domenica 23 novembre 2014

PENA MAI-UN COLPO DRITTO AL CUORE di Giuseppe Balsamo



“Minchia è pieno di sbirri”.
Questo pensava Renatino, gli occhi chini su un tascabile stropicciato.
Il caldo proveniente dall’asfalto bollente e dai treni in transito gli stava inzuppando la camicia jeans. Ad ogni passaggio degli uomini in divisa, il sudore diventava gelido provocandogli brividi alla schiena.
Quegli occhi, per cui era diventato famoso, ora li aveva mascherati con un vistoso paio di occhiali da vista, la barba gli donava l’aria da intellettuale.
Lesse e rilesse quella frase, scritta da lui tre anni prima:”FINE PENA MAI ”. Come fosse sotto dettatura, ascoltando i giudici pronunciare in aula la sentenza che segnava il suo destino. Restò seduto a sentirla, rifiutandosi di alzarsi, intento a scarabocchiare la fine della sua esistenza.
Sollevò lo sguardo soltanto dopo aver udito lo sferragliare del treno, si alzò con la maggior naturalezza possibile, sotto gli occhi inconsapevoli degli sbirri. Con il capo chino, salì gli scalini che lo separavano dal convoglio, rintanandosi nel primo cesso libero. Aveva paura, ogni rumore, ogni voce, oltre quella porta, lo faceva sobbalzare. La vedeva spalancarsi all’improvviso, gli sbirri senza nemmeno parlare lo riempivano di piombo, lasciandolo morire dissanguato in mezzo al piscio.
Seduto sulla tazza, la mano infilata dentro la logora sacca ad impugnare la pistola, restò così finchè non avvertì il movimento del convoglio. Tirò fuori la nove corta. Il metallo freddo, come sempre, lo rassicurava, gli dava un senso di onnipotenza. Ogni volta che impugnava un’ arma sentiva profonda l’esigenza di “scarrellare”; quel suono metallico, inconfondibile ed unico, lo faceva sentire euforico ed invincibile. Evitò di farlo, limitandosi a constatare che il colpo fosse in canna e la sicura inserita.
Gli mancava l’aria, si sentiva soffocare dalla sua inadeguatezza patologica. Passò le dita sulla barba e sotto le narici; sentendo quell’odore intenso. Odore di fica e paura. Il pensiero gli andò a quella mattina, mentre le rotaie scorrevano verso il tramonto.
Malvolentieri sciacquò mani e viso, avrebbe preferito trattenere quell’odore, ma il caldo era insopportabile.
In realtà erano mesi che progettava il tutto. Da quando si era reso conto che quella guardia pendeva dalle sue labbra. Gli aveva fatto un sacco di promesse, così Tonino aveva nascosto in infermeria la nove corta. Più problematico era stato farsi ricoverare.
Aveva atteso che ci fosse qualcuno a soccorrerlo e mandato giù la candeggina, anche quella dono del buon Tonino. Il bruciore lo aveva invaso, i conati furiosi ed il suo corpo in preda agli spasmi, avevano richiamato l’attenzione di una guardia. Era stato portato in infermeria: salvato dalla lavanda gastrica.
Quella mattina non aveva fatto altro che recuperare l’arma e scatenare il putiferio. Verso le nove, era stato accompagnato dalla psicologa, una brunetta tutte curve che provocava i detenuti di continuo. La stronza indossava sempre vestitini succinti, adorava prendersi gioco di loro. Insomma una vera puttana sadica. Renatino la odiava. Quella mattina portava un abitino nero aderente, con le cosce di fuori. Per stare tranquilla e poter far meglio la troia, lasciava gli agenti fuori, così aveva campo libero nei suoi giochetti psicologici, godendo nel far arrivare il cazzo in gola ai detenuti.
Non appena soli, la dottoressa non fece in tempo a parlare che si trovò la pistola puntata ed una mano a tapparle la bocca. Renatino la fece alzare:”Se stai zitta forse non ti ammazzo”. Puzzava di paura come una cagna, fu questo a farlo uscire di sé. Non seppe resistere, così le insinuò la mano tra le cosce, trovando il pizzo degli slip:”Ora mi diverto un po’io, cosa si prova ad avere paura?”. La costrinse sulla scrivania, il viso schiacciato sul tavolo. Quando ebbe le mani bagnate dalla sua fica, si slacciò i pantaloni. La penetrò a fondo:”Stai zitta troia o ti ammazzo!”.
Guardandola lacrimare, non ebbe pietà, volle umiliarla ancora. Tirò fuori il cazzo e, con violenza, le penetrò l’ano, mentre lei si mordeva le labbra per il dolore. Le scopò il culo, come una bestia, abbandonandosi ad un orgasmo cupo e selvaggio, marchiandole l’anima.
Quando ebbe finito, il resto fu semplice: una guardia azzoppata, la dottoressa scaraventata sul marciapiede, la corsa verso la libertà.
”Fottuta troia, te la sei voluta!”, quelle parole gli uscirono ciniche, terribili: una sorta di auto assoluzione.
Trascurando il puzzo di merda, Renatino aprì libro tascabile, tirò fuori la foto consunta di un’altra donna, accarezzandola amorevolmente. Erano tre anni che fantasticava su di lei, alternando sentimenti contrastanti, avendo però un unico pensiero: raggiungerla.
L’aveva conosciuta a Genova, ove era diretto, in un periodo in cui per motivi di “onesto” lavoro vi si era pressoché trasferito con tutto il suo clan, amava definirla così la sua banda.
Chantal, la femmina della foto, l’aveva incontrata in un night. Faceva la bagascia, non nei bassi tra i vicoli bui, ma quello era tuttavia il suo mestiere. Si era innamorato di una puttana.
Una troia a ed un figlio di troia: un’accoppiata vincente.
Sentendosi più tranquillo, decise di uscire dal bagno e trovarsi un posto:”E’ libero?”. Lo scompartimento in realtà era vuoto, c’era solo quella donna con il viso rosso di chi ha appena versato molte lacrime. Odiava le donne che frignano, ma quel posto accanto alle porte di uscita lo rassicurava.
Indossava un abitino color crema, ben si intonava con i capelli castano chiari che le scendevano sulle spalle. Gli occhi, arrossati dalle lacrime, erano color delle nocciole, nel complesso una bella femmina.
Un kleneex ti salva la vita. Dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio, Renatino tirò fuori dalla sacca il fazzolettino di carta, consentendole di asciugare le lacrime che non volevano smettere di bagnarle le guance. Ci sapeva fare con le donne Renatino; forse era il suo modo di parlare, oppure la sua capacità di ascoltarle; fatto sta che quelle, magicamente, si aprivano con lui come se si fossero conosciuti da sempre. Così Rossana, che lui cominciò a chiamare confidenzialmente Ros, gli raccontò dell’ultimo appuntamento mancato, di un amore impossibile e precipitato nel nulla, di quel viaggio prenotato per due, che stava facendo da sola. Dopo averla consolata, non sapendo neppure lui come, era persino riuscito a strapparle qualche sorriso, constatando che era più bella quando non piangeva, insomma che era di fronte ad una donna in gamba.
Quando gli occhi azzurri di Renatino finirono sul giornale, ripiegato accanto alla borsetta di Ros, il cuore gli arrivò in gola:”Posso dare un’occhiata?”.
Lei gli porse il quotidiano:”Certo, così nel frattempo piango ancora un po’, sono un disastro!”.
Sorridendole Renatino sfogliò il Corriere. Non si soffermò sulle tante cazzate scritte sul suo conto, ormai le conosceva a memoria, quanto piuttosto sulla foto. Fortunatamente le immagini di archivio e le foto segnaletiche non rispecchiano mai la realtà. Dopo tre anni di quell’inferno era molto cambiato. Ripiegò il giornale, facendo attenzione che la foto non fosse più visibile, rimettendolo al suo posto.
Parlarono ancora, scherzarono soprattutto, concordando che la vita va vissuta e che dopo ogni temporale arriva il sereno. Si fecero insomma buona compagnia in un viaggio difficile per entrambi, con discorsi banali ma confidenziali e rassicuranti.
Gli dispiaceva ma non aveva scelta, conosceva quell’ultima galleria lunga e buia prima della fermata di Genova Principe. La sua mano, veloce, cercò il portafogli di lei nella borsetta e se ne impossessò, aveva bisogno di soldi e subito.
Più frettolosamente di quanto avrebbe voluto, tornata la luce, il treno si fermò e si congedò da lei.
Era già sulla banchina quando la voce di Ros lo richiamò:”Tienilo tu questo…”, affacciata al finestrino, gli tendeva il giornale ben ripiegato. Renatino lo afferrò e le sorrise, notando che Ros gli schiacciava l’occhio complice.
Fuori dalla stazione Renatino constatò con piacere che tutto era come si ricordava. Scelse un bar che già conosceva, ordinò un caffè e curiosò nel grosso portafogli femminile. Constatò soddisfatto la presenza di cinquecento mila lire, poi esaminò con attenzione la carta di identità di Ros, ma soprattutto un tesserino che la identificava come appartenente alla Polizia di Stato:”Uuu uno sbirro, addirittura commissario…”, la cosa non lo sconvolse affatto, anzi lo fece sorridere non facendogli certo cambiare opinione su di lei. Andò a fondo nella perquisizione è trovò quella lettera, ripiegata con cura:
“Caro Paolo, ti scrivo queste poche righe, sapendo che non le leggerai mai…”.
Lesse e rilesse con attenzione, un vero stronzo questo Paolo.
Terminato il caffè acquistò le sigarette, ma anche due buste e relativi francobolli. Nella prima infilò i documenti di Rossella accompagnati dalle scuse del caso; nella seconda la lettera indirizzata a Paolo e mai spedita: certo uno stronzo, ma lei ne era innamorata.
Chantal abitava al solito indirizzo. Quando arrivò era con un cliente; Renatino, con i suoi modi “garbati”, lo invitò a levarsi dai coglioni. Era più bella che mai, fecero l’amore a lungo, assaporò quei momenti e la sua pelle come non faceva da tempo.
Morì veloce Chantal, per lei aveva scelto una lunga lama che le arrivò dritta al cuore:”Occhio per occhio…”. Fu dispiaciuto nel vedere il seno nudo in una pozza di sangue. Le posò un ultimo bacio sulle labbra ancora tiepide:”Ogni tradimento ha il suo prezzo amore mio...”.
Si rivestì con estrema tranquillità, con altrettanta calma scese le scale e ritornò alla stazione.
Direzione Milano, forse sarebbe addirittura arrivato prima della sua lettera, chissà cosa avrebbe pensato Rossella ritrovandoselo in commissariato.
Quell’arresto se l’era meritato, fra tutti gli sbirri era quella che preferiva, ritornare in carcere accompagnato da lei sarebbe stato meno drammatico, ci sarebbe morto in galera questa volta, andarci sotto braccio con la Ros non sarebbe stato così male.
Racconto/Noir


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