giovedì 30 maggio 2013

HO UCCISO UNA FALENA di Allie Walker




Febbraio 2012
Il cambiamento non è sempre necessario nella nostra vita, ma quando tutto va a puttane il cambiamento non solo è necessario, diviene la nostra ragione di vita. La mia vita è cambiata notevolmente, in peggio, il dolore enorme, la ferita immane. Resto qui a discernere tra rabbia e dolore, fra la paura e le scelte, smentita continuamente dal comportamento degli altri. Vivo costantemente in una coltre di nebbia che striscia sulla mia vita, come fosse un campo di battaglia, cosparsa del sangue de morti. La mia vita è cambiata, come quella di molti d'altronde, sopraffatta dagli eventi. Con coraggio devo radunare le mie forze, muovendomi avanti nella nebbia, sperando di non calpestare la vita degli altri e che loro non facciano altrettanto. Confido nelle anime giuste, i miei figli, la mia famiglia, quelli che seguono le mie orme. Ma questa nebbia è così fitta, oggi, che nessuno osa disegnare un singolo respiro.

Aprile 2012
Sono in quei giorni in cui tutto mi nuota in testa con le immagini e le storie che desidero scrivere. Non riesco a trovare la chiarezza di pensiero o il tempo di sedermi e svuotarlo e, prima di sapere che la mia mente si è spostata su quelle storie, mi sento come se fossi nella risacca, spinta e tirata dalla marea Quella marea che mai si trasforma in qualcosa di sostanziale. Sto nuotando nel mare agitato e sento davvero il bisogno di navigare in altri lidi. Tutto mi sta stretto, tutto mi appare inutile, tutto è perversamente succube del mio dolore. Anche le parole mi si rivoltano contro, la tecnologia diventa mia nemica, non funziona nulla o, forse, sembra a me non voglia funzionare a dovere. Ma tanto, parlare con la gente, non mi servirebbe a nulla.

Marzo 2012
Un volto coperto di stoicismo, il mio, solido come pietra compressa, spinta in una terra asciutta, pressurizzata all’interno della mia anima, tentando di perfezionarmi nel vivere, reprimendo la rabbia e, non posso negarlo, erodendo il mio cuore. Un cuore ormai contaminato, che continua a battere in un turbinio di emozioni che gridano ritmicamente, che mi spingono fino al punto più debole. Il sangue che vi scorre dentro si trasforma, sembra diventare vapore, poi si trasforma ancora e brucia, brucia nella rabbia, non si contiene, sembra dover esplodere da un momento all’altro. Brucia e si vaporizza, si scioglie e si raddensa, accompagna la mia caduta, così profondamente, che sento l’afrore della mia carne morta. Poi divengo di nuovo pietra, solo per essere liberata da quella rabbia che esplode come il fuoco al centro del sole. E tutto tace di nuovo.

Maggio 2012
Mi adatto allo scorrere del tempo, mi adatto ai cambiamenti, mi adatto anche al dolore. Lo chiamano dolore, ma nessuno è mai morto di dolore e nessuno mai potrà; comunque il dolore che sento è una parte di me e deve per forza avere una fine. Sono passata dalla fase “incredulità e vuoto” alla fase “rabbia” molto velocemente, nonostante ancora passino avanti e indietro contro di me, come se fossero ali di una falena che non mi vogliono toccare. Tento di liberarmene. Non è una bella farfalla, ma una falena, che lascerà un residuo di polveroso schifo su di me, è quasi senza colore, ma questa immagine mi permette di deridere le mie emozioni, mentre sto negoziando con me stessa. Continuo a dirmi che presto andrà tutto meglio, che merito una vita migliore e, in una sorta di equilibrio, continuo a mantenere il mio cuore nel nero… il rosso sarebbe un appiglio ancora troppo pesante a cui aggrapparsi e mi tirerebbe nel profondo del mare, dove tu ti sei perso egoisticamente. I colori mi danno il senso della vita, ma in questi giorni continuo a vedere il grigiore di quella brutta e polverosa falena, li vedo anche sopra il mio corpo che sembra si sia adeguato ai miei pensieri e abbia preso lo stesso colore. La mano scende sul fianco, la trascino fino al ginocchio, per risalire fino all’interno delle cosce e mi permetto di pascolare lì, accarezzandomi intimamente, come se volessi mutare lo stato delle cose e dei colori. Chiudo gli occhi, cerco i colori dentro il buio, ma spunta di nuovo quella falena che ama il buio, forse attirata dai miei lampi di luce che appaiono timidi. Smetto di toccarmi, quel grigio non mi appartiene… mi addormento, meglio immergersi nella nebbia e stordirsi.

Giugno 2012
Dormo troppo, sono spesso sola, ma mi piace immergermi nella solitudine. Lì trovo la mia pace. Gli altri possono fare anche senza di me: “Possono aspettare…” mi dico e il telefono che vibra, che mi chiama, continuo a farlo vibrare. Non parlo quasi con nessuno, passo il mio tempo con me stessa, le parole divengono il mio rifugio segreto, mentre la falena continua a girarmi attorno, fastidiosa e irriverente. Sembra essere eterna, immortale. Eppure le farfalle sono fragili. Lei continua a sussurrarmi le storie degli altri, dialoga con me e il suo grigio non finisce mai. I nostri sguardi si incontrano, mi sfida, mescolando leggiadre volute a polverosi battiti di ali che sembrano essere i suoi ultimi. Così continuo a contrattare con me stessa una rinascita, non mi importa del tempo che sta scorrendo, questa mia fase è la via di mezzo, il mio passaggio attraverso il dolore, ed è la cosa più divertente che ho nelle mani. Non importa di quello che dicono gli altri, delle colpe che mi danno. Io merito tutto il mio tempo, lo considero ben investito e la falena continua a dirmi che devo farlo, che devo discutere con le sue ali grigie. Mi nascondo? Forse si. Ma devo evolvermi ancora, sopravvivere alle difficoltà del cambiamento, quello che lascia il residuo polveroso e disgustoso, ma che è la grinta che ritrovo tra le mie dita e me ne sono ricordata adesso che lo scrivo.

Luglio 2012
Sono dura, qualcuno mi ha detto che sono senza sentimenti, qualcuno che sarebbe meglio che taccia per sempre (ma questa è un'altra storia). Nulla mi tiene giù, vado dritta per la mia strada e raccolgo sulla via piccole soddisfazioni personali. Ma alcuni giorni, quella brutta bestia della depressione, che si nasconde dentro di me, trova il modo di farsi viva, all’improvviso. La tv è una di quelle cose che la istiga. Ultimamente ai tg si parla solo di morti; gente che non ce la fa più ad andare avanti e allora compie il gesto estremo, donne violentate, bambini defraudati della loro innocenza, vecchietti malmenati per poche lire, incidenti d’auto dove spesso muoiono giovani. Ed ecco che il grigiore delle nubi riappaiono e la falena torna a trovarmi. Il dolore degli altri mi tocca profondamente, forse per averlo provato sulla mia stessa pelle, e quando mi guardo in giro vedo dolore ovunque, permea l’aria caldo-umida, preme sul fango della mia anima, si inerpica con le unghie sulla mia schiena… ascolto la mia stessa agonia. Forse è un male necessario, per apprezzare di più i colori e la luce, quando riappaiono. Continuo a lasciar scorrere la mia vita, come sulle note di un valzer per ora moderato. 

Agosto e Settembre
Mi sono mancate le parole, ho perso molto. Ho allontanato persone per qualcuno che non meritava nemmeno l’ombra di un mio sorriso. Gli occhi si sono spenti, le lacrime affiorate, poi scese copiose. Il dolore di nuovo il mio Padrone. Tento di ritrovare la via giusta, allontanarmi da tutti, non mi può far altro che bene. Rintanata nelle quattro mura di casa mia, come compagno il mio cane, torno a riflettere su me stessa. Contratto ancora con il buio e il grigiore della falena e finalmente riappaio. Una flebile luce all’orizzonte mi appare. Ecco, era solo apparenza (anche qui l’ho capito troppo tardi).

Ottobre 2012
Il silenzio è una lingua che la maggior parte di noi non conosce molto bene. Il silenzio la dice lunga senza proferir parola. Il silenzio può dire con amarezza: “Ti odio.” Può parlare di rammarico, può parlare di tutto e di niente. La cosa più importante che il silenzio può dire, sono i “Ti amo.” Quando il silenzio dice “Ti amo”, se la persona a cui viene indirizzata non parla correntemente la lingua del silenzio, non potrà mai prendere atto del calore nascosto in quelle parole invisibili. O, anche peggio, si risentirà del tuo silenzio. E mentre la mia voce, nel silenzio, urla, dubito che l’amore dell’altro veramente esista. E continuo a dirmi: “se non riesci a comprendere i miei silenzi, non riuscirai a capire nemmeno le mie parole.” Tuttavia, continuo a seguire la mano che mi è stata tesa, uno spiraglio di miglioramento è alle porte. 

Novembre 2012
Continuo a parlare con il silenzio, richiede la mia attenzione. Ascolto il mio cuore e tento di capire perché le mie parole spesso affondano nelle sabbie mobili dove sono sepolti i miei segreti. Mi apro, spiego, parlo, racconto, scrivo… sto imparando la lingua del silenzio, lentamente, ma sto imparando da lei. Il silenzio è a disagio, sia quando si trova e quando si trova, ma ho scoperto che c'è sempre qualcosa da dire sul silenzio, a volte vuol dire, "ti amo." A volte vuol dire, "Mi manchi. "Di solito, per me, vuol dire:" Io sono una pazza." Il silenzio, adesso, non mi lascia mai soddisfatta, sento sempre un vuoto e il mio cuore soffre per qualcosa. Io non so nemmeno quello che dovrebbe essere, e affogo quel sentimento con un'altra tazza di caffè. Il silenzio mi fa sentire stupida. L'amore mi fa sentire stupida. Sto imparando la lingua del silenzio, che è un po' come il linguaggio dell'amore. 

Dicembre 2012
Immagino di fare le cose che mi chiedi. Ti immagino che mi aspetti nella camera d’albergo, gli accordi sono quelli. Immagino tutto prima di arrivare da te. Ma mai avrei potuto immaginare quello che è accaduto dopo. Ho fatto una doccia calda prima di arrivare, voglio la mia pelle calda e duttile, da impastare, come la più morbida pasta del fornaio: calda, malleabile e profumata. Naturalmente sono nervosa, desiderosa di compiacerti. Mi attengo ai tuoi desideri. Entro nella camera e tu sei lì, che mi aspetti. Mi chiedi di spogliarmi, lo faccio riluttante, non mostro facilmente le mie cicatrici. Il silenzio attorno, non parli e non parlo. Nel gioco di sguardi prende il via la nostra notte. Nell’illusione di averti donato il mio corpo e l’anima, ripartiamo assieme al mattino. Due treni diversi, due pelli che mai più si sfioreranno. Vane le promesse e le parole, era molto meglio il silenzio.

Gennaio 2013
Quando si tratta di dolore, si parla di accettazione, come se fossero solo lettere consecutive, con il loro suono particolare, unico. Poi ci sono tutte le altre lette, quelle che causano tanto rumore nella testa quando si chiudono gli occhi. La parola dolore è una di quelle, una di quelle che fa più rumore di tutte, ma ha dei buoni compagni. Ho passato questo ultimo anno con il dolore, con il vuoto, con i ti amo,con le bugie, con le false promesse, con i vorrei ma non posso, con il cambiamento, in un turbinio di emozioni negative e positive. Tutto ha causato tanto rumore, specialmente il mio cuore andato in frantumi. Ma stavolta non ho mollato, ho cacciato la falena, tutti i giorni. Ho ridotto a un muscolo il mio cuore, lasciandomi tenere in vita. Mi sono rimboccata le maniche e ho fatto quello che non credevo mai potessi fare. Mi sono vendicata e non me ne vergogno. Il tempo mi darà ragione.

Febbraio 2013
Con il mio cuore in pezzi ho iniziato il mio nuovo viaggio, il sole e la luna testimoni dei miei giorni, le stelle piccoli astri che sono apparsi pian piano nel mio personale universo. E’ un processo lento e nulla posso fare per accelerarlo. Faticosamente mi sono ripresentata agli altri, ho rasentato il cinismo, a dire di qualcuno, mi sono rimessa in gioco, inizialmente, al pari dell’altro sesso: di tutti e di nessuno. Come le maree mi sono data e rilasciata, ad ogni rotazione dei corpi celesti. Alla fine tutte le rugosità sono state lisciate, la pietra che rivestiva la mia essenza (parola grossa, ma c’è) scalfita e ho accettato il mio dolore.

Marzo 2013
Ho fatto un grosso passo avanti, rilasciato tante cose, pensieri ed emozioni. Come le gocce di pioggia che evaporano dalle pozzanghere dopo un temporale, come le foglie che naturalmente cadono dagli alberi in autunno, ho lasciato andare le mie emozioni verso il naturale processo di cambiamento. Non sono i miei vestiti, non sono i beni che posseggo, non sono il posto di lavoro che occupo, ne il colore dei miei capelli, ne il modo in cui mangio. Non sono la mia auto, ne il caffè che bevo. Sono molto di più, questa la mia nuova convinzione. Posso portare nel mio viaggio, verso il benessere, ciò che voglio, quello che ho costruito nel mio cuore, quello che risiede nella mia anima. Attendo che il grigiore scompaia del tutto.

Aprile 2013
Ora chiudo gli occhi e mi riguardo tutto. Tutto il bagaglio superfluo del vecchio, lo lascio alle spalle. Chiudo la porta di quella stanza che risiede nella mia memoria e la faccio divenire cenere, grigia come la falena, senza bellezza, senza colore e senza calore. Si, mi sento esposta, messa a nudo, ma non mi sono mai sentita così pronta a lasciarmi tutto alle spalle come adesso. Sento già i violini in sottofondo, strumenti a corda che tirano le mie stese corde. Ho aperto gli occhi e sono pronta a scoprire quello che la vita mi offre, la mia prossima evoluzione. Il dolore mi toccherà ancora, nessuno può fuggirlo e nemmeno io, ma il suo potere su di me è minore, il mondo mi sembra persino bello. 
… E il viaggio continua, in un moto perpetuo come le maree e tutto l’universo che ci appartiene e a cui apparteniamo.

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