La sfida stava per avere inizio. Lisisca era sicura della vittoria, talmente sicura che aveva scommesso con Marzia, la sua antagonista, di restituirle il doppio di quel che avrebbe guadagnato quella sera se non fosse riuscita a scoparsi durante la notte un intero plotone di uomini. Venticinque uccelli da soddisfare in poche ore era impresa davvero notevole, ma Lisisca era convinta del suo trionfo finale.
Mnemmone, il liberto che gestiva il postribolo dove Lisisca si prostituiva, già si sfregava le mani pregustando introiti fuori dall'ordinario. La voce si era sparsa velocemente in tutta l'Urbe e quella sera, ne era certo, ci sarebbe stata una bella fila fuori dalla sua porta. E tanti, ma tanti sesterzi, dentro la sua bisaccia.
Valeria, questo il vero nome di Lisisca, era una giovane davvero bella e avvenente, e solo i clienti più facoltosi potevano permettersi una scopata con lei. Ma quella sera sarebbe stato diverso. Quella sera contavano i numeri e anche stallieri e legionari sarebbero andati bene pur di raggiungere il suo folle obiettivo. Venticinque chiavate prima del sorgere del sole!
Mnemmone al solito le aveva riservato la stanza più lussuosa, che poi tanto lussuosa non era, anche se si trattava della migliore di tutta la Suburra. Valeria aveva scelto quel lupanare perché frequentato di sovente da gladiatori e ufficiali dell'esercito, uomini veri, uomini che la sapevano far godere. Ed era questo quel che contava per lei : godere.
Nessuno, nella sua famiglia, avrebbe mai immaginato che giungesse a ridursi in tal modo, squallida puttana in bordelli malfamati. Ne tanto meno lei. Figlia di un console, imparentata con la familia Giulio-Claudia, discendente del divo Augusto e con nelle vene sangue imperiale, era stata allevata fin dalla culla nei precetti della virtù romana tanto cara a Catone, discepola dei più stimati e rinomati retori e filosofi del tempo. La sua bellezza, poi, era assolutamente straordinaria, al pari della sua arguta intelligenza.
Ma tutto ciò non aveva importanza quella sera. In quel momento lei era Lisisca, la lupa, pronta a soddisfare venticinque verghe assatanate pur di poter celebrare il suo trionfo, quasi fosse un imperatore di ritorno da qualche vittoriosa spedizione.
Il primo ad arrivare fu Sabinus, suo assiduo cliente. Lisisca si era preparata a dovere. Era uscita furtiva dalla sua domus, senza farsi notare, scivolando lungo i muri degli edifici nella tiepida sera romana, completamente avvolta in un ampio mantello. Giunse nei vicoli maleodoranti della Suburra dove la povertà della plebe esalava i suoi mefitici olezzi. Puzzo di piscio e merda, sudore e cibo irrancidito, aglio e cipolle, caligine dei focolari e letame di animali. Un fremito le corse lungo il corpo appena prima di entrare nel lupanare. Era la lussuria che già le inumidiva la fica. E a breve avrebbe placato le sue immani voglie.
Sabinus sorrise in modo volgare nel vederla. "Ave, lupacchiotta! La mia verga è qui pronta per te!". Lisisca sollevò il sopracciglio in un gesto di sfida, come se volesse mettere alla prova le vanterie dell'uomo. Era già stesa sul letto di legno a lei riservato, un vero lusso per quei luoghi, con candide lenzuola fresche di bucato. Non erano molte le puttane a cui veniva riservato un simile trattamento.
Del resto Valeria era abituata a ben altro. La domus in cui era cresciuta era davvero bella, al limite dello sfarzoso. Ma ancor più bello era il palazzo in cui fu condotta dopo che si sposò. Nozze da lei non scelte, ma imposte dalla divinità imperiale. Aveva solo quindici anni ma al volere dell'augusto Gaio Cesare Germanico non si poteva certo dire di no. Fu sua madre, non certo entusiasta, a darle la notizia. "Si tratta di Claudio, zio dell'imperatore. Ha cinquant'anni ed è tutt'altro che attraente ma, ti prego, non fare storie perché è Caligola che vuole queste nozze".
Con l'imperatore non si poteva di certo scherzare, soprattutto se l'imperatore era Caligola. Un pazzo sanguinario, squilibrato, depravato oltre ogni limite, assetato di sangue e vendetta. No! Un tale invito non lo si poteva di certo rifiutare. Anche se lo sposo aveva trent'anni più di lei, balbuziente, zoppo, brutto, insignificante e per giunta scemo, a detta di molti. Ma un ordine di Caligola era pur sempre un ordine di Caligola.
Lisisca fissò Sabinus mentre si spogliava. Per Giove, il fisico di quell'uomo la faceva pulsare di voglie irrefrenabili. Muscoli guizzanti, corpo nerboruto, addominali scolpiti, braccia e gambe possenti, sguardo volitivo, volto duro e ruvido. Un vero uomo! E non poteva essere altrimenti, visto che era uno dei gladiatori più forti di Roma. Il suo ingresso nell'arena era sempre accolto con un grande boato della folla. Il nome veniva inneggiato quasi fosse un generale vittorioso. E Lisisca era pronta a scoparselo.
Sabinus si avvicinò con l'uccello già teso e palpitante. La puttana ne sorrise compiaciuta. "Usa la tua verga come impugni il gladio nell'arena, mi raccomando" lo esortò la donna. Sabinus sogghignò truce. "Ti impalerò come fossi il più fottutissimo mirmillone che abbia mai incontrato in combattimento, stanne certa, cagna. Ora voltati che ti prenderò come una vacca da monta".
Quasi non ebbe il tempo di voltarsi che le mani rudi e forti dell'uomo l'afferrarono per i fianchi. Sabinus non perse tempo e affondò il suo uccello nella vulva della donna, spingendo e fottendo come un ossesso. Lisisca iniziò a gemere sotto quella furia. E godette ancor di più quando Sabinus spostò le mani dai fianchi ai seni, straziandone avidamente i capezzoli. Oh sì, questo era un uomo, un vero uomo, non come quel cazzo moscio di suo marito!
Eppure con Claudio ebbe due figli. Eppure con Claudio all'inizio fu felice, nonostante le facesse ribrezzo, felice di giocare alla virtuosa matrona romana che accudiva i suoi pargoli, Claudia Ottavia e Cesare Britannico. Lei, Valeria, la novella Cornelia! Ma la vita di corte, unita alla noia di un marito insignificante, presto la traviarono. E la corte di Caligola era ciò che di più sfrenato vi potesse essere. Un mattatoio a orario continuo : complotti, delazioni, assassinii, torture, suicidii, orge, baccanali, feste, balli sfrenati. Finché un giorno, l'augusto imperatore, venne assassinato. L'esercito, senza esitazione, acclamò come successore proprio suo marito, il ridicolo Claudio, e d'improvviso Valeria si ritrovò sul trono del più importante impero del mondo.
Ma quella sera il trono sul quale voleva sedersi era quello del suo trionfo sessuale. E con determinazione si lanciò nella sfida. La notte correva veloce. I bracieri e le torce iniziavano a consumarsi. Dopo Sabinus ne vennero altri quattordici, che Lisisca soddisfece appieno. Fu dunque il turno di un oste che gestiva una bettola vicino al Circo Massimo, un tale di nome Curzio Quinto.
Era un uomo basso e tarchiato, con i denti guasti, un'insopportabile puzza di cipolla e sudore addosso, la tunica unta e sgualcita, il volto mal rasato e due occhi da porco assatanato. Ma quando si tolse gli indumenti a Lisisca quasi mancò il fiato. Non aveva mai visto un fallo di tali proporzioni, degno del miglior Priapo. Subito la fica le si bagnò di nuovo, fremente d'attesa per prendere quell'insperato dono di Giove.
Nonostante la stanchezza la donna attirò a sé l'uomo. Lui non si fece di certo pregare e con un colpo violento la penetrò facendola urlare di dolore. Ma la sofferenza ben presto svanì lasciando il posto a un immenso godimento nel venire scopata da quella verga davvero notevole. L'uomo era steso su di lei, con il volto che quasi affondava nei suoi capelli. La chiavava con una brutalità davvero insolita ma questo, a Lisisca, piaceva infinitamente.
A Valeria piaceva essere scopata da sconosciuti. Nei suoi sogni più sfrenati aveva addirittura desiderato di essere violentata nei vicoli fangosi della sua città, presa brutalmente da loschi e biechi individui. A Valeria piaceva poiché tutto ciò le era negato nella posizione che aveva assunto. E si annoiava, si annoiava tremendamente.
Sicché cercò di replicare la sfrontatezza della corte dell'augusto predecessore. A suo marito non dispiaceva organizzare orge dove il piatto forte fosse sua moglie, ordinando ai suoi cortigiani di soddisfare le sempre più crescenti voglie di Valeria. Come nel caso dell'attore Mnestere, convinto da Claudio a fottersi la moglie. Ma più passava il tempo e maggiore era l'insoddisfazione di Valeria. Considerava ormai i cortigiani dei mezzi uomini, non adatti all'ideale di virilità che lei desiderava.
E quel che lei bramava lo trovò nei lupanari della Suburra. Stanca di amori che non le lasciavano nulla, decise di anestetizzare il suo cuore vestendo i panni della puttana. Una parrucca bionda, la pelle depilata completamente, con i capezzoli dorati e gli occhi segnati da antimonio, sgattaiolava fuori dal palazzo imperiale con la complicità dei liberti e si dirigeva da Mnemmone, il quale le riservava la cella più bella, affrescata da poco, ordinata e pulita. Qui, con il nome di Lisisca, si concedeva a marinai e soldati, funzionari pubblici e bottegai maleodoranti. Qui non era più l'imperatrice a cui inchinarsi e compiacere. Qui era semplicemente una donna attraente e affascinante, per la quale gli uomini erano disposti a pagare pur di poterla possedere.
La notte correva veloce e l'alba si stava approssimando. Lisisca iniziava a essere stanca. La fica le bruciava e braccia e gambe tremavano dalla fatica. Ma la sfida non era ancora vinta e lei era determinata a portarla a compimento. Nel cubicolo a lei riservato la puzza di sesso consumato stava divenendo insopportabile. Le lenzuola erano intrise di sudore e sperma, fradice dei suoi stessi umori.
La tenda che fungeva da porta a quella alcova di piaceri a pagamento si aprì. Entrò il ventunesimo cliente. Un uomo dai capelli spettinati, ingrigiti dal tempo, con il volto abbronzato solcato da innumerevoli rughe e con un corpo virile e possente. Un soldato sicuramente. "Sono Decimo Manlio, centurione della Legio decima Gemina". Lisisca lo squadrò incuriosita. Le piacevano i legionari. Avevano un modo di scopare molto animalesco. E questo, a lei, dava molta soddisfazione.
"Bene, centurione. Cosa posso fare per te?" domandò sfrontata e ironica. L'uomo sollevò la tunica tenendo in mano il suo uccello. "Succhiamelo, puttana. Succhiamelo e bevi fino all'ultima goccia". Decimo si avvicinò e le spinse la verga in bocca. Lisisca non era preparata a quella veemenza. Ma non si tirò indietro. L'uomo le afferrò selvaggiamente i capelli, spingendo la sua nerchia sempre più in profondità. Lisisca stava quasi per soffocare, mentre violenti conati la facevano sussultare tutta quanta.
Decimo grugniva in modo sempre più osceno, mentre a lei iniziavano a scendere le lacrime per lo sforzo, con le mandibole che le dolevano tremendamente. Ma nulla la eccitava di più che tenere in bocca quell'uccello gonfio e teso, nel vedere quel centurione, abituato a mille battaglie, sussultare e gemere sotto la sua lingua quasi fosse la più imberbe delle reclute. Perché lei era Lisisca, l'imperatrice del sesso!
E in quanto imperatrice Valeria era ormai abituata a destreggiarsi nel mondo violento e osceno della corte romana. Aveva imparato in fretta, a dire il vero. Questione di sopravvivenza. C'era da tenere a bada quella maledetta di Agrippina, che faceva di tutto per spingere il proprio figlio Nerone sul trono. Valeria doveva stare attenta, se voleva che il suo Britannico succedesse al padre.
Iniziò a mettere in pratica tutto ciò che aveva imparato da Caligola. Congiure, traffici di tangenti, omicidi, delazioni. E soprattutto manipolare quello stolto del marito, sempre pronto a credere alle panzane che lei gli raccontava. A Valeria la gestione del potere piaceva. Poter disporre a proprio piacimento della vita altrui la esaltava, la eccitava. Quasi come un orgasmo! Veder morire sotto i suoi occhi un uomo, un nemico, era paragonabile a godere del corpo prestante di un gladiatore. Sesso, morte e potere. Valeria non poteva chiedere di meglio!
Il sole iniziò a sorgere sopra i tetti della città eterna poco dopo che il venticinquesimo cliente ebbe lasciato l'alcova di Lisisca. Aveva vinto la sfida. Ce l'aveva fatta. Sarebbe stata proclamata invicta! Stanca ma non sazia, si lasciò cadere pesantemente sul letto, ormai laido dopo una notte di folli scopate.
Si voltò appena ad accarezzare la statua di Priapo, suo protettore, posta su una piccola mensola lì a fianco. Le dita scivolarono delicatamente sul grande fallo della divinità, a cui Lisisca rivolse una preghiera di ringraziamento per la vittoria appena conseguita. Aveva il trucco ormai sfatto, il corpo stremato, puzzava di sudore, cazzo e sperma, ma nonostante questo era la donna più felice di Roma. Aveva ancora una volta dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, di essere la migliore.
Mnemmone entrò con un sorriso di condiscendenza. Anche lui era visibilmente soddisfatto per gli ingenti introiti della nottata. Come richiesto da Lisisca, appoggiò sulla piccola cassapanca ai piedi del letto un vassoio con una caraffa di eccellente Falerno e focaccine accompagnate dal garum. Il meglio che si potesse chiedere.
E non poteva essere altrimenti!
Perché lei era Valeria Messalina, figlia dell'ex console Marco Valerio Messalla Barbato, moglie del divo Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, imperatrice di Roma.