicato era riuscito a donargli. Per Andy, quel suo stile di dipingere brutale e selvaggio era adrenalina pura. I suoi quadri erano riflessi diretti di una società decadente e sadica. Figurine infantili, angeli e demoni, uomini neri e bianchi, che mostravano denti, indossavano corone e portavano la bilancia della giustizia, cervelli bruciati, occhi robotici, senza speranza, senza vita. Jean-Michel dipingeva la realtà di tutti i gironi e a Andy questo piacque fin da subito. Non stava passando un buon momento, Andy, in quegli inizi degli anni ottanta. La sua arte era come se si fosse avvolta su se stessa, vuoto e mero artigianato. Jean-Michel fu una boccata di aria nuova.
Andy si ricordava ancora della prima volta che gli presentarono Jean-Michel. Erano alla Factory quando arrivò Bruno con quel ragazzino negro pieno di dreadlock. Avevano ideato un gioco. In cambio di una tela di Jean-Michel, Andy avrebbe ritratto il ragazzetto. Tutti si fermarono per pranzo, tutti tranne Jean-Michel, che corse immediatamente nel suo studio. Quando fu l'ora di mettersi a tavola, fece irruzione nella Factory l'assistente di Jean-Michel. Aveva in mano un ritratto di Andy appena fatto da Jean. Era ancora bagnato di pittura. Andy rimase a bocca aperta. "Sono veramente invidioso. E' più veloce di me!" furono le sue uniche parole. Nel quadro era dipinta una figurina infantile con ciocche di capelli che ornavano la testa. Sembrava una bambolina voodoo. Primitiva e stilizzata, riuscì però a cogliere la folle eccentricità di Andy, la sua tristezza e la sua dolcezza. Andy ne restò colpito e affascinato.
Andy era come un padre per Jean-Michel. Stare nel suo abbraccio protettivo era una sorta di calmante per lui. Andy lo abbracciava, lo accarezzava, lo baciava, lenendo i suoi patimenti, le sue sofferenze, i suoi demoni interiori. E Jean-Michel lo lasciava fare, grato di quel calore umano che pochi, prima d'ora, erano riusciti a dargli. Per i più, lui, era solo una macchina per far soldi o per spassarsela fra droga, sesso e bella vita. Lui era una star e tutti se ne approfittavano. Tranne Andy, che non ne aveva certamente bisogno. Lui, Andy, sapeva quale fosse il prezzo del successo. Lui lo comprendeva benissimo. "Su su, adesso calmati, Jean. Forza, tesoro, il tuo Andy è qui con te!". Jean-Michel si lasciò cullare e lentamente tornò in se.
Non era un problema per lui che Andy fosse omosessuale. A lui di queste barriere, di queste etichette, non era mai fregato un cazzo. Aveva avuto più di una storia gay in passato, anche se con Andy non ci era mai finito a letto. Quando era squattrinato e sconosciuto aveva addirittura fatto marchette per sopravvivere. C'erano uomini disposti a pagar bene pur di avere il suo enorme uccello. E Jean-Michel riuscì a sopravvivere grazie a questo. Aveva avuto anche brevi relazioni con altri uomini. Nulla di che, beninteso! Ma per Jean-Michel il sesso era come la droga o l'alcool. Non importava dove, quando, come, con chi. L'importante era sempre averne in eccesso, superare sempre il limite. Per lui il sesso era un modo per non rimanere solo, come invece la droga e l'alcool erano un mezzo per fuggire da se stesso.
Jean-Michel comunque preferiva la fica. Le donne lo adoravano. Facevano la fila pur di infilarsi nel suo letto. E lui non si tirava di certo indietro. Erano storie di una notte, di una settimana, al massimo di un mese. Poi lui immancabilmente finiva fra le cosce di qualcun 'altra. Solo Suzanne rappresentò veramente qualcosa per lui. Non che le fu fedele, tutt'altro. Suzanne lo lasciò più e più volte, salvo poi tornare fatalmente da lui. Se mai Jean-Michel amò una donna, quella fu Suzanne! Era una ragazza mezza palestinese nata in Canada, capelli neri color ebano e occhi verdi, alta, barista in una bettola. Jean-Michel perse immediatamente la testa. Suzanne divenne la sua ossessione. Fu un corteggiamento lento, l'unico di Jean-Michel. Ma quella ragazza doveva diventare sua. A quel tempo lui, diciannovenne, passava le notti sulle panchine dei parchi pubblici. Suzanne lo ospitò a casa sua. Non pagava l'affitto, ovviamente. Era letteralmente al verde. Dormiva per terra su dei cuscini, mentre riempiva la casa di disegni e dipinti. Suzanne se ne innamorò. E andò avanti ad amarlo per tutta la vita.
Forse solo per Louise provò lontanamente qualcosa di simile. Era l'autunno dell'82 quando Jean-Michel la incontrò al Mudd. Lui ormai era una star affermata. Andava in giro in limousine, con i suoi completi Armani sporchi di tempera e un mucchio di dollari stropicciati che gli uscivano dalle tasche, sempre strafatto di coca e crack. Louise abitava sulla Quarta, un quartiere loschissimo, pieno di gangster da strada. Era poverissima ma piena di sogni. Voleva diventare una cantante. Jean-Michel fu subito affascinato da quella ragazza. E presto si misero insieme. Lei aveva una carica erotica straordinaria. Quando scopavano facevano davvero scintille! Jean-Michel era completamente impazzito per quella ragazzina. Ma il suo stile di vita non andava molto d'accordo con quello di Louise. Lei era salutista, si svegliava presto al mattino per andare a correre, era precisa e metodica. Jean-Michel invece era quasi sempre strafatto, andava a letto all'alba e si svegliava alle cinque del pomeriggio. "Io non voglio più averci a che fare con tutta questa merda!" gli urlò in faccia Louise alla fine, prima di andarsene. Lei voleva diventare una cantante di successo, ecco quel che realmente voleva. E Jean-Michel rischiava di diventare un ostacolo. Lui era sicuro che prima o poi lei ce l'avrebbe fatta. Non gli piaceva la musica che faceva. A lui piacevano Charlie Parker, Dizzy Gillespie o al massimo Hendrix. Quello schifo commerciale che invece lei cantava gli faceva venire il voltastomaco. Ma avrebbe fatto successo, ne era sicuro. E poi, con quel nome d'arte che si era scelta, non poteva che sfondare. Madonna!
"Mi danno ancora del fottuto negro, Andy! Nonostante tutto quel che ho fatto, nonostante quel che sono diventato, per loro sono e rimarrò sempre un fottuto negro del cazzo. Non un artista, capisci! Ma un negro di merda, buono solo per fare graffiti!". Andy lo abbracciò ancor più forte. "Lasciali stare, Jean! Sono solo invidiosi del tuo talento. Certo che sei un artista, e il migliore che ci sia!". Jean-Michel socchiuse gli occhi. Quelle parole, dette da Andy, assumevano un significato del tutto particolare. Quelle parole, dette da Andy, erano la sua consacrazione in campo artistico.
Ne aveva fatta di strada, quel fottuto ragazzino negro. Figlio di immigranti haitiani e portoricani, aveva iniziato insieme all'amico Al Diaz. Jean-Michel sorrideva ancora adesso, carico di nostalgia, al solo ricordo di quei giorni. Correvano da una strada all'altra, da un muro all'altro, da un vagone della metropolitana all'altro, armati delle loro bombolette spray, lasciando il loro tag sui graffiti che producevano. SAMO era la loro indelebile firma, "same old shit", la solita vecchia merda di una società imbalsamata e stantia. Era la fine degli anni 70, e i nuovi ricchi di Wall Street assiepati nella Downtown iniziarono a strizzare l'occhio ai nuovi bohemien, in una nuova sorta di speculazione. Musica, moda e arte divennero un mix deflagrante per essere trend e fare soldi a palate. Per Jean-Michel fu il colpo di fortuna inaspettato. Tutti iniziarono a interessarsi a SAMO e così lui uscì dai bassifondi underground iniziando a frequentare le gallerie d'arte più rinomate. E più merda gettava addosso a quegli stronzi di ricchi collezionisti, più la sua fama aumentava.
Ma più diventava famoso, pieno di soldi e belle donne, e sempre più si sentiva solo, abbandonato, sfruttato. Solo la droga riusciva a farlo fuggire da tutto quello schifo ricoperto d'oro. Solo la droga riusciva a nasconderlo da se stesso. E poi arrivò Andy. Quel dannato genio dandy era il massimo in campo artistico. Per Jean-Michel era la stella polare a cui ispirarsi. E quando Andy lo accolse nella sua Factory e gli chiese di cooperare insieme a lui, beh, a quel punto Jean-Michel capì di essere definitivamente entrato nel firmamento dei grandi artisti. Cazzo, lui era Andy Warhol, il massimo in quel momento, e gli aveva chiesto a lui, fottuto negro, di dipingere insieme. Jean-Michel e Andy, il negro drogato e il biondino slavato. Jean-Michel e Andy, il graffitaro di Brooklyn e il genio indiscusso della pop-art. Jean-Michel e Andy!
Jean-Michel si staccò dall'abbraccio del suo amico. Lo fissò con occhi riconoscenti. "Ma sì, che si fottano tutti quanti!" sussurrò debolmente. Poi si voltò e uscì dall'appartamento di Warhol. Corse nel suo loft e si fece di coca e di crack, solo, tremendamente solo. Accese lo stereo. Charlie Parker, il suo preferito. Si stese sul letto. Il soffitto prese a girare vorticosamente. Finalmente Jean-Michel iniziò a stare bene. Che si fottessero tutti quanti!
Perché lui era Jean-Michel Basquiat, un bastardo negro del cazzo. Lui era Jean-Michel Basquiat, un grandissimo talento bruciato sull'altare del mercato. Lui era Jean-Michel Basquiat, il primo pittore nero nel mondo dell'arte dei bianchi. Perché lui era SAMO, una vita spesa contro la stessa vecchia merda!

TEMPESTA di Giuseppe Balsamo




L’acqua cominciò a riversarsi sul mare e sulla terra fragorosamente, incessante e devastante, i lampi squarciavo il cielo ed i tuoni rimbombavano nell’oscurità, colmando la notte. Accompagnavo la tempesta muovendomi furioso dentro di lei che mi serrava fra le sue cosce, rilasciandole esausta dopo una pioggia di baci.


ORA TI VORREI TRA LE MIE COSCE di Alice Stregatta




Grondando sudore
Gli umori a fondersi
Le lingue a intrecciarsi
Le mani a stringersi
I respiri e gli ansimi
I rantolii e i grugniti
Ora ti vorrei tra le mie cosce
A scoparmi con foga
Ora ti vorrei tra le mie cosce
A farmi morire
Di desiderio e godimento
Spasmi e spasimi
Rantolando i nostri nomi
Godere
Cadere
Morire

INVITO RISERVATO II PARTE di Giuseppe Balsamo



Il treno percorre il buio troppo lento, la pioggia incessante che impatta sul vetro del finestrino mi rimanda alla notte scorsa ai nostri corpi avvolti dall’acqua bollente della doccia. Sta dormendo appoggiata alla mia spalla indolenzita per la posizione scomoda, cerco comunque di restare immobile per non svegliarla. 
Paesaggi lunari e fangosi si susseguono fuori dal finestrino, il convoglio è semi vuoto ed in ritardo, la protezione civile ha sconsigliato di mettersi in viaggio se non strettamente necessario.
L’ennesimo messaggio, che questa volta non sono riuscito a nasconderle, ha reso questo spostamento necessario. Me lo ha letto in faccia stamattina, quando ho controllato il telefono e immediatamente dopo l’ho guardata. Non sono riuscito a mentire. Ha la strana capacità di leggermi dentro, così non ho fatto altro che porgerle il cellulare affinché guardasse lei stessa:”E’ stata una bella scopata vero? Potrebbe essere l’ultima, lo sai sbirro? Fatti i cazzi tuoi e non le succederà niente.”
Non mi è riuscito di tranquillizzarla come avrei voluto, limitandomi a spiegarle quello che sta accadendo. Ha scoperto la paura nei miei occhi, così quando le ho detto che dovevo portarla via da Torino ha acconsentito senza replicare. Riesce ad afferrare le cose al volo, come sempre, ha preparato mesta e silenziosa il bagaglio e siamo rimasti a casa ad aspettare.
Ho preferito partire di sera, mi stanno sicuramente seguendo e voglio rendergliela più difficile, in ufficio ho chiesto due giorni di permesso, quello stronzo di Lombardi come al solito ha dovuto polemizzare, questa volta con ragione:”Cazzo Leanza, abbiamo un ragazzino morto e tu te ne vai in vacanza?!”. Si fotta Lombardi, al ragazzino ci penserò tra due giorni o ci penserà qualcun altro.
La giornata è trascorsa silenziosa, in una casa pervasa dal silenzio, dall’angoscia e dalle incognite. Inutile parlare, né lei mi domanda nulla, si fa bastare i miei consigli. Così ci ignoriamo, ognuno immerso fra i suoi pensieri in attesa di un’oscurità che appare più sicura e tranquillizzante.
Occupa il suo tempo a sistemare casa, consapevole che mancherà per un po’, in quanto a me resto davanti al mio lap top a scrivere e-mail, a leggere e rileggere e osservare le immagini. Non ho molto materiale con me e mi concentro su quel poco, anche per evitare di pensare al resto.
Il primo rapporto è scarno, quasi matematico, si limita alla descrizione dei luoghi ed alla prima ispezione di quel corpicino devastato dalle pugnalate. Guardo intensamente quel piccolo ovale esangue e pallido, cerco di immaginarlo sorridere mentre gioca e si diverte, dice le prime parolacce quasi con imbarazzo e senza che papà e mamma se ne accorgono.
Appena mi distraggo da questa fantasia, ritornando alla cruda realtà, mi concentro sul colpo inferto alla gola che gli ha reciso la giugulare, probabilmente il primo anche se avrò probabilmente conferma dal referto autoptico. La mia prima impressione sull’accaduto si fa insistente come una ferita che non si riesce a rimarginare; ho l’immagine di un bimbo terrorizzato e di qualcuno che incide la sua gola come a punirlo, come a sacrificarlo, per poi sfogarsi bestialmente sul suo corpo. L’uomo che lo ha trovato non ha saputo fornire molte indicazioni: ha ritrovato il cadavere avvolto in un lenzuolo bianco su un prato di Mirafiori, non lontano dagli ingressi della Fiat. Sarebbe più corretto dire che è stato il suo cane a trovarlo. Sto ancora aspettando una telefonata, giusto uno scrupolo, un’idea bizzarra. Guardo quelle foto ed aspetto, mentre lo spettro di Masha si aggira inquieto per casa.
Controllo e ricontrollo le mail e il cellulare, ho raccomandato di chiamarmi e non mandarmi messaggi, detesto i messaggi specie in questi giorni.
La suoneria del telefono ci fa sobbalzare, lei mi guarda con la coda dell’occhio preoccupata, cerco di tranquillizzarla con un sorriso stupido. E’ Fabbri dalla Questura. Mi piace l’agente Fabbri, è un po’ una testa matta e spesso caga fuori dal vaso, comunque è uno in gamba. Non è da molto alla omicidi, stava alla celere, come si dice chi non ha testa ha gambe, lui in quanto a gambe non ha rivali.
“Ispettò, mi sa che ci ha preso…”
Esordisce così, l’avere ragione non è tranquillizzante, ma è meglio lasciarlo parlare e capire qualcosa in più.
“Fabbri, spiegati con calma, cerca di far mente locale e non tralasciare niente, ora quello che mi dirai lo metti nero su bianco e non lo consegni a nessuno fino a quando non lo rivedremo insieme”. Fabbri è un disastro a scrivere in italiano.
“Ispettò sono entrato al Mausoleo, come mi ha detto lei, all’apparenza è tutto pulito, ma per terra ci sono tracce di cera nera, non molte ma ci sono. Secondo me hanno fatto pulizia. Sull’altare, dove sotto c’è la Rosina, ci sono delle macchie scure secondo me è sangue, mi ci gioco i coglioni che è sangue”.
Il mausoleo de la bela Rosin, dista a poche centinaia di metri da quel fottuto prato, non so nemmeno io come mi è venuta sta cosa, forse è solo un caso, forse non c’entra niente.
“Fabbri ora tu chiami la scientifica, dici che è stata una tua idea e li fai arrivare va bene? Metti tutto per iscritto e poi me lo mandi col computer, fatti aiutare da Scalzi di lui mi fido. A Lombardi gli dici che l’idea l’hai avuta tu e per il rapporto prendi tempo, finché non torno e finché non ne sappiamo qualcosa in più”.
“Va bene Ispettò…”.
“Grazie Fabbri, grazie…sei stato bravo”.
Fa finta di non aver sentito nulla Masha, l’odore del caffè si sta diffondendo per la cucina, osservo da dietro le sue curve morbide, indossa una maglietta femminile stamattina, le lascia scoperta gran parte della schiena ed ha i capelli raccolti in una treccia. Mi ritrovo a pensare che mi piace carezzarle la schiena l’ho fatto per gran parte della notte, inconsapevole nel dormiveglia.
Mi concentro sulla mia casella di posta elettronica e trovo quello che cerco. Don Silvio lo conosco fin da quando ero ragazzo, era il mio insegnante di religione. E’ un salesiano tutto di un pezzo, nonostante la sua severità mi era simpatico, tanto che abbiamo continuato a sentirci. Per lo più lo chiamo a cavallo delle feste comandate, ogni tanto vado a trovarlo. Rifletto un attimo e comincio a scrivergli, da qualche hanno il prete si occupa di di religioni diverse dalla cattolica, in realtà per come ho capito la Curia lo ha incaricato di censire sette, stregoni ed amenità del genere. Conosco la sua riservatezza e so che sarà difficile ottenere quello che mi serve, così cerco di spiegargli meglio che posso la situazione, allegando anche l’immagine del cadavere.
La sua risposta non tarda ad arrivare, doveva essere davanti al computer.
Sul telefono cellulare che squilla lampeggia il suo nome salvato in rubrica.
E’ bello risentire la sua voce dura e decisa, mi chiama Tonino, come avessi ancora 15 anni, ma non mi da fastidio. Ci scambiamo informazioni ed aggiornamenti sui miei ex compagni e sugli altri professori, gli domando dei ragazzini dell’istituto salesiano di Valdocco. Lì il tempo sembra essersi fermato, ogni tanto ci ritorno, mi piace rivedere il campetto di calcio ed i luoghi appartati dove mi rifugiavo a fumare di nascosto.
“Si Tonino ho una sorta di lista ma è molto scarna, direi che è più un elenco. Vediamoci e ne parliamo, stanno succedendo cose strane a Torino negli ultimi tempi e quello che mi hai mandato ne è una conferma”. Lo saluto con la promessa di una telefonata per poterci incontrare di persona.
L’ombra della sera avvolge la città ed è ora di andare. Masha da un’ultima controllata all’appartamento mentre io chiamo un taxi, siamo in ampio anticipo sull’orario, così le svelo qual è la nostra destinazione.
Non la guardo negli occhi, probabilmente sta piangendo dentro senza darlo a vedere, è nel suo stile, quando però mi decido ad incrociare il suo sguardo mi sorride.
Non serve svegliarla, lo stridio del freno ed il sobbalzo del vagone all’arrivo della stazione di Genova Principe la scuote dal suo torpore.
La stazione è deserta, nonostante sia ottobre inoltrato l’aria è calda in maniera innaturale ed in cielo incombono nuvoloni minacciosi. Parte della città è stata devastata dal’acqua dei fiumi che hanno rotto gli argini riempiendo le vie di fango e detriti. Saliamo veloci a bordo di uno dei pochi taxi presenti.
Questa notte dormiremo in albergo, desidero ancora una notte insieme a lei lontano dalla realtà.
Nonostante la situazione Masha osserva incuriosita la città, man mano che il taxi prosegue nella notte cerco di rendere la cosa più facile e la distraggo facendole da cicerone. Le mostro la lanterna, inventando storie di naufraghi e capitani coraggiosi salvati dall’imponente faro che è diventato il simbolo cittadino. Passiamo davanti La Loggia della Mercanzia e le indico dove sostavano i crociati.
Percorriamo via Gramsci: Anna è al solito posto con il suo banchetto di cianfrusaglie, sotto il quale tiene le sigarette di contrabbando, la saluterò domani non ora.
Ci mettiamo pochissimo a raggiungere Boccadasse, l’hotel è a due passi dal lungomare. Guardo l’ora è tardissimo e non abbiamo toccato cibo. Facciamo due passi sulla passeggiata a mare, con il vento che ci scompiglia i capelli e ci fa lacrimare gli occhi. Ci ritroviamo a respirare a pieni polmoni l’aria salmastra. Siamo gli unici due clienti del solo bar aperto che troviamo. Il proprietario ci viene incontro e ci guarda stupito, la città è intrappolata nel fango alluvionale e non deve aver visto molti persone questa sera. La nostra cena è a base di patatine fritte e birra, non è molto ma non ci serve altro. Scambiamo due parole, è da stamane che non chiacchieriamo, evitiamo accuratamente e consapevolmente argomenti inerenti i motivo del nostro viaggio, proviamo a prendere il lato positivo della questione ed a scherzare sugli arredi del locale, soprattutto ci prendiamo in giro reciprocamente, come spesso facciamo. Sembriamo due turisti, anzi due sopravvissuti all’uragano, unici superstiti in un luogo sicuro. Parlare con Masha mi tranquillizza e mi distrae dalle nubi che insistono nella mia mente, quasi a voler emulare quelle in cielo.
Carichi dei nostri bagagli ce la prendiamo comoda. Raggiungiamo la chiesetta di Boccadasse e ci appoggiamo per qualche istante ad osservare il mare e le luci delle navi in lontananza. Il piccolo borgo di pescatori è avvolto nel buio. Il fragore rumoroso dei turisti che si accalcano nei localini, per poi sedersi a bere sulle barche dei pescatori a riva non mi manca affatto. La tempesta deve aver fatto andar via la luce, tanto da renderlo quasi magico e irreale, illuminato solamente dalla schiuma bianca delle onde che impattano sulla scogliera.
Resistiamo alla tentazione di un bacio e troviamo la strada per andare in albergo.
La stanza è essenziale ma carina, spalanco il finestrone di fronte al letto e ci concediamo una sigaretta, mentre in cielo qualche lampo lontano illumina il buio.
Non c’è più bisogno di parlare, fumiamo in fretta sfiorandoci con gli occhi, ci sentiamo ancora due superstiti e cediamo alla tentazione di godere di questa notte come fosse l’ultima.
“Vieni sbirro, ora basta pensieri negativi, rimandiamoli a domani”.
Le sorrido mentre con la mano mi trascina sul letto, sdraiandosi su di me.
Masha è così, non so se sia realmente incosciente, oppure così cinica da trovare il lato positivo in ogni cosa che le succede, però stanotte ho voglia di lasciarmi andare con lei, dentro di lei.
Mentre con le labbra percorre il mio collo le sfilo il top nero smanicato, sciogliendole i capelli che aveva raccolto in una treccia che la fa apparire ancora più giovane, immediatamente dopo lei mi aiuta a togliere la maglietta.
Intenzionata a torturarmi fino allo sfinimento, sento la punta della sua lingua che trova sul mio corpo sentieri sconosciuti anche per me. La avvolgo con le braccia, cercando i gancetti del suo reggiseno, per liberarle le mammelle e sentire il contatto dei suoi capezzoli sulla mia epidermide coperta da brividi. Cerco di fermarla in quella che sembra più una lotta che un amplesso. Fuori dalla finestra si sente forte lo scrosciare della pioggia, dentro la stanza quello dei nostri respiri impazziti.
In un attimo di tregua ci spogliamo restando nudi. Ostenta il suo corpo quasi a sfidarmi, abuso della sua pelle con le mie mani e con la lingua. Mi aggrappo ai suoi seni per poi perdere la testa fra le sue cosce. La assaggio, la mordo, la assaporo, la penetro con la lingua finchè non sento che è pronta.
Gli occhi negli occhi, conficca le sue unghie nelle mie natiche e sono dentro di lei. Tutto scompare: la pioggia, il fango, il vento, Torino, il mare. C’e solo il suo respiro irregolare e la sensazione di calore improvviso che mi assale, i miei movimenti cadenzati, profondi e decisi.
“Ancora, di più!”.
Me lo ordina accompagnando i miei affondi ormai privi di controllo.
“Ancora, di più!”
Prova a dirlo mentre le tappo la bocca con un bacio.
“Ancora, di più!”
Lo sussurra con un filo di dolore nella voce, quando i miei colpi si fanno violenti e istintivi, quasi cattivi.
Il piacere mi sorprende improvviso quando sento il suo sesso stringere il mio. Soffoco un verso istintivo riversando in lei il mio seme.
La guardo, mi guarda mentre anche lei è in preda ad un orgasmo silenzioso fatto di gemiti e sospiri.
Infine mi avvinghia fra le sue cosce, quasi a bloccarmi, mentre proseguo impazzito a muovermi dentro di lei, come un fiume in piena che ormai sta straripando.
Restiamo così, abbracciati in quel letto che sembra troppo grande, in attesa di un sonno che tarda ad arrivare, quando ormai l’alba è vicina.
Dormo appena, aggrappato alla sua schiena, cercando di prolungare la notte.
Mancano poche ore alla mia partenza, il centro storico della città pare piacerle, soprattutto apprezza il lungo mare e la fascia costiera.
Scorgo Anna al suo solito posto. La ricordo così da sempre, comoda su quello sgabello minuscolo, con la sua piccola bancarella piena di nulla. Il suo vero tesoro sono le sigarette, è comunque capace di procurarsi qualsiasi cosa, basta chiedere.
Quando mi vede sorride come se ci fossimo visti il giorno prima, eppure sono anni che non torno qui.
Sa tutto di tutti Anna, fa parte del paesaggio, per me rappresenta Genova, anche se in realtà e Napoletana.
Quando le presento Masha le due sembrano andare d’accordo. Mi consegna le chiavi del piccolo monolocale sopra casa sua. Anna è diventata ricca in tutti questi anni, eppure continua a presidiare via Gramsci, tenendo sott’occhio il porto, i marittimi e le puttane, come fosse un compito datole da un’entità superiore.
Non si scomoda ad accompagnarmi, ha da badare ai suoi traffici e io conosco bene il posto dove Masha si nasconderà nei i prossimi giorni.
Diamo appena un’occhiata alla sistemazione provvisoria, poi Masha insiste per accompagnarmi alla Stazione.
Nessun bacio d’addio, solo un sorriso complice ed il treno che mi riporta alla realtà.
Racconto / Noir

L'ENTRATA DI CRISTO A BRUXELLES di Andrea Lagrein




Il vociare che proveniva giù in strada aumentò d'improvviso. La processione era prossima a passare sotto il balcone dell'appartamento dove mi trovavo. "Sta arrivando Gesù! Stanno arrivando, devo andare!" quasi urlò trafelata Laura, uscendo dal letto ancora caldo del nostro amplesso. Scoppiai a ridere. La scena era esilarante. Quelle parole dette così velocemente stridevano con il culo pieno e le tette cadenti che avevo di fronte, mentre cercava di rivestirsi in fretta e furia. Già, stava arrivando Gesù e la mia Maddalena doveva correre per redimersi!
"Non c'è nulla da ridere, stronzo!" mi fulminò con lo sguardo. "Nella processione c'è anche mio marito e sai che casino se ci dovesse beccare? Si aspetta di vedermi giù in strada e non voglio certo che si insospettisca se non mi vedesse!". Rischiò quasi di cadere nella fretta di infilarsi la gonna. E questo non fece altro che aumentare il mio divertimento. Era sposata con un pezzo grosso del luogo, assessore o roba del genere. Non la scopava ormai più da tempo, ma le garantiva comunque una vita più che dignitosa, con una bella villa, auto sportiva e spese folli sempre garantite. E a Laura, infondo, non dispiaceva. Sarebbe corsa in strada ad assistere al passaggio di Gesù Cristo, mentre con la mano, da brava e devota moglie, salutava il marito che camminava in mezzo al corteo. Tanto lui non avrebbe avvertito il suo afrore di cagna in calore. E la mascherata avrebbe potuto placidamente continuare per la sua strada.
Si trattava, o si sarebbe dovuto trattare, di una cerimonia religiosa, di una processione. Era la commemorazione dell'entrata di Gesù a Gerusalemme. L'intero paese si era riversato in strada per l'occasione. Era uno dei momenti salienti della placida e monotona vita di questo luogo. Ogni anno si ripeteva la stessa sarabanda e tutti accorrevano non certo per ammirare Gesù che attraversava il paese a dorso di mulo ma per mettersi in mostra agli occhi dei propri concittadini. Una fiera carnascialesca, ognuno con la propria maschera!
Mi accesi una sigaretta, aprii una lattina di birra e mi misi al davanzale della finestra a torso nudo, per osservare la folla tumultuosa che si assiepava ai bordi della strada. In quel luogo ci ero capitato quasi per caso. Stavo cercando di rimettere insieme i cocci della mia vita e un amico mi aveva offerto quel suo appartamento che non usava. Era il classico paesino sconosciuto sperduto nel nulla, in mezzo alla campagna, dove ancora l'agricoltura la faceva da padrone e tutti gli abitanti si conoscevano e si salutavano per nome. Dopo due settimane conoscevo già le storie di ogni singolo abitante. Era semplicemente perfetto!
Più che una processione sembrava una sfilata, dove la moltitudine di persone chiassose oscurava e nascondeva il Cristo. Don Ciro capeggiava la parata. I suoi occhi tronfi e scintillanti facevano il paio con gli ornamenti che indossava. Guardava a destra e a sinistra, ammiccando e salutando tutti quanti. Era risaputo che Don Ciro fosse un sacerdote dedito alla vita. Certe storie erano giunte anche alle mie orecchie. Fica e tette, insieme a un bel culo pieno, erano la sua passione, uguagliata forse dal buon rosso forte e sincero della zona. L'avevo incontrato pochi giorni prima sul sagrato della chiesa, in uno dei miei soliti giri oziosi. Aveva la bazza ancora sporca di unto del pasto appena consumato. Mi salutò soddisfatto prima di sparire velocemente in un piccolo vicolo laterale. Sapevo dove stava andando. La casa di Simona si trovava poco più in la. Era risaputo da tutti che Don Ciro amava scoparsela, e la cosa era ricambiata. La passione, evidentemente, poteva superare qualsiasi barriera, anche la più solenne. Così, fra un miserere e un te deum, aspergeva le sue pecorelle con il suo uccello da Priapo mai sazio. Il suo gregge faceva finta di non vedere e in cambio lui chiudeva un occhio, se non tutte e due, sulla fede non proprio irreprensibile dei propri parrocchiani. E oggi, impettito nei sacri paramenti, camminava come fosse su una passerella di Milano. Sfilava in bella mostra come fosse lui il protagonista di giornata. Mansueto, l'asino con il Messia, lo seguiva a debita distanza.
Spensi la sigaretta, m'infilai una maglietta e decisi di scendere anch'io in strada. Lo spettacolo era troppo allettante! L'odore di frittelle e dolciumi assortiti mi colpì immediatamente. Varie bancarelle stipate sui marciapiedi offrivano le loro mercanzie. Il sacro che si trascinava il profano! "Ehi, bel signore, la vuole una frittella succulenta?". La voce era di una donna di mezza età ben in carne che, dietro al suo tavolaccio, mi offriva quello schifo colante di olio. La guardai sorridendo. "Ma sta passando Gesù! Non vuole assistere alla processione?" chiesi con il tono più angelico che riuscii a fare. "Eh, caro mio, gli affari sono affari. Gesù capirà, ne sono sicura!". Mi voltai perdendomi nella folla, mentre con lo sguardo iniziai a cercare Laura. "Il prezzo del grano è alle stelle e anche con il latte siam messi maluccio!". "Già, è uno schifo. Son quasi ridotto in miseria!". Non potei far a meno di ascoltare la conversazione dei due tizzi di fianco a me. Gesù intanto stava arrivando. Cristo, mi sembrava di essere fra i mercanti nel tempio. Tutti che vociavano e discorrevano dei fatti propri incuranti della processione.
Nel frattempo la sfilata continuava a scorrere. Dietro Don Ciro venivano dei ragazzotti che tenevano in mano delle palme. Erano a torso nudo e facevano bella mostra di se, gonfiando i muscoli che guizzavano sotto la pelle sudata per il caldo. Con gli occhi scrutavano fra la folla in cerca di ragazze che li rimirassero avide. In fondo era una ghiotta occasione per pavoneggiarsi e magari rimediare una bella scopata per la sera. Che Gesù li seguisse da presso era un fatto meramente marginale. Nel frattempo una mano delicata mi sfiorò il braccio. Mi voltai di scatto. Era Amanda, la puttana del paese. "Costo molto meno di quelle di città e ti faccio godere molto di più!" mi sussurrò maliziosa. Il Cristo a dorso d'asino aveva quasi raggiunto il posto dove eravamo fermi. La guardai. "Ma questa è una giornata dedicata al Signore. Lavori anche oggi?" domandai divertito. Fece scendere la mano fra le mie gambe senza farsi vedere e con le dita afferrò il mio uccello. "E' proprio in queste giornate che si lavora meglio. Se vuoi lo possiamo fare nella posizione della missionaria!". E scoppiò in una risata volgare. Quasi mi venne il voltastomaco. Quasi! "Tesoro, non oggi. E' già passata qualcun'altra prima di te. Sarà per la prossima volta!". Amanda non mi rispose neppure. Si voltò allontanandosi, in cerca di qualche altro cliente, ennesima Maddalena da redimere!
La mia attenzione fu nuovamente catturata dal corteo. La banda del paese iniziò a suonare a ritmo infernale, quasi fosse una fanfara militare, ennesima promiscuità fra sacro e profano. Gesù passava benedicendo, ma tutti erano molto più attenti ai musicisti che non alla sacra rappresentazione. Su un loggione erano comodamente seduti il sindaco con i vari notabili del paese, sorridenti e sgargianti nei loro doppio petto di circostanza. Si affacciavano dalla balconata dispensando saluti e ampi cenni delle mani a chi da sotto ossequiava il loro potere. Per la gente questa era una benedizione ben più potente e importante di quella impartita dalla figura a dorso di mulo.
Improvvisamente, con la coda dell'occhio, vidi due ragazzini che si davano da fare fra la folla. Le loro mani erano leste e, senza che nessuno se ne accorgesse, un bel po di portafogli finirono nelle loro tasche. Uno dei dei due si accorse che lo stavo fissando. Mi guardò scrollando le spalle, come a dire "e a te che te ne importa!". In quel momento Gesù passò proprio al loro fianco. Tornai a fissare la processione. Quei due erano probabilmente i più onesti che c'erano in mezzo a tutte quelle persone. Li lasciai fare senza dire nulla. Probabilmente quella sera si sarebbero presi una bella sbronza.
Decisi di averne abbastanza di quel carnevale improvvisato. Tutti accorsi in massa all'evento, ma nessuno che degnava di uno sguardo il Messia. Triste simbologia dei giorni nostri! Meglio tornare in casa a scolarmi qualche birra che stare in mezzo a queste maschere fasulle. Ma non feci in tempo a incamminarmi che Laura apparve d'improvviso al mio fianco. Gesù ormai ci aveva superato. "La processione si sta allontanando!" mi sussurrò maliziosa. La guardai con occhi interrogativi. "Ho ancora una voglia matta di rotolarmi con te fra le lenzuola. Voglio che mi scopi ancora, e poi ancora, e poi una volta ancora. Torniamo da te, dai!". Non ero certamente un santo e a certe proposte non sapevo dire di no. Così ci avviammo, mentre suo marito, felice e sorridente, procedeva in mezzo alla processione.
Nel contempo il Messia a dorso di mulo fu ingurgitato dalla folla festante, mentre noi due ci eclissavamo nei nostri olezzi adulterini.
E così la benedizione non scese su di noi!

IL PAGLIACCIO CHE PIANGE di Asianne Merisi





Lacrime bianche colano dagli occhi come gocce di cera 
l sorriso rosso muta in una smorfia beffarda.
Intorno luci basse di un circo sfarzoso. 
Gli spettatori ammutoliti dal suono incessante del pianto
Dopo essersi asciugato una lacrima, 
portando via uno strato di cerone dal viso. 
il pagliaccio torna a ridere una risata scomposta. 
Mentre il pagliaccio ride e muore, muore e ride di nuovo, 
il pubblico si alza in piedi per celebrare l'ultimo, 
meraviglioso spettacolo.
..oltre.

sabato 11 ottobre 2014

Dove acquistare i nostri Book


L'arte che si scrive - Volume due

Prigionieri della vita di Indeeper Yoursoul




Rinchiusi nel nostro piccolo mondo, spesso concentrato su poche unità viventi e ancor meno spazio vitale, consumiamo i nostri giorni senza slancio fino ad accorgerci della miserabilità della nostra esistenza fatta di sguardi negati ad un futuro possibile che ci ha sempre sfiorati ma che abbiamo sempre ignorato, volgendo i nostri occhi verso ciò che già conoscevamo come più sicuro perché certo, anche se esso ci procurava dolore, un dolore dell'essere, un soffocare la nostra anima che invece un dolore fisico, ma davvero intenso, shockante avrebbe potuto paradossalmente lenire...e invece risate, finte e posticce, prima di tornare a casa, rinchiuderci di nuovo nella nostra cella ed espiare il peccato della nostra codardia!

Il sapore del tuo corpo di Asianne Merisi



LUI>> È un piacere così intenso....
Manda in estasi ogni mio senso
così come sentire il tuo respiro che mi accarezza la pelle.....
Dandomi la consapevolezza di essere tuo...
Così come tu sei mia...

LEI>>bramami nella pelle, lenisci i brividi con i baci che sanno di te
Il tuo corpo m' appartiene, la mia anima ti chiama
ancora di te voglio,
ancora di te mi disseto,
ancora delle tue mani io ho bisogno.

LUI>>Avrai tutto me stesso così come io vorrò di te tutto...
Anche l'aria che respiri, perché anche quella mi ricorderà
la passione che vive in noi è che accende ogni nostro attimo...
Rendendolo unico

LEI>>costruiscimi un tempo che sia ....(NOI)
donami il piacere di sentire amore per il tuo respiro per il tuo corpo ...
e non togliermi il tempo che di (NOI) si nutre
Regalami una poesia stanotte
appoggiandola sui miei seni è
mi vestirò di ogni tuo respiro.... e a ogni tuo gemito io saro tua

LUI>> Donami il tuo piacere e fammi assaporare ciò che di bello
la vita mi ha riservato unendomi a te....
Fammi gustare il tuo piacere così come un febbricitante brama
la fredda acqua....
Dammi te stessa così come io darò ogni mia parte a te

LEI>>Sei qui
nei miei pensieri dolci
quel tanto per intrigarmi,
sei qui,ad essere scoperto ...
rendimi padrona del tuo piacere è solo allora ..
io sono......tu sei..... noi SIAMO
godi tra le mie carni ..... e al tuo brivido più forte
dimmi che sono tua
per rimanere sempre tua.

LUI>>Toccheremo insieme il tetto del piacere....
Le nostre menti si uniranno così come i nostri corpi
che caldi ed umidi di piacere, non vorranno altro
che star ancora uniti e stretti l'un l'altro
per un'eternità che ai nostri occhi sembrerà un semplice istante

INSIEME>>ma un infinito eterno