venerdì 25 gennaio 2013

La telefonata di Giuseppe Balsamo


Era diventato il mio secondo lavoro, cominciato quasi per scherzo con un annuncio messo per caso, era diventata la mia maggior fonte di reddito.
La prima volta era sta dura, una sorta di sfida con me stesso. Rammento ancora la telefonata di lei, forse ero ancora più imbarazzo della mia nuova cliente, a tavola e nella camera dell’albergo fui un fiume di parole, forse questo servì a metterla a suo agio, farla ridere servì a tranquillizzarla “non rido così da molto tempo”, erano queste le sue parole più ricorrenti e che rammento di più. Le pronunciò, la prima volta, mentre le mie mani scorrevano sulle spalline di seta del suo abitino, la baciavo mettendole a nudo l’animo, scoprendo quel corpo che tra poco avrei avuto dietro compenso.

Imparai a farle ridere, il denaro ed i regali non erano per il sesso, ma per quelle risate spontanee che sentivo nella stanza poco prima di averle avute. Richiamavano e passavano il numero alle loro amiche, non perché le facevo godere, non per il mio fisico atletico o i capelli brizzolati, ma perché le facevo sorridere, perché “era da molto tempo che non ridevano più così”. Non erano tante, ma molte di più di quelle che mi sarei aspettato, tanto da potermi permettere una vita agiata, una seconda vita di cui nessuno sapeva nulla.
Così come era incominciata, con una semplice telefonata, finì allo stesso modo: con una telefonata da parte di una sconosciuta.
La voce preoccupata ed imbarazzata di quella donna che chiedeva un appuntamento per parlarmi, mi mise una certa inquietudine addosso. L’urgenza di quel tono, la condiscendenza ed allo stesso tempo la sua decisione, mi spinsero a recarmi all’incontro.
Milena, così disse di chiamarsi, mi aspettava su una panchina isolata. Al di sotto il Po scorreva lento e scuro, le luci provenienti dal Monte dei Cappuccini ed i pochi lampioni illuminavano parzialmente il volto di quella giovane donna. Era più giovane di me, uno sguardo triste color nocciola le caratterizzava il viso, le labbra non erano carnose, ma ben disegnate, una bellezza mesta ma allo stesso tempo magnetica, da cui era difficile ritrarre lo sguardo. Restammo qualche momento seduti uno accanto all’atro, poi cominciò a raccontarmi della sorella, più grande di lei e che avevo visto più volte, del marito e del loro rapporto, pregandomi di non rivederla più; non riuscendo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi la rassicurai. Non ci fu molto altro da dire e me ne andai, lasciandola sulla panchina e continuando a sentire i suoi occhi colpirmi la schiena, come frecce spuntate che non fanno male ma provocano fastidio e disagio.

Quando fui sopraffatto dai tre uomini, sentii lontano la sua voce le sue grida, quel bruciore sul fianco, il liquido caldo e denso sulla maglietta e poi il buio. 

Fui risvegliato dalla voce di Milena e dall’odore pungente del disinfettante, le sue scuse non servirono a placare il dolore, ma la sua presenza mi fece stare meglio. Mi venne a trovare più volte, poi non la rividi più. Passò un mese, ogni volta che guardavo il telefono e quel piccolo biglietto dove c’era il suo numero appuntato, pensavo di chiamarla, ma lo feci solo passato l’inverno. Le dissi che avevo qualcosa per lei, alcune lettere della sorella che sarebbe stato meglio tenesse lei. Era pettinata in maniera diversa, aveva però lo stesso sguardo malinconico e ricordavo bene il suo viso ai tratti irregolari. Bevemmo qualcosa insieme al bar sotto casa mia, sotto i portici di piazza Vittorio; mi raccontò che era sposata, parlavamo, parlavamo, non mi aspettavo che un tipo del genere potesse parlare così a lungo di se stessa.
La feci salire per consegnarle le lettere, in casa notai che si guardava in giro con attenzione come volesse scoprire qualcosa; la sorpresi alle spalle:”qui le donne non vengono!” , si voltò e la baciai facendola ritrarre spaventata e sorpresa: “che stai facendo..!?!”. La sua voce era diversa, aveva uno sguardo impaurito, la baciai di nuovo spingendola sul letto. Non feci in tempo a spogliarla del tutto, non mi spogliai del tutto: fu tutto veloce quasi avessi l’esigenza di averla in fretta, pochi colpi dentro di lei e venni preso dal desiderio dall’urgenza di possederla; tutto il contrario di quello che avrei fatto con le donne da cui ricevevo danaro.
Rimasi sdraiato, il respiro irregolare, lei accanto a me nella stessa condizione.
La osservai mentre si spogliava, restava nuda davanti a me, dopo che la biancheria intima color rosa antico cadeva per terra. Feci altrettanto anche io, e la ebbi sul mio corpo, le sue labbra mi assaggiavano fino a riempirsi del mio membro, facendogli riprendere rigidità.
Si sedette sopra di me, accogliendo il mio sesso nel suo, muovendosi lentamente sue giù mentre le mie mani imparavano a conoscere il suo corpo.
Questa volta fu più lungo, il suo orgasmo lento precedette di poco il mio, esplosi dentro di lei, stringendole i glutei fino a farle male.
Passammo la notte a parlare e fare l’amore, fino a che sottili lame di luce, attraverso le tapparelle annunciarono il mattino. Giunse il sonno, mi svegliò Milena, sorridendo, passandomi due dita sulle labbra. Aprii gli occhi e sentii la sua voce..:”stavi ridendo nel sonno…!!”
Le sorrisi e compresi, la cosa migliore non era “farle ridere”, la perfezione era quando a ridere si era in due.

G.B.

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