giovedì 24 gennaio 2013

Adios di Giuseppe Balsamo


Aveva un sguardo perplesso guardandosi allo specchio, indossava solo un paio di short jeans, reggiseno nero molto semplice e la sua mano torturava le sue guance e le borse sotto gli occhi. Ad un tratto ricordò lui, tutte le volte che le diceva quanto fosse bella e tutte le volte in cui gli rispondeva di andarsi a far fottere, una sorta di rituale che si ripeteva quotidianamente. Un’occhiataccia a se stessa, un rimprovero alla sua anima per essere ritornata con il pensiero ad alcuni mesi prima, ad un uomo che ormai non faceva più parte della sua esistenza. Finì di prepararsi, indossò la maglietta nera col teschio che le lasciava scoperto il ventre e scese nel locale sito al piano di sotto.
Lei non poteva saperlo, proprio mentre il suo sguardo penetrava lo specchio, l’uomo attraversava il buio, un freddo pungente si insinuava sotto il giubbotto di pelle spessa, pochi lampioni rendevano il paesaggio ancora più surreale di quanto non fosse e la nebbia contribuiva a diffondere il rumore della bicilindrica americana nella notte, quasi fosse un conduttore naturale di frastuono e benzina. Non faceva neanche più caso alle scritte sui muri, tutte uguali, tutte identiche e tracciate con spry nero: “ADIOS “Angels Die in Outlaw States”; quello era territorio dei “Banditos”. La guerra tra gli “Hells Angels” ed i “Banditos” aveva attraversato l’oceano per approdare anche sulla pianura padana, lui “Angelo” sotto mentite spoglie si trovava in territorio nemico, ma doveva non poteva farne a meno.
Tutta colpa di quelle immagini così reali, non ricordava nemmeno più quando erano cominciate, forse da bambino, quello che per alcuni era un dono, per lui era un incubo. Cadeva in una sorta di dormiveglia, annunciato dall’odore di morte e di catastrofe impellente, il mal di testa sopraggiungeva e cominciavano le immagini, una sorta di film prendeva vita nella sua testa; immancabilmente quel film finiva per avverarsi poco tempo dopo, quando quasi ormai se ne era dimenticato.
Quando si erano conosciuti, la loro differenza di età non le aveva creato problemi, neanche il fatto che ognuno avesse la propria vita la propria “relazione”, era stato di ostacolo e nonostante varie traversie avevano continuato ad incontrarsi, a fare l’amore ogni volta che potevano. Una notte però lei si era accorta del suo malessere, lo aveva scoperto: avvolto da patina di gelido sudore stava vivendo una delle sue “visioni”. Ne avevano parlato, ma lui non aveva voluto spiegarle di che si trattava, non poteva rivelarle quello che aveva visto, così si erano allontanati, come si dice, si erano presi una pausa di riflessione, si erano “persi di vista”. L’angoscia che ne seguiva, le paranoie di lui tese a scoprire ad andare in fondo ai suoi sogni avevano determinato il loro distacco.
Angelo aveva continuato nel suo merdoso lavoro che lo portava a vestire ogni giorno una maschera diversa, lei aveva mollato il suo compagno ed aveva messo su quel locale divenuto ormai punto di incontro dei “Banditos”.
Poi era arrivata la sua ultima visione, che lo aveva spinto fin lì, aveva intravisto dietro le palpebre socchiuse il gigantesco falò, la moto giapponese che bruciava, montagne di bottiglie di birra vuote; aveva sentito l’odore della polvere da sparo e le esplosioni impazzite delle armi automatiche. In preda alle convulsioni aveva visto il branco, aveva riconosciuto i giubbotti ed i colori della banda rivale, ma soprattutto le agghiaccianti urla di lei. Era una visione ed il dolore di non poter impedire ciò che allucinato scorreva sotto le sue palpebre lo stava uccidendo, giorno per giorno. A turno gli uomini ne stavano abusando, la prendevano ridendo, vantandosi uno con l’altro, possedevano brutalmente ciò che ritenevano essere ormai loro proprietà, come il locale che lei aveva messo su con tanti sacrifici. Per diventare una di loro, quello era il prezzo da pagare, volente o nolente lei doveva pagarlo.
La mattina successiva era partito, si era fermato solo a far benzina, esausto era arrivato fin lì. Quando era entrato nel disco bar, incontrò lo sguardo stupito di lei, ma sentì anche le occhiate degli uomini presenti. Solo un cenno della mano della donna impedì che fosse preso di peso e portato fuori. Non indossava i colori degli Hells, ma qualunque sconosciuto non era ben accetto lì dentro. Chiese da bere, ma non scambiò alcuna parola con lei, nonostante i loro occhi continuassero ad incrociarsi ed un subbuglio di pensieri invadesse entrambi. Quando uscì a fumare, dopo breve, la donna lo seguì. Fu fuori che lui gli raccontò la visione, vide le lacrime di lei solcare le sue guancia, poi le parlo, poche parole “dobbiamo andare…ora!”. Fu proprio una di quelle allucinazioni a salvarle la vita, quei sogni che lei aveva odiato. Prima di scappare l’uomo prese dal borsone il giubbotto con i colori degli “Hells” e lo lasciò appeso fuori. Sarebbe stato versato molto sangue, ma il suo lavoro era quello, lasciare che quelle belve inferocite si sbranassero fra loro. Uscirono dal parcheggio lasciandosi alle spalle alcuni di loro intenti ad accendere un fuoco, proprio accanto ad una moto giapponese, moderno sacrificio tecnologico teso ad esaltare l’1% di tutti loro.
Fecero molta strada, fermandosi solo quando la pelle gelata della donna, nonostante indossasse il giubbotto di lui, non poteva più sopportare oltre. Il motel era spoglio, squallido, puzzava di chiuso e deodorante scadente. Si distesero sul letto e trassero piacere l’uno dall’altra, come fossero stati insieme solo il giorno precedente, come se non fossero mai stati lontani così tanto tempo. Lui stette dentro di lei più che poteva, quasi non volesse andar via, dopo l’orgasmo che mancava ad entrambi da troppo tempo, arrivò un sonno liberatorio che li avvolse magicamente.
Il giorno dopo la accompagnò alla stazione ferroviaria, sarebbe tornata a casa, un ultimo bacio e salì sul treno. Non si affaccio al finestrino, nè si voltò a guardarlo diventare più piccolo man mano che le rotaie la inghiottivano, c’era la sua anima a voltarsi indietro ed a rivivere il tempo trascorso con lui.
L’uomo non aveva mai fatto parte veramente degli Hells Angels, tutti lo chiamavano Angelo ed era quello che sentiva di essere stato, almeno quell’unica volta nella vita…
..Non vi dirò il nome di Lei…d’altra parte Angelo non è nemmeno il vero nome dello strano biker, posso solo raccontarvi di come si addormentò cullata dai sussulti del vagone, di come anche lei in sogno ebbe una visione, l’unica e forse l’ultima della sua vita: era con lui, guardavano un mare scuro ed erano abbracciati. Quando si svegliò ebbe la certezza che si sarebbero rivisti, non poteva sapere per quante volte o se sarebbe stata una volta sola. Sapeva con certezza che le loro vite erano destinate ad incrociarsi e tanto le bastava.

G.B.

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