domenica 17 febbraio 2013

Neve blu di Giuseppe Balsamo

Imbarazzata non sapeva proprio dove mettere le mani per cercare di rimediare al guaio appena fatto. Con la mano sinistra si scostò una ciocca di capelli biondissimi dal viso, mentre inginocchiata con la destra cercava di pulirgli i pantaloni completamente bagnati dal cocktail che aveva fatto cadere dal bicchiere, attenta a non avvicinare le mani alla patta dei calzoni, completamente bagnata.
Masha Ivanova lavorava da poco come interprete di arabo nell’associazione russa denominata “Amici con la Siria”, in realtà la sua vera professione era un’altra. Dopo aver assunto quell’incarico veniva spesso invitata ai party organizzati dal consolato siriano in città. Elias Hamza, così si presento quell’uomo, le disse che non importava e che sarebbe andato in bagno ad asciugarsi, aiutandola a rimettersi in piedi dopo averla presa per mano.
Fu da quella volta che i due cominciarono a frequentarsi e diventarono amanti. La giovane russa era di una bellezza semplice, le labbra carnose e gli occhi azzurri, non molto alta né eccessivamente magra, con curve sinuose che ne esaltavano una femminilità matura, nonostante la giovane età. Al contrario lui portava capelli lunghi e la sua carnagione era bronzea, non poteva dirsi bello ma senz’altro attraente: nel portamento e nei modi di fare.
Ebbero modo di passare week and insieme e di trascorrere, grazie al ruolo di entrambi, alcuni periodi fuori dalla madre Russia. Fu ai confini del deserto egiziano, in una piccola città gialla come le rocce che la circondavano, che ebbero modo di entrare in quella vecchia libreria ubicata vicino l’ex sinagoga, Masha prese in mano il libro sacro e glielo mostro, constatando in quell’occasione la sua inquietudine nel doverlo maneggiare, quasi lo stesse toccando perché costretto, riponendolo con cura nello scaffale ove era sistemato.
Da allora il sospetto si insinuò crebbe, fino ad avere la certezza che l’uomo non era siriano, come voleva apparire, ma israeliano. Passò intere notti a pensare il da farsi, se relazionarsi con i suoi supervisori per rivelare la cosa. Il cuore ebbe la meglio sulla ragione, l’odore della sua pelle superò il sospetto e fu così che la frequentazione continuò.

La neve scendeva lenta e silenziosa, andandosi ad accumulare sul compatto strato che già ricopriva il sentiero di ingresso di fronte alla Dacia. Lo spettacolo, che d’estate doveva essere bellissimo, con la coltre di neve che copriva tutto assumeva contorni surreali. Pur essendo tutto bianco il colore che predominava, probabilmente a causa del crepuscolo che annunciava la notte, era un azzurro sbiadito, freddo come il cuore che palpitava nel petto di Mascha. L’interno dell’ampio salone era gelido, posarono entrambi le borse da viaggio accanto a letto, aprendole per far respirare i pochi abiti e la biancheria che si erano portati dietro, Elias premuroso come sempre si mise a trafficare con la legna del caminetto, con l’intento di accenderla e creare l’atmosfera del convegno amoroso.
Lentamente la ragazza bionda cominciò ad adagiare sul copriletto in piuma i suoi indumenti, l’intimo curato nero che avrebbe indossato quella notte, le autoreggenti ed il minuscolo abito in caso avessero deciso di uscire. Fu in quegli istanti che i suoi occhi di ghiaccio incrociarono il luccichio freddo del metallo che si intravedeva nella borsa da viaggio di Elisa. Si accovaccio, la sottoveste bianca si sollevò sulle cosce lisce e bianche, e toccò quasi con timore quel bagliore, scoprendo che si trattava di un paio di manette, frugò ancora e trovò anche un flacone di Penthotal. Un brivido le percorse la schiena, acutizzando ogni senso, pur dando la schiena nuda alla porta di ingresso della stanza, le sembro di vedere Elias entrare e sorprenderla a frugare fra le sue cose, in realtà l’uomo era ancora impegnato con il caminetto. In fretta rimise tutto a posto, con le mani tremanti ed il cuore in gola comincio a sistemare le sue cose nell’armadio.
Butto tutto alla rinfusa, senza un ordine preciso, mentre la sua mente viaggiava alla velocità della luce, alla ricerca di una soluzione per tirarsi fuori da quella trappola.
Si sentiva morire dentro, mentre si preparava per la cena. Indossò il minuscolo abito nero, da cui spuntavano le sue gambe chiare, velate dalle autoreggenti che coloravano appena la sua pelle candida di una tonalità più scura. Velocemente truccò gli occhi, facendo risaltare l’azzurro che solo il mar Baltico nelle giornate di primavera può avere, poi passò alle labbra, che diventarono di un rosso acceso, la lingua rosa vi saettò un istante quasi a sottolinearne la corposità.

A tavola recitò la sua parte, fra sorrisi, sguardi, con la morte dentro e la paura che si trasformava in adrenalina, cercò di essere quella di sempre, si concesse più vodka del solito, lasciando che lui le riempisse il bicchiere, stuzzicando appena le pietanze, facendogli intendere che la sua inappetenza era giustificabile con il desiderio di averlo nel letto.
Non ci misero così molto a finire sdraiati uno sull’altra, ansimanti e con i respiro alterato dall’eccitazione. Per un istante il desiderio ebbe il sopravvento, ma il cervello le fece riprendere il controllo, dominando quella voglia che le bruciava nel ventre: vado un minuto in bagno..devo fare una cosa per te”. Le frase rapida sussurrata nell’orecchio di lui, precedette il suo movimento felino.

“E ora che faccio…” questo pensava specchiandosi, con lo sguardo spaurito che scandagliava tutto ciò che era presente sugli scaffali attorno a lei. Si spogliò, restando completamente nuda, sedendosi sul bordo dell’ampia vasca idromassaggio circolare. Aprì la borsetta e bevve a lungo, sorsate di vodka le bruciarono la gola, mentre una lacrima tiepida le scendeva sul viso ovale. Ansimava, e la mano tremante afferrò quella lama acuminata, aprì leggermente le gambe, sapeva dove andare a cercare; l’aveva visto fare in infermeria quando con quella strana pennetta leggevano i dati contenuti nel microchip sottocutaneo che le avevano impiantato ormai da due mesi. Passò appena le dita nell’interno coscia, quasi ad accarezzarsi la pelle, tastò leggermente e trovò la minuscola cicatrice, per sicurezza aprì l’acqua della doccia, facendola sgorgare a vuoto.
Bevve ancora, poi il bagliore della fiammella dell’accendino sulla punta del coltello, quando fu soddisfatta vi versò anche il distillato rimasto nella bottiglia, cominciò a fare quello che doveva, incredula essa stessa di esserne capace.
La punta incise la coscia, scavo nella pelle bianca ed il sangue cominciò ad uscire: prima una goccia rossa poi il resto. Tamponò con il cotone rotondo che utilizzava per struccarsi, amdò ancora più a fondo, non sentendo il male che si aspettava, finchè un guizzo di bruciore e dolore le schizzo nel cervello, facendole sgorgare le lacrime, respirò a fondo intimandosi di stare calma, mentre il respiro irregolare si impossessava di lei. Deglutì, sentendo il rumore della saliva che scendeva in gola, nelle sue orecchie, alla fine lentamente trovò quello che cercava. Il fottuto circuito integrato era minuscolo, rimirò quel corpo estraneo, lo ripulì con della carta igienica e lo nascose accuratamente.
La voce di lui la risvegliò da quel delirio, che non sapeva neppure quanto fosse durato:”arrivo subito..ancora un momento..!!” . Si rese conto di aver combinato un disastro, frettolosamente cercò di sistemare le cose, asciugando il sangue con un telo da bagno, poi si infilò sotto l’acqua bollente, immersa nel vapore acqueo che ormai aveva annebbiato il bagno. Prese la lametta e depilò frettolosamente, il pube già di per se glabro, si insaponò facendo facendosi scendere l’acqua addosso, passandosi le mani sui seni e fra le gambe, quasi questo le facesse ritrovare la calma.

Si rimirò allo specchio, indossò il minuscolo perizoma ed il reggiseno, il cui colore ricordava quello del muschio di inverno, tornò da lui in camera da letto. Quando la vide aprire la porta, con sguardo di rimproverò le chiese spiegazioni per tutto quel tempo. Sorrise, sapeva che la sua bocca era quello che a lui più piaceva, quelle labbra carnose che voleva sempre baciare mordere, che desiderava costantemente sul suo corpo lo avrebbero certamente distratto. In penombra gli rispose:”Hai premura?..ho una sorpresa per te”, era l’unica cosa gli era venuta in mente, l’unica spiegazione plausibile. Lentamente sfilò il reggiseno svelando le sue rotondità ornate dai capezzoli turgidi che sembravano boccioli di rosa, passò al semplice perizoma, che fece scivolare per terra sollevando le gambe in maniera più sensuale possibile. Fece scivolare la sua mano sul ventre privo di peli, ottenne il sorriso di sorpresa di lui, mentre gattonava sul corpo dell’uomo disteso. Si sedette su di lui, prendendogli il sesso in mano, strofinandolo sul suo, finchè non ne fu piena, muovendosi lentamente. Elias dapprima si riempì le mani con i seni di lei, sentendo sul palmo i capezzoli eccitati, poi le parlò, ribaltandola sul letto e mettendosi con tutto il suo peso: “anche io ho una sorpresa per te…”.
Le sorrise, mentre le manette fecero la loro comparsa, il terrore la attangliò, mentre il susseguirsi dei meccanismi metallici, la imprigionava al suo destino.
Non reagì, non ci provò neppure, mentre lui la prendeva lentamente dapprima, con maggior violenza poi, solo alcune lacrime le solcarono il bel viso. Mentre Elias ebbe l’orgasmo, incurante del piacere di lei, che le altre volte aveva cercato quasi ossessivamente, riempiendola del suo seme, le parlò all’orecchio:adesso mi dirai tutto!!”.

Inaspettatamente non utilizzò il pentotal, preferì mezzi più sbrigativi, così Masha morì, senza però dirgli nulla, gli dimostrò come le donne sano sopportare il dolore. Con il corpo imbrattato di sangue, Elias fece la sua telefonata, irritato, cercò dappertutto con rabbia e violenza, senza però trovare nulla. Quando i due uomini arrivarono per recuperare il corpo e fare pulizia, lo trovarono nudo che fumava, un sorriso bizzarro gli disegnava il viso, non disse una parola, si rivestì e sparì, lasciandosi alle spalle quelle mura intrise di sangue, violenza e passioni fasulle.

Il giorno dopo, non lontano da Mosca, la polizia trovò il corpo di una puttana bionda, ricoperta di ferite e priva delle dita della mano destra. L’agente, ebbe bisogno di un sorso di vodka, dopo aver a lungo guardato quelle labbra carnose e tristi.
Il corpo non andò all’obitorio come di prassi, fu recuperato e portato in un palazzone anonimo alla periferia della capitale. I medici incaricati dell’autopsia ovviamente non trovarono ciò che cercarono. Constatando che il luogo sicuro era stato violato, comunicarono l’avvenuto al supervisore.

Il Generale Ivanov, letto il referto medico, accese il lap top; dopo aver inserito credenziali e dato modo di verificare la sua identità, controvoglia accertò il portato delle informazioni che erano andate perdute. Gli occhi, velati da un sottile strato di lacrime paterne, scorsero la lista fatta con i nomi degli agenti sotto copertura. Arrivato a “Stepan Ivanov” si fermò a riflettere, avrebbe dovuto avvisarlo, cazzo era suo figlio. Non lo fece, si limitò a cancellarlo, abbandonandolo al suo destino, dandogli questa unica minima possibilità di sopravvivenza.

Sollevo la cornetta del telefono, dopo breve arrivò una ragazza dai capelli castani e gli occhi dello stesso colore, lo sguardo triste nonostante il sorriso di cortesia dovuto al suo superiore. L’uomo la guardò, valutandola, poi diede i suoi ordini: “vai in infermeria, c’è un lavoro nuovo per te”.
G.B.

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