mercoledì 7 agosto 2013

FUOCO NELLE VENE di Andrea Lagrein






Erano giunti alla spicciolata, in piccoli gruppetti. Erano sbucati dal nulla attraverso la folta vegetazione della foresta. La gente del villaggio li stava aspettando da tempo. Le notizie erano volate di bocca in bocca e la promessa di libertà era elettrizzante come un temporale estivo. E quando giunsero li accolsero come eroi. Sono arrivati, sono arrivati. L'emozione era talmente grande da non poter essere trattenuta. Anche lei si lasciò contagiare. Anni di povertà e sopraffazione lasciavano ora il posto alla speranza di un domani migliore, un domani in cui poter rivendicare un futuro piu' sereno, un futuro non più da schiava di colonialisti stranieri. Perciò quando lui si avvicinò alla soglia della sua capanna e con estrema gentilezza le chiese dell'acqua, a lei si sciolse il cuore.
Aveva lunghi capelli scuri, folti e mossi come mare in tempesta. Una rada barbetta incolta incorniciava un viso da ragazzo. Il suo sorriso franco e sincero era disarmante. Ma i suoi occhi brillavano di una potenza inaudita. Proprio i suoi occhi la conquistarono. Uno sguardo penetrante e volitivo, uno sguardo in cui si leggeva che quel l'uomo mai si sarebbe fermato finché non avesse raggiunto il suo obiettivo. Erano gli occhi di un eroe, di quegli eroi di cui sua madre, quando era piccola, le raccontava nelle favole prima di addormentarsi.
Faceva caldo quel giorno. Quel caldo in cui quasi non si riesce a respirare. Faceva così caldo che il sudore copriva abbondantemente i corpi di tutti. Lei indossava un modesto vestito. Quel vestito, per via dell'afa, le aderiva completamente alla pelle, mettendo in mostra le sue generose forme. E lei si accorse che gli occhi di lui, famelici, le stavano mangiando il corpo. Un fremito le passo' fra le cosce.
Lo invito' ad entrare e gli servi' una caraffa di acqua fresca. Lui bevve avidamente. Più e più bicchieri. Tale era la sua frenesia che l'acqua gli colava dal mento, lungo il collo, inzuppandone il petto.
Lei lo osservava. E più lo osservava più una strana eccitazione avvampava in lei. Lui terminò di bere. Si passò il dorso della mano sulle labbra, che poi si aprirono in un largo sorriso di ringraziamento. Per lei fu il colpo di grazia.
Gli getto' le braccia al collo ed iniziò a baciarlo con passione. Semplicemente, non seppe resistere. E si lasciò andare. Lui rispose al bacio con altrettanto trasporto. L'abbraccio', la strinse a se, la sollevò di peso. Lei gli strappo' la camicia di dosso. Lui le sfilò il vestito. Lei infilo' la mano fra i suoi pantaloni fino ad afferrargli la sua dura erezione. Lui, con foga crescente, le tolse le mutandine, madide di sudore e degli umori della sua eccitazione.
Con furia ceca si buttarono sul pavimento. Lei gli cinse i fianchi con le cosce ben tornite. Lui la penetro' con impeto animalesco. Fecero l'amore così, come due sconosciuti, come due amanti che si ritrovavano dopo molto tempo, come due innamorati che si conoscevano da sempre.
Lui la fotteva come fosse l'ultima scopata della sua vita. Lei gli si dava con una passione come mai prima aveva sperimentato.
I due corpi sudati scivolavano l'uno sull'altro in una lotta senza quartiere. Mai nessuno prima d'ora l'aveva posseduta in quel modo. Lui aveva il fuoco nelle vene. La sua eccitazione era esplosiva. I suoi baci appassionati. Le sue voglie carnali. Il suo modo di prenderla selvaggio e maschio, tremendamente maschio. Pareva proprio che non ci fosse un domani in quella scopata, che il tutto si racchiudesse in quell'unico, sensazionale momento. E lei ci si abbandonò con tutta se stessa.
Dentro di lei, ad ogni suo affondo, sentiva tutta la forza, tutta la potenza, tutta la rabbia di quel ragazzo cresciuto prima del tempo, di quell'uomo che aveva conosciuto la morte, di quella persona che sognava un mondo migliore per se e per tutti gli sfruttati del mondo.
Dentro di lei, ad ogni suo affondo, sentiva la passione di chi brucia per un ideale.
E così raggiunsero l'estasi quasi all'unisono, in un grido liberatorio, appassionato, al limite del dolore fisico, oltre ogni confine del sublime. Lui riversò il suo seme in lei. Lei accolse i suoi fiotti nel copioso succo che inumidiva il suo sesso. Entrambi si strinsero in un ultimo furioso e ferino abbraccio. Dopo di che rimasero immobili l'uno sopra l'altra, senza alcuna parola, avvolti nel calore dei loro corpi, nel sudore delle loro voglie, nell'odore dei loro sessi, nel suono dei loro respiri ancora affannati.
Poi lui si rialzo'. Non c'era più tempo. La rivoluzione lo reclamava ancora una volta. Si rivestì. Le sorrise. Ancora quel sorriso spiazzante. Si calcò in testa il basco. Si allaccio' in vita il pesante cinturone.
"Ci rivedremo ancora?" chiese lei con un filo di voce. Lui sospirò. "Questa sera potrei già essere morto! Non posso far promesse!" sentenziò come se stesse dicendo delle ovvietà. "Come fai a vivere così?" chiese lei.
Lui la fisso'. Nuovamente quel sorriso disarmante. "O vittoria......o morte!". Si volto' per uscire.
"Posso almeno sapere il tuo nome?". Lui la guardo'. I suoi occhi si addolcirono. "Ernesto" rispose portandosi sulla soglia d'ingresso. E prima di andarsene per sempre, aggiunse : "Ma tutti mi chiamano El Che!"

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