martedì 12 agosto 2014

La mia musa di Andrea Lagrein





Aprii la porta e lei entrò in casa. Il suo viso era stravolto dalle lacrime. La prima cosa che fece fu di gettarsi fra le mie braccia. Affondò il volto nel mio petto e scoppiò in un pianto dirotto. Non potei far altro che abbracciarla e tenerla stretta a me, accarezzandola teneramente lungo la schiena. "Mi ha lasciata, lo stronzo, hai capito? Mi ha lasciata!" singhiozzò disperata.
La feci sedere sulla poltrona. Mi accesi una sigaretta e le passai una lattina di birra. Presi una sedia e mi misi di fronte a lei, pronto ad ascoltarla. Lei mi guardò e iniziò a calmarsi, asciugandosi le lacrime con il palmo della mano fra una sorsata e l'altra di birra. Dio, quanto era bella, pensai fra me e me!
"Credevo che mi amasse. Credevo fosse il ragazzo giusto. Mi diceva cose bellissime, diceva che ero la sua principessa, diceva che un giorno mi avrebbe portato via da tutto questo schifo. Diceva che non ci saremmo lasciati mai. Questo diceva. E io gli credevo!". Scossi il capo. A vent'anni se ne dicono di stronzate. E ad alcune ci si crede pure. A vent'anni si ha ancora il tempo per sognare. A trenta apri gli occhi e ti accorgi della verità. A quaranta, cioè quanti ne avevo io, puoi solo richiuderli e mandare tutto a fanculo. Magari bevendoci su!
Ma Sabrina aveva vent'anni e a quelle frasi credeva sul serio. Abitava nell'appartamento sotto il mio, insieme alla madre divorziata, mentre del padre non si sapeva granché. Ogni tanto dava qualche sporadico cenno di sé, per poi però scomparire nuovamente. Nella zona in cui abitavamo, a vent'anni, la vita la si conosceva in fretta. Non c'era tempo per farsi cullare dolcemente. Vivevamo in fondo a viale Certosa. La scenografia era l'ingresso dell'autostrada, aziende e uffici più o meno grandi, un traffico maledetto, case corrose dallo smog, proletariato suburbano. L'università era quasi un miraggio. Già se si terminavano le superiori era un gran successo! Lì, a vent'anni, la smettevi subito con i sogni. Lì, a vent'anni, iniziavi la lotta per la sopravvivenza. Tranne Sabrina, che ancora credeva alle vuote frasi di un suo coetaneo. E proprio per questo la trovavo attraente. Per questa sua candida ingenuità, splendido fiore profumato nato in mezzo agli olezzi del letamaio della vita.
"Mi ha detto tutte quelle cose solo per portarmi a letto! Figlio di puttana! E io come una cretina che ci sono cascata. Gliel'ho pure data, a quel bastardo!". Dalla disperazione era passata all'ira. Le fissai le gambe. Come dargli torto, a quel bastardo! Ci sarei andato a letto anch'io, lì, subito, in quel momento, fregandomene dei suoi problemi e delle sue tristezze. Aveva due gambe da delirio, un culo a cui ci si poteva solo inchinare, due tette piccole ma piene, da ubriacarsi, ma soprattutto un viso di una bellezza sconvolgente. Una cerbiatta selvatica, dallo sguardo profondo e invitante, una cascata di ricci castani e due labbra da sogni indecenti. Eh sì, come dargli torto a quel bastardo!
La guardai divertito. "Almeno ne è valsa la pena?" domandai. "Ne è valsa la pena di cosa?". Mi aprii un'altra birra. "Scoparci insieme!". Sospirò quasi spazientita. "Non è questo il punto! Di stalloni con l'uccello grosso ne posso trovare quanti ne voglio. Il fatto è che mi ha preso in giro solo per portarmi a letto!". Sbuffai. "Ben venuta nel mondo dei grandi, bella bimba! Devi imparare che per noi maschietti ruota tutto attorno a quello che avete fra le gambe. E per quella siamo disposti a tutto, anche a dirvi un mucchio di cazzate!".
Forse ero stato un pò troppo brutale. Ma era bene che sapesse come girava il mondo. Che poi la psicologia maschile non era granché complicata. In fondo la psicologia maschile aveva semplicemente la forma di una fica, di un'enorme, gigantesca fica! Si trattava unicamente di genetica, della legge darwiniana della conservazione della specie. Scopare per riprodursi!
Sabrina si prese un'altra birra. "Tu ci verresti a letto con me?". La domanda mi spiazzò. Avevamo vent'anni di differenza, ma mi ci sarei infilato volentieri fra le lenzuola con lei. Non glielo dissi, ma quante volte me l'ero già scopata! Nella fantasia certo, ma era come averla realmente sotto di me. O sopra, di fianco, in piedi, inginocchiata! Praticamente l'avevo già posseduta in tutti i modi possibili e immaginabili. Ma non glielo dissi. Non sarebbe stato bello fare la figura del segaiolo!
E comunque, in realtà, non mi sarei mai permesso di sfiorarla nemmeno con un dito. Sabrina, semplicemente, era troppo preziosa per me! Sabrina era, come si suol dire, la mia musa ispiratrice. Quando scrivevo, avevo davanti il suo volto. Il solo pensarla sferzava la mia immaginazione, la mia vena creativa. La immaginavo, l'uccello immediatamente mi diventava duro e sfogavo tutta questa forza sessuale scrivendo, scrivendo e scrivendo ancora. Sabrina semplicemente fustigava la mia mente, incendiandola, eccitandola, infervorandola. Non avrei mai rinunciato per nulla al mondo a questa forza creatrice. Ed ero sicuro che andandoci a letto questa magia sarebbe svanita!
Mi accesi una sigaretta. "Certo, tesoro! Ti scoperei al volo, se vuoi saperlo. Ma non ti aspettare da me frasi del cazzo o espressioni sdolcinate tipo sono tuo per sempre, ti amo alla follia o sei la mia unica donna! Semplicemente non sarei credibile!". Sogghignai beffardo. Anche lei sorrise divertita. "Scommetto però che sarebbe una gran bella scopata!" disse con sguardo malizioso. Sollevai gli occhi al soffitto. Cristo, queste ragazzine indemoniate del giorno d'oggi! "Ci puoi giurare, bimba!". Mi alzai a prendermi un'altra birra. Mi alzai per allontanarmi da lei. Mi alzai perché io, con i buoni propositi, non sono mai andato molto d'accordo. Mi alzai per non saltarle addosso!
"Sarebbe magnifico, sai? Già m'immagino la scena. Ancora fra le lenzuola, sudati e stanchi, e tu che componi una poesia in mio onore. Bellissimo!". La fissai mentre tracannavo la mia birra. Gesù, altro che poesia! Quelle gambe meritavano un poema! "Già, e per non farci mancare nulla la intitoleremo Ode alla dea del cazzo!". Scoppiammo entrambi a ridere, fra le spirali di fumo delle nostre sigarette e il muro di lattine vuote che ci separava.
Ma a vent'anni era inevitabile essere così. Una frase ben detta, una poesia, un sogno a occhi aperti, due cuori e una capanna. E tutto diventa possibile, tutto è bello, tutto è romantico. Non si è ancora incurvati dai fardelli della vita. Poi a trent'anni si cambia. Sarà forse il mutuo, la maternità o le vacanze a cui proprio non si può rinunciare. E allora non bastano più le poesie e le belle frasi, ma un uomo che porti a casa uno stipendio dignitoso, di quelli con cui magari togliersi qualche sfizio in via della Spiga o che permettano una bella scopata in riva al mare su una qualche spiaggia tropicale. A quarant'anni non si scopa nemmeno più, ma si passa il tempo a litigare e a essere insoddisfatti per l'ultimo modello di SUV che non si riesce a comprare. A cinquant'anni si smette infine anche di parlarsi e, per chi ancora non ha divorziato, si passa il tempo in palestra, nei centri benessere o dal chirurgo estetico nel tentativo di recuperare una vaga giovinezza con cui adescare giovani maschi dall'uccello sempre pronto. Anche in questo caso si trattava di genetica, della legge darwiniana della conservazione della specie. Scopare per riprodursi con un maschio dominante, che assicurasse una certa sicurezza e stabilità. E magari anche un bel brillante. Altro che due cuori e una capanna!
Queste cose, però, era meglio che non gliele dicessi. Non volevo che il mio cinismo rovinasse la sua tenera ingenuità. Infondo avrebbe avuto tempo e modo per scoprirlo da sola!
Buttai giù un'altra bella sorsata di birra. "Forza ragazzina, adesso fuori dalle palle. E' ora di tornare a casa!". Sabrina mi guardò falsamente imbronciata. "Allora non vuoi venire a letto con me?". Sogghignai. "Lo sai che sono un inguaribile sognatore, no? Preferisco immaginarti e masturbarmi pensando a te, in completa solitudine!". Le feci l 'occhiolino. "Cretino!" mi disse sorridendomi. "E il bello è che ne saresti davvero capace!". Scoppiai a ridere. "Si vede che mi conosci bene, eh?".
Sabrina si alzò, mi baciò delicatamente su una guancia e mi sussurrò un timido grazie. L'accompagnai alla porta, anche perché l'erezione cominciava a essere troppo visibile. Nuovamente solo, mi sedetti al tavolo. Mi accesi una sigaretta e aprii una nuova lattina di birra. Carta e penna. Una lunga notte davanti a me. E l'immagine di Sabrina a fustigare la mia immaginazione.
Iniziai a scrivere. A scrivere di una ragazzina che a vent'anni aveva sogni che la vita non era ancora riuscita a rubarle. Di una ragazzina che a vent'anni credeva nell'amore. Di una ragazzina che era ormai una donna, una splendida donna.
Di Sabrina, la mia musa!

Ringrazio Chiara e Alberto Melcangi per la gentile concessione della foto

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