sabato 26 gennaio 2013

Elucubrazione di metà pomeriggio di Francesca Delli Colli

Spesso mi soffermo a “studiarmi”, sfogliando tutte le pagine di cui sono fatta.
Parole, parole, parole, qualche immagini a colori, qualcuna in bianco e nero, qualche sottotitolo, qualche citazione, un po’ di traduzioni, qualche pagina strappata.
Sono alla stregua Della “Treccani” .
Tanti volumi con argomenti diversi, regolari appendici che si aggiungono periodicamente e con un dizionario in dotazione cercando disperatamente un significato di “me stessa”.
Oggi ho preso il volume di “Scienze naturali” ma non per studiare il corpo umano, ma per conoscere da cosa
Puo’ essere composto il terreno su cui si cammina.
L’occhio mi e’ andato sul capitolo “Sabbie mobili”.
E leggi leggi ho scoperto che ci sono tanti motivi per affondare nelle sabbie mobili e non me ne ero mai resa conto.
Ecco qualche esempio :
Perche' ti ci butti arbitrariamente,
perche' le incontri senza riconoscerle,
perche' ti ci spingono,
perche' pensi di saperle evitare, ma inciampi e fai il tuffo,
perche' pensi di poterle oltrepassare con un salto,
ma la cosa di base e' che quando metti quel piede in fallo
e' la fine ed e' una fine lenta, consapevole, ansiosa, dolorosa, terrificante,
fino a che la melma non ti entra nel naso, negli occhi in bocca , nelle orecchie
e ti blocca ogni movimento allora trovi quella pace, quella rassegnazione finche' la mancanza di ossigeno
non ti annebbia la mente lasciandoti scivolare via.
Le mie sabbie mobili hanno diverse forme a seconda di cio’ che sono composte,
ma per lo piu’ sono fatte di insicurezze e delusioni.
Nelle prime mi ci butto io, consapevole dei miei limiti, che siano veri o che nascano per pararmi il culo non ha importanza, spesso sono comodi perche’ ti tolgono le decisioni . Nella giungla dei miei “ma” , “perche’” o “forse” qualche volta riesco ad afferrare una
“Liana” (sicurezze) alla quale aggrapparmi e tirarmi fuori con mia grossa soddisfazione.
Dalle seconde invece vengo risucchiata senza pieta’ e come zavorra attaccata ai piedi
Ho le insicurezze di cui prima che unite al rancore di non averle dissipate e il rammarico che potevo farlo, la voglia di farlo ora e l’impossibilita’ di mostrarlo, creano un peso non indifferente, che mi strascina giu’ nel “mio fondo” e opprimendo ogni respiro e annientando ogni possibilita’ di riemergere.
Ma qui la domanda sorge spontanea, sono io il problema che non ho quella “forza motrice” che mi da l’input
Di emergere dall’intreccio delle mangrovie della mia mente, oppure sono gli altri che mi spingono il piede sopra la testa evitando di farmi emergere?
Fatto sta che il risultato non cambia, perche’ sono annientata comunque e mi ritrovo come Dante “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diretta via avea smarrita”, senza essere mai riuscita ad arrivare alla fine di questa benedetta foresta , di essere riuscita negli intenti preposti, o per colpa mia o degli altri, con sperpero di fatiche inutili e con la “Fermata di linea ” di Caronte spostata non so dove.
Ma la zattera di Caronte galleggia sulle sabbie mobili?


F.D.C.

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