mercoledì 20 agosto 2014

BIANCOSPINO di Giuseppe Balsamo




Mi domando com’eri con l’abito bianco da sposa, l’acconciatura perfetta e il trucco curato ed appena fatto per l’occasione. Quanta trepidazione, immobile ad osservare i voulant colore delle nuvole, il tuo intimo prezioso a coprire il corpo acerbo. Non voglio i dettagli, né che me lo racconti, devo poterlo immaginare da solo. Sarà stato ricco di pizzi e dello stesso colore di quel vestito speciale, l’unica variazione forse la giarrettiera, qualcosa di malizioso ed inconsueto che avrai scelto per distinguerti. Adori non omologarti, essere maliziosa e dare un tocco di peccato alla tua purezza fanciullesca che, a volte, torna ancora fuori e detesti.
Così innamorata di lui, nervosa per quella prima notte, nonostante non ci fosse nulla di nuovo, incuriosita dal fatto di doverlo presentare come tuo marito:”Ecco questo è mio marito”, una frase banale che però le prime volte ti avrà fatto sentire strana.
Sono un visionario lo sai! Certe cose non si spiegano, eppure ho questa voglia di immaginarti così, mi piacerebbe poter viaggiare nel tempo per essere con te quel giorno, quella mattina, con il sole che si fa spazio fra le persiane. Presenza immateriale in quella stanza, affamato di sensazioni: delle tue sensazioni, dei tuoi pensieri.
Seguo impalpabile il percorso delle tue mani mentre ti vesti. Calore puro, nascosto tra il pulviscolo solare sospeso, mi approprio dei tuoi sentimenti e del tuo respiro. Come un angelo alle tue spalle ti osservo, anche se l’istinto, tutt’altro che angelico, è quello di spiarti di possederti già in quella vita da cui ero assente.
Sei pronta devi andare. Nessuna incertezza mi sembra, sorridi con le labbra lucide e gli occhi velati di felicità.
Sorrido anche io, entità senza tempo, un po’ preoccupato sapendo ciò che sarà molti anni dopo.
Ti lascio mentre scendi le scale ed entri nell’auto che ti porterà in chiesa, non voglio intromettermi oltre, non mi sembra carino.
Vivo il tuo quotidiano a distanza, come posso: sai di fritto, hai i capelli in disordine, ti scoppia la testa, hai il ciclo, sei nervosa, sei depressa, salta la luce “oddio l’arrosto nel forno, la roba da stendere”.
Ti sei annullata, pensi, in realtà sei il centro del mondo.
Ti telefono, ti telefona.
Devi stare dietro a tutto e quell’unico giorno è ormai lontanissimo, perso nella notte dei tempi.
Senti la necessità di altro, quell’altro sono io. Quel languore nuovo che si insinua nello stomaco e nella tua normalità sono io; ti faccio sentire diversa, sono quella giarrettiera di un colore particolare che hai voluto indossare allora: quasi un presentimento a quello che sarebbe accaduto.
Sul letto ora c’è un baby doll nero. Lo osservi coperta appena dall’intimo della stessa tinta. Il tuo sorriso è diverso, malizioso e trasuda la voglia di me; i tuoi occhi sono affamati ed ingordi, come solo una femmina può avere.
Non sei sola nella stanza, non c’è più un angelo alle tue spalle. Sono qui in carne ossa, una sorta di demone che ti tenta in ogni modo, consapevole che ogni tua resistenza verrà abbattuta.
Non ci sono scale da fare, né auto ad attenderti. Hai una sola scelta: questo letto, il mio sudore, i nostri gemiti, la nostra pelle bollente che freme dal desiderio.
Non sei più la ragazza di allora, la femmina che era in te è definitivamente sbocciata, io me ne nutro come un’ape con il suo nettare. Ti succhio, ti assaggio, ti lecco, approfitto di ogni centimetro della tua epidermide come fosse la prima e l’ultima volta.
Abbiamo poco tempo, il mio sguardo sulla tua vita, sul tuo passato, sul tuo quotidiano, lo riservo a quando non siamo insieme, a quando le notti diventano troppo lunghe per dormire.
Non ci sono giornate insieme, pasti da consumare alla stessa tavola, bottiglie da andare a prendere in cantina, divani su cui bere una birra.
C’è solo quel letto, provvisto di invisibili catene, che ci lega per quelli che vorremmo fossero interminabili momenti. Oasi di felicità momentanea in cui non riusciamo a dire no, teatro dei nostri furiosi amplessi, ricordo indelebile dello nostre risate, dei tuoi sussulti, dei miei gemiti degli “ancora , ancora…” senza mai fine.
Sei la mia donna in quel territorio tutto nostro, sei la mia donna solo quando non poggi i piedi per terra. Perché la realtà ci divora e ci divide.
Sei la mia perversione, il mio sogno inconfessabile, un cocktail imperfetto a cui non voglio e non so rinunciare, novella sposa dei miei desideri.
Mi nutro di immagini e della realtà di pochi momenti, consapevole che un giorno diverranno solo ricordi. 

Nessun commento:

Posta un commento