venerdì 17 ottobre 2014

INVITO RISERVATO II PARTE di Giuseppe Balsamo



Il treno percorre il buio troppo lento, la pioggia incessante che impatta sul vetro del finestrino mi rimanda alla notte scorsa ai nostri corpi avvolti dall’acqua bollente della doccia. Sta dormendo appoggiata alla mia spalla indolenzita per la posizione scomoda, cerco comunque di restare immobile per non svegliarla. 
Paesaggi lunari e fangosi si susseguono fuori dal finestrino, il convoglio è semi vuoto ed in ritardo, la protezione civile ha sconsigliato di mettersi in viaggio se non strettamente necessario.
L’ennesimo messaggio, che questa volta non sono riuscito a nasconderle, ha reso questo spostamento necessario. Me lo ha letto in faccia stamattina, quando ho controllato il telefono e immediatamente dopo l’ho guardata. Non sono riuscito a mentire. Ha la strana capacità di leggermi dentro, così non ho fatto altro che porgerle il cellulare affinché guardasse lei stessa:”E’ stata una bella scopata vero? Potrebbe essere l’ultima, lo sai sbirro? Fatti i cazzi tuoi e non le succederà niente.”
Non mi è riuscito di tranquillizzarla come avrei voluto, limitandomi a spiegarle quello che sta accadendo. Ha scoperto la paura nei miei occhi, così quando le ho detto che dovevo portarla via da Torino ha acconsentito senza replicare. Riesce ad afferrare le cose al volo, come sempre, ha preparato mesta e silenziosa il bagaglio e siamo rimasti a casa ad aspettare.
Ho preferito partire di sera, mi stanno sicuramente seguendo e voglio rendergliela più difficile, in ufficio ho chiesto due giorni di permesso, quello stronzo di Lombardi come al solito ha dovuto polemizzare, questa volta con ragione:”Cazzo Leanza, abbiamo un ragazzino morto e tu te ne vai in vacanza?!”. Si fotta Lombardi, al ragazzino ci penserò tra due giorni o ci penserà qualcun altro.
La giornata è trascorsa silenziosa, in una casa pervasa dal silenzio, dall’angoscia e dalle incognite. Inutile parlare, né lei mi domanda nulla, si fa bastare i miei consigli. Così ci ignoriamo, ognuno immerso fra i suoi pensieri in attesa di un’oscurità che appare più sicura e tranquillizzante.
Occupa il suo tempo a sistemare casa, consapevole che mancherà per un po’, in quanto a me resto davanti al mio lap top a scrivere e-mail, a leggere e rileggere e osservare le immagini. Non ho molto materiale con me e mi concentro su quel poco, anche per evitare di pensare al resto.
Il primo rapporto è scarno, quasi matematico, si limita alla descrizione dei luoghi ed alla prima ispezione di quel corpicino devastato dalle pugnalate. Guardo intensamente quel piccolo ovale esangue e pallido, cerco di immaginarlo sorridere mentre gioca e si diverte, dice le prime parolacce quasi con imbarazzo e senza che papà e mamma se ne accorgono.
Appena mi distraggo da questa fantasia, ritornando alla cruda realtà, mi concentro sul colpo inferto alla gola che gli ha reciso la giugulare, probabilmente il primo anche se avrò probabilmente conferma dal referto autoptico. La mia prima impressione sull’accaduto si fa insistente come una ferita che non si riesce a rimarginare; ho l’immagine di un bimbo terrorizzato e di qualcuno che incide la sua gola come a punirlo, come a sacrificarlo, per poi sfogarsi bestialmente sul suo corpo. L’uomo che lo ha trovato non ha saputo fornire molte indicazioni: ha ritrovato il cadavere avvolto in un lenzuolo bianco su un prato di Mirafiori, non lontano dagli ingressi della Fiat. Sarebbe più corretto dire che è stato il suo cane a trovarlo. Sto ancora aspettando una telefonata, giusto uno scrupolo, un’idea bizzarra. Guardo quelle foto ed aspetto, mentre lo spettro di Masha si aggira inquieto per casa.
Controllo e ricontrollo le mail e il cellulare, ho raccomandato di chiamarmi e non mandarmi messaggi, detesto i messaggi specie in questi giorni.
La suoneria del telefono ci fa sobbalzare, lei mi guarda con la coda dell’occhio preoccupata, cerco di tranquillizzarla con un sorriso stupido. E’ Fabbri dalla Questura. Mi piace l’agente Fabbri, è un po’ una testa matta e spesso caga fuori dal vaso, comunque è uno in gamba. Non è da molto alla omicidi, stava alla celere, come si dice chi non ha testa ha gambe, lui in quanto a gambe non ha rivali.
“Ispettò, mi sa che ci ha preso…”
Esordisce così, l’avere ragione non è tranquillizzante, ma è meglio lasciarlo parlare e capire qualcosa in più.
“Fabbri, spiegati con calma, cerca di far mente locale e non tralasciare niente, ora quello che mi dirai lo metti nero su bianco e non lo consegni a nessuno fino a quando non lo rivedremo insieme”. Fabbri è un disastro a scrivere in italiano.
“Ispettò sono entrato al Mausoleo, come mi ha detto lei, all’apparenza è tutto pulito, ma per terra ci sono tracce di cera nera, non molte ma ci sono. Secondo me hanno fatto pulizia. Sull’altare, dove sotto c’è la Rosina, ci sono delle macchie scure secondo me è sangue, mi ci gioco i coglioni che è sangue”.
Il mausoleo de la bela Rosin, dista a poche centinaia di metri da quel fottuto prato, non so nemmeno io come mi è venuta sta cosa, forse è solo un caso, forse non c’entra niente.
“Fabbri ora tu chiami la scientifica, dici che è stata una tua idea e li fai arrivare va bene? Metti tutto per iscritto e poi me lo mandi col computer, fatti aiutare da Scalzi di lui mi fido. A Lombardi gli dici che l’idea l’hai avuta tu e per il rapporto prendi tempo, finché non torno e finché non ne sappiamo qualcosa in più”.
“Va bene Ispettò…”.
“Grazie Fabbri, grazie…sei stato bravo”.
Fa finta di non aver sentito nulla Masha, l’odore del caffè si sta diffondendo per la cucina, osservo da dietro le sue curve morbide, indossa una maglietta femminile stamattina, le lascia scoperta gran parte della schiena ed ha i capelli raccolti in una treccia. Mi ritrovo a pensare che mi piace carezzarle la schiena l’ho fatto per gran parte della notte, inconsapevole nel dormiveglia.
Mi concentro sulla mia casella di posta elettronica e trovo quello che cerco. Don Silvio lo conosco fin da quando ero ragazzo, era il mio insegnante di religione. E’ un salesiano tutto di un pezzo, nonostante la sua severità mi era simpatico, tanto che abbiamo continuato a sentirci. Per lo più lo chiamo a cavallo delle feste comandate, ogni tanto vado a trovarlo. Rifletto un attimo e comincio a scrivergli, da qualche hanno il prete si occupa di di religioni diverse dalla cattolica, in realtà per come ho capito la Curia lo ha incaricato di censire sette, stregoni ed amenità del genere. Conosco la sua riservatezza e so che sarà difficile ottenere quello che mi serve, così cerco di spiegargli meglio che posso la situazione, allegando anche l’immagine del cadavere.
La sua risposta non tarda ad arrivare, doveva essere davanti al computer.
Sul telefono cellulare che squilla lampeggia il suo nome salvato in rubrica.
E’ bello risentire la sua voce dura e decisa, mi chiama Tonino, come avessi ancora 15 anni, ma non mi da fastidio. Ci scambiamo informazioni ed aggiornamenti sui miei ex compagni e sugli altri professori, gli domando dei ragazzini dell’istituto salesiano di Valdocco. Lì il tempo sembra essersi fermato, ogni tanto ci ritorno, mi piace rivedere il campetto di calcio ed i luoghi appartati dove mi rifugiavo a fumare di nascosto.
“Si Tonino ho una sorta di lista ma è molto scarna, direi che è più un elenco. Vediamoci e ne parliamo, stanno succedendo cose strane a Torino negli ultimi tempi e quello che mi hai mandato ne è una conferma”. Lo saluto con la promessa di una telefonata per poterci incontrare di persona.
L’ombra della sera avvolge la città ed è ora di andare. Masha da un’ultima controllata all’appartamento mentre io chiamo un taxi, siamo in ampio anticipo sull’orario, così le svelo qual è la nostra destinazione.
Non la guardo negli occhi, probabilmente sta piangendo dentro senza darlo a vedere, è nel suo stile, quando però mi decido ad incrociare il suo sguardo mi sorride.
Non serve svegliarla, lo stridio del freno ed il sobbalzo del vagone all’arrivo della stazione di Genova Principe la scuote dal suo torpore.
La stazione è deserta, nonostante sia ottobre inoltrato l’aria è calda in maniera innaturale ed in cielo incombono nuvoloni minacciosi. Parte della città è stata devastata dal’acqua dei fiumi che hanno rotto gli argini riempiendo le vie di fango e detriti. Saliamo veloci a bordo di uno dei pochi taxi presenti.
Questa notte dormiremo in albergo, desidero ancora una notte insieme a lei lontano dalla realtà.
Nonostante la situazione Masha osserva incuriosita la città, man mano che il taxi prosegue nella notte cerco di rendere la cosa più facile e la distraggo facendole da cicerone. Le mostro la lanterna, inventando storie di naufraghi e capitani coraggiosi salvati dall’imponente faro che è diventato il simbolo cittadino. Passiamo davanti La Loggia della Mercanzia e le indico dove sostavano i crociati.
Percorriamo via Gramsci: Anna è al solito posto con il suo banchetto di cianfrusaglie, sotto il quale tiene le sigarette di contrabbando, la saluterò domani non ora.
Ci mettiamo pochissimo a raggiungere Boccadasse, l’hotel è a due passi dal lungomare. Guardo l’ora è tardissimo e non abbiamo toccato cibo. Facciamo due passi sulla passeggiata a mare, con il vento che ci scompiglia i capelli e ci fa lacrimare gli occhi. Ci ritroviamo a respirare a pieni polmoni l’aria salmastra. Siamo gli unici due clienti del solo bar aperto che troviamo. Il proprietario ci viene incontro e ci guarda stupito, la città è intrappolata nel fango alluvionale e non deve aver visto molti persone questa sera. La nostra cena è a base di patatine fritte e birra, non è molto ma non ci serve altro. Scambiamo due parole, è da stamane che non chiacchieriamo, evitiamo accuratamente e consapevolmente argomenti inerenti i motivo del nostro viaggio, proviamo a prendere il lato positivo della questione ed a scherzare sugli arredi del locale, soprattutto ci prendiamo in giro reciprocamente, come spesso facciamo. Sembriamo due turisti, anzi due sopravvissuti all’uragano, unici superstiti in un luogo sicuro. Parlare con Masha mi tranquillizza e mi distrae dalle nubi che insistono nella mia mente, quasi a voler emulare quelle in cielo.
Carichi dei nostri bagagli ce la prendiamo comoda. Raggiungiamo la chiesetta di Boccadasse e ci appoggiamo per qualche istante ad osservare il mare e le luci delle navi in lontananza. Il piccolo borgo di pescatori è avvolto nel buio. Il fragore rumoroso dei turisti che si accalcano nei localini, per poi sedersi a bere sulle barche dei pescatori a riva non mi manca affatto. La tempesta deve aver fatto andar via la luce, tanto da renderlo quasi magico e irreale, illuminato solamente dalla schiuma bianca delle onde che impattano sulla scogliera.
Resistiamo alla tentazione di un bacio e troviamo la strada per andare in albergo.
La stanza è essenziale ma carina, spalanco il finestrone di fronte al letto e ci concediamo una sigaretta, mentre in cielo qualche lampo lontano illumina il buio.
Non c’è più bisogno di parlare, fumiamo in fretta sfiorandoci con gli occhi, ci sentiamo ancora due superstiti e cediamo alla tentazione di godere di questa notte come fosse l’ultima.
“Vieni sbirro, ora basta pensieri negativi, rimandiamoli a domani”.
Le sorrido mentre con la mano mi trascina sul letto, sdraiandosi su di me.
Masha è così, non so se sia realmente incosciente, oppure così cinica da trovare il lato positivo in ogni cosa che le succede, però stanotte ho voglia di lasciarmi andare con lei, dentro di lei.
Mentre con le labbra percorre il mio collo le sfilo il top nero smanicato, sciogliendole i capelli che aveva raccolto in una treccia che la fa apparire ancora più giovane, immediatamente dopo lei mi aiuta a togliere la maglietta.
Intenzionata a torturarmi fino allo sfinimento, sento la punta della sua lingua che trova sul mio corpo sentieri sconosciuti anche per me. La avvolgo con le braccia, cercando i gancetti del suo reggiseno, per liberarle le mammelle e sentire il contatto dei suoi capezzoli sulla mia epidermide coperta da brividi. Cerco di fermarla in quella che sembra più una lotta che un amplesso. Fuori dalla finestra si sente forte lo scrosciare della pioggia, dentro la stanza quello dei nostri respiri impazziti.
In un attimo di tregua ci spogliamo restando nudi. Ostenta il suo corpo quasi a sfidarmi, abuso della sua pelle con le mie mani e con la lingua. Mi aggrappo ai suoi seni per poi perdere la testa fra le sue cosce. La assaggio, la mordo, la assaporo, la penetro con la lingua finchè non sento che è pronta.
Gli occhi negli occhi, conficca le sue unghie nelle mie natiche e sono dentro di lei. Tutto scompare: la pioggia, il fango, il vento, Torino, il mare. C’e solo il suo respiro irregolare e la sensazione di calore improvviso che mi assale, i miei movimenti cadenzati, profondi e decisi.
“Ancora, di più!”.
Me lo ordina accompagnando i miei affondi ormai privi di controllo.
“Ancora, di più!”
Prova a dirlo mentre le tappo la bocca con un bacio.
“Ancora, di più!”
Lo sussurra con un filo di dolore nella voce, quando i miei colpi si fanno violenti e istintivi, quasi cattivi.
Il piacere mi sorprende improvviso quando sento il suo sesso stringere il mio. Soffoco un verso istintivo riversando in lei il mio seme.
La guardo, mi guarda mentre anche lei è in preda ad un orgasmo silenzioso fatto di gemiti e sospiri.
Infine mi avvinghia fra le sue cosce, quasi a bloccarmi, mentre proseguo impazzito a muovermi dentro di lei, come un fiume in piena che ormai sta straripando.
Restiamo così, abbracciati in quel letto che sembra troppo grande, in attesa di un sonno che tarda ad arrivare, quando ormai l’alba è vicina.
Dormo appena, aggrappato alla sua schiena, cercando di prolungare la notte.
Mancano poche ore alla mia partenza, il centro storico della città pare piacerle, soprattutto apprezza il lungo mare e la fascia costiera.
Scorgo Anna al suo solito posto. La ricordo così da sempre, comoda su quello sgabello minuscolo, con la sua piccola bancarella piena di nulla. Il suo vero tesoro sono le sigarette, è comunque capace di procurarsi qualsiasi cosa, basta chiedere.
Quando mi vede sorride come se ci fossimo visti il giorno prima, eppure sono anni che non torno qui.
Sa tutto di tutti Anna, fa parte del paesaggio, per me rappresenta Genova, anche se in realtà e Napoletana.
Quando le presento Masha le due sembrano andare d’accordo. Mi consegna le chiavi del piccolo monolocale sopra casa sua. Anna è diventata ricca in tutti questi anni, eppure continua a presidiare via Gramsci, tenendo sott’occhio il porto, i marittimi e le puttane, come fosse un compito datole da un’entità superiore.
Non si scomoda ad accompagnarmi, ha da badare ai suoi traffici e io conosco bene il posto dove Masha si nasconderà nei i prossimi giorni.
Diamo appena un’occhiata alla sistemazione provvisoria, poi Masha insiste per accompagnarmi alla Stazione.
Nessun bacio d’addio, solo un sorriso complice ed il treno che mi riporta alla realtà.
Racconto / Noir

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