lunedì 10 novembre 2014

SATYRICON di Andrea Lagrein



Mi guardavo attorno, ospite occasionale, sbagliata figura in controluce, fra il lucore di lustrini e paillets di quella festa assai sfarzosa. Ovunque lusso sfrenato, ovunque ricchezza ostentata. Mi aggiravo fra tavoli riccamente imbanditi e decoltè d'alto bordo, circondato da smoking profumati e gioielli affamati. Affamati? Sì! Affamati di ricchezza, potere, vanità, lussuria.
Avevo ricevuto l'invito tramite un amico di un amico dell'amico del padrone di casa. Certi inviti non si potevano rifiutare. E quando mai sarebbe capitata nuovamente un'occasione del genere? Il bel mondo non stava di certo ad aspettare me. O anche minimamente a curarsene! Così mi ritrovai nella stanza dei bottoni, attorniato da quelli che la sapevano, ma la sapevano davvero lunga.
Il mio impaccio era evidente. Non ero assolutamente abituato al bel mondo, al bon ton di chi, dopo aver indossato per una serata una camicia nuova, la buttava nella spazzatura. Io convivevo con il degrado e la miseria e lì, in quella spazzatura, le camicie si indossavano anche se lise e consunte.
"Cosa ne pensa lei di tutta questa immigrazione incontrollata?" mi domandò un ometto calvo con gli occhiali, sfavillante nel suo impeccabile doppio petto. Onestamente non stavo nemmeno seguendo la conversazione di quel gruppetto di persone fra cui accidentalmente ero capitato. Ma non potevo certo esimermi da dare una risposta, questione di educazione.
Tutti mi fissavano, come se io avessi la soluzione a tutti i mali del mondo. Allargai le braccia sospirando. "E' un bel problema, c'è da ammetterlo. Ma non si può nemmeno lasciare tutti questi poveracci a morire nel loro paese, non trovate?". Pensavo di essere stato vago, nel rispondere. Parlare per non dire nulla. Essere cortese senza esporsi.
"E farci così conquistare da tutti questi beduini?". Una signora sui cinquantacinque anni, gran matrona dell'alta società ingioiellata da capo a piedi, mi fissava con quei suoi occhi azzurri, attendendo la risposta alla domanda che mi aveva rivolto.
"Forse non sarebbe poi così un male". Mentre rispondevo mi stavo già mordendo la lingua. Ma ormai il danno era fatto e mi ritrovai così a fronteggiare una piccola insurrezione verbale. "Cosa intende dire?" chiese l'ometto calvo che, venni successivamente a sapere, era un importante esponente di un altrettanto importante partito politico.
"E' la storia che ce lo insegna". Cercai di mantenermi calmo. Ma era come trovarsi in un anfiteatro circondato da leoni affamati, senza avere nemmeno una birra fra le mani per tentare di difendersi. "Le civiltà si evolvono mediante il continuo flusso immesso dai popoli migranti. La società si rimodella costantemente e l'immigrazione è il propellente che porta sempre nuova linfa vitale. Pensate a noi. Siamo un crogiolo di stratificazioni sociali e culturali. Siamo quel che siamo in quanto ci siamo evoluti grazie al susseguirsi di ondate migratorie che via via sono giunte da noi. Pensate solo se ci fossimo fermati al tardo impero romano!".
Tutto sommato ritenevo di aver fatto un'eccellente figura. E non avevo toccato neppure un goccio di alcool. Evidentemente però il mio eccelso auditorium non la pensava allo stesso modo. "Essere conquistati da un branco di beduini non vuol certo dire evolversi. Io vedo solo regressione e imbarbarimento". Chi parlò era un pezzo grosso di un'importante banca. E il suo sdegno era ampiamente visibile dipinto sul volto.
"Ben detto, carissimo". L'arrivo improvviso del padrone di casa distolse immediatamente l'attenzione su di me. Tirai un sospiro di sollievo. "La barbarie va combattuta a oltranza, senza fermarsi, senza mai abbassare la guardia, con ogni mezzo a nostra disposizione. Noi, che siamo il faro della cultura, della civiltà, abbiamo l'obbligo morale di salvare le generazioni future da questi selvaggi analfabeti. A iniziare proprio dalla cultura, cari miei. Dobbiamo riappropriarci della nostre radici culturali".
I presenti assentirono beati e soddisfatti. Il loro anfitrione era davvero una persona illuminata! Erano proprio persone come lui che avrebbero salvato la civiltà dal decadimento. Personaggi forti, sapienti, saggi.
"Fate come me, miei cari. Leggete, leggete e leggete ancora. Nei libri si trovano le risposte. A tal riguardo vi consiglio di leggere il Satyricon, testo davvero illuminante. Nella mia ricca biblioteca ne conservo un esemplare antichissimo. Fu scritto duemila anni fa da Giovenale e descrive perfettamente come l'aristocrazia romana tentò di difendersi dall'imbarbarimento dei costumi".
Cristo! Mancava solo l'applauso finale per celebrare l'apoteosi di questi savi che ci avrebbero dovuto condurre alla salvezza.
Senza dare nell'occhio, mi allontanai con discrezione. A questo punto un bel whisky ci sarebbe stato bene. Cosa sarebbe servito far notare che il Satyricon era stato scritto da Petronio e non da Giovenale? A chi avrebbe giovato sottolineare che l'intero libro era un'enorme, sublime presa per il culo di una classe dirigente che, a dispetto dei duemila anni passati, non era cambiata per nulla?
No, meglio stare zitti e tentare di affogare in un bel Jack Daniel's offerto dall'illuminato padrone di casa. Ma del buon vecchio Jack nemmeno l'ombra. Solo Krug e Dom Perignon. Che fare, quindi? Mi adeguai, scolandomi quanti più calici possibili. In fondo dovevo pur sopravvivere in qualche modo a tutti quei gioielli e profumi nauseanti!
Continuai ad aggirarmi fra i numerosi capannelli di illustri ospiti. Una galleria di personaggi surreali, figli pero di una realtà fin troppo reale. Cialtroni, loschi, ruffiani, vanesi, ignoranti, biechi, gaudenti, tronfi delle loro poltrone e dei loro affari. Mentre il mondo fuori andava a puttane, qui dentro veniva celebrato con ostentazione il lucore della decadenza. Effettivamente mi pareva proprio di trovarmi alla cena di Trimalcione, un'isola felice e irreale dedita allo sperpero e alla vanità.
Come l'anfitrione di quella serata che, con gesto plateale, richiamò l'attenzione di tutti sulle enormi tavolate riccamente imbandite. La grande abbuffata stava per iniziare, alla faccia di chi, tornando a sera stanco e curvo dal lavoro, non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a mangiare.
Il fugace tocco di una mano sul mio braccio mi riportò alla realtà. Una donna all'incirca della mia età, né bella né brutta, mi stava fissando con occhi da cerbiatta in calore. "Ti voglio" mi sussurrò senza alcun ritegno. Più che un desiderio pareva un ordine. Gesù, quanto volevo avere fra le mani un bel bicchiere di Jack Daniel's!
La guardai stupito. A tutto ero preparato tranne che a quello. Una ninfa assatanata nel bel mezzo di una delle serate mondane più importanti. Ammetto che non seppi reagire, così tramortito da quella sfacciataggine imprevista. "Seguimi". Fu lei ha prendere l'iniziativa. Era lei che conduceva il gioco. E io non ne conoscevo neppure le regole. La seguii diligentemente. Nessuno si accorse della nostra fuga, intenti com'erano a celebrare il trionfo culinario del padrone di casa.
Mi fece entrare in una stanza, richiudendosi alle spalle la porta a chiave. Nemmeno il tempo di dire una parola che me la ritrovai avvinghiata addosso. Mi tolse il respiro baciandomi con foga, con avidità, mentre le sue mani fameliche armeggiavano con la zip dei miei pantaloni. "Scopami, scopami, scopami" ansimava fra un bacio e l'altro, tenendo ben salda fra le dita la mia erezione. Il suo costosissimo profumo non riusciva a celare l'afrore del suo corpo in calore. Le infilai una mano fra le gambe. Aveva la fica fradicia.
Non mi lasciai pregare oltremodo. Giunto a quel punto sarebbe stato insensato tirarsi indietro, nonostante non sapessi chi fosse, nonostante le rughe del viso, nonostante il culo flaccido e cadente. La signora voleva essere scopata, e io ero lì per accontentarla.
L'afferrai per i fianchi, la sollevai e la penetrai con furia selvaggia. Lei rispose con altrettanta foga. Si vede che nell'alta società era costume far così! La chiavai lì, in piedi, schiacciandola alla parete del muro, pensando a spregio solo al mio godimento, insultandola, chiamandola puttana, trattandola come un oggetto. E questo non fece altro che aumentare ancor di più la sua smisurata eccitazione.
Le venni dentro copiosamente, grugnendo come un animale, fra i suoi ansimi e gemiti di godimento. Appena terminato mi staccai da lei e la fissai con occhi colmi di disprezzo. Mi faceva schifo! Mi faceva schifo quel suo modo da gran signora che amava atteggiarsi a mo di puttana, per gioco, per divertimento, in spregio a chi invece lo era per necessita.
Ma tutta la mia acredine svanì improvvisamente appena udii un sibilo provenire alle mie spalle. Mi voltai allarmato. Pareva un ansimo, quasi un sospiro. Solo che nella stanza, all'infuori di noi due, non c'era nessuno. Mi girai di nuovo a guardare la donna. Lei nel contempo si stava sistemando il vestito. Mi fissò altezzosa e sarcastica.
"Non ti preoccupare, è solo mio marito". Ora ero ancor più preoccupato di prima. Lei scrollò le spalle. "A lui piace guardare. Si eccita così. Possiamo andare, adesso?". Stordito, mi avviai dietro di lei. Ero stato usato come un mero oggetto per il godimento altrui, perverso o meno che fosse. Questa era la gente fra cui ero finito. Persone che non erano abituate a chiedere, ma a volere e ottenere, indipendentemente a chi si trovassero di fronte.
Rientrai nel salone principale. Caviale, ostriche, piatti elaborati a profusione e fiumi e fiumi di champagne. L'atmosfera si era decisamente surriscaldata durante la mia assenza. C'era chi, famelico, divorava tutto quel che si trovava di fronte; chi si lasciava andare in balli sfrenati dalle movenze ammiccanti; chi rideva sguaiatamente; chi senza pudore ci provava con qualsiasi donna gli capitasse a tiro; chi si lanciava in simposi farciti di facezie e spiritosaggini.
Incrociai lo sguardo dell'ometto calvo che mi sorrise compiaciuto nel mentre addentava un involtino di non so cosa. Subito dopo vidi la mia ninfa assatanata aggirarsi fra i tavoli al braccio di quel che doveva essere suo marito, un uomo corpulento dagli occhi porcini. Dio mio, quanto mi mancava il mio Jack Daniel's!
Mi sembrava di presenziare a una corte di ipocriti, ballerine e buffoni senza ritegno, che gozzovigliavano mentre tutto attorno a loro imperversava una terribile crisi materiale, spirituale e culturale. Mala tempora! avrebbero esclamato i nostri antenati latini. Ma qui, ben pochi, lo avrebbero compreso.
I barbari erano alle porte e non avrebbero di certo faticato a conquistarci. E in fondo sarebbe stata unicamente colpa nostra!

Nessun commento:

Posta un commento