ALINA, UNA STORIA COME TANTE - di Francesca delli Colli e Giuseppe Balsamo - Racconto a puntate



CAPITOLO I (Francesca delli Colli)

La serata’ e’ vuota , noiosa e fredda. Poche le macchine che si fermano alla pompa di benzina per il rifornimento. L’arrivo dell’inverno tende a tenere tutti dentro casa e il lavoro cala.
Si, il lavoro cala anche per quella ragazza che e’ appena sbocciata nel fiore dei suoi anni migliori e passa le sue nottate ferma a poche centinaia di metri dopo il distributore. 
Il bavero di un giubbotto di finta pelliccia ,comprato usato al mercatino di zona le copre la belta’ dei suoi anni, stampata su un viso cereo per il freddo che stride col colore rosso lacca intenso steso sulle labbra carnose.
Alina, questo e’ il suo nome, 19 anni scappata da un paesino sperduto dell’entroterra dell’est e approdata nell’altro continente, la sua terra promessa, in una cittadina di provincia, che ai suoi occhi appare come una grossa metropoli.
Ferma come ogni sera al suo angolo di strada, intirizzita dal gelo imminente e coperta soltanto da quel pellicciotto sempre aperto per mostrare la sua “merce”.
Capelli lunghi biondi tendente allo stoppa, occhi azzurri che sembrano due gocce di acqua di mare, bocca carnosa e colorata da un rossetto sbavato, regalo di qualche pompino estemporaneo che le ha permesso di portare “la sua giornata” al suo protettore e mettersi poche lire in tasca.
Seno prominente e sodo, appena coperto da un reggiseno microscopico dal quale si intravedono le areole rosee e raggrinzite dal freddo e una discreta pelle d'oca si spande sul petto rigonfio.
Curve morbide e slanciate, due gambe mozzafiato che non riescono a stare ferme cercando un po' di tepore nel movimento.
Ancora porta sul corpo i segni di quel che e' stato il suo arrivo nel continente, regalo di benvenuto di un magnaccia, Rosko, al quale e' stata assegnata che , come ogni sera, si trova appostato poco lontano da lei dentro una macchina nera e fatiscente.
Varie sono le cicatrici che le rovinano il candore della sua pelle che con il setto nasale deviato, rendono sinistra l'espressione del suo volto d'angelo che ne esprime tutta la sua sofferenza ingoiata amaramente.
Tenuta sempre sotto stretto controllo , visto la merce pregiata che offre, e' tallonata in ogni momento e quel fiato sul collo le toglie il respiro, si sente come un uccello con le ali tarpate essendo nata con uno spirito libero e volando mete sconosciute finche' ha potuto.
Il pensiero e' volto costantemente al suo paese dove ha vissuto una fanciullezza povera ma serena ed in questo trova un po' di giovamento ed evasione, unico modo che le e' concesso nell'inferno in cui e' approdata inconsapevole.
I ricordi sono l'unico tesoro che le rimane in tasca, ricordi che stenta a non far svanire lottando contro cio' che le ha tolto la sua giovinezza. Ad ogni batto del suo cuore ha la sensazione che un soffio di anima si distrugga.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivata a fare la puttana ammazzato tutti i suoi principi e gli insegnamenti ricevuti dai genitori morigerati e timorosi di Dio.
Ora e' li, vuota della sua essenza a vendere il suo corpo.
Ad ogni vettura che passa apre il giubbotto sorridendo a denti stretti con falsa ostentazione, mostrando le superbe tette facendole sobbalzare, con la speranza che qualcuno si possa fermare attirato dalla sua bellezza e sfangare la serata.
La delusione non tarda a marcare il suo volto di bambina cresciuta troppo velocemente.
Ogni cliente perso e' per lei fonte di maltrattamenti e percosse come se fosse lei la causa di questo. E' troppo tempo che vive in questo clima questo terrore e il suo pensiero fisso e' quello di farla finita con questa vita, ma soprattutto con la sua di vita, ammesso non riesca un modo per scappare dalle grinfie del suo pappa, che la obbliga a vivere in un infimo motel di periferia insieme alle altre sue “protette”, stipate in 6 per stanza, senza un bagno privato e un cucinotto atti ad assolvere almeno le necessita' primarie.
“Cazzo neanche questo si e' fermato” sussurra a denti stretti mentre si guarda intorno.
Solo luci lontane movimentano la nottata, mentre il suo stomaco brontola dalla fame e le forze si affievoliscono velocemente al contatto col gelo della notte.
Buio totale.
Nessun movimento all'orizzonte,sembra sparita anche la macchina del suo protettore, solo il rumore cadenzato di un pezzo di lamiera di un capannone poco lontano, sbattuta dalle folate di vento che inizia a spirare da ovest.
Un tuffo al cuore .
Che sia questo il momento adatto per dare una svolta alla sua vita?
Il pensiero svetta veloce nella tua testa come una spada che infilza a tradimento.
Sa che non ha il permesso di lasciare la sua postazione.
Con un senso di ansia che le buca lo stomaco e il corpo scosso da brividi per la tensione si toglie di scatto il giubbotto cercando di dargli una forma quasi umana sistemandolo addosso alla spalliera della seggiola di legno mezza rotta che tiene li vicino.
Nel buio della notte fortunatamente tutto e' confuso e camminando lentamente, evitando accuratamente le luci dei lampioni e quelle piu' forti dell'autogrill, entra nel bar della stazione di benzina fregandosene degli sguardi bavosi dei pochi presenti che la spogliano ad ogni passo.
“ Ehi bella quanto me lo metti un pompino?”
Urla un vecchio seduto ad un tavolo vicino la vetrata con una bottiglia di birra in mano.
L'aspetto di Alina non lascia dubbi e l'uomo va sul sicuro nella sua richiesta.
“Dai ma dove cazzo vai? Vieni qui che ti faccio felice questa sera! Lo vedi questo? E' un bigliettone da 5 Euro” Continua l'uomo sventolando la banconota nell'aria.
Il passo di Alina e' incerto ma lo sguardo veloce e attento perlustra ogni angolo del locale alla ricerca di una cabina telefonica.
La sua mente e' una tabula rasa e fa leva su ogni forza nell'essere piu' calma e sciolta possibile per non dare nell'occhio piu' di tanto, mentre si avvia verso il telefono a gettoni posto poco prima delle toilette.
In realta' dentro le si e' scatenato un inferno che non riesce a soffocare.
L'unica sua speranza di e' riuscire a chiamare la sua amica Natasha, ex puttana uscita dal giro grazie ad un cliente innamoratosi di lei che sposandola l'ha trascinata lontano da quella infima cittadina di provincia e dal resto.
Il suo cellulare e' senza credito, sempre.
Le direttive del suo protettore sono quelle di poter solo ricevere onde evitare che le possa venire in mente di chiamare qualcuno.
Nel palmo destro stringe gli ultimi 50 cent e con la mano tremante cerca di infilali nella fessura.
I secondi sembrano interminabili, l'ansia, la paura, l'angoscia le annebbiano la mente, il fiato sempre piu' corto imprime la sua forma sull'acciaio rigato del telefono.
La moneta fa un tonfo secco nella cassetta probabilmente vuota, la tastiera si offre come la sua salvezza.
Deglutisce quasi senza saliva mentre porta il dito sulla scacchiera.
Il numero.
La sua mente e' completamente vuota, non ricorda niente e nessuno, confonde io numeri e il loro possessore.
“340. No, no no, 347” balbetta tra se' se' cercando di riordinare le idee.
“Cristo!!!! “ sussurra nervosa battendo un piede a terra.
“347 910.....”
I polpastrelli nervosamente spingevano i tasti alla rinfusa.
Un urlo che chiama il suo nome arriva al posto della prossima sequenza di numeri.
Trasale, ha il cuore in gola e le gambe rischiano di cederle, si aggrappa al telefono appoggiando per un secondo la fronte sull'acciaio rossastro, strizzando gli occhi e serrando le mandibole.
“ALINA!!!!” la voce proviene dal fondo del locale e la prende alle spalle come una coltellata.
Si sente paralizzata, la voce e' inconfondibile, e' quella del suo protettore.
Lascia cadere di botto la cornetta guardandosi velocemente intorno. E' presa dal panico, porta una mano alla bocca cercando di soffocare un urlo.
“Dio..Dio..Dio...no, no, questo mi ammazza!! “
Questo grido di dolore e terrore riempie la sua testa non avendo forza di dire mezza parole e con uno scatto si dirige verso la toilette degli uomini. E' l'unica via di scampo, sicuramente effimera, ma in quel momento l'unico pensiero e' quello di salvare la propria pelle.
Solo un gabinetto puzzolente di piscio stantio e' cio' che le viene offerto.
Chiude di botto la porta dietro di se' appoggiandosi con le spalle cercando di bloccarla.
Ansima.
Le sue labbra rosse e voluttuose diventano secche per il respiro veloce e assumono un colore cereo.
Un conato di vomito le contorce lo stomaco vuoto, gli occhi le si riempiono di lacrime mentre sente la porta tremare sotto i pugni e calci del magnaccia.
Si guarda intorno alla ricerca di una via di fuga.
C'e' solo una finestrella in alto semi – aperta. Troppo alta e nessun appiglio al quale potersi aggrappare.
Si sente un topo trappola.
Si sente finita..
L'unica cosa che le viene in mente e' di scrivere un messaggio sul muro, gia' pieno di nomi, frasi, parolacce .
Sembra la sagra delle porcate, tra cazzi e altri disegni osceni, simbolo di gente frustrata che ha voluto lasciare un segno del proprio passaggio.
La consapevolezza che sta per accadere qualcosa di brutto l'attenaglia.
In quel gesto disperato spera di trovare un aiuto, ma non sa neanche quale aiuto.
Nei pochi secondi che ha a disposizione cerca una matita nella borsetta rovesciando tutto il contenuto a terra.
Trova solo una forcina pere capelli che sembra buona all'uso ed inizia a grattare nervosamente una porzione di muro quasi intonso sopra la tazza del cesso.
La molletta si rompe dopo un paio di numeri, l'unica cosa che le rimane sono le unghie che vengono consumate a sangue.
“HELP ME 347 910 1325”
La porta si sfonda con fragore lasciando entrare quella bestia umana che senza tanti complimenti la mette KO con un paio di schiaffi e un pugno allo stomaco.
“BRUTTA TROIA MI VOLEVI FARE FESSO?” chiede con un forte accento dell'est mentre la tiene per i capelli obbligandola a guardarlo.
“Sei una lurida puttana, ma dove credevi di andare eh??” le inveisce contro sputandole in faccia.
“Adesso ti sciacquo questa testa di merda che ti ritrovi!!! “ continua dopo averla messa di spalle a lui sferrandole un calcio nell'incavo delle ginocchia facendola crollare a terra.
Il puzzo di urina le toglie l'aria e si puntella con le mani sul bordo della tazza cercando di contrastare la forza di Rosko che tenta di spingerle il capo all'interno del WC.
Alina reagisce malamente raccogliendo le ultime energie divincolandosi con movimenti sconnessi. L'esasperazione, il terrore di non uscirne viva le tira fuori una volonta' al di fuori delle sue possibilita', ma inutilmente.
La bestia la sovrasta.
Nella colluttazione riesce a gettare il cellulare che teneva nel reggiseno le cade nel cestino del bagno, rimanendo sommerso dalla carta .
Il sentore che le sta accadendo qualcosa di brutto le fa compiere questo gesto istintivamente, chissa' con quale speranza.
Dopo pochi minuti l'arresa.
Il suo sguardo e' spento anche se gli occhi sono lucidi di lacrime e piegata in due viene trascinata verso la porta dell'autogrill.
Silenzio di tomba, nessuno osa ne' dire ne' fare niente, solo lo sguardo annichilito dei presenti che segue la scena mentre Alina dimenandosi dalla presa del suo aguzzino sparisce nel buio della notte.
Il cuore le batte il gola, mentre Rosko, imprecando nella sua lingua di origine la strattona senza pieta' verso la macchina.
Alina non riesce a camminare retta, tanto le duole lo stomaco, ma nonostante questo e' decisa di non salire in quella vettura. Sa che entrata li dentro ogni sua speranza di salvezza si distrugge.
“AVANTI ENTRA ZOCCOLA!” esclama l'uomo mentre la prende di nuovo per i capelli spingendola nell'abitacolo.
Si ritrova riversa a faccia in giu' sul sedile posteriore mentre lo sportello dell'autovettura si chiude sbattendo violentemente e facendola sussultare .Non ha il coraggio di alzare il capo, cerca di ingoiare i singhiozzi, le lacrime scorrono sul volto esanime senza che se ne accorga.
“Vă rog....” (per favore.....) sussurra quella supplica nella lingua del suo paese di origine a mezza voce, ma la verita' e' che ha paura anche di respirare.
La macchina sgomma a grande velocita', sbattendola sullo schienale del sedile, senza che l'uomo le dia un cenno di attenzione.
“Lasă-mă să merg ....” quella richiesta di lasciarla andare viene esaudita con una ennesima percossa sul suo corpo esile che si rannicchia in posizione fetale cercando protezione in se' stesso.

E' talmente frastornata che non riesce a dare un tempo al viaggio che sembra interminabile. Aveva la liberta' a portata di mano ma le e' sfuggita per una manciata di minuti, il destino si diverte a giocare con lei e non e' certo la prima volta.





 CAPITOLO II (Giuseppe Balsamo)

Prima di pagare il pieno di carburante, decise che era il momento di pisciare. Le ultime gocce di benzina che con dovizia cercava di non far cadere sul serbatoio della moto, gli fecero aumentare il desiderio di svuotarsi la vescica. Con calma sistemò la bicilindrica sul cavalletto cercando con lo sguardo il cesso. Aveva anche voglia di fumare ma rimandò, reprime...ndo per qualche minuto l’astinenza da nicotina, dirigendosi verso i bagni. L’odore di disinfettante che impera negli autogrill di tutto Italia, misto al puzzo di piscio e merda, lo investì. Non aveva alcuna fretta, disdegno la possibilità di farla in piedi negli orinatoi a muro, preferendo la privacy del loculo alla sua destra. Non appena chiusa la porta alle sue spalle, cercando di sbottonarsi i jeans, cominciò a concentrarsi sulle scritte che ricoprivano le pareti intorno a lui. Era una cosa che aveva sempre trovato divertente, gli italiani sono degli artisti. Così tra disegni membri, organi sessuali femminili, svastiche ed altre amenità stilistiche del genere, cominciò anche a leggere quanto c’era scritto. Siamo un popolo di poeti che esprime il meglio di sé nei cessi pubblici, così si appassionava a leggere quei sonetti, quegli annunci di “coppie” inesistenti, di camionisti stanchi, di gay alla ricerca di una facile emozione o di uno squallido amplesso, di giovani in età puberale che tentavano la sorte, di crudeli buontemponi che trovavano divertente far scherzi del genere. “Help me “ immediatamente un numero di telefono cellulare. Stonava quel messaggio, scritto come se fosse inciso con qualcosa di appuntito, con le unghie, in una grafia incerta, quasi di fretta, tra il disegno di una pecorina ed una svastica. “Merda”, imprecò accorgendosi di essersi pisciato sui texani pitonati, si sistemò la patta ed uscì fuori, aveva bisogno di un caffè ed una sigaretta. I caffè da autogrill sono una sostanza di color scuro, che poco hanno a che fare col caffè, lo bevve con disgusto, giusto per restare sveglio, poi usci di fretta accendendosi la sua sigaretta. Forse era noia, forse semplicemente curiosità, sta di fatto che continuava a pensare a quel cazzo di “Help me”. Si diresse alla moto, ma ritornò indietro, entrò in quel cesso puzzolente e cominciò a digitare il numero sulla tastiera del proprio cellulare. Non schiacciò subito il tasto del bottoncino verde, finì la sua sigaretta, buttandola nel water:”ma che cazzo sto facendo”. Lo sussurro mentre appoggiava l’orecchio al telefono aspettandosi una risposta. Lo scosse il rumore della suoneria, un suono insistente che proveniva dal cestino dei rifiuti sotto lo specchio sporco. Rimase col telefono in mano a guardare il cestino, mentre al suo interno, tra le cartacce qualcosa squillava e vibrava. Si guardò intorno, non c’era nessuno, andò a frugare fra i fazzolettini di carta ed altre gioiose schifezze, trovò la fonte di quel suono. Lo tenne in mano osservando:”ed ora che cazzo faccio .
Uscì da quel lurido pisciatoio con il cellulare fra le mani, accese una sigaretta e cominciò a studiarlo, facendo scorrere la rubrica e gli ultimi numeri chiamati. Tutte telefonate in arrivo, in particolare da due numeri. Scartò il primo, in rubrica era associato ad un nome maschile, nessuna voglia di parlare con un uomo. Prese in considerazione il secondo, era il telefono di tale Naty, almeno così era memorizzato. Non male come nome, cominciò a fantasticare su questa Naty. Probabilmente quella scritta, quella richiesta di aiuto era uno scherzo di cattivo gusto, forse era una buona occasione per rimediare una sana scopata. Dopo qualche attimo di esitazione, decise di provare a contattare il numero di questa Naty, utilizzando il cellulare trovato nel cestino:”Il credito non è sufficiente”, interruppe la comunicazione. Si aspettava la voce della sconosciuta e si trovò ad ascoltare la voce registrata del gestore. Si guardò intorno alla ricerca di un telefono pubblico, nemmeno uno. Riflettè qualche secondo, poteva sempre dire che aveva sbagliato numero, così cominciò a digitare con il proprio cellulare l’utenza della sconosciuta. Guardò l’ora, da poco passate le 22,00. Rimase ad ascoltare gli squilli, poi arrivò una voce squillante, dall’accento straniero, di qualche paese dell’est europeo. Sentì due volte il “pronto” concitato della donna, poi con qualche imbarazzo si decise a rispondere:”Ciao, scusa il disturbo, non ci conosciamo. Mi chiamo Andrea, ho trovato un telefono cellulare in un autogrill, c’è il tuo numero sopra, forse mi potevi aiutare, forse era giusto che tu lo sapessi”. La ragazza non realizzò, subito. Andrea pensò che dopo tutto aveva una bella voce, attizzante sensuale. Proseguì a spiegare, cominciando dal luogo ove si trovava, le parlò della scritta e del telefono cellulare trovato. Si aspettava una risata, oppure di essere mandato a quel paese, invece sentì dei singhiozzi all’altro capo del telefono: Naty stava piangendo, un lamento doloroso, incessante. “Hey mi dici che cazzo sta succedendo?! Non ci conosciamo ma forse posso aiutarti. Non so come, basta piangee, non risolvi niente. Spiegami, oppure dimmi dove se e ne parliamo”.
Dopo qualche secondo, sentì che lei si soffiava forte il naso, forse si asciugava le lacrime:”Il telefono è di mia amica, forse finita in casino. Non penso tu puoi aiutare me. Grazie lo stesso”.
La conversazione venne interrotta. Andrea rimase lì con la faccia da ebete, non gli era mai piaciuto lasciare le cose a metà, poi questa Naty aveva proprio una bella voce. Ricompose il numero:”Risponde la segreteria telefonica del numero..”. Si decise che forse era meglio un messaggio:”Sono Andrea, quello di prima. Non mi piace lasciare le persone in difficoltà se vuoi chiamami, senza problemi”.
Mise il telefono nello zaino e raggiunse la moto, era stanco, era ora di andare a dormire.
Quando arrivò a casa era completamente bagnato, lasciò la moto in garage e passò le mani sul viso e sul giubbotto di pelle, cercando di asciugarsi un minimo.
Quandò entrò nel piccolo monolocale si diresse verso il frigo, vuoto “Merda”, aveva voglia di bere. Si svesti in fretta, lasciando gli indumenti bagnati nel minuscolo bagno, non aveva nemmeno voglia di farsi una doccia, sistemò sul comodino il proprio telefono e quello trovato, accendendosi una sigaretta, osservano le volute di fumo che salivano in alto, illuminate dalla piccola abat jour.
Cominciò a pensare al pianto della sconosciuta, inspiegabilmente gli diventò duro nei boxer aderenti. Masturbarsi non ne aveva alcuna voglia, spense la cicca, prese per un attimo in mano i cellualri: accesi e nessun messaggio.
Chiuse gli occhi è dormì, profondamente, senza nemmeno accorgersi che alle ore 03,07 di quella notte, un piccolo suono segnava l’arrivo di un SMS da parte di Naty.










CAPITOLO III (Francesca delli Colli)


 Senza che se ne rendesse conto si ritrovo’ accartocciata sul sedile posteriore di una Fiat brava nera vecchio modello.
Dei sedili sentiva solo il puzzo di fumo rancido del quale erano impregnati e la ruvidezza della tappezzeria consumata.
Il rumore rombante di un motore truccato e stridente di una marmitta sfondata era palesi mentre la vettura accelerava l...a velocita’ probabilmente ad ogni rettilineo.
Per il resto aveva perso la cognizione del tempo. Solo la luce dei lampioni che oltrepassava i vetri chiusi della vettura illuminava per qualche attimo l’abitacolo mentre ad ogni curva il suo corpo veniva sbattuto contro i sedili anteriori per poi ritornare violentemente addossato allo schienale di quelli posteriori.
Rannicchiata in una posizione fetale era sballottata come un peso morto ingoiava i suoi singhiozzi intramezzati da qualche vana domanda uscita a forza da una voce quasi inesistente e strozzata.
“Dove mi stai portando ?” chiese a Rosko cercando di mettersi seduta aggrappandosi al sedile del conducente, che senza alcuna parola si giro’ quel tanto da poterle sferrare una gomitata in pieno volto.
Un’urlo oltrepasso’ il rumore del motore che si fece ancora piu’ forte a causa di una nervosa sgasata ulteriore.
Con le mani sul volto si rimise stesa cercando di evitare di singhiozzare troppo forte. Le mani si bagnarono di un fiotto caldo proveniente dal naso che lentamente si poso’ sulle labbra dandole la conferma di essere sangue, dopo averne raccolto una stilla con la punta della lingua.
La convinzione che il magnaccia la stesse riportando al motel dove alloggiava si consumo’ nel momento in cui si rese conto che la lunghezza di quel viaggio iniziava a risultare eccessiva, considerando che la sua abitazione era distante appena un 5 km dalla sua postazione di lavoro con una strada liscia. Ora quella che percepiva era chiaramente dissestata, come una strada di campagna non asfaltata.
Si cheto’ ormai rassegnata al suo destino che di certo aveva solo la sua incertezza.
Dopo quasi un’ora di viaggio la macchina freno’ bruscamente, ma lei non ebbe il coraggio di alzare il capo per vedere dove fossero approdati.
Rosko usci’ dal veicolo sbattendo violentemente lo sportello, circumnavigo’ la vettura fino ad arrivare a quello posteriore sinistro che apri.
Una folata di aria gelida investi Alina ancora rannicchiata sul sedile. Aveva il cuore a mille mentre la mente ormai era svuotata di ogni pensiero.
“ESCI TROIA!” intono’ Rosko ruggendo mentre, presa per un braccio, la tiro’ verso l’esterno. Una volta in piedi fu spinta barcollando verso una porta rudimentale apparentemente di un cascinale. Nessuna luce che lo illuminasse, solo il palese odore di campagna misto a sterco di animali.
Gli ospiti all’interno, seduti attorno ad un tavolo a giocare a carte, furono presi alla sprovvista e si girano tutti all’unisono quando si apri’ la porta ed i due entrarono.
Solo sguardi e sghignazzamenti di schernimento provennero da loro, che intuirono la situazione di certo non casuale, mentre Alina attraversava la sala . Uno di loro allungo’ una mano cercando di infilargliela sotto quel quadratino di stoffa che le copriva le cosce.
“Dai fammi sentire quanto sei calda!” esclamo’ divertito.
La ragazza si ritiro’ d’ istinto mentre un’ulteriore spintone le indico’ di camminare.
“Sta fermo pezzo di merda!” Esclamo’ Rosko all’uomo “ Avrai tempo per divertirti! Continuo’ con uno sguardo di intesa ed un ghigno sulle labbra poco prima di varcare una seconda porta.
Alina tremava come una foglia sia per il freddo che per il terrore, non riusciva a capire cose le avrebbero riservato i giorni a venire, aveva sentito correre voci tra le sue amiche che alcune ragazze che non avevano rispettato i patti erano sparite dal giorno alla notte senza che ce ne fosse stata piu’ notizia.
Il tappeto posto ad un angolo della stanza venne spostato dall’uomo che accovacciato scopri’ed apri’ faticosamente il coperchio una botola.
Alina fece un passo indietro fissando terrorizza quella scena.
Le gambe diventarono morbide come il burro, si appoggio’ al muro per non cadere a terra ed un respiro le si blocco sul nascere.
Si sentiva finita, la sua giovane vita si stava spegnendo poco a poco , beffa e divertimento del suo destino.
Fu catapultata lungo una scala a chiocciola che la condusse in una sorta di cantina umida e buia. Fu sbattuta vicino ai tubi del riscaldamento che correvano lungo la parete. A terra era buttata una coperta lurida sulla quale si accovaccio’ mentre con veemenza Rosko le lego’ la caviglia destra con una corda che aggangio’ al ferro. L’unico movimento che poteva fare era quello di mettersi in ginocchio tanto era corta.
Prima di salire a scaletta l’uomo si rivolto’ .
“Questo soggiorno sara’ sicuramente piacevole…” affermo’ ridendo sguaiatamente e dirigendosi verso l’uscita.
Alina scoppio in un pianto dirotto fino a che si addormento’ straziata dalla stanchezza e tensione.
Nella sala superiore un brusio accompagnava la curiosita’ degli uomini che parlottavano tra di loro ma che si zittirono quando Rosko rientro’ nella stanza.
“Dejan..” si rivolse al tizio che aveva cercato di infilare la mano tra le cosce di Alina.
“Tienila d’occhio fino a quando non torno, e’ sotto la tua resposabilita’, se le succede qualcosa pagherai te le conseguenze! “ Esclamo’ prima di chiudere la porta dietro di se’.
La sgommata della macchina attesto’ la sua dipartita.
Finita la sorpresa dell’incarico, Dejan quasi compiaciuto si sfrego’ le mani sorridendo sotto i baffi.
“Certo capo” disse tra se’ e se’ ”Sta tranquillo che sotto di me ce la metto sicuro…”
Quel pensiero aveva un qualcosa di malvagio nelle intenzioni che si guardo bene di farle intuire agli altri.
Solo alla vista di quel pezzo di figa, il cazzo gli si era talmente gonfiato nei pantaloni che ancora gli faceva male.
Relegato in quella stamberga, erano giorni che non scopava e l’astinenza gli stava facendo passare idee malsane in testa ed inconsciamente si massaggiava il sesso dolente ed ancora barzotto.
Su quella brandina si girava e si rigirava non riuscendo a dormire all’idea che al piano di sotto ci stava quella puttana bella pronta. Era diviso tra il senso di del dovere e il richiamo delle sue pulsazioni che non riusciva a chetare.
La voglia era alimentata da quei maledetti pensieri ed inizio’ a masturbarsi sotto le coperte. Si sbatteva il cazzo così violentemente che non riusciva a reprimere i suoi gemiti che sbottarono in un grugnito finale.
Si asciugo’ la mano piena di sbora al lenzuolo, si rigiro’ su un fianco cercando di dormire.
Ma quella ragazza era diventata per lui una sorta di ossessione, continuava a giacere nel letto con gli occhi sbarrati nel buio pieni di quelle carni rosee e bagnate messe a disposizione.
A meta’ della notte si alzo di scatto seduto sul letto. Aveva il cazzo ancora duro. Si guardo’ intorno, i due che dormivano con lui russavano fiondati in un sonno pesante.
Senza far rumore, si avvio’ alla porta con una mano nelle mutande grattandosi le palle.
Arrivato nella stanza della botola si mise in ginocchio posando un’orecchio sull’apertura alla ricerca di qualche rumore. Convito che Alina stesse dormendo, visto il silenzio, scese nella cantina e si fermo’ li davanti a lei ad ammirarla quasi con la bava alla bocca.
Lo stato di indigenza della ragazza, lo eccitava. I capelli scompigliati, il corpo nudo e per lo piu’ sporco, il colorito cereo facevano molto “Trash” ed appetibile.
Si mise in ginocchio davanti a lei accarezzandole i capelli.
Alina si sveglio’ di soprassalto .
“Che cazzo vuoi ?” gli chiede stringendo le mandibole e cercando di allontanarsi ma invano visto quando era corta la corda.
“Vattene pezzo di merda! Lasciami! Non mi toccare!” Urlo’ con le poche forze che era riuscita a raccimolare.
Dejan sorrideva divertito mentre continuava a toccarla. La mano era scivolata sui seni tosti di gioventu’, le stava stuzzicando un capezzolo tra le dita fino a che non lo torse tirandolo.
Alina urlo di dolore.
“La finisci di urlare troietta?” si rivolse alla ragazza infastidito , mentre la situazione iniziava ad intrigarlo ancora di piu’. Il cazzo da barzotto ridivento’ duro come il marmo e la sua forma traspariva dalle mutande.
“Mi fai schifo, vattene” continuava Alina dibattendosi cercando di colpirlo ed allontanarlo con le mani. Piagnucolava senza sosta, sapendo di essere un topo tra le fauci di un gatto
Quella resistenza stava mandando al carceriere l’adrenalina a mille, facendogli perdere tutti i buoni propositi, la guadava con uno sguardo che trasudava lussuria e di quella piu’ bassa.
“Sta zitta !!” l’uomo le esclamo’ contro colpendola con uno manrovescio. Il capo di Alina si piego’ di scatto all’indietro mentre il suo sguardo assumeva una espressione tra odio e terrore.
Dejan la prese per il capelli obbligandola ad alzare il volto verso di lui. Le alitava contro il suo fiato puzzolente ed ansimante, il suo sguardo era iniettato di sangue. Con l’altra mano si tiro giu’ le mutande mostrando il cazzo turgido e puntandolo verso il suo viso.
Alina intuendo serro’ le labbra sversando il viso dalla parte opposta, ma la presa del suo aguzzino soggiogo’ la sua forza. L’uomo porto’ la cappella sopra bocca spingendo insistentemente il bacino per obbligarla ad aprirla. Alina cercava di contrastarlo serrandola con piu’ forza , ma la presa peri capelli le bloccava ogni movimento del capo. L’odore di urina le mozzava il fiato ed un conato di vomito le risulto fatale. Dejan approfitto di quell’attimo per ficcarglielo dentro fino in gola.
Si senti’ soffocare… l’uomo le stava scopando la bocca senza pieta’ senza che lei potesse difendersi in qualche modo. Il sapore della bile lottava contro quello della sporcizia. I grugniti di Dejan si spandevano nella cantina accompagnati dai lamenti della donna che continuava a dimenarsi.
L’orgasmo fu veloce e violento, inondando e trasbordando dalla bocca di Alina, che lasciata libera inizio’ a sputare a ripetizione, a pulirsi col dorso della mano e poi vomitare cio’ che non aveva nello stomaco digiuno.
Dopo aver finito Dejan si alzo’ in piedi guadandola con una espressione schifata e si avvio’ senza una parola verso la scala a chiocciola rinfilando nelle mutande il cazzo oramai sazio.
Con il volto contratto e sporco di vomito e sperma, riuscì a mettersi seduta, si prese la testa tra le mani con lo sguardo fisso a terra. Non aveva piu’ un corpo suo, non aveva piu’ un’anima, non aveva piu’ una dignita’ di donna.
Dopo qualche attimo alzo’ il volto guadandosi attorno con la vista ancora offuscata, non sapendo neanche cosa cercare.
Poco lontano,tra alcuni sacchi di plastica riusci’ a mettere a fuoco un’oggetto. Si mise a carponi strisciando sul pavimento di legno, poi prona cercando di raggiungerlo tirando allo stremo la gamba bloccata ed il braccio.
Riusci’ ad afferrarlo, era un cellulare, quel cellulare che Dejan si era portato dietro e perso nella colluttazione.



 





ALINA, UNA STORIA COME TANTE

cap. IV (Francesca delli Colli)



L'oggetto era quasi del tutto sommerso dai sacchi, riusciva a toccarlo con la punta delle dita ma ogni volta  che tentava di prenderlo, la fatica dello sforzo fatto ed il dolore alla caviglia sembrava lo allontanasse.
La catena era cosi tesa che l'anello di ferro che la teneva legata la base della gamba  inizio' a corroderle la carne, ma l'adrenalina che le scorreva nel sangue non le faceva percepire alcun dolore.
Raccogliendo le ultime forze e speranze fece un ultimo slancio accompagnato da un suono gutturale strozzato.
I muscoli erano tesi allo stremo come i suoi nervi, la paura  che Dejan potesse rientrare da un momento all'altro era enorme, il cuore le batteva cosi forte che ogni palpito prendeva il posto di un respiro. Le dita della mano toccavano l'oggetto che quell'ultimo sforzo riusci a muovere fino a spostarsi in modo che le falangi potessero aderire meglio facendolo scivolare di qualche centimetro per poi afferrarlo del tutto.
Era un cellulare, quel cellulare che Dejan sicuramente si era portato dietro e perso nella colluttazione.
Non ebbe la forza di alzarsi, con l'adrenalina scivolarono  via anche le ultime energie . Sfinita rimase per qualche secondo prona sul pavimento  col volto posato a terra, socchiuse gli occhi, strinse a se' quell'oggetto come per nasconderlo.
Riusci' a mettersi seduta cercando di mettere a fuoco cio' che aveva in mano, anche se era palese al tatto.
Il cuore le sobbalzo' quando porto' il cellulare a pochi cm dagli occhi offuscati anche dalla poca luce presente nella cantina . Rendendosi conto di quella stilla di fortuna che le era venuta in aiuto, velocemente scivolo' verso la coperta di iuta dando le spalle alla scaletta che portava al piano di sopra celando il telefono tra le cosce.
“Dio,Dio , Dio ti ringrazio!” mormoro a bassa voce mimando la frase con la bocca secca ed il respiro quasi insistente.
Senti' la liberta' a portata di mano, serro' le labbra cercando di ingoiare un singhiozzo che le strozzava la gola.
Il cellulare era uno modello abbastanza recente della Samsung, un S2 , ma con la scocca rovinata e lo schermo incrinato, sicuramente di seconda mano o rubato.
 Le mani tremavano senza che potesse avere una presa salda e il suo stato d'animo si  barcamenava tra la felicita' e un senso di ansia cercando di trovare un compromesso. Pigio' il pulsantino laterale di accensione, il logo della marca inizio ad apparire ondeggiando , la  musichetta che precedette l'apertura dello screensever le sembro' celestiale, il display si illumino', come il suo volto per qualche secondo  ma si rispense dopo pochi secondi.
“Merda” Merda!!!!” esclamo' a denti stretti scuotendolo violentemente
“Stronzo!! non mi puoi mollare adesso ! Dai pezzo di merda accenditi,su' dai...ti prego...accenditi, accenditi!!!.
La speranza scivolo' via come quell'accenno di melodia facendola cadere nella disperazione piu' profonda. Si prese la testa tra le mani facendo scivolare non curante il cellulare a terra, mentre il panico era l'unica emozione che sentiva in quel momento. Stette in quella posizione fino a che riusci a riprendere un barlume di razionalita'.
“Alina calma...calma..calma...! Inizio' a borbottare “Pensiamo...io e te dobbiamo uscire da questo inferno hai capito Alina ? Hai capito?” La sua voce rimbombava nella testa come se a parlare fosse  stato il suo alter ego cercando di fare verso se' stessa una sorta di training autogeno. Dopo qualche secondo i battiti del cuore rallentarono e il respiro divento' piu' regolare. Respiro' profondamente in quella frazione di secondo in cui le palpebre si alzavano mostrando di nuovo la realta' in cui la donna giaceva. Il voto era cereo la ma mente era sveglia ed inizio' a galoppare. Si guardo' intorno soffermandosi su ogni dettaglio che le potesse dare qualche idea di azione.
Si soffermo' su una scala con qualche piolo mancante, sui sacchi che avevano nascosto il cellulare, sulla scaletta a chiocciola per portava nella stanza dove probabilmente dormiva Dejan , su alcuni arnesi da lavoro ma inservibili fino a scorrere tutta lunghezza dei tubi dell' acqua alla quale era agganciata la catena che la teneva bloccata per la caviglia.
Si soffermo' su ogni snodo fino ad arrivare ad uno dal quale scendeva qualche goccia. Era arrugginito. Si avvicino' al pezzo di ferro  scrutandolo in modo maniacale fino a scoprire che nella parte inferiore del tubo l'acciaio era corroso fino a formare un'incrinatura. Senza pensarci due volte porto l'estremita' della catena in quel punto ed inizio'a tirare tirando fuori una forza disperata. Tiro' una, due , tre volte, stringeva e tirava cosi' forte le maglie della catena che iniziarono a tagliarle la pelle dei palmi, ma ancora una vota non senti' il dolore.
Il tubo si piego' solo leggermente. Si fermo' per riprendere fiato mentre il dorso della mano toglieva i capelli madidi di sudore e appiccicati sulla fronte. Lascio' la presa alla volta di uno di quegli strumenti da lavoro buttati in un angolo. Trovo' la testa di un martello senza gambo che doveva essere di grosse dimensioni , scivolo' a carponi verso il tubo ed inizio' a battere con violenza su ferro cercando di incrinarlo ancora di piu'. Ormai agiva come  un'automa senza rendersi conto del rumore che sta creando. Alterno' infinite volte di due movimenti fino a che il il ferro si spezzo' e perdendo l'equilibrio nell'ultimo sforzo ando' a sbattere contro una colonna di cemento. Il contraccolpo le fece perdere per qualche attimo i sensi e le procuro' un discreto ematoma sulla nuca. Si porto' la mano dietro la testa con una smorfia di dolore ritraendola subito con il palmo sporco di sangue.
“Maledizione!!” esclamo' digrignando i denti  e strizzando gli occhi, questa volta il dolore era netto.
Lo stordimento duro' poco avendo notato che il tubo si era spezzato, lo guardo' inebetita ed incredula. Adesso si che aveva la liberta' a portata di mano anche se doveva oltrepassare il guado che la divideva   da questa: la camera dove dormiva Dejan.



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