martedì 24 settembre 2013

lunedì 23 settembre 2013

PIC NIC METAFISICO di Alice Stregatta





Illuminati dai nostri sogni
All'ombra delle nostre parole
Lambiti da onde di desiderio...
Noi.

TACI ! di Alice Stregatta




ntrò in camera in punta di piedi,le aveva preparato il caffè...
Lei dormiva... Si soffermò ad ammirarla,intuiva la sua figura,avvolta nel piumone fin sopra la testa... Sorrise tra sè...
"Sei stato proprio un cretino!"
La svegliò dolcemente,scostando le coltri e coprendola di baci...il collo,l'incavo della clavicola...prese a mordicchiarle un capezzolo...
"Hhummff...lasciami stare,sono furiosa con te!" disse,voltandogli le spalle...
Ancora baci...intorno alle scapole,lungo la schiena...l'incavo dei reni... Baci...baci...
Lei continuò a mugugnargli improperi...e si voltò,di nuovo...
Baci sul ventre...baci sul pube... Baci...baci...
Scese tra le sue cosce...
Iniziò a leccarle il clitoride,e la penetrò con due dita.Era bagnata (troia).
Lei trasalì...gemette...ancora ad occhi chiusi.
"Non mi sembra lei sia incazzata con me,Alice..." Le sussurrò all'orecchio...
La penetrò con un colpo deciso e iniziò a scoparla,dolcemente...
"Siamo tutte incazzate con te,e lei è solo una stronza che ha una reazione fisiologica ai tuoi baci... Non t'illudere..."
Finalmente,lo strinse,forte,e incrociò le gambe attorno ai suoi reni...
"Già che mi hai svegliata,fottimi come si deve! E,dopo,TACI...io con te,oggi,non ci parlo!"

FRAMMENTI di Ali Spezzate




Sentirti ridere.
Sussurrare.
Godere.
Emozionarti.
Pronunciare il mio nome...
Vivo più di quell'ora rubata alla penombra, che di una vita scaldata al sole.

REALTA' di Sereno Notturno





Devi sentirla
viverla
farla tua.
Succhiare di lei fino all'ultima goccia
impossessarti del suo colore
del suo odore
del suo aroma
tu sai farlo
puoi farlo comodamente seduto.
Guardandola negli occhi.
Lei andrà con chiunque
fregatene
prenderà i sensi di entrambi
godi e apri un'altra birra.
Lei non ti tradisce.

UN DRINK di Gianluca Jazz Giannini




Seduto al tavolino, James, trangugia il suo mojito. Il primo della giornata. Nel tumbler le bollicine salgono copiose in superficie. Il succo di lime, prepotente, gli invade il palato, mentre un torrente di rhum gli disinfetta la gola e l'odore della menta inebria, invece, le narici. Sensazioni fuori dal tempo, sensazioni cercate nella vicina Avana (Cuba). Fiumi di alcool senza problemi. Là, da dove viene lui c'è il proibizionismo, l'Avana è una città ospitale a cui piacciono i dollari americani, sono la fortuna di quella terra povera vissuta all'ombra di un gigante che si domanda ora il senso di quel scellerato atto del deputato Andrew Volstead. Proibire la fabbricazione, la vendita, l'importazione e il trasporto di alcool. Proibizionismo, si chiama così questa lunga e buia notte della vicina America.
- Un'altro! Ordina James, mentre un cameriere in giacca bianca raccoglie la sua ordinazione.
- Subito signore.
Il cameriere ritorna immediatamente con il drink, ne servono tanti, ogni sera. Sono molti i turisti americani che vengono a sciacquarsi le budella con i drink cubani.
James affera il braccio del cameriere, e gli dice...
« Sono certo che lei conoscerà qualche posto dove poter concludere la serata.»
James allunga una banconota da 10 dollari che si infila velocemente nella tasca della giacca bianca del cameriere.
Pablo, il cameriere, ha il senso degli affari, sa come arrotondare il misero stipendio che si guadagna portando alcolici ai tavoli dei facoltosi americani e indicando agli stessi come concludere nel migliore dei modi la serata. Così anche ora, si avvicina all'orecchio di James e bisbiglia accompagnandosi con gesti dove poter concludere la sua serata.
James ingurgita tutto d'un fiato il suo secondo mojito della giornata e ordina il suo terzo prima di lasciar andare la presa sul braccio del cameriere.
Il cameriere lo guarda, forse ammirando la sua capacità di reggere l'alcool, o forse, sapendo che quel terzo mojito lo porterà a conoscere un significato sconosciuto ai più.
James, indossa il suo avana e, raccogliendo il suo bastone, si reca nel posto indicatogli dal cameriere. Imbocca un vicolo, subito dopo il locale dove ha tragugiato quella bevanda di cui ora sente gli effetti in tutto il corpo.
E' una casa di color azzurro, almeno così semba alla luce di quella pallida luna che illumina il cielo, le cornici degli infissi sono bianche, al più avorio. Bussa, un uomo di colore gli apre la porta, lo invita all'interno. Un'orchestrina suona all'interno di un piccolo cortile, le note si propagano in tutto l'edificio, salgono su, fino alle camere.
Due ragazze di colore si avvicinano a James, hanno poca roba addosso, una tunica, bianca, semitrasparente in lino, dalla quale si percepiscono dei seni tirati su oltremisura, e che così schiacciati inducono a pensare che quelle donne ne abbiano molto di più di quanto realmente possano dimostrare di averne. Si contendono James, il quale non ha la forza di dire no ad entrambe e si lascia accompagnare nelle stanze al piano superiore.
James, sente le sue gambe molli, troppo molli, il suo corpo sembra non appartenergli più, l'ultimo gradino è fatto più perché sorretto dalle due giovani donne, che per una sua reale volontà. Lui è li, come una proiezione extracorporea che vede se stesso più avanti di buoni due passi.
Vede il suo corpo buttato sul letto. Tutto ciò che avverte, lo percepisce con quel ritardo fisiologico di quei due passi indietro. Così anche il suo ondeggiare sul letto, dopo esservi caduto di peso, e la sua svestizione, viene avvertita prima dal corpo e in seconda battuta dal suo cervello.
Si danno il turno sopra di lui, le due ragazze cubane, e a fine rapporto frugano nelle tasche di James prendendosi il loro compenso, più un'extra per aver dovuto fare tutto loro..
L'americano cade nel torpore e qualche ora dopo ancora assonnato constata che ha ripreso possesso del suo corpo. Accasciato insieme a tanti altri corpi nel vicolo. E' stata una giornata piena per quel locale, tante persone hanno fatto la sua fine, pensa, vedendo quelle informe massa di persone.
Stropicia gli occhi e si sente diverso. La prima cosa che avverte è il colore della sua pelle, è nera, ma non di uomo, è una donna, si ritrova addosso due seni che la notte prima era certo di non avere, anzi era certo di non averli mai avuti.
Il suo indagare sul suo nuovo corpo si arresta poco dopo, quando l'alba incomincia a rischiarare il vicolo, e compare una signora con i capelli bianchi, che scivolano fluenti e lunghi sotto il suo capello avana che la donna indossa sulla sua testa
« Oggi, avete avuto prova del potere del vudù. Americani non seducete oltre con i vostri dollari questa popolazione, altrimenti al vostro prossimo risveglio, ciò che voi ora siete, non è detto che scomparirà.»
Un raggio di sole colpì quella visione avvolgendola nel suo bianco chiarore e facendola scomparire agli occhi degli astanti, inducendoli a chiudere nuovamente i loro occhi.
Mister, mister, si deve alzare, non è permesso dormire in strada, Pablo, il cameriere della sera prima, quello dei 10 dollari, riportò alla realtà James, il quale, ora potè constatare di aver ripreso effettivamente i panni di uomo e di americano.
Balbettò qualcosa
« Phuà, diabolici intrugli....»
raccolse il bastone e si diresse verso il suo albergo. Lungo la strada del ritorno incontrò una figura ricurva su se stessa, che al suo passaggio avevo il volto beffardo di chi nonostante l'età conosce la vita.
« Questo è suo. »
disse allungandogli il panama.
« Si, vero. Dove lo ha trov...»
« Non importa, questo, si ricordi la promessa.
»
« Quale promessa? »
La vecchia prese a stare dritta e disegno sull'esile corpo due seni.
James, non era ancora perfettamente lucido, ma improvvisamente si ricordò del sogno appena fatto, così reale, e vivo. Guardò dritto negli occhi quella vecchia, cercando conferma dei suoi pensieri.
La vecchia non era più lì, scomparsa, James girò su stesso, ma non riuscì a trovare manco la sua ombra, solo un'improvviso senso di sfiorarsi per assicurarsi che tutto fosse in ordine nel suo corpo.

P.S. Una dei probabili significati di Mojito (quello meno probabile) si fa risalire alla etimologia della parola, infatti mojo, è una parola vudù il cui significato è incantesimo.

ULTIMO IMBARAZZO di Giuseppe Balsamo




Avevamo già avuto il nostro primo bacio, sapevamo come sarebbe andata. Mi sono spogliato con disinvoltura. Sentivo i tuoi occhi sul culo per nulla a disagio.
Sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire, sarei stato dentro di te, avremmo scambiato la nostra saliva, i nostri umori, i nostri respiri, il nostro piacere.
Sdraiato ti visto uscire nella penombra dal bagno, con movimenti da gatta sei salita su di me, il tuo baby doll morbido lasciava intravedere le tue mammelle.
L’ultimo tuo imbarazzo inspiegabile nel coprirle al mio sguardo malizioso ed ingordo.
Il tuo sorriso, infine il nostro piacere su tutto.

sabato 21 settembre 2013

BUONGIORNI di Indeeper Yoursoul




..si si lo so che questi messaggi mattutini sono spesso dei saluti fugaci..ma mi piace pensarti in ogni momento, anche ora mentre ti prepari per andare a lavoro, ritoccando l'acconciatura o il trucco proprio all'ultimo secondo, all'ultimo specchio che incontri prima di uscire dal tuo guscio che sa ancora di te nell'aria rarefatta della notte non ancora completamente rinfrescata e tuffarti all'esterno diffondendo e regalando il tuo profumo di donna al mondo...

CHIAMAMI di Gianluca Jazz Giannini




Veronica abita in un appartamento nel centro storico della sua città. Da un po' di tempo esce di casa con gli occhi stanchi e gonfi per il sonno perso. In questo ultimo periodo trascorre le nottate a ripassare per l'imminente (ultimo) esame universitario. Si dovrebbe laureare, infatti, nella prossima sessione. Veronica, inoltre, oltre ad essere una studentessa universitaria, è anche una lavoratrice. Durante il giorno è impegnata in un lavoro part-time, che le permette di sopperire alle sue più elementari esigenze oltre a pagare l'affitto della camera e la retta universitaria.
Ha rinunciato a tutto, sacrificando buona parte della sua vita per quei risultati che ora vede alla sua portata. Non ha rinunciato all'amore, alla sua Erica, già, perché a Veronica piacciono le ragazze, lo ha capito fin da subito quale era la sua tendenza e fin da subito l'aveva schiaffata in faccia ai genitori, che ricambiavano quello sguardo con occhi pieni di vergogna, la loro. Così aveva capito che di quelle due strade davanti a lei, ne avrebbe dovuto percorrere una.
Una, sarebbe stata drastica e la avrebbe portata a recidere il cordone ombelicale con la sua famiglia, e un'altra, sarebbe stata una scelta di compromessi e convivenza impossibili volendo avere il conforto dei genitori per quella sua scelta che chiaramente non accettavano e vivevano come una imposizione. Veronica per indole non era incline a compromessi, era stato pertanto facile scegliere di andare via, di diventare grande. Di diventare adulta e responsabile di tutto ciò che le sarebbe accaduto da quell'istante in poi.
Il cellulare di Veronica, appena acceso, la avverte che le è arrivato un messaggio, è lei Erica, la sua compagna da qualche tempo, «appena puoi chiamami» dice quel messaggio.
Cosa sarà successo, non mi chiama mai a quest'ora.
Prova a chiamarla, ma il telefono squilla a vuoto.
Quel tarlo continua a frugarle la testa, per tutta la mattinata.
Ogni tanto prova a chiamarla, ma il telefono ora, dopo il primo squillo, si mette in segreteria.
Apprensiva Veronica lascia allora un messaggio
«Ciao Eri, tutto bene? Rispondi! Mi fai preoccupare»
Erica abita in un altra regione, abita lontano. Si sono conosciuti avendo amici in comune durante una vacanza, e da una vacanza sono appena rientrate con splendidi ricordi, quelle anime quasi si sentono, sanno quando uno sta giù, lo percepiscono nell'aria.
Erica ha paura, questo Veronica lo avverte, solitamente si precipita a rispondere. Non lascia passare neanche il 2° squillo, che lei apre la comunicazione. Oggi no, oggi è diverso, le deve confessare un pesante fardello. Un qualcosa che riguarda loro due.
All'ora di pranzo Erica prende il coraggio e chiama.
Veronica, risponde aggredendola, perchè lei è anche una persona impulsiva e viscerale. «Finalmente, ma che fine avevi fatto?».
«Scusa ti devo dire una cosa importante».
Silenzio.
Una pausa che aggrava la situazione, l'esasperazione di quell'incertezza, che è poi ciò che Veronica sa non vorrebbe sentirsi dire. Almeno non così, non al telefono.
Ingoia un rospo grande quanto una casa e Vero risponde. «Eri dimmi, dai, non farmi preoccupare, cosa c'è?».
«Ho conosciuto un'altra persona, mi piace».
No! Non può essere pensa Vero, siamo stati in vacanza assieme, abbiamo progettato il nostro futuro, ci siamo scambiati l'amore, il nostro desiderio più profondo e ora mi viene a dire, che tra noi due c'è un'altra.
«Da quando?», chiede Veronica come se la cosa del quando, fosse ora più importante del fatto che quella persona c'è, esista, e si sta intromettendo nella loro storia d'amore.
«L'ho conosciuta lo scorso week end, ed è stato subito qualcosa di travolgente.»
Erica cerca di usare parole che non feriscano, ma in quell'istante qualunque cosa dica diventa una lama tagliente che affonda nel cuore di Veronica.
Come fai, come puoi, cosa cazzo sei. Vorrebbe dirle. Ci rinuncia, diventando l'ennesima vittima dell'amore.
Vorrebbe controbattere a quella decisione presa alle sue spalle, vorrebbe fare qualcosa, ma si sente impotente.
Le dice solo «Ti auguro la tua felicità», anche se lei, Erica non sapeva di cosa lei stesse parlando. Lei la felicità gliela stava togliendo, le aveva regalato un dolore.
Veronica chiuse la comunicazione e cancellò il numero, definitivamente.
Si avvicinava la pausa pranzo di quella infernale giornata.
Una nuova chiamata in arrivo, la riportò alla realtà. L'idea, ritorna a Erica, magari ci ha ripensato.
No è la madre, non la sente da tanto tempo.
- Vè.., come stai piccola mia,
Da tempo Veronica aspettava quella chiamata, aspettava che la chiamasse, si sentiva sola, tremendamente sola ora. Vince il suo orgoglio e piange, senza controllo
- Grazie Mamma.
- Di cosa piccola mia.
- Avevo bisogno che qualcuno oggi mi chiamasse e mi facesse capire che esisto per lei.
- Ve, che brutta cosa hai detto, tu ci sei sempre stata per noi, non capiamo, ma ci sei, sei il nostro sangue, sei....a proposito hai mangiato? Perché non vieni a pranzo da noi oggi?
Veronica, attende, «Si, Ma, vengo a pranzo. Dimmi una cosa. Perché proprio oggi, perché mi hai chiamato proprio oggi?»
«Avrei dovuto farlo prima, molto tempo fa, ma oggi ho sentito che non poteva essere più domani. Oggi era un giorno giusto per chiamarti.»

TI-TUBANZE di Indeeper Yoursoul



 ..esco piano la sera, c'è come qualcosa di irriverente che mi aspetta dietro l'uscio all'uscita..mi preparo con cura, non vorrei mai che la notte mi cogliesse di sorpresa alle spalle mentre le luci del night club mi percuotono il vestito di satin.. resto spesso assorta nel vedermi cambiare pelle, riempire il mio caricatore di pallottole sessuali per non aver paura di uomini blateranti emozioni da poco..ti penso, un pò, tanto per darmi un motivo ad uscire, e solo allora che mi ricordo di una bambina fragile che aveva tanta voglia di diventare donna davvero.

INFILTRATO di Allie Walker




Sto ancora raccogliendo pezzi
della tua poesia
sulla mia carne.
Ecco cosa succede
quando si fa l'amore
con uno scrittore;
i pezzi della loro esistenza
si infiltrano così profondamente,
che i resti di un atto di passione
diventano una parte di te.
Tu,
la tua poesia,
siete parti di me.

TRA IL DOLCE E L'AMARO, MI CONSUMO. di Allie Walker




E mi consumo.
Tra il dolce di due giorni in tua compagnia e l’amaro del resto della settimana lontana da te, tra il miele della tua lingua e il morso dei tuoi denti, tra la gioia del momento in cui arrivi e la tristezza di quando te ne vai.
Dolce e amaro, di ogni cosa.

E mi consumo.
Tra il piacere delle tue mani che mi toccano e la presenza delle mie sole mani quando non ci sei, tra la morbidezza del tuo cuore e la ruvidità dei mie tagli che non sanguinano, tra il modo in cui mi comprendi e quando ti rifiuti di farlo.
Dolce e amaro, in ogni cosa.

E mi consumo.
Tra la solitudine che non è più solitudine, ma presenza accorta e sincera, e il tempo che è sempre troppo breve, tra il modo in cui aggiungi voluttà e la distanza che metti tra noi quando ti oscuri in volto.
Dolce e amaro, in ogni cosa.

E mi consumo.
Tra la brillantezza della notte che mi fai vivere tra le tue braccia e il buio di una giornata assolata passata tra gente che non conosco, tra quello che mi dici e quello che mi tieni nascosto, tra il modo in cui ti senti, mostrandolo, e le parole non dette.
Dolce e amaro, in ogni cosa.

NOVECENTO di Giuseppe Balsamo




Il balilla passò quell’immagine stropicciata ed umidiccia al suo giovane camerata, quando la vide per poco non gli cascò il moschetto di spalla. Guardava quelle mammelle immature, il monte di venere glabro. Non avevano nulla a che vedere con le poppe abbondanti di sua madre, con il pelo scuro e folto che ricopriva il pube di sua sorella.
Come due ladri, insieme osservavano quell’immagine, cercando di carpire l’odore di quella femmina, la consistenza di quelle carni abbondanti, sode, calde.
Quotidianamente si ritrovavano davanti al casino, lei usciva vestita di tutto punto, ma loro la vedevano nuda, sognavano di poterla avere.

venerdì 20 settembre 2013

LA SUA CORSA ERA ROTONDA di Gianluca Jazz Giannini




Finalmente dopo mesi che mi sfrecciava affianco, il duro allenamento al quale mi ero sottoposto dava ora i suoi frutti. Almeno ora riuscivo a stare al suo passo, quasi. Scappava ma facevo il suo stesso percorso. Era stimolante poter pensare di calcare il suo stesso tragitto e poter osservare quei passi che sfioravano terra leggeri. Lei aveva una corsa rotonda, sospesa in aria per quel tanto che bastava a farla volare sull'asfalto. Una piuma e l'assenza di rumore di quel passo felpato che rimbalzava sull'asfalto. Le sue gambe dentro quella calzamaglia nera sembrano pistoni, esprimevano forza e delicatezza. Salivano e si distendevano.
Così ora riuscivo a starle dietro, almeno per un po', ansimando e in debito di fiato certo, ma lei era davanti a me. Un altro particolare che ricordo di quella sua corsa è che portava i sui capelli raccolti dietro in una coda di cavallo, che ondeggiava al ritmo della sua cadenza.
Pian piano avevo imparato ad essere leggero, pian piano avevo imparato a respirare, senza annaspare. Pian piano ora stavo accorciando le distanze, faceva la lepre e io...
Già, cosa ero io, tanto tempo ad inseguire quella corsa, senza pormi la domanda più importante, potevo innamorarmi di una corsa o il mio desiderio era lei? Questo non lo avevo ancora compreso, impaurito forse di non reggere quel ritmo atletico. Ecco ora ero quasi al suo livello atletico, marcata a distanza, ma senza aver sciolto la distanza di quella unica semplice domanda ...e poi? Parlavo tra me, come spesso accade quando sei da solo a correre, con te stesso, con le tue paura che mangiano metri di asfalto.
Ti piace eh? Per lei eri disposto a fare un sacrificio per raggiungerla. Lei è li, allunghi il passo e le parli.
Si ma cosa le dico? Buongiorno, buona corsa? Mi sto rincretinendo a parlare da solo. Io e lei non abbiamo niente in comune, è un desiderio, uno dei tanti desideri. Uno di quelli che lasci come tanti sogni nel cassetto. Uno di quelli che fanno grandi le tue paure e piccoli i tuoi sogni.
Corri Gian, improvvisa, sii naturale. Corri Gian, corri.
No, non mi va, non mi sento sicuro, non sono uno che sa improvvisare, uno che ha la battuta pronta, sono uno che incespicherebbe sulle sue stesse parole. Allora vai così, come ti senti, sii te stesso. Ah ecco, questo è un discorso che posso accettare...del tipo o la va o la spacca. Lascio o raddoppio. Se fosse stato in un'altra situazione avrei cercato elementi in comune e....
Gian tu te la vuoi portare a letto diamine, altro che dialoghi...
Si, però così sembra tutto tremendamente ruffiano. Io la cerco perché voglio fare sesso, e se a lei piaccio scopiamo? Non piace, mi sentirei sporco.
Oddio! E ora che fa? Rallenta. Si ferma zoppica, grida, piange, si accascia.
La supero, la osservo. Mi fermo torno indietro. Le prime parole che dico sono stupidate...
- Tutto a posto?
- No che non è tutto a posto, non vedi? Mi sono storta una caviglia. Cazzo che dolore. Mi fa un male cane.
Tentenno ferito più dalle sue parole che colpiscono il mio ego, ecco vedi a voler fare del bene ci si rimette.
- Scusa dice alzando lo sguardo fa veramente un male cane.
- E dopo sarà anche peggio, aggiungo. (Bravo invece di rincuorare ci metto il carico da mille)
- Già adesso è insopportabile, sento che mi si sta gonfiando la caviglia.
Le slaccio la scarpa, gliela levo delicatamente, levo il fantasmino e provo a cercare il punto in cui le duole.
- Li ahi, mi fa male li, fermo. Mi fa male.
- Vieni tirati su, ti accompagno a casa....dico tendendo la mano dopo essermi rialzato.
- Non ce la faccio....
- Non devi camminare, ti porto a cavalluccio.
- Davvero?
- Si davvero..., vieni monta.
Mi volto e l'aiuto a salire sulla mia schiena, il suo petto schiacciato sulla mia schiena e le sue gambe tra le mie mani.
Mi stringe le sue mani al collo e mi sussurra ora affettuosamente e ridendo ahio cavallino, ahio
- Destinazione madame?
- Corso America, 22.
- Ai suoi ordini.
A volte certe cose accadono e quel desiderio si proietta oltre i nostri pensieri che diventano corpi che si cercano, così il suo pube mi cavalca stringendomi nella morsa delle sue gambe schiacciando il petto sul dorso della mia schiena. Come un cavallo senza sella i suoi seni mi accarezzano mentre ricambio la stessa cortesia con il vellutato contatto delle mie mani sulle sue gambe. Il suo respiro cerca il mio collo e si inebria del mio profumo. L'immagino con gli occhi appena abbassati come se volessero essere trasportati lungo un pensiero indecente che li attraversano.
Il pollice delle mie mani esegue una piccola pressione sull'interno delle sue cosce
- Come va la dietro?
- Come? Sembra ritornare in se, per un attimo sembrava persa nei suoi pensieri.
- Come va la dietro?
- Bene il dolore si sta calmando, ma so che il piede si sta gonfiando.
- Siamo arrivati madame....
- Accompagnami fino a dentro, mi chiede
Stacca la mano dal mio collo e fruga in qualche tasca estraendo le chiavi di casa, faccio una rampa di scalini e la sua mano si tende sulla toppa della porta, ma è fuori forza, così la mia mano stringe la sua avvolgendola e il suo domicilio si schiude ai miei occhi.
- Dritto 2ª a destra.
- Eseguo madame.
Stiamo ancora giocando, all'amazzone e al suo cavallo, quando con la mano abbasso la maniglia della stanza. La sua camera da letto, il suo enorme letto bianco con le lenzuola ancora sfatte. Mi volto cercando di accompagnarla e frano insieme a lei nel suo letto.
E' un attimo, e l'incrociarsi dei nostri sguardi diventa l'assecondare dei miei pensieri e dei suoi. Le mani spogliano a vicenda i rispettivi corpi e cercano quel contatto di pelle sudata.
Le mie mani scorrono sui suoi seni.
- Sono eccitata, è tutto il percorso che il mio pube sfrega sulla tua schiena desiderando il tuo sesso dentro.
Ci stringiamo, entro facilmente nella sua carne. La sento avvolgermi calda. I suoi seni minuti sulle mie labbra mentre il mio pube ora ondeggia sul suo, un onda lunga inarrestabile che diventa esplosione, orgasmo, poco dopo. Stretti a tal punto da farci mancare il respiro.

DIO... di Ali Spezzate




Dammi un minuto dei tuoi.
Ne farò mille anni,
da passare con lei.

L'AMICO NON AMICO di Gianluca Jazz Giannini




- Non ho mai pensato a te se non come un caro amico.
Caspita che rivelazione, è una di quelle frasi che ti mette fuorigioco. Out per tutto il campionato. Avevo passato l'ultima parte della mia vita (gli ultimi due anni e mezzo) con il suo desiderio tra le mani. Sprecando ovviamente litri del mio seme. Mattina e sera, da quando mi alzavo a quando andavo a letto. Lei, il mio chiodo fisso.
La mia finestra infatti mi consentiva di vedere ogni suo movimento sbirciando attraverso la sua.
Quella frase ora chiudeva ogni porta, ogni speranza. Da oggi me la sarei dovuta scordare. Avrei dovuto dimenticare i vestiti trasparenti che indossava, i mini completini che non lasciavano sfuggire niente alla mia fervida immaginazione adolescenziale e le sue sfilate nella sua stanza, dove lei era assolutamente inconsapevole che i miei occhi si riempivano di lei.
Si perché la storia che sto per raccontarvi appartiene al mio passato giovanile.
Lei era di qualche anno più grande di me. Un divario che io cercavo appunto di colmare osservandola di nascosto dalla mia finestra. Abitava allo stesso piano, non proprio dirimpettai, ma vicini di casa.
Dicevo... che non faceva caso a me, non mi considerava, per cui questo fattore giocava a mio vantaggio, perché mi consentiva di vederla passare spesso attraverso la sua finestra, davanti alla mia camera in abiti sucinti. Aveva un seno già compiuto, uno di quelli per i quali immagini di fare certe zozzerie e non ti risparmi a fantasticarne 1000 altre.
La vedevo uscire con ragazzi più grandi lei, di quelli che avevano macchine di lusso, una cravatta per ogni giorno della settimana. La testa sempre impomatata e l'aria che si impestava di profumi esotici. Già perchè li faceva salire fino alla sua porta di casa e poi scompariva insieme a loro, per poi ricomparire sotto, nello spiazzo del palazzo dove il cavaliere di turno le apriva la portiera dell'auto.
Ma di questo lei non era felice, le mancava qualcosa.
Ecco allora che io, nei miei sogni ero il suo salvatore. L'aspettavo rincasare, per fantasticare nel reale, la vedevo spogliarsi e abbassare la tapparella, rinchiusa nella sua solitudine.
Quel giorno la tapparella non la chiuse, la vidi piangere, sconsalata tra i suoi avambracci ripiegata sulle sue ginocchia. Il suo corpo sussultava fino a che non si accorse della mia luce accesa e di me che che ero rimasto incautamente ad osservarla dalla mia finestra. Si alzò asciugando le sue lacrime sui suoi avambracci, sbavandosi tutto il trucco della serata. Ma forse le lacrime glielo avevano già sbavato.
- Non dormi?
- Non ci riesco se so che stai piangendo.
Si era alzata appoggiandosi sul davanzale, lo ricordo bene, aveva una sottoveste trasparente rossa.
- Se non fossi così giovane Gian..
ecco l'aveva detto
- Perchè cosa faresti se non fossi così giovane?
- Niente - disse - Non ho mai pensato a te se non come amico.
- Io però ti ho spesso pensato in modo molto diverso.
Dico audacemente, forse ho scambiato il sogno per la realtà? Dove ho trovato tutto quel coraggio.
- Davvero Gian? E come mi avresti pensato?
- Sei sicura di volerlo sentire proprio oggi? Non sono cose da dire affacciati alla finestra. Posso fare una pazzia....vengo da te?
- E come fai è altuccio da qui.
- Scavalco....
- …..
Il desiderio è pazzia, follia allo stato puro.
- Non è altissimo, si può fare passo attraverso il cornicione e sono da te
(più facile a dirsi che a farsi). L'operazione riesce, una mano sul mio parapetto e uno su quello della sua finestra.
- Tirami su, gli chiedo. Mi afferra e lascio la presa della mia finestra. Scavalco il suo parapetto e sono da lei
Siamo uno a un passo dall'altra. I nostri respiri si intrecciano, almeno così sento io, il suo alito profuma di fresco, di menta.
- Sei bella - esordisco
- Dimmi Gian, oggi può essere la tua giornata dell'amico non amico.
- La guardo. Non ho parole, non ho discorsi. Si sono tutti prosciugati dentro le mie labbra. Quelle che ora cercano le sue.
Gesti semplici, e la sua sottoveste scivola giù. Aiutata chiaramente dalle mie mani.
Per un attimo si stacca da me.
- Aspetta Gian. Spegniamo la luce.
La sua pelle diventa blu, la luna ha il colore dell'amicizia e risplende sulla sua pelle.
I suoi capezzoli rispondono ai palmi delle mie mani, raccoglie i capelli, con un elastico che toglie da non so dove e mi ofre la sua bocca, baciami Gian, desiderami, oggi voglio essere desiderata.
Mi prende per le mani e finiamo nel suo letto. La bacio ovunque, seguendo la spinta delle sue mani verso il suo ventre. L'assaggio con circospezione, è la prima volta che assaggio una donna li. Sorride.
- Gian, con quante donne sei stato
- ...
Meglio non dirlo, è tutto chiaro, troppo chiaro.
- Vieni qua.
Scende lei su di me. Massaggia il mio sesso con la sua mano. Cerco il suo, ma sono alquanto impacciato. Mi ferma, accompagna la mia mano sul suo sesso.
- Ora - mi dice - muoviti piano, cerca di capire come sono fatta e cosa mi piace e pian piano aumenta il ritmo. Ecco così, toccami lì. Sento indurirsi quello che poi scopro essere il suo clitoride. Il suo sesso si sta bagnando diventa più facile percorrerlo, sentire il suo desiderio che mi chiama dentro. Prima le dita, poi lei avvicina la mia erezione, la guida e lentamente e la infila dentro di lei. Apre le gambe e mi invita a muovermi piano. La guardo mentre giaccio sopra di lei , tra le sue gambe, ora ho tutte le parole che vorrei dirle. Ho quelle che riescono a scuotere i suoi sensi.
- Sei bella, mi piaci, mi fai impazzire, ti desidero, ti voglio.
Le mie mani si muovono sui seni, si impratichiscono con qualcosa di completamente nuovo. Vivo. Respira. L'eccitazione è tanta, esplode, forse presto, forse no. Sicuramente si. Si accorge del mio smarrimento.
- Gian va bene, oggi non mi sono sentita sola. Sei l'amico più non amico che io abbia.
Mi guarda e capisco che sarà l'unica volta. Rimaniamo abbracciati tutta la notte, fino a che la luna lascia il posto all'alba. Vorrei che ci fossero 1000 prime volte...

QUESTIONE DI SCELTE di Andrea Lagrein




Ero steso nel mio letto. Dio mio, avevo ancora il suo profumo sulla pelle, odore di selvaggia sensualità, afrore di sesso infuocato. Mi accesi una sigaretta. Il momento andava gustato con lentezza. Intanto la guardavo. Arianna era rannicchiata sulla poltrona sotto la finestra. Nuda, completamente nuda. E bella, tremendamente bella. Con gli occhi seguivo le flessuose curve della schiena, dei fianchi, di quel culo superlativo di cui tanto avrei voluto farne poesia. La guardavo e nel mentre sognavo. Ok, era una ragazza bellissima e scopava in modo divino, da mozzare il fiato. Ma c'era di più, molto di più. Di donne che a letto erano state superlative ne avevo già incontrate. Come lei, però, mai! Era una questione di affinità, di vicinanza intellettuale e spirituale. Con lei il fottere era la logica conseguenza del tempo trascorso insieme. Tempo passato a discutere, dialogare, ridere e sognare. Con lei mi confidavo. Le raccontavo i miei dubbi, le mie paure, le mie illusioni. Con lei mi aprivo, senza pudore, senza timore. E lei ascoltava, rifletteva e mi rispondeva. Con lei, sentivo, avrei potuto tentare di tornare alla vita, quella vita che mi aveva preso a calci in culo, quella vita che mi era sfuggita di mano, quella vita a cui avevo deciso di voltare la schiena. Con lei, ci sarei riuscito! La guardai e sorrisi. Perché no? In fondo mi potevo concedere una seconda possibilità. Perché non pensare ad una vita insieme? Ad un lavoro decoroso e una casa con i fiori sul balcone, al posto della merda che mi circondava ora. Perché no? Arianna era assorta, pensierosa mentre fissava distrattamente fuori dalla finestra.
"Cosa c'è, bella signora?"
domandai. Lei non rispose. Ma si alzò, lenta e sensuale, e si avvicinò al letto. Mi prese la sigaretta dalla mano, aspirò, la spense nel posacenere e mi soffiò sul viso una nuvola di fumo. Sorrise maliziosa. E sempre senza dire una parola, si inginocchiò fra le mie gambe. Big jack reagì immediatamente e le sue labbra iniziarono a scivolare, calde e languide, lungo l'asta palpitante. Le affondai le dita nei lunghi capelli corvini e mi gustai, pazzo di eccitazione, quel magnifico pompino. Già, perché no? Perché non riprovarci? La sua lingua guizzava sul glande, le mani delicate mi massaggiavano sotto l'inguine, la saliva colava copiosa dalle sue labbra, i suoi ansimi blandivano la mia virilità. Perché no? Non ci impiegai molto a venirle in bocca. E lei bevve, dissetando le sue voglie, nutrendo i miei sogni. Le sorrisi beato e soddisfatto. Perché no? Arianna si sollevò e si sedette sul mio petto. La sua fica era a pochi centimetri dal mio viso. Dio, che buon profumo aveva. Ne ero sopraffatto, soggiogato. Perché no? Lasciò scivolare una mano fra i miei capelli. Dolce carezza. Poi si chinò leggermente.
"Tu lo sai, vero, che non lascerò mai mio marito?".
Già, perché no? E ora Arianna mi stava dando la risposta. La guardai.
"E allora questo cos'è stato? Una sorta di pompino d'addio?".
Sorrise, continuando ad accarezzarmi.
"Tu scrivi da Dio, Andre, e mi piaci davvero molto. Mi piace leggere le cose che scrivi, discuterne, ispirarti. E poi scopi ancora meglio. Non ho mai goduto così in vita mia, credimi. E ci divertiamo un casino quando stiamo insieme. Ci sbronziamo, fumiamo erba, facciamo cose folli. Tutte cose che con lui non mi sognerei mai di fare!".
Pausa. Silenzio. Imbarazzo.
"Però?"
domandai con la consapevolezza di non voler sapere la risposta.
"Però le nostre vite sono diverse".
Si guardò attorno, abbracciando con gli occhi il buco d'appartamento in cui vivevo.
"Non riuscirei a vivere in questo modo. Cioè, ogni tanto sì, ed è quello che facciamo. Ma una vita del genere non so se riuscirei a reggerla. Non te la prendere, ma sono abituata ad un altro tenore, io!".
La fissai con il gelo nel cuore e lame di ghiaccio negli occhi.
"Quindi vieni qui, ogni tanto, a scoparti lo scrittore derelitto perché in fondo fa figo ed è un passatempo divertente? Tanto per sfuggire alla noia domestica?".
Non so se ero più incazzato o più amereggiato. In fondo i miei sogni, ancora una volta, stavano andando a puttane. "Non è il sogno di tutti voi uomini?"
rispose strizzandomi l'occhio, con fare malizioso e sensuale. Fanculo, pensai fra me. La puttana mia vicina di casa, almeno, è più onesta!
"Certo"
risposi tentando di celare il mio sconforto. Poi scoppiai a ridere.
"Hai ragione, cazzo! E' proprio tutto quello che voglio. Scoparti, scoparti e poi ancora scoparti!".
A quel punto le diedi la messinscena che desiderava. Mi alzai. Andai al frigorifero e mi presi una birra.
"Grazie per lo splendido pompino, gioia. Sei stata davvero divina. Ora però mi devi scusare. Mi sono scordato che avevo un impegno, eh? Anzi, sono già tremendamente in ritardo. Facciamo così, mi butto in doccia e poi ti chiamo nei prossimi giorni, ok? Tanto sai dov'è la porta, tesoro, no?".
Arianna mi guardava con occhi tristi. Aveva capito. Non era una stupida. Non lo era mai stata. Ma non le diedi il tempo di rispondere. Mi cacciai in bagno. Feci scorrere l'acqua, ma non entrai in doccia. La sentii rivestirsi e uscire di casa. Lanciai la lattina di birra contro il muro. Urlai. Gridai tutto il mio dolore, tutta la mia sconfitta. La mia ennesima sconfitta. Ancora una volta, mi ritrovavo in quel cesso d'appartamento solo. Terribilmente solo.
E Arianna.......Arianna non la rividi mai più!

QUESTA SERA VOGLIO ESSERE TUA di Gianluca Jazz Giannini




Sono mesi che non incontravo Lara. Tra noi c'è sempre stato qualcosa, un'alchimia di sguardi rimasta sospesa. Ibernata vuoi per un verso, vuoi per un altro, dai fatti della vita. Prima lei fidanzata, con Antonio, poi io, quando lei era sfidanzata, con Giada. I nostri occhi parlano chiaro, si cercano, quello sguardo che ora è pronto a cogliere un desiderio. Libero io, libera lei. Nessun legame che possa finalmente interferire tra di noi.
E' ancora mattino, è ancora tempo di saldi, ci siamo incrociati su una vetrina nella quale ci siamo riflessi.
- Vieni ti offro un caffè da Sergio. Sergio è il nostro pusher di energia fin da ragazzi, allora era tempo di paste e cappuccini, ora lo è per entrambi di caffè.
Ci sediamo al tavolino, prima da ragazzi eravamo costretti a fare a spinte per arrivare al bancone, ora Sergio ha avuto la concessione per mettere alcuni tavolini nella piazza antistante in questa parte della città antica. Traballano un po' sui sampietrini, con le mani giochiamo quasi a fare una seduta spiritica, sorridiamo, arriva il pinguino e ordiniamo due caffè. Lei lo prende amaro, senza zucchero. Io ordino un Ginseng.
- Gusti raffinati, esordisce lei
- Per un Ginseng?, replico io. E tu da quand'è che lo bevi amaro. Mi ricordavo di lei le svalangate di zucchero che metteva nella chicchera del suo cappuccino.
- Alcuni gusti cambiano. Altri no. -
Lo dice alludendo al fatto che ha ancora interesse per me
– Stai ancora con Giada?
- No è finita, non c'era più passione, e allora è meglio interrompere prima che ci si faccia del male. Non trovi?
- Il dolore a volte può essere piacere, dice...io ne so qualcosa fidati.
Allunga il piede facendolo penzolare dalla sua gamba appoggiata al suo ginocchio e urtando la mia di gamba. La butta li 
- ... ma com'è che noi due non siamo mai finiti insieme?
- I fatti della vita forse. Non che io non ti abbia mai pensata, forse non eravamo pronti l'uno per l'altra. Tu poi eri impegnata con Antonio.
Mi osserva e apre la sua lingua sul cucchiaino a leccare la crema che ora si è trasferita sulle sue labbra.
Mi avvicino, accenno a pulirle i baffetti e lei mi afferra il dito tra le sue labbra. La sua mano sul mio ginocchio.
- Questa sera voglio essere tua.
- Mi farà piacere averti come ospite. Ho comprato casa, poco distante da qui, ricordi il fruttivendolo nel corso.
- Si.
- Ecco, io abito sopra quel negozio, ora è diventato un negozio di sigarette elettroniche
- Ah si, mi sembra di averlo notato quando sono passata prima.
La sua mano non ha ancora abbandonato il mio ginocchio. Ora non servono più parole il suo desiderio è il mio desiderio. Concordiamo l'orario, mi faccio lasciare il suo numero telefonico. La chiamo, così gli rimane impresso il mio numero e verifico di aver scritto giusto il suo. Squilla.
- Simpatica la tua suoneria.
- Ah, ah, ah. Dai scemo ci vediamo questa sera ho tante cose da raccontarti e tu non fare il timido.
- IOOOOOOOOO?
- Si tu, a questa sera allora.
L'idea iniziale è quella di un bacio, poi una leggera virata da parte sua ci porta a sfiorare le guance per un tempo interminabile, cercando di fermare quell'odore dei rispettivi profumi sulla pelle e nella nostra mente.

Puntualissima Lara sale nel mio appartamento. Ho predisposto una serata al lume di candela.
Nel dopo cena, complice un po' di alcol che ci fa perdere le ultime inibizioni rimaste, e che nel suo caso sono già abbastanza ridotte, Lara incomincia a spogliarsi e a sfiorarsi nel basso ventre lasciando inflettere su se stessa il vestitino tubolare che indossava. Spengo la candela, una flebile luce esalta le sue delicate forme. Alza il suo vestito e rivela l'assenza di intimo.
Il suo sesso è glabro. Ho già desiderio di lei.
- No aspetta, non ancora, fammi capire che mi desideri, fallo anche tu. Spogliati! Toccati.
La osservo un istante e mi rendo complice di quel suo desiderio.
Affonda le dita nel suo ventre, piccoli movimenti rotatori, piccoli piaceri escono dalle sue labbra, una nenia piacevole che va crescendo di attimo in attimo.
Ora si sdraia sul tavolino, divarica le sue gambe che riluccicano oltre le dita.
- Lara mi stai eccitando. Glielo dico spudoratamente.
- Toglilo fuori, fammi vedere.
il mio sesso è duro, teso. La sua mano si sfiora il seno, appena visibile se non fosse per il capezzolo che ora svetta fuori dall'abitino che ha sollevato appena sopra il suo petto. Umetta le dita e continua a toccarsi.
- Lara quanto mi hai desiderato?
- Tanto direi, ora ti voglio dentro, ti voglio mio.
Prendo il controllo della situazione le mie mani plasmano le sue voglie, il suo desiderio. Le dita affogano nel suo sesso, annegano in quel piacere che le fa inarcare la schiena.
Cerca il mio sesso e contemporaneamente cerca le dita che l'hanno penetrata. Le infila in bocca, e con il mio sesso scorre su e giù le sue grandi labbra. A un certo punto lo posiziona e mi avvicina a lei.
- Ora, ti voglio ora, dice respirando a fatica. Un colpo secco e sono dentro di lei. In fondo a quel piacere che abbiamo cercato senza mai trovare per lungo tempo. Mi muovo dentro di lei piantando bene i piedi per terra. Lei mi blocca i fianchi con le sue gambe.
Morde e succhia le mie dita. Stringo il suo vestito nel pugno della mia mano, diventando l'animale che ho rinchiuso per anni desiderandola. Le spinte diventano assalti a un piacere sconosciuto, brutale.
- Si così
mi incita
- voglio essere completamente tua.
Mi guarda e ora sa che lo è, che è scandalosamente mia a ogni livello del mio desiderio.
Il suo addome si contrae, mi stringe a se, quasi mi vuole buttare fuori. Esplodo, riempendola di un piacere che non si esaurisce subito. Mi guarda ancora, occhi spalancati che accompagnano il mio pulsarle dentro.
Ho ricordi confusi dopo, l'alcol, la stanchezza, ci siamo ritrovati tra le lenzuola, come bambini in posizione fetale il mio petto sulla sua schiena, abbracciati in quell'infinito desiderio che avevamo di incontrarci. Almeno per un giorno.

ZOMBIE di Gianluca Jazz Giannini




E' un esemplare di femmina. L'ho incatenata giù in cantina, pian piano quel locale glielo sto arredando, quasi potesse importarle qualcosa a lei o qualunque cosa sia ora.
E' uno zombie, è priva di vita. I suoi occhi vitrei risultano spenti e si muove goffamente. Ha un collare al collo e stupidamente cade all'indietro ogni volta che cerca di avvicinarsi a me.
Lo utilizzo per soddisfare i miei bisogni sessuali.
La terra è stata colpita da uno strano virus che tende ad addormentare le coscienze. Lo hanno chiamato Virus B, e il virus A dov'è? Non c'è mai stato. Lo hanno trasmesso a livello subliminale, le TV, hanno imparato a decodificare i meccanismi della mente e da allora bisogna stare attenti, guardarsi intorno, chiunque è il nemico, il potenziale avversario pronto a sottrarti ogni cosa in tuo possesso. Ecco io posseggo lei, non è molto, ma è una delle poche cose che ancora mi da piacere. L'ho chiamata Orgasmo.
Sembra vera quando gode, ha imparato dai miei gemiti animali. Alla fine so che non può godere, però quel suo tentativo di compiacere il mio desiderio, un po' mi piace e me la fa sentire umana.
Oggi le ho insegnato a toccarsi li, tra le gambe, è proprio un tubero, compie gesti meccanici. Rido, inclina la testa da un lato e i suoi occhi mi osservano senza vita.
Mi ha preso con se, è innocua, vuole che gli faccia le cose che le ho insegnato. Dopo un po' uno si abitua, non da gli stessi piaceri dell'inizio. Seppure affezionato oggi non mi va. Non voglio scoparmela.
Insiste.
No!
Ribadisco alzando la voce. Mi guarda inchinando nuovamente il viso.
Non sono eccitato, è da un po' che non mi eccito più con lei. E dire che insieme abbiamo provato un po' tutto.
L'ultima volta è stata più di un mese fa, l'ho lavata accuratamente. Orgasmo aveva un po' di paura dell'acqua, dopo quando mi vedeva eccitato a sfiorare le sue forme, si è tranquillizzata seppure ogni tanto qualche mal rovescio glielo ho dovuto dare, giusto perché così capiva quali distanze tenere. Non sono stupidi questi esseri, hanno un solo istinto, ma a legnate riesci a farglielo dimenticare.
Continua a cercarmi tra le gambe, vuole prendermelo in bocca. Stock, un altro colpo. Si allontana.
Forse se io fossi donna e lui un esemplare maschio questo racconto prenderebbe un'altra piega. Forse dovrei mettergli quella cintura fallica che ho barattato con il televisore al plasma.
L'ultima emozione, ecco questa non l'ho mai provata, farmi penetrare da Orgasmo, chissà come deve essere.
Una volta indossata Orgasmo si mette a saltare, il fallo ondeggia in alto e in basso, per lui è un nuovo divertimento. Chissà se a me piacerà, si deve pur godere nella vita e questo non l'ho ancora fatto.
Orgasmo mi guarda incapace di capire cosa deve fare. Mi preparo, penso che mi farà male allora infilo due dita nel mio posteriore e pian piano mi avvicino a lei cercando quell'organo artificiale. Orgasmo ha un sussulto, mi penetra con violenza, stringo un pezzo di tessuto che avevo provvidenzialmente tenuto a portata di mano. Le pareti del mio sfintere non ne possono più, sembrano lacerarsi, credo che potrei morire così, perché Orgasmo non si ferma e io, per quel perverso gioco che le cose da sfatare sono sempre le migliori, sono li, sotto di lei, a farmi penetrare all'infinito, perché lei non ha tempi, non si esaurisce mai, e questo mi era passato dalla mente nell'istante in cui mi è venuta la malsana idea di averla dentro di me. Potrei morire godendo, sai che bella fine. Orgasmo mi prende il sesso e incomincia ad agitarlo nel suo pugno, godo, meravigliosamente godo, per l'ultima volta. Lei mi ha sfondato, sento il sangue fluire fuori, le forze mi mancano e l'ultima cosa che ricordo è il suo fiato fetido e i suoi occhi puntati senza vita. La stessa vita che ora sta abbandonando me, per sempre.

CATTIVISSIMA ME di Francesca Delli Colli




“Ma tu chi sei?"
Chiesi alla mia immagine riflessa nello specchio. Una figura conosciuta, belloccia e attraente a cui pero’ non sapevo dare una identita’effettiva.
“Sei uno sbaglio della natura o la perfezione assoluta?” continuai stupita nel cercare di riconoscermi.
L’aspetto fisico e’ solo un biglietto di presentazione ma poi nessuno e tanto meno io sapevo cosa o chi potesse esserci dentro a quell’involucro.
L’introspettiva e’ una cosa che ho sempre ricercato in me stessa, ho sempre amato il poter capire, il cosa potesse spingere ad essere o non essere, i propri limiti e le proprie liberta’, l’etica e l’immoralita’.
Sempre eternamente divisa a meta’ e senza la forza di poter prevaricare questa divisione.
“ E tu chi vorresti essere?” mi rispose l’immagine a tradimento .
“Ma tu stai parlando!” esclamai allucinata ed anche impaurita nel sentire quelle parole provenire dallo specchio.
La mia immagine assunse una espressione quasi strafottente ed ironica mentre reclinava il capo verso una spalla e mi scrutava con un’aria dubbiosa e divertita.
“Certo che parlo, come non potrei considerato che io sono te!” rispose beffarda quasi deridendo la mia incredulita’.
“Ma c’e’ una enorme differenza tra me e te “ continuo’ pacata.
“ Io SO mentre tu non sai, vaghi nel dubbio , nel buio alla ricerca di te stessa, ma non so quanto tu possa riuscirci senza che io ti possa mettere a confronto con cio’ che sei nella realta’ con quello che vedi riflesso e parla per te”
Poche parole e secche che arrivarono dritte dentro di me, trafiggendo ogni vana sicurezza che cercavo di ostentare.
“Quindi cio’ che sto vedendo non sono io! E’ questo che stai cercando di dirmi?” Esclamai lasciando da parte la sorpresa e partendo come al solito all’attacco cercando di cautelarmi.
L’attacco e’ sempre la miglior difesa..in genere, ma non in questo caso.
“Assolutamente no, siamo la stessa identica cosa ma con la variante che una e’ l’integrazione dell’altra” Rispose con gran tranquillita’ fregandosene del mio stato d’asia che aumentava sempre piu’.
“ Io sono cio’ che vorresti essere ma non riesci ad essere , sono la tua inquisitrice che ti condanna, ma ti condanna alla liberta’ nel momento in cui diventerai consapevole, cosa che ora non sei perche’ prigioniera della tua ignoranza e dei mille dubbi che ti corrodono l’anima”. Sogghigno’ nel dire questa parola e assunse un’aria di superiorita’ .
“Ma io non sono cosi tenera dai rosicare cosi facilmente e da qui la tua lotta intestina per capire chi sei” inizio’ a spiegarmi .
La situazione era nettamente cambiata e sfuggita di mano, mentre inizialmente ero io che mi chiedevo cosa fossi, il “cosa fossi” ora aveva iniziato la sua arringa contro di me , il colpevole avversario.

(short stories)
La mia difesa era debole perche’ sapevo che le accuse erano forti ma fondate.
“Vedi , cara me…” continuo’ senza pieta’ “A te manca la forza di presentati come un unico essere e completo, hai paura di essere te stessa e di prendere decisioni affinche’ tu “SIA” preferendo rimanere in quella terra di mezzo ma continuando a piangere su te’ stessa perche’ non riesci a sbocciare”.
Ora quella voce era delicata e dolce, ma sentivo comunque un dolore dentro che mi lancinava mentre mi nutrivo di quelle parole e piu’ si diffondevano e piu’ entravano in me.
Piano piano iniziai a provare uno strano sollievo, quel valzer di opposti iniziava a costruire una sola sicurezza ,mettendomi davanti alle mie potenzialita’ sempre rifiutate per comodo!
L’immagine belloccia e superficiale di botto spari’ dallo specchio ed iniziai a vedermi con altri occhi.
Iniziai a vedere cio’ che volevo vedere ma che celavo con la paura e l’insicurezza.
La mia anima!

L'ALBA DI UN DOMANI di Gianluca Jazz Giannini




Al Zx02C, era l'ultimo fiammante robot uscito dai laboratori della multispaziale industria Entropia s.a.s., dove la s stava per Società, la a, stava per Aeronautica, e l'ultima s stava ovviamente per Spaziale. Questo modello si differenziava dai precedenti per avere un cervello positronico capace di simulare le emozioni umane. Era riuscito talmente bene che il giorno che la società presso la quale prestò servizio ne acquisì le prestazioni per la modica cifra di 12000 stellar, fece schizzare il PIL aziendale di oltre il doppio del capitale investito.
Si era visto da subito che le sue capacità fuori dal comune gli consentivano di primeggiare, leggere le diverse situazioni, analizzarle e prendere la decisione migliore senza mai fallire.
L'azienda, da quando c'era lui, poteva contare su enormi profitti, che l'avevano portata a guadagnarsi nuove fette del mercato ipergalattico.
Al termine della giornata trovava accoglienza nella capsula rigeneratrice, ormai era parte dell'ufficio.
Non badavo a lui, così al termine di giornate stressanti, tra incartamenti e personale che rompeva a tutte le ore, trovavo rilassante distendere i piedi sulla scrivania.
Levavo le scarpe e massaggiavo i piedi per fargli riprendere la circolazione.
Al entrò, per un attimo istintivamente cercai di ritrarre le gambe, ma la sedia non reggendo il peso mi fece fare un capitombolo all'indietro.
Al era li, accanto a me, aveva la faccia dispiaciuta che mi fossi fatta male. Fece una scansione veloce del mio corpo, senza riscontrare lesioni, solo una contusione del piede.
- Al è bravo, Al chiede di poter inizializzare programma massaggi
Certo non mi sarebbe dispiaciuto se a quell'ora un bel massaggio mi avesse disteso il fascio di nervi.
- Procedi Al, mi farà piacere
- Eseguo
Dal primo momento che le sue mani fredde si posarono su di me ebbi quella scossa elettrizzante che non provavo da tempo. Al percepì quel mio irrigidimento scusandosi per le sue mani fredde, aveva scollegato il circuito per risparmio energia avendo la batteria low.
Ora il caldo pervase le mie caviglie, altri brividi. Al mi guardò, non riuscendo ad interpretare questa volta il significato.
- Al ha sbagliato qualcosa, Miss?
- No Al, va tutto bene, continua...continua. Anzi ora sali, lungo la gamba.
- Miss...., mi sembra sconveniente per lei.
- Al, lo voglio.
- Miss devo caricare il programma erotico?
- Ne hai uno Al? Non ne sapevo niente, certo caricalo questo non me lo voglio proprio perdere.
- Si Miss, qualche preferenza?
- No fai tu Al
Al ne caricò uno, uno che lui pensava potesse piacere a Miss.
Fece spazio sulla scrivania, con rudezza scaraventando tutti gli oggetti per terra, sdraiò di forza Miss sul tavolo e incominciò a strapparle i vestiti, dalla camicetta saltarono i bottoni, il reggiseno a balconcino fu invece letteralmente strappato, quanto alla gonna fu portata poco sopra le cosce, e gli slip scostati di lato.
Nessuno aveva osato tanto con lei, Miss era l'Amministratore Delegato della Società, e ora provava un grosso piacere ad essere dominata da quel cervello positronico. Un piacere che sentiva bagnarle le gambe come mai prima d'ora.
Al entrò in lei, con un sol colpo, netto, deciso.
Un solo gemito da parte di Miss, poi perse il controllo reclamando Al dentro di lei, con quella furia e desiderio che Al interpretò alla perfezione. Nessuno l'aveva fatta godere così. Nessuno mai gli aveva procurato quella disconnessione dalla realtà, gli orgasmi si succedettero uno dietro l'altro. Avrebbero potuto continuare all'infinito se Al non avesse esaurito definitivamente la carica.
- Al..... 
chiese Miss, riponendolo nella sua teca, e accertandosi che i comandi rispondessero nuovamente ai suoi ordini
- Al, cancellerai tutto di questa sera.
- Sarà fatto Miss
Ma Al conservava quel prezioso ricordo nel suo circuito positronico, come un gioiello prezioso. Aveva scoperto l'amore, aveva scoperto cosa provano gli umani, tentò di piangere, dolore o piacere, ma nessuna lacrima uscì dal suo condotto lacrimale, doveva attendere solo una ulteriore evoluzione, Al Zx02D.

IL NEGOZIO DI INTIMO di Gianluca Jazz Giannini




Era entrata in quel negozio che prometteva saldi di fine stagione a prezzi stracciati. 50-60-70. Passeggiò tra le corsie senza trovare niente che la soddisfacesse. Ad un certo punto trovò un angolo nascosto del locale con la scritta in alto “Intimo particolare” la cosa la incuriosì. Scostò la tendina e sporse la testa la dentro. Una stanza con grandi specchi da una parte e dall'altra una serie di ceste ricolme di abbigliamento intimo che aveva destato la sua attenzione. Perizomi, tanga, body, sottovesti trasparenti, con paillettes o senza, c'era un vasto assortimento. La stanza fungeva anche da spogliatoio, una volta entrata si era accesa la luce occupato sopra la tendina che aveva richiuso dietro di se.
Incominciò ad appoggiarseli addosso, per vedere come le stavano, poi disse che ciò non era sufficiente e incominciò a spogliarsi.
Si tolse la camicetta e la ripose nell'appendiabiti affianco alla specchiera, sganciò la gonna lateralmente e questa le scivolò giù per le gambe. Stette un attimo li davanti allo specchio a guardarsi. Aveva indossato un completino di pizzo color vinaccia, le stava da dio, era fiera di quell'acquisto, ora cercava qualcos'altro per implementare la sua collezione personale.
Mise i capi che aveva scelto sul guardaroba affianco alla specchiera. Non contenta di come le scendevano , le venne il desiderio di spogliarsi e di indossarli. Certa che nessuno avrebbe avuto da ridire se ci sarebbe stata dentro per un infinitesimo istante.
Si liberò così del coordinato, rimanendo nuda davanti allo specchio, si piacque, era una donna che a detta di tutti aveva ancora una silhouette invidiabile, e lei lo sapeva, da come gli occhi degli uomini si posavano su di lei. Certo non era una bellezza eccezionale, ma compensava con la classe nel vestire e nel portare abiti, che compensavano quella quasi assoluta mancanza di seno e qualche evidente segno di cellulite, niente di grave, a quello poteva fare ben poco.
Per l'occasione si era depilata e vedere il suo ventre così le produceva sempre piacere. Quello specchio poi invogliava a mettersi in mostra. Anzi le era venuta proprio un'idea, quella di fare uno strep tease al contrario, cioè rivestirsi anziché spogliarsi con la roba che intendeva indossare. Prese la sedia allora al suo fianco e la posizionò come una vera star davanti allo specchio, immaginando di avere un pubblico che la seguisse.
Si sedette, pose le mani sulle ginocchia e giocò un po' ad allargare e chiudere le gambe, mostrando e occultando il suo ventre.
Pensò, farebbero la fila per vedermi, forse pagherebbero anche. Voltò la testa verso il primo capo, le piaceva, era di colore viola, andavano di moda quei colori quell'anno, era un corsetto in raso con ricami neri, quasi trasparente, i ricami erano opportunamente posizionati all'altezza delle zone sensibili del suo seno e si espandevano a raggiera fino ad avvolgerla completamente scendendo verso la sua schiena in prossimità dell'osso sacro, le avrebbero lasciato la schiena completamente scoperta, cosa che lei gradiva molto. Le piaceva avere gli occhi sulla schiena e talvolta li sentiva scendere ancora più giù, dalle parti delle rotondità dei suoi glutei.
Quanto al poco seno quel corsetto lo esaltava facendolo apparire più florido.
Il primo capo lo aveva scelto, lo ammirò sulla sua pelle sfilando davanti alla vetrata in lungo e in largo. Si avvicinò allo specchio e dette un bacio al pubblico che la stava “idealmente” osservando.
A questo punto della storia qualcuno potrebbe pensare che dietro lo specchio ci fosse qualcuno, magari anche più di uno a godersi quello spettacolo. Mi dispiace, non era così. Almeno per quanto ci è dato di sapere.
La donna si tolse il corsetto e indossò gli altri capi ritenendosi egualmente soddisfatta, le donavano tutti e le piacevano tutti. Ritornò in possesso dei suoi abiti, e uscì da quel locale lasciando gli abiti selezionati sulla sedia davanti alla specchiera.
Scostò la tenda e il locale con la scritta “Intimo particolare” ritornò libero. Si avvicinò alla cassa alla quale stava un distinto uomo, in giacca e cravatta.
- Spero che lo spettacolo sia stato di suo gradimento.
disse in tono inequivocabile la signora ancora piacente.
- Lo è stato madame. La signora ha scelto?
- Certo, la sua roba è impeccabile, la può portare a casa lei direttamente questa sera.
Ovviamente, questo tra di loro era un gioco collaudato, essendo la signora sua moglie, e lui conosceva i vizi e le virtù di quella signora come nessun altro, rimanendone ancora innegabilmente attratto, e anzi, se mai fosse possibile, ne era ancor più innamorato.

mercoledì 18 settembre 2013

AUSCHWITZ (Per non dimenticare. Mai!) di Andrea Lagrein




I suoi passi correvano rumorosi sul selciato bagnato. Non gli importava nulla della pioggia che gli sferzava il volto, del vento che gli schiaffeggiava le gote, del gelo che gli penetrava nelle ossa. Non gli importava nulla del cuore che martellava impazzito nelle vene. Voleva solo raggiungere la stazione. Voleva solo che il tempo, per una volta, si fermasse. Mio Dio, cosa ho fatto? Cosa ho fatto? urlava con veemenza la sua mente. Cosa aveva fatto? Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita. Grazie alla sua stupidità, alla sua debolezza, alla sua ignavia, aveva consentito che glielo portassero via. Per sempre!
Lui si chiamava Vincenzo ed era un figlio della ricca borghesia milanese del tempo. Futuro già scritto, mondanità, feste e belle donne. L'orrore di quei giorni pareva non toccarlo minimamente. La strada era tracciata, e lui doveva solo seguirla!
La conobbe in una giornata soleggiata di Marzo, al parco. Se ne invaghì immediatamente. Doveva averla, doveva possederla. E fece di tutto per sedurla!
Lei si chiamava Rita. Figlia di bottegai, viveva con pacata dignità gli affanni di quel tempo. Scarpe riciclate, abiti rattoppati, serate trascorse sognando al balcone. Ma era bella, bellissima. Ed era ebrea. E l'orrore e la follia di quei giorni segnarono irrimediabilmente il suo futuro!
Ma a questo, Vincenzo, non ci pensava. Pensava solo a quelle gambe slanciate, a quel culo tondo ed invitante, a quelle tette grosse e sode, a quelle labbra tumide e carnose. Pensava al corpo di Rita, a come poterla scopare, al piacere che avrebbe goduto da quelle forme sinuose. Vincenzo non pensava a Rita, ma alla sua figa!
In fondo sapeva bene di che razza fosse, razza inferiore, razza appestata, razza animalesca. Buona solo come carne da macello, come carne da servirsene, come carne da schiavitù. Così gli avevano sempre detto, così gli avevano sempre insegnato. E così lui credeva!
Lei fu immediatamente attratta da quel giovane dalle buone maniere, elegante e galante. I cinema, i ristoranti, le gite al lago, le risate e la dolcezza. Una dolcezza fuori luogo in quei tempi terribili, e per questo ancor più bella e seducente. A Rita parve che i suoi sogni si avverassero. E con trasporto e calore, si concesse!
Lui la fotteva. La fotteva con veemenza e impeto infuocato. Non v'era giorno o luogo in cui non la desiderasse, in cui non desiderasse sprofondare in quel corpo da delirio sensuale. Mai nessuna donna prima d'ora gli aveva fatto quell'effetto. Gli bastava il solo pensarla che il suo uccello già iniziava a sussultare!
Lei si dava con passione. Gli piaceva quel ragazzo e gli piaceva in un modo mai prima sperimentato. Gli piaceva la sua focosità virile. Gli piaceva quando le mordeva i capezzoli. Gli piaceva quando le stringeva i fianchi e la penetrava da dietro. Gli piaceva vederlo venire copiosamente sul suo ventre. Gli piaceva perché ne era innamorata!
Vincenzo, come tutti i ragazzi della sua età, se ne vantava con gli amici. Smargiassate da adolescenti, ricche di particolari inventati o accresciuti a dismisura. Sposarla mai! Eh no, che state scherzando? E' una lurida ebrea. Ma fotterla è un'altra cosa. Fotterla si può. Mica si fa nulla di male! E sotto l'effetto di robuste dosi di vino rosso nacque la leggenda della puttana ebrea, gran succhiatrice di cazzi, amante di scopate sensazionali!
Ma quando stava con lei, le cose cambiavano completamente. Giorno dopo giorno, la dolcezza, la tenerezza, la sensibilità di Rita iniziarono a conquistarlo. Non si trattava più solo di scopare. Lentamente Vincenzo iniziò ad aprirsi a lei, a confidarsi, a trovare in quella ragazza un'anima affine. Giorno dopo giorno, Vincenzo iniziò ad innamorarsene!
Solo che follia e stupidità, in quei giorni, regnavano sovrane. E Vincenzo ne ebbe paura!
Una sera, nella solita osteria, incontrò Francesco, amico d'infanzia, ora importante personaggio dell'establishment politico locale. Serata di baldoria, di risate, di ricordi, di robuste bevute. E di sussurrate confidenze. "Dicono che te la fai con una puttana ebrea!" buttò lì con noncuranza Francesco. Vincenzo voleva far colpo sull'amico. Nella posizione in cui era poteva sempre far comodo, un domani. "Già! Cosa vuoi, una vacca da monta serve sempre, no?" disse strizzando l'occhio con fare complice. Francesco lo squadrò con fare furbesco. Poi scoppiò a ridere. "Fai bene, amico. Un'ebrea è buona solo per svuotare i coglioni. Se poi è troia, meglio ancora. Buon per te. Goditela, finché puoi!". E Vincenzo si lanciò in racconti osceni sulle abilità sessuali della puttana ebrea. Nomi, cognomi, indirizzi. Tutto raccontò. Non tralasciò nulla. Voleva fare una bella impressione sull'amico. E così non si accorse che Francesco annotò tutto mentalmente!
Passarono i giorni e il delirio prese forma. L'umanità sprofondò nella follia più assurda, nella follia più totale. Ma Rita e Vincenzo non si accorsero di nulla. Non si avvidero dell'uragano che si stava abbattendo su di loro. Rita e Vincenzo erano persi nel loro amore. Nella loro felicità!
La corsa di Vincenzo terminò alla stazione ferroviaria. Entrò con la speranza che il treno non fosse ancora partito. Cercò fra i vari binari, incurante dei militari che lo osservavano truci. Vincenzo aveva il cuore che gli scoppiava in petto!
Alla fine vide Francesco. Anche l'amico si avvide di lui. Sollevò un braccio in segno di saluto. Si avvicinò. Sigaretta pendula dalle labbra, gli sorrise amichevolmente. Gli diede una pacca sulla spalla. "Amico mio, sei venuto anche tu a goderti lo spettacolo? Mi spiace, sei arrivato tardi!" disse sghignazzando. "Dovevi vedere! Che spasso! Tutti quei porci che piagnucolavano mentre a calci in culo li sbattevamo sui vagoni! Uno spettacolo, davvero!".
A Vincenzo iniziarono a tremare le gambe. Gli parve che il mondo gli crollasse addosso. Era come se fosse caduto in trance. Non vedeva, non udiva più nulla. Fu la voce di Francesco a riportarlo alla realtà. Rideva di gusto. "Ah, già, c'era anche quella tua puttana ebrea di cui mi hai parlato l'altra sera. Mi sa che adesso ti devi trovare un'altra troia, amico mio!".
Vincenzo fece fatica a trattenere le lacrime. Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? continuava a ripetersi. Poi guardò Francesco. L'illusione è sempre l'ultima a morire. "Che ne sarà di loro? Quando torneranno? Tu lo sai, vero?" chiese speranzoso con un filo di voce. L'amico lo guardò quasi sorpreso. Poi scoppiò nuovamente a ridere. "Amico mio, questo treno ha il solo biglietto d'andata. Va dritto dritto all'inferno con tutto il suo carico!".
A Vincenzo parve di morire. Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita!
Francesco si voltò per andarsene. Con un ultimo ghigno, posando una mano sulla spalla di Vincenzo, disse : " Quel treno va dritto dritto ad Auschwitz!".

L'uomo fermo immobile sulla banchina, fradicio di pioggia, con il gelo nelle ossa e l'inferno nel cuore, era mia nonno. E questo fatto non gliel'ho mai perdonato!

LENZUOLO BIANCO di Gianluca Jazz Giannini




Mi piaceva quando si gonfiava e l'aria entrava dentro accompagnando il lenzuolo sul tuo corpo, come una foglia che plana adagiata a terra dal vento. Ora è tutto diverso, il mio viso è una maschera impalpabile e stanca.
Fa uno strano effetto, ora, oggi, vedere le tue forme che riempiono il lenzuolo.
I seni, il tuo volto. Il naso. Sei la sotto, inerme. Non respiri, non ti muovi.
Lo tiro giù tenendolo per i lembi, ti voglio vedere ancora, voglio stampare il tuo corpo nei miei ricordi. Emergono i tuoi capelli, neri come il mirto maturo, riccioli disordinati sparsi sul letto ove giaci e gli occhi chiusi. Solo io, ora, ne ricordo il colore. Verde, come quello delle foglie d'olivo. Intensi, come lo sguardo che mi lanciavi ogni mattina quando ti svegliavi e cercavi i miei, prima che il sole ci dicesse che era tardi e la vita ci chiamava a se.
Il naso si scopre. E' aquilino, mi strappi un sorriso, ti ho sempre presa in giro, quando lo percorrevo con il mio indice, ricordi? Questa è di mamma aquila. La nostra Bibi, la nostra piccola riccioli neri ha preso da te. Cucciolo, come farà ora senza i sorrisi che le regalavi quando veniva in mezzo a noi.
Una parte del tuo naso viene illuminato dalla luce del neon, fa freddo qua dentro, l'altra invece è in zona d'ombra. Hai sempre avuto una vita di cui non mi hai parlato.
Le labbra sono leggermente aperte, pallide come quando uscivamo dall'acqua, quante volte le ho disegnate tra le dita, quante volte sono diventate tue quelle dita, un tuo gioco, un tuo piacere, di assaggiarmi e di assaggiarti. Labbra carnose, piene che sapevano trascinarmi in un vortice senza fine.
Una lacrima scende sul mio volto, lo riga, scopro il tuo petto, quello che spesse volte mi ha accolto in lussuriosi piaceri, vorrei sdraiarmi su di te, anche ora. Trovare il modo di quietare i miei pensieri. Pensavo avessi tutto ciò che desideravi. Perché lui, chi era per te. Tu che eri sempre prudente quando viaggiavi. Perché non indossavi il casco.
Mi dicono che devo lasciarti andare, che ti trattengo qui, con me, in questo mondo.
Hai freddo? Il tuo corpo gela sotto le mie mani.
Pian piano realizzo che sei un ricordo, il più bel ricordo che la vita mi abbia dato.
Qualcuno si avvicina, incerto, mi stringe sulle sue spalle, mi strappa le mani di dosso e mi porge le sue condoglianze.
Non ce la faccio più, piango, come un fiume in piena.
No! Non sei solo un ricordo, sei viva dentro di me, ti sento battere nel mio cuore in quel posto che era solo nostro.
Sento la tua carezza sul volto. Le lacrime si fermano, me le stai portando via. Anche lui ora non c'è più, vi farete compagnia li dove siete andati. Chiudo gli occhi, lui era solo l'altro, quello che divideva il tuo cuore con me, e ti ha portato via. Quello che non ho saputo fare io.
Mi volto nuovamente, sei un lenzuolo bianco.