martedì 26 febbraio 2013

La mia prima estate di Giuseppe Balsamo


Una città nuova, un mondo nuovo ed ostico per me, trovare quel gruppo di amici con cui uscire la sera fu una vera salvezza. Furono loro a farmi conoscere quel locale in riviera, lontano dal puzzo e dalla merda degli intricati e bui vicoli genovesi, ove il sole non entra nemmeno d’estate.
Il più grande di tutti, Loris, aveva i capelli castano scuri, probabilmente li tingeva, i denti rovinati dalla troppa nicotina e dai caffè presi per tirare la notte. Era il più indipendente, forse per la differenza di età, il più delle volte passava parte della serata con noi, per poi concluderla in qualche night fino alla chiusura, di lui mi è rimasta impressa la parlata, un cocktail di “boia faust” e “belin”, un miscuglio di piemontese imbastardito dal ligure.
Poi c’era Giorgio, il più bello, un viso d’angelo dalla carnagione bronzea e gli occhi verde scuro, anche lui piemontese ma con il piglio dello skipper, quando entrava in un locale non passava certo inosservato. Il terzo nuovo amico era Elio, impeccabile nel modo di vestire, nonostante fosse estate il suo nodo alla cravatta era sempre perfetto e la camicia ben stirata inspiegabilmente prive di tracce di sudore, pur non essendo bello emanava un fascino particolare, dovuto al suo modo di muoversi, di porsi, di parlare; la sua agenda colma di nomi e numeri telefonici femminili era la riprova della prima impressione che si aveva di lui.
Infine c’ero io, il più giovane, non mi va ora di descrivermi, non ne sono capace, posso solo dirvi che nonostante l’età, oggi come allora, conservo il viso di un ragazzino, forse anche i modi, credo anche i pensieri ed i sogni, i più critici potranno contestarmi un’ inguaribile “sindrome da Peter Pan” da cui credo non guarirò mai.
Ci ritrovavamo ogni sera nel solito bar, proprio di fronte al porto, seduti al tavolino all’aperto osservavamo la gente che, frettolosamente, arrivava col treno, per poi dirigersi agli imbarchi non molto lontani. Frotte di turisti provenienti dal Nord Europa, ma anche numerosi sardi e siciliani sudati e stanchi ma con in viso stampata la gioia di poter tornare a casa per le ferie estive.
Di solito non cenavamo, Duilio il cameriere ci portava un contenitore pieno di uova sode, del sale per condirle, patatine ed altre schifezze che mangiavamo frettolosamente, accompagnate da enormi bicchieri colmi di coca e rhum. Ce ne stavamo lì a mangiucchiare, fumare, ridere, scherzare e soprattutto guardare con appetito insaziabile le cosce delle turiste, con la remota speranza che un alito di vento sollevasse le minigonne colorate e ci regalasse lo spettacolo di quello che nascondevano sotto.
Fu Loris a farci conoscere quel locale sulla riviera di ponente, così: quando le uova sode finivano, le navi partivano, il passaggio delle belle turiste terminava, abbandonavamo gli odori di acqua stantia e catrame con cui il vento arricchiva il sapore della nostra coca e rhum e partivamo; ognuno con la sua auto, per essere più autonomi, seguivamo le curve su cui si snoda l’Aurelia fino a destinazione. Era un bel posto all’aperto, vicino al mare, era possibile ballare entrando in contatto con corpi femminili, senza doversi dibattere mantenendo distanze da balli africani, ma anche parlare senza il pericolo di essere assordati dalla musica troppo forte. Soprattutto era frequentato da belle donne, gran parte delle quali non più giovanissime che, annoiate ed approfittando dell’assenza dei mariti impegnati a lavorare a Milano, pensavano bene di accompagnarsi con noi. Mi ritrovavo così, io che non sapevo nemmeno ballare, avvinghiato a quelle carni morbide, spesso prosperose, che odoravano di estate, di crema dopo sole mista a profumi costosi, ma sempre generose, cedevoli, morbide, comprensive, accoglienti. Le mie mani potevano sfiorare quei tessuti sottili, sotto i quali sentivo la pelle desiderosa di qualcosa di diverso, le mie esplorazioni duravano finchè tra le stoffe sottili sentivo il tepore della pelle liscia, potevo divertirmi a sfiorarla con le dita, pregustando il momento in cui l’avrei stretta con prepotenza, violata con le mie labbra, strofinata con il mio sesso.
Le sere di quell’estate, la mia prima da quelle parti, passavano così tra le uova sode di Duilio e l’intrattenimento con donne più grandi di me, disposte a concedersi senza problemi ed anche a volte generose e desiderose di regalare oggetti e capi di abbigliamento di buon gusto. L’unica eccezione tra noi era Elio, perchè lui aveva Michela, una fantastica ragazza bionda ed altissima; a guardarla uno pensava che sarebbe stata più a suo agio su un cubo della vicina discoteca, invece anche lei preferiva stare lì. Indossava solitamente minigonne vertiginose, o pantaloni aderentissimi, le caviglie sottili erano sempre impreziosite da calzature con tacco alto che la facevano svettare sulle altre. Vedendola insieme ad Elio non potevi non pensare quanto stessero bene insieme, infatti facevano coppia.
Entrambi comunque preferivano passare la serata in compagnia, al nostro tavolo, alla fine eravamo sempre noi quattro e lei l’unica presenza femminile fissa, a cui si univano man mano le altre conquiste estive che ruotavano con il finire della vacanza ed il ritorno in città. Soprattutto io ridevo e scherzavo con Michela, si era creato tra noi un buon feeling ed un buon rapporto di amicizia, fatto di ironia e prese in giro reciproche, soprattutto a causa delle donne che invitavo a sedersi con noi e sul mio modo impacciato e maldestro di muovermi in pista.
Un giorno, a fine luglio, Elio partì per le sue vere vacanze con la sua vera fidanzata. Dimenticavo!! Il povero ragazzo si era casualmente scordato di dire a Michela che lui era già fidanzato, cosa che fece non poco incazzare e disperare la ragazza. Fra tutti noi del gruppo la sua disperazione fece sì che scegliesse la mia spalla per sfogarsi: per raccontarmi e ripetermi all’infinito quanto Elio fosse stronzo e quanto gli uomini fossero bastardi e bugiardi.
La mia comprensione, badate bene del tutto disinteressata, perché ovviamente io non sono mai stato bastardo né bugiardo come gran parte del genere maschile, spinse Michela ad invitarmi a cena a casa sua; la ragazza sull’orlo della depressione ed in preda a crisi emotiva non aveva voglia di uscire.
Ricordo ancora cosa indossavo io quella sera, mi vergogno per quanto probabilmente fossi buffo, sentendomi invece a quei tempi appena sceso dalla passerella di “Pitti Uomo”. Nonostante l’attuale imbarazzo, ve lo racconto lo stesso; dopo tutto la storia va narrata fedelmente in ogni particolare: sandali, un abito in lino grezzo di Armani - portato sopra un gilet e null’altro sotto; immaginatevi uno di quei cretini che nel pomeriggio vanno a litigare per la bella di turno in una nota trasmissione televisiva, toglietegli circa 20 centimetri in altezza e la perfezione atletica, avrete così un quadro perfetto del sottoscritto, versione “Uomini e Donne” dei poveri.
Soprattutto però ricordo lei, vi assicuro che non aveva nulla di buffo, mi accolse in costume da bagno, un saluto veloce sulla porta per mollarmi immediatamente e raggiungere i fornelli, davanti cui stava evidentemente scoppiando dal caldo, impegnata in una battaglia che era destinata a perdere.
Sedutomi ad osservala mentre trafficava dandomi le spalle, già immaginavo il suo ennesimo sfogo, le sue lacrime che finivano sempre per impietosirmi facendomi riflettere su quanto fosse meschino il genere umano e soprattutto il sottoscritto a volere con determinazione approfittare di quella situazione; al contrario e lasciandomi interdetto si rivelò allegra e spensierata, o forse troppo indaffarata in qualche cosa che, evidentemente, proprio non le riusciva di fare. Fatto sta che non c’era ombra di tristezza nelle sue espressioni, tutte le volte che pareva accigliata il tutto era causato dalla fiamma troppo alta, dall’acqua che bolliva troppo in fretta, dagli ingredienti che riusciva a spargere per terra, per poi voltarsi e guardarmi di sfuggita, quasi a voler chiedere perdono.
Sorridendole, stappai il vino bianco gelato, mi tolsi la giacca continuando a mangiarla con gli occhi cercando all’occorrenza di rendermi utile, finchè non servì il cibo in tavola. Si accomodò anche lei occupando la sedia di fronte, piazzandomi davanti il piatto colmo all’inverosimile di cibo all’apparenza immangiabile; quasi che nutrimi fosse la sua principale occupazione di quella sera, come avesse l’esigenza di dimostrarmi che fosse una casalinga perfetta in grado di provvedere al uomo, io almeno ebbi questa impressione. Sorridendo con quelle labbra perfette ed i denti bianchi, cominciò a parlare dimostrandomi che quella sera aveva in serbo per me molte sorprese: ”Fa caldissimo, ti spiace se lo levo?”, non aspettò nemmeno la mia risposta, il pezzo di sopra del costume nero era già volato sul divanetto dietro il tavolo. Come un ebete e la forchetta a mezz’aria, incurante della pasta scotta, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo seno perfetto e candido rispetto il resto del corpo abbronzato; non sono certo che se ne accorse ma la “pennetta” che misi in bocca la mangiai come fosse uno dei suoi capezzoli piccoli e scuri, immaginando che sapore potesse avere.
Al di là della qualità del cibo e del mio primo imbarazzo, la cena fu divertente: ridemmo e scherzammo, riuscii come sempre a sporcare la tovaglia di salsa e vino bianco, m lei non sembrò farci caso. La aiutai a sparecchiare guardandole più il culo che i piatti vuoti in tavola.
Aspettate, fatemi fare per un secondo mente locale, si ecco ci sono, fu vicino al lavello, fu lì che la baciai. Inaspettatamente lei ricambiò il mio bacio e finalmente seppi che sapore avevano le sue labbra: erano tiepide, dolci e sapevano di sorbetto al limone; sorrido ora perché per farlo dovetti sollevarmi leggermente, infatti era più alta di me.
Non finimmo di sistemare più nulla, baciandoci impacciati finimmo in camera da letto, dove Michela si sdraio aspettandomi ed osservando i miei movimenti mentre toglievo gli abiti.
Mi sdraiai lentamente su di lei e cominciai nuovamente a godermi le sue labbra perfette, scendendo sul suo corpo indugiando sui seni, finalmente assaporando i capezzoli duri e piccoli, tenendoli in bocca, succhiandoli e potendone scoprire il sapore.
La mia lingua la percorse fino alle gambe, mentre inarcava la sua schiena quasi a farmi capire che pretendeva di più. La esploravo con le labbra e contemporaneamente con le mani, come un bimbo col suo nuovo giocattolo di cui sconosce ancora il perfetto funzionamento.
Il mio unico interesse era di farle provare piacere; quasi disinteressato al mio corpo, volevo che lei godesse, ma non per generosità o altruismo, ma per puro egocentrismo o mania di protagonismo o chiamatela come vi pare, desideravo che lei mi considerasse un uomo in grado di farle perdere la testa, in grado di provvedere alle sue esigenze, forse un po’ come aveva fatto lei in cucina. Volevo che pensasse che fossi più bravo di Elio, è questa la realtà dei fatti.
Fra le sue gambe sentivo il suo odore buono e pungente indescrivibile, con le mie labbra sentivo quanto fosse bagnata ed eccitata; la sua mano guidava la mia bocca affamata sul suo sesso glabro, i movimenti del suo corpo aiutavano la mia lingua ad assaporarla a pieno, fino alla consapevolezza di aver trovato il punto ove desiderava il contatto più profondo. Con entrambe le mani le sostenevo il culo perfetto tirandolo verso di me insistendo a leccarla con la punta della lingua ove sentivo che provava eccitazione, finchè la mia mano sinistra indugiò sulla sua coscia, disegnando i contorni di una lunga cicatrice i rilievo.
Michela venne fra le mie labbra, sul mio viso ormai bagnato di lei, il suo orgasmo, preannunciato da un fremito che le percorreva il corpo, si concluse in un gemito sommesso, mentre le sue mani si stringevano a pugno agguantando lembi di lenzuola, quasi volesse strapparli.
Un istante dopo i suoi occhi si dischiudevano, mentre mi adagiavo sul suo corpo, nella più classica delle posizioni amorose. Mi guardava con occhi chiari e penetranti, assaporando ogni mio piccolo movimento. La penetrai facilmente, come lo avessimo fatto centinaia di volte, aiutandomi lievemente con la mano per trovare quel sentiero che da tanto volevo esplorare. Dentro di lei cominciai a muovermi lentamente e profondamente, sentendo ogni minima sensazione che provocava lo sfregamento del mio sesso nel suo, il ritmo aumentò progressivamente finchè mi resi conto che la stavo prendendo furiosamente, quasi con violenza, istintivamente libero da ogni controllo ed abbandonato alla mia passione. Mentre lo facevo la guardavo fissa negli occhi, come volessi studiarne le reazioni, mi accorgevo però che progressivamente stavo riprendendo a pensare al suo piacere ed al mio Ego contemporaneamente, forse se ne accorse lo lesse nel mio sguardo perché sorridendo si voltò, donandomi le sue terga. La bacia lungo la schiena, col cazzo eccitato che strusciava su quella pelle morbida e vellutata. Il movimento ondulatorio dei suoi fianchi, simile a quello di una gatta in calore, mi spinse a non aspettare oltre, un movimento rapido e completo ed ero nuovamente dentro di lei, aggrappato con entrambe le mani alle sue natiche, mi abbandonai di nuovo all’istinto, eccitato dalla vista del mio sesso che entrava ed usciva dal suo, dal suo viso congestionato leggermente inclinato verso di me, dal suo sguardo e dalle labbra dischiuse e cedevoli per il piacere che la stava travolgendo nuovamente. Immediatamente un altro fremito le percorse il corpo, dalle sue labbra uscì non un gemito, ma un verso di piacere quasi animalesco, contemporaneamente anche io raggiunsi l’orgasmo, tolsi appena in tempo la mia verga dal suo copro, afferrandola con la desta e spargendo schizzi del mio il mio seme sul suo culo candido e sulla sua schiena dorata dal sole di luglio. Appoggia poi il mio corpo si di lei che ancora tremava, piccoli fremiti continuavano a scuoterla, come una preda appena colpita che ansima chiamando a raccolta le ultime forze vitali.
Sdraiati uno accanto all’altro continuammo a ridere e scherzare, ma con piglio diverso, con una complicità del tutto nuova. Appoggiata sul mio petto, le sue dita disegnavano piccoli cerchi concentrici sul mio capezzolo, poco dopo cercando una posizione più comoda la mia mano indugiava sulla sua lunga cicatrice. Fu allora che mi raccontò dell’incidente, del fatto che non poteva fare più sfilate e che il suo lavoro era limitato alle foto per le riviste di moda, per cui posava sempre vestita coprendo le gambe.
Finimmo di bere il vino bianco, non più così freddo, ci rivestimmo ed uscimmo per andare nel nostro solito locale ove gli altri probabilmente ci aspettavano.
Camminare vicino a lei mi divertiva, ancora una volta il mio egocentrismo era pienamente ripagato, passeggiare accanto ad una donna così bella, più alta di me, anche per via dei tacchi altissimi che era solita portare, attirava gli sguardi curiosi della gente, cosa che fondamentalmente mi gratificava.
Ogni volta che un uomo posava gli occhi sul suo corpo l’abbracciavo, o le afferravo una mano, quasi a voler dimostrare che era di mia proprietà, che ero meglio di loro, solo ora a distanza di tempo mi chiedo se lei si rendesse conto di ciò, se quell’avventura in fondo era solo una dimostrazione a me stesso di cosa ero in grado di fare.
Facemmo l’amore diverse volte, qualche volta ci incontrammo in altre città, raggiungevamo le zone verdi appena fuori la periferia cittadina e scopavamo, ridendo per i lividi che puntualmente ci provocavamo in situazioni così scomode, non fu mai però come la prima volta.
Poi venne l’inverno, la pioggia lavò via i miei ricordi e probabilmente i suoi, i vicoli bui del porto mi inghiottirono nuovamente e non la rividi mai più di persona.
Duilio non so più che fine abbia fatto, non ho più mangiato uova sode così gustose.
Giorgio dopo aver ballato con molte donne avvocato di mezza età, alla fine se ne è sposata una più giovane con la quale ha avuto due figli.
Elio, al ritorno dalle vacanze, non aveva più la fidanzata. Non l’ho più visto, mi hanno riferito che fa il rappresentate di video cassette pornografiche, ma non ne sono sicuro.
Loris cominciò ad accompagnare a casa, all’uscita del night, sempre la stessa ragazza, ora ci convive. Continua a fumare ma ha la dentiera così i suoi denti non sono più cosi male.
In quanto a me, vivo ancora qui, i vicoli non sono poi così puzzolenti, ho scoperto che mi fanno sognare e che anche l’odore del porto aiuta i miei pensieri e non è così schifoso come sembrava allora. Porto ancora i capelli lunghi, solo che ora presentano qualche ciocca bianca, il sorriso da ragazzino c’è ancora, ma ci sono anche alcune rughe attorno agli occhi nocciola e sulle guancie che non mi dispiacciono affatto, raccontano la mia vita e guardandole, forse solo io, sono in grado di leggerla. Al completo di Armani ho sostituito un giubbotto da motociclista, credo sia più consono alla mia indole.
Michela ovviamente non l’ho più vista, se non su qualche rivista di moda.
Sono sempre affetto da una grave forma di “sindrome da Peter Pan” e da un egocentrismo smisurato, forse per questo frequento una donna con molti anni meno di me. Tutte le volte che le faccio notare quanto sia giovane le viene il broncio e mi raccomanda di non trattarla come una ragazzina, finisce che però è lei a trattare me come tale e non ha tutti i torti.
Anche a lei , la prima volta che è venuta a Genova i vicoli non sono piaciuti, pur dicendole il contrario non può immaginare quanto la capisco.
Le piace stare ad ascoltare le mie storie, a volte gliele sussurro ad un orecchio dopo che abbiamo fatto l’amore.
So per certo che però preferisce leggerle, così le scrivo. Continuo a scrivere dei miei sogni, a descrivere i momenti della mia vita, non con nostalgia come potrebbe apparire o per alimentare il mio Ego come potreste pensare, ma per non farli morire e per raccontarli a Lei che mi sta ad ascoltare; sta piovendo e non voglio che l’acqua ed il tempo portino via tutto.
G.B.

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