venerdì 10 maggio 2013

LA PIGIATRICE D'UVA di Charmel Roses




Attendevo con impazienza quei giorni di fine estate.
La mia, era un'attesa febbricitante, che mi accompagnava per tutto l'anno.
Quando arrivavano, ben volentieri, faticavo, chino, sotto il sole ancora cocente, impegnandomi con tutto me stesso nell'ingrato compito della raccolta dell'uva.
Il vigneto, in realtà, era piuttosto piccolo, in molti, in paese, si chiedevano che senso avesse continuare a sudare tanto per pochi litri di vino.
Rita, però, non voleva sentire ragioni e a nulla erano valsi i tentativi di convincerla a sfruttare in maniera più redditizia il suo piccolo appezzamento di terreno. Ma la sua caparbietà, comportava un lavoro talvolta insostenibile.
A causa della ristrettezza dei mezzi di cui disponeva e del morboso attaccamento che nutriva verso le proprie cose, si ritrovava ad occuparsi da sola della cura del vigneto.
L'unico aiuto di cui poteva disporre, era il mio, un aiuto che spesso la sollevava da ogni fatica, che non chiedeva praticamente nulla in cambio, se non poche bottiglie di vino e il sottile piacere, di poter lavorare ai suoi ordini.
Ma il premio che più gratificava i miei sforzi, erano quei giorni della raccolta, quando Rita si esibiva, inconsapevolmente, pigiando l'uva con i piedi.
Se un giorno avesse deciso di smettere e affidarsi a un macchinario, il suo vino non sarebbe più stato delizioso come allora.
Contemplavo, rapito, i suoi morbidi piedi che affondavano tra i chicchi d'uva e si tingevano di rosso, li seguivo e bramavo, ammaliato e quell'immagine restava con me, per tutto l'anno. La sorseggiavo insieme al vino e lo gustavo con la stessa voluttuosità con cui le avrei baciato i piedi.
In silenzio, l'adoravo e la desideravo e lei sembrava non comprendere che questo era il motivo per cui, da sempre, più che offrirle un semplice aiuto, mi comportavo come se fossi il suo schiavo.
Quei sentimenti, sapevano essere prepotenti, mi ossessionavano e toglievano il sonno.
Venne il giorno in cui i miei occhi parlarono per me ed io non seppi e non volli tradirli.
"Già batti la fiacca?" disse lei, scherzosamente.
Aveva appena finito con la pigiatura e, com’era solita fare, camminava scalza fino al porticato, e sedeva sugli scalini a riposare.
Ero talmente concentrato sulle orme che lasciava dietro di sé, che non le risposi.
Mi limitai a raccogliere i suoi zoccoli di legno, abbandonati accanto alla tinozza e la raggiunsi.
Ricordo il cicaleccio dell'estate particolarmente forte, quel giorno e anche il sole picchiava duro. Ma stando all'ombra, arrivava un vento leggero, quasi fresco.
Deposi gli zoccoli e mi misi a sedere vicino a Rita.
"Se ti vedessero giù in paese" disse a un tratto.
"Cosa?" le chiesi.
"Cosa? Pure gli zoccoli m'hai portato!".
"Perché, non te li posso portare?".
"E come, non puoi. Ma quelli già ti prendono in giro... Dicono che sei il mio cane".
"Chi lo dice?".
"Tutti. Quando mi vedono in paese, me lo dicono sempre: il cagnolino l'hai lasciato a casa? Dicono. Pensa che, l'altro giorno, quando stavo dal panettiere, Maddalena ha detto: ma ti porta pure le pantofole e il giornale? E tutti hanno cominciato a ridere".
"E chi se ne fotte! Se vuoi ti lavo pure i piedi" le risposi.
Rita scoppiò a ridere, rise talmente forte, che il suo ventre cominciò a sussultare, sotto il corto vestitino a fiori.
"Embè, mo' ci vorrebbe proprio! Guarda qua" disse e mi mostrò le piante colorate di rosso.
Sarà stato per tutto quel discorso, o perché, da tanto, morivo dalla voglia di farlo. In quel momento non seppi resistere, le presi il piede e lo leccai.
"Ma che fai?" esclamò lei, ma malgrado il tono sorpreso delle parole, non accennò minimamente a ritrarre il piede.
Nei suoi occhi, più che stupore, lessi una maliziosa ilarità.
"Ti lavo i piedi" le dissi.
"E tu così li lavi i piedi?".
"Sì, come un cane" le risposi e ripresi a leccare.
Stavolta Rita non rise, abbandonò completamente il piede nelle mie mani e lasciò che lo ripulissi tutto dall'uva.
Attese, pazientemente, che li leccassi entrambi, finché non furono completamente puliti. M'indicò persino i punti dove c'era ancora qualche piccola macchia e allargò le dita, per facilitarmi il lavoro.
"C'hanno ragione: tu sei proprio strano!" disse, quando finii.
"Ti dispiace?".
"Se mi dispiaceva, mica mi facevo leccare i piedi!".
"Allora, da oggi, te li lavo sempre io i piedi".
"Come un cane?".
"Perché, non sono il tuo cane?".
"Sì, che lo sei" disse Rita e sfregò i piedi sul mio viso, calcando il mio respiro.



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