venerdì 17 ottobre 2014

SAMO di Andrea Lagrein





"Sei un fottutissimo negro del cazzo, anche se vai in giro vestito Armani e con il buco del culo pieno di dollari. Tornatene a imbrattare i muri con i tuoi amichetti graffitari!”. “L'arte è una cosa seria, non è per i musi neri come te. Andy ti tiene nel suo serraglio perché avrai l'uccello grosso e a quel dannato finocchio piacciono maledettamente gli uccelli grossi!". I due uomini scoppiarono a ridere di gusto, soddisfatti di aver urlato tutta la loro invidia in faccia a quel negraccio strafatto di crack. A loro, divinità di Wall Street, semplicemente non andava a genio che guadagnasse dieci volte quel che loro si sudavano faticosamente.
Questa storia dello sporco negro a Jean-Michel non gli era mai andata giù. Eppure la maggior parte delle persone così lo trattavano. Come quando la Nosei lo rinchiuse letteralmente nello scantinato della sua galleria d'arte a SoHo. Era uno schiavo incatenato. Dipingeva e si faceva di coca. La Nosei faceva scendere i ricchi clienti collezionisti per far loro osservare la sua bestia rara, il nuovo fenomeno da baracconi della pop-art. E i dollari frusciavano che era un piacere! Non che stesse male. Là sotto aveva tele, colori, pennelli e soprattutto una montagna di coca. C'era cocaina dappertutto. Un giorno addirittura era sceso Jagger. Cazzo, Mike Jagger davanti a lui in carne e ossa. Gli venne quasi da ridere nel ricordare quell'incontro. "Ehi, amico, vuoi della coca? " gli chiese. Jagger lo guardò serio. "No, grazie, faccio jogging!" rispose.
La coca lo faceva star bene. Lo ispirava e al contempo lo faceva volare lontano da tutta quella merda che sentiva di avere dentro. Semplicemente lo esaltava. I collezionisti parevano iniziare a interessarsi dei suoi lavori, i galleristi dell'East Side facevano a gara per accaparrarsi i suoi lavori, il danaro finalmente scorreva a fiumi e tutte le più belle fiche di Manhattan facevano a gara pur di scoparselo. Cazzo, e allora perché smettere con la coca, l'eroina, il crack e gli acidi se i risultati erano questi?
E difatti non smise. Appena poteva correva a casa di Jeff lì vicino al Chelsea Hotel. L'appartamento di quel bastardo era un vero e proprio covo di drogati d'alto bordo. A Jean-Michel spesso gli capitava di farsi insieme a gente come Billy Idol, John Lurie, Fab 5, David Bowie.
Ma rimaneva sempre un negro e un negro pieno di soldi destava sempre sospetti. Come quella volta a Roma, all'aeroporto, quando gli sbirri lo beccarono insieme alla sua Suzanne con la bellezza di centomila dollari in contanti. Fu dura far digerire a quella gente che se li era guadagnati vendendo i suoi quadri piuttosto che droga. Cazzo, un negro rasta, con centomila bigliettoni in tasca, doveva per forza essere uno spacciatore. Altro che artista!
Certo, era un negro con talento. Ma ben presto iniziò ad avere la stramaledetta sensazione di essere uno schiavo al servizio dei mercanti bianchi, che gli imponevano di dipingere otto, dieci quadri alla settimana per poi rivenderli a prezzi esorbitanti. Si sentiva prigioniero di una catena di montaggio. E coca, crack ed eroina erano il solo mezzo che conoscesse per fuggire da questa alienazione. Lo volevano così. E infondo a lui andava bene, perché ormai era divenuto una star.
Lasciandosi alle spalle Stuyvesant Street, imboccò la Broadway per arrivare al 33 di Union Square. Entrò nella Factory e cercò disperatamente Andy. Lui lo vide e si avvicinò immediatamente, fulminato dallo sguardo allucinato di Jean-Michel. Andy era un uomo troppo sensibile per non capire che l'amico nonché collega fosse profondamente scosso. Quegli occhi non erano solo occhi di un drogato strafatto di coca, ma rivelavano la profondità del baratro in cui Jean-Michel era scivolato.
"Vieni qui, caro. Vieni qui!" furono le sole parole che disse Andy, abbracciandolo e baciandolo teneramente sulla bocca. Jean-Michel si lasciò cullare dall'amico, riuscendo finalmente a calmarsi. La vita era una merda e Andy rimaneva la sua unica àncora di salvezza. Per Andy invece Jean-Michel era stato motivo di rinascita, nuova linfa vitale che quel ragazzino selvaggio e complicato era riuscito a donargli. Per Andy, quel suo stile di dipingere brutale e selvaggio era adrenalina pura. I suoi quadri erano riflessi diretti di una società decadente e sadica. Figurine infantili, angeli e demoni, uomini neri e bianchi, che mostravano denti, indossavano corone e portavano la bilancia della giustizia, cervelli bruciati, occhi robotici, senza speranza, senza vita. Jean-Michel dipingeva la realtà di tutti i gironi e a Andy questo piacque fin da subito. Non stava passando un buon momento, Andy, in quegli inizi degli anni ottanta. La sua arte era come se si fosse avvolta su se stessa, vuoto e mero artigianato. Jean-Michel fu una boccata di aria nuova.
Andy si ricordava ancora della prima volta che gli presentarono Jean-Michel. Erano alla Factory quando arrivò Bruno con quel ragazzino negro pieno di dreadlock. Avevano ideato un gioco. In cambio di una tela di Jean-Michel, Andy avrebbe ritratto il ragazzetto. Tutti si fermarono per pranzo, tutti tranne Jean-Michel, che corse immediatamente nel suo studio. Quando fu l'ora di mettersi a tavola, fece irruzione nella Factory l'assistente di Jean-Michel. Aveva in mano un ritratto di Andy appena fatto da Jean. Era ancora bagnato di pittura. Andy rimase a bocca aperta. "Sono veramente invidioso. E' più veloce di me!" furono le sue uniche parole. Nel quadro era dipinta una figurina infantile con ciocche di capelli che ornavano la testa. Sembrava una bambolina voodoo. Primitiva e stilizzata, riuscì però a cogliere la folle eccentricità di Andy, la sua tristezza e la sua dolcezza. Andy ne restò colpito e affascinato.
Andy era come un padre per Jean-Michel. Stare nel suo abbraccio protettivo era una sorta di calmante per lui. Andy lo abbracciava, lo accarezzava, lo baciava, lenendo i suoi patimenti, le sue sofferenze, i suoi demoni interiori. E Jean-Michel lo lasciava fare, grato di quel calore umano che pochi, prima d'ora, erano riusciti a dargli. Per i più, lui, era solo una macchina per far soldi o per spassarsela fra droga, sesso e bella vita. Lui era una star e tutti se ne approfittavano. Tranne Andy, che non ne aveva certamente bisogno. Lui, Andy, sapeva quale fosse il prezzo del successo. Lui lo comprendeva benissimo. "Su su, adesso calmati, Jean. Forza, tesoro, il tuo Andy è qui con te!". Jean-Michel si lasciò cullare e lentamente tornò in se.
Non era un problema per lui che Andy fosse omosessuale. A lui di queste barriere, di queste etichette, non era mai fregato un cazzo. Aveva avuto più di una storia gay in passato, anche se con Andy non ci era mai finito a letto. Quando era squattrinato e sconosciuto aveva addirittura fatto marchette per sopravvivere. C'erano uomini disposti a pagar bene pur di avere il suo enorme uccello. E Jean-Michel riuscì a sopravvivere grazie a questo. Aveva avuto anche brevi relazioni con altri uomini. Nulla di che, beninteso! Ma per Jean-Michel il sesso era come la droga o l'alcool. Non importava dove, quando, come, con chi. L'importante era sempre averne in eccesso, superare sempre il limite. Per lui il sesso era un modo per non rimanere solo, come invece la droga e l'alcool erano un mezzo per fuggire da se stesso.
Jean-Michel comunque preferiva la fica. Le donne lo adoravano. Facevano la fila pur di infilarsi nel suo letto. E lui non si tirava di certo indietro. Erano storie di una notte, di una settimana, al massimo di un mese. Poi lui immancabilmente finiva fra le cosce di qualcun 'altra. Solo Suzanne rappresentò veramente qualcosa per lui. Non che le fu fedele, tutt'altro. Suzanne lo lasciò più e più volte, salvo poi tornare fatalmente da lui. Se mai Jean-Michel amò una donna, quella fu Suzanne! Era una ragazza mezza palestinese nata in Canada, capelli neri color ebano e occhi verdi, alta, barista in una bettola. Jean-Michel perse immediatamente la testa. Suzanne divenne la sua ossessione. Fu un corteggiamento lento, l'unico di Jean-Michel. Ma quella ragazza doveva diventare sua. A quel tempo lui, diciannovenne, passava le notti sulle panchine dei parchi pubblici. Suzanne lo ospitò a casa sua. Non pagava l'affitto, ovviamente. Era letteralmente al verde. Dormiva per terra su dei cuscini, mentre riempiva la casa di disegni e dipinti. Suzanne se ne innamorò. E andò avanti ad amarlo per tutta la vita.
Forse solo per Louise provò lontanamente qualcosa di simile. Era l'autunno dell'82 quando Jean-Michel la incontrò al Mudd. Lui ormai era una star affermata. Andava in giro in limousine, con i suoi completi Armani sporchi di tempera e un mucchio di dollari stropicciati che gli uscivano dalle tasche, sempre strafatto di coca e crack. Louise abitava sulla Quarta, un quartiere loschissimo, pieno di gangster da strada. Era poverissima ma piena di sogni. Voleva diventare una cantante. Jean-Michel fu subito affascinato da quella ragazza. E presto si misero insieme. Lei aveva una carica erotica straordinaria. Quando scopavano facevano davvero scintille! Jean-Michel era completamente impazzito per quella ragazzina. Ma il suo stile di vita non andava molto d'accordo con quello di Louise. Lei era salutista, si svegliava presto al mattino per andare a correre, era precisa e metodica. Jean-Michel invece era quasi sempre strafatto, andava a letto all'alba e si svegliava alle cinque del pomeriggio. "Io non voglio più averci a che fare con tutta questa merda!" gli urlò in faccia Louise alla fine, prima di andarsene. Lei voleva diventare una cantante di successo, ecco quel che realmente voleva. E Jean-Michel rischiava di diventare un ostacolo. Lui era sicuro che prima o poi lei ce l'avrebbe fatta. Non gli piaceva la musica che faceva. A lui piacevano Charlie Parker, Dizzy Gillespie o al massimo Hendrix. Quello schifo commerciale che invece lei cantava gli faceva venire il voltastomaco. Ma avrebbe fatto successo, ne era sicuro. E poi, con quel nome d'arte che si era scelta, non poteva che sfondare. Madonna!
"Mi danno ancora del fottuto negro, Andy! Nonostante tutto quel che ho fatto, nonostante quel che sono diventato, per loro sono e rimarrò sempre un fottuto negro del cazzo. Non un artista, capisci! Ma un negro di merda, buono solo per fare graffiti!". Andy lo abbracciò ancor più forte. "Lasciali stare, Jean! Sono solo invidiosi del tuo talento. Certo che sei un artista, e il migliore che ci sia!". Jean-Michel socchiuse gli occhi. Quelle parole, dette da Andy, assumevano un significato del tutto particolare. Quelle parole, dette da Andy, erano la sua consacrazione in campo artistico.
Ne aveva fatta di strada, quel fottuto ragazzino negro. Figlio di immigranti haitiani e portoricani, aveva iniziato insieme all'amico Al Diaz. Jean-Michel sorrideva ancora adesso, carico di nostalgia, al solo ricordo di quei giorni. Correvano da una strada all'altra, da un muro all'altro, da un vagone della metropolitana all'altro, armati delle loro bombolette spray, lasciando il loro tag sui graffiti che producevano. SAMO era la loro indelebile firma, "same old shit", la solita vecchia merda di una società imbalsamata e stantia. Era la fine degli anni 70, e i nuovi ricchi di Wall Street assiepati nella Downtown iniziarono a strizzare l'occhio ai nuovi bohemien, in una nuova sorta di speculazione. Musica, moda e arte divennero un mix deflagrante per essere trend e fare soldi a palate. Per Jean-Michel fu il colpo di fortuna inaspettato. Tutti iniziarono a interessarsi a SAMO e così lui uscì dai bassifondi underground iniziando a frequentare le gallerie d'arte più rinomate. E più merda gettava addosso a quegli stronzi di ricchi collezionisti, più la sua fama aumentava.
Ma più diventava famoso, pieno di soldi e belle donne, e sempre più si sentiva solo, abbandonato, sfruttato. Solo la droga riusciva a farlo fuggire da tutto quello schifo ricoperto d'oro. Solo la droga riusciva a nasconderlo da se stesso. E poi arrivò Andy. Quel dannato genio dandy era il massimo in campo artistico. Per Jean-Michel era la stella polare a cui ispirarsi. E quando Andy lo accolse nella sua Factory e gli chiese di cooperare insieme a lui, beh, a quel punto Jean-Michel capì di essere definitivamente entrato nel firmamento dei grandi artisti. Cazzo, lui era Andy Warhol, il massimo in quel momento, e gli aveva chiesto a lui, fottuto negro, di dipingere insieme. Jean-Michel e Andy, il negro drogato e il biondino slavato. Jean-Michel e Andy, il graffitaro di Brooklyn e il genio indiscusso della pop-art. Jean-Michel e Andy!
Jean-Michel si staccò dall'abbraccio del suo amico. Lo fissò con occhi riconoscenti. "Ma sì, che si fottano tutti quanti!" sussurrò debolmente. Poi si voltò e uscì dall'appartamento di Warhol. Corse nel suo loft e si fece di coca e di crack, solo, tremendamente solo. Accese lo stereo. Charlie Parker, il suo preferito. Si stese sul letto. Il soffitto prese a girare vorticosamente. Finalmente Jean-Michel iniziò a stare bene. Che si fottessero tutti quanti!
Perché lui era Jean-Michel Basquiat, un bastardo negro del cazzo. Lui era Jean-Michel Basquiat, un grandissimo talento bruciato sull'altare del mercato. Lui era Jean-Michel Basquiat, il primo pittore nero nel mondo dell'arte dei bianchi. Perché lui era SAMO, una vita spesa contro la stessa vecchia merda!

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