mercoledì 20 novembre 2013

VENERE SFUGGENTE di Andrea Lagrein




Nel suo giovane corpo fasciato dal nulla risiedeva un’anima, una persona con i suoi desideri, pensieri, sentimenti, aspettative, dolori, gioie, tristezze, ignorati dai pellegrini di queste strade.
- ... guarda quella!
sulle loro alcove a quattro ruote, finestrino abbassato
- ... quanto vuoi amore?
e via con la cantilena del listino prezzi, si mercanteggia un po’
- ... e se te lo prendo in bocca io?
- Lo steso tessoro.
- D’accordo! Sali.
la portiera si spalanca, lei sale, il calesse del piacere si rimette in movimento lungo vie, muri, strade differenti eppure identiche nel gioco di ombre e luci, trasformismo da grande illusionista
- Come ti chiami piccola?
- Ana Paula e tu?
- Lorenzo.
- Sei di Milano?
- No no vengo da fuori, e tu da dove vieni?
- Sau Paulo Brasil
- Cazzo che bei posti! Ci dovrò andare prima o poi
- Che anni tu tieni?
- Trentatre e tu?
- Venti e uno
- Sei giovane
- Già! Tu es sposado?
- Sì! con un figlio
sempre uguali, gli stessi dialoghi, doverosa conversazione per ingannare il tempo prima di raggiungere la destinazione dove il suo giovane corpo verrà asperso da una lussuria estranea che non le appartiene, situazione partorita dalla necessità, che cazzo m’importa chi sia questo Lorenzo, è solo lavoro, soldi, per tenere accesa la speranza, la speranza poi di cosa? Per poter vivere la propria femminilità interiore senza dover ascoltare ogni notte queste frasi idiote.
- Gira dietro chela machina, cossì bravo
una stradina chiusa, poco illuminata, lunga teoria di automobili parcheggiate appartenenti a chi di questi problemi non ne ha, o forse sì, ma non ha importanza. La vettura ferma, i fanali spenti, le sue dita ingorde sulla sua coscia annoiata
- Prema i soldi tessoro
fruscìo di banconote che rapide vengono inabissate nello stivale, scricchiolio del sedile mentre viene reclinato, lei che si stende si sfila gli slip e divarica le gambe, lui che si china ed afferra ciò che impedisce a lei di essere veramente donna, qualche movimento verticale per erigere ancora una volta la sua consapevolezza di essere fisicamente uomo, quindi le labbra e la lingua a inumidire il tormento della sua femminilità nascosta dai lampioni del mestiere, ma ben desta sotto quei vestiti da mignotta sudamericana, indifferente al libidinoso con il quale ora si trova, qualche frase per lusingare la lascivia di questo succhiatore di impossibili gocce di latte al silicone
- Dio tessoro che boca calda che tu tieni! Ah Dio, cossì, cossì, gustosso sì...
e lui che aumenta il ritmo come spronato da queste parole mentre lei aiuta il movimento con le mani fra i suoi capelli, e la sua destata mascolinità che sta per esplodere
- Adeso basta tessoro si no vengo
- Vieni, vieni!
Mugugna con la voce rotta dal perverso piacere
- No puede, devo lavorar...
lui che si stacca
- Cazzo! Mi piaceva così tanto, la prosima vuelta me dai de più e andiamo a cassa mea sta bien?
cliente dopo cliente le medesime azioni, le medesime parole, i medesimi olezzi disciolti su volti sempre differenti già scordati alla chiusura della portiera, nudità accettate con indifferenza sotto lune dal sapore aspro.
Seduta su uno sgabello fissava la sua immagine allo specchio, faro inesorabile di dualismi incompresi, facili prede dei cacciatori di spicciole morali assetati del sangue del diverso, forti di sentenze decretate da chissà chi e chissà dove, all’ombra di una croce o in un salotto per bene, perseguitati per equivoci genetici e scelte obbligate, ma lei ormai non vi badava più, che cazzo! Di giorno mi sputano addosso, di notte cercano i miei baci, che cazzo! Di giorno tracciano svastiche sui miei muri, di notte pagano per il mio culo, che cazzo! Di giorno parlano di ghetti per nascondermi, di notte visitano i marciapiedi del peccato, il segreto è non farci più caso, seduta su uno sgabello si accarezzava il seno gonfio di chirurgia plastica, illusione di una vagina che non c’è e non ci sarà mai, ma è davvero così importante un buco per determinare la psicologia d’una persona? Sì, no, graffiti confusi su membra venute da lontano da baracche, da povertà, da emarginazione, finocchio finocchio mi gridavano i miei amici nella calura di immondezzai mai sopportati. Seduta su uno sgabello lasciava scivolare su di sé il profumo pungente, aroma di carezze e baci ricevuti con la stessa indifferenza di quelli dati alle fanciulle delle mie baracche, per dimostrare che anch’io, cazzo, sono uguale a voi, non sono diverso, ma quando poi Isabella prese in mano il mio sesso e lo trovò moscio, quando poi Maria lo prese in bocca e sempre moscio rimase, quando poi Ramona aprì le gambe senza sortire alcun effetto, capìi allora che ero immune dall’eccitazione dei miei amichetti, e cominciai a cercare altrove la mia identità. Seduta su uno sgabello fissava allo specchio la sua trovata personalità, un reggiseno più nero della notte che fascia a stento queste mie tette più tette delle tette della più formosa femmina, desiderio di sospiranti mani maschili, velate autoreggenti cingenti queste mie gambe da lamette monouso che fanno invidia a fotomodelle da passerelle, copertine, cartelloni pubblicitari, rossetti, trucchi, acconciature da professionista di tacchi a spillo e borsetta ondeggiante. Anna Paula guardava ciò che appariva agli avventori di strade e carezze a pagamento, ma vi era altro oltre all’immagine di mercenaria che contemplava, altro di cui solo io conosco l’esistenza, Cristo! Nessuno s’è mai fermato a parlarmi, nessuno se n’era mai interessato, vogliono solo insalivare o essere insalivati, indifferenti a chi sta dietro a questa mia impalcatura, attratti solo dalle pubblicità su due gambe di questi marciapiedi. Seduta su uno sgabello si rimirava rimirando la donna che era, nonostante la voce tenorile e il grosso uccello, non aveva importanza perché lei si sentiva donna, sì! Sono donna, sì! Era donna perché se lo sentiva dentro, e questo era più che sufficiente.
Cerca di smorzare il tuo livido rancore Garcia, vecchio padre dai dettami radicati nell’alba dei tempi insensibili a cervelli differenti dal così fu, così è sempre stato, così dev’essere ora, dimenticami se ciò ti fa sentir meglio, vecchio padre frutto di incroci fra i corazzati conquistadores e i nudi indios, partorito dalla giusta civiltà sanguinaria giunta all’insegna d’una croce e l’incolta barbarie di genti la cui unica colpa era essere altro, ma dimenticarmi non cambierà la mia natura che così faticosamente sono giunta a comprendere, vecchio padre sempre in cerca d’un lavoro in quell’angolo fatto di catapecchie di lamiera, al riparo delle quali sfondavi nostra madre, pace all'anima sua, per sentirti un vero uomo e farci imparare come si comporta un vero uomo.
- Non entrare che ci sono mamma e papà.
sbuffi, sbuffi, colpi da percussionista volenteroso
- Ma devo far pipì
- Vai a pisciare dietro al muro
- Vecchio padre, io andavo a pisciare dietro al muro, in strade polverose ricoperte dalla più povera delle povertà, ma quel rumore tambureggiava così forte nei miei timpani che dovevo coprirmeli con le mani del tanto la tua mascolinità sradicava la mia ingenuità infantile.
Stava immobile su quel ritaglio di asfalto che ormai le apparteneva per diritto grazie alle innumerevoli ore notturne, trascorse sotto qualsiasi cielo, madido di nuvole e piogge o lindo e stellato, sotto acquazzoni, nevicate, , venti, nebbie, calure e afosità d’ogni tipo, in una vetrina senza vetro ad attendere il prossimo portafogli, con rossetti al gusto di fragola, mela, amarena, vaniglia, per meglio insaporire gli olezzi della cupidigia a buon mercato, il sapore di vecchi rugosi e i liquami di giovani virgulti in cerca del brivido di facile sesso, ottenuto senza regali di compleanni, anniversari, Natali.
- Stronzo! Trovati una ragazza da amare ed essere amato, da poter stringere come io vorrei un uomo tutto mio, per essere vezzeggiata e coccolata e potergli dare un figlio dal mio grembo, e allattarlo al mio capezzolo, ma non posso, perché Garcia, vecchio padre, vedendomi appena nata giustamente mi diede il nome di Pablo.
- Guarda quanto è maschio questo mio nuovo figlio!
diceva a tutti mostrandomi nudo, non sapendo dello scherzo che il destino gli avrebbe tirato.
- Stronzo! Trovati una ragazza...
perché lei era troppo maschio per essere una donna
- ti posso baciare, ti posso leccare, ti posso succhiare, ma non potrò mai essere la ragazza da amare ed essere amato, nonostante tu mi dica ti amo amore mio, sotto l’effetto dell’attualità dell’orgasmo compreso nel prezzo. Altro giro, altra corsa. Inserisci il gettone e la giostra si rimette in movimento eseguendo ogni tuo desiderio, portandoti in quell’inferno mascherato da paradiso, preteso dalle banconote che mi hai allungato, rantoli, sudori, sussulti, cosce, braccia, profumi sovrapposti, frasi lusinghiere, bugie, ormonali liquidi al dettaglio, passioni all’ingrosso, amori ammortizzati da ammortizzatori dei più svariati modelli di automobili. Stronzo! Guardo il tuo giovane volto e provo invidia per quel che tu potresti avere ed io non ho, per ciò che non cerchi ed io vorrei, ma se vuoi la mia lingua sul tuo cazzo di matricola universitaria va bene, dammi i soldi che il mio lavoro è questo, ora ti invidio e provo rabbia ma appena scesa dal tuo carrozzone ti avrò già dimenticato, come tutti gli altri, che il suo lavoro era questo.
Si svegliava alle due del pomeriggio stiracchiando le gambe nel lenzuolo azzurro, si guardava nello specchio a muro e contemplava la perfezione del suo giovane corpo femminile, i suoi lineamenti delicati e allo stesso tempo provocanti.
- Dio! Farei impazzire qualsiasi uomo, salvo poi indugiare su quei ventidue centimetri in eccedenza e maledire il giorno in cui Garcia, vecchio padre, mi mostrasti nudo a tutti esultando per quel maschio che più maschio non si può. L’ho fatto io, cazzo! È mio, maledetti i tuoi spermatozoi Garcia vecchio padre, spermatozoi di vero uomo, uomo che vorrei stringere e fare mio e amare alla luce del sole solo che non puoi Anna Paula al secolo Pablo
- Ti devi nascondere, vai contro natura, sei uno schifoso, vergognati finocchio, finocchio
mi gridavano i miei amici anche quando decisi di andarmene e me ne stavo andando, neanche un saluto, un sorriso mentre lasciavo alle mie spalle la calura di quel letamaio che non mi capì e non mi accettò, neanche una mano amica o una frase gentile - addio Pablo buona fortuna - no! Solo cori di scherno di gente che si faceva forza nel numero e cacciava il diverso in quanto tale, perché il diverso fa sempre paura in quanto tale, e tu Garcia, vecchio padre, acconsentisti a tutto ciò, anzi fosti il primo a salire sulle barricate dell’ottusità e a urlare più forte di tutti. 
- Vattene schifoso, che non ti conosco più, sei la mia vergogna, madre de Dios, uno lavora tutta una vita si spezza la schiena, cresce i propri figli come è giusto che debbano crescere, perché è sempre stato così, e poi si ritrova un finocchio in casa. Vattene che mi hai spezzato il cuore!
e lei abbandonava, abbandonata, quell’immondezzaio che era l’unica cosa che aveva per andare non si sa dove, ma con la speranza di poter essere finalmente ciò che era. Ma, cara Anna, nemmeno all’ombra dell’angolo più scuro del paese più sconosciuto potrai evitare i millenari pregiudizi di menti coltivate con le sementi della piccolezza, cara Anna te ne accorgesti ben presto, ancor prima di giungere fra questi asfalti uguali a tutti gli altri che ti desiderano per l’eccitazione del momento, fregandosene della tua storia di principessa imprigionata tra i bastioni di una roccaforte maschile.
Baciata dal sole passeggiava solitaria fra queste vie straniere recandosi a fare spese utili ed inutili, corazzata di mascara, cipria, rimmel, incurante degli sguardi altrui e dei ghigni di ragazzini allattati alla tetta dell’ovvio, visitando negozi e sfidando la cattiveria di bottegai troppo simili a te Garcia, vecchio padre, che la gente anche se divisa da migliaia di miglia e secoli di tempi, su certe cose, è fin troppo unita.
- Garcia, vecchio padre, non ti rividi più, non so nemmeno se il verme sta indugiando sulle tue fredde carni o se stai ancora ribadendo la tua virilità con giovani fiche, visto che nostra madre, pace all’anima sua, la sfondasti fino all’ultimo, e nostro Signore per pietà la richiamò al suo fianco. Garcia, vecchio padre, andai a San Paolo ed anche lì trovai le stesse difficoltà, solo che trovai anche più indifferenza ed imparai a nascondermi come è giusto che si debba nascondere il reietto, solo che lei non aveva nessuna colpa, che colpa ho se il destino ha fatto in modo che potessi amare gli uomini, visto che mi sento donna, nonostante la tua fierezza, Garcia, vecchio padre, nell’aver messo al mondo un nuovo maschio che più maschio non si può. Colpe non ne hai, cara Anna, sono colpe altrui che ti vengono riversate addosso in nome di una natura innaturale che non tiene conto dei sentimenti ma solo di ataviche apparenze, e per queste colpe dovrai scontare la tua pena di asfalti brulicanti di indifferenza e piaceri comprati con qualche banconota. Cara Anna, grida forte il tuo diritto, la tua libertà ad essere ciò che sei, ciò che vuoi, che in fondo non hai mai fatto nulla di male, non hai mai nuociuto a nessuno. Esatto, dolce Anna, ma sei andata contro una tradizione che il maschio è maschio perché fotte la donna con tutta la sua mascolinità, e la donna è donna perché viene fottuta da tutta la mascolinità del maschio, perché un maschio non può essere fottuto altrimenti che maschio è? E non conta ciò che provi ciò che senti, madre de Dios, tutto si divide in fottere o essere fottuti, è così che vanno le cose, cara Anna, e il tuo seno non ha alcun valore perché quando nascesti Garcia, vecchio padre, ti mostrò nudo e pianse ringraziando Dio per avergli concesso ancora un altro figlio maschio, che cazzo! Perché il mondo è degli uomini, è di chi porta i pantaloni, capisci Anna Paula? E Garcia, vecchio padre, non è il solo a pensarla così, e chi ha di queste idee non potrà mai accettarti per quello che sei realmente, perché ha orecchie solamente per la tua voce tenorile e occhi solamente per quei ventidue centimetri di virilità, sicché sei costretta a salire in auto con Riccardo e a spalmare di libidine Antonio dai gusti nascosti, chè questo è il tuo lavoro. Giusto, Anna Paula, perché se si continuerà a pensare in questo modo quello sarà il tuo unico solo lavoro.
Cara Anna narrami la tua diversità perché in tutta questa diversità siamo uguali tu, io, il casellante, la barista, il lettore di queste pagine, perché è la persona con i suoi sentimenti e i suoi pensieri che conta, e non le lenzuola frequentate, e allora non ci resta che fuggire scomparire nascondersi dietro un muro, una lattina di birra, un rossetto, una palma, una penna con cui annotare le proprie sconfitte e delusioni, cazzo! Garcia, vecchio padre, si affanna tra la sua normalità e le sue vagine perché, madre de Dios, - sono un vero uomo io - , e ti ha scacciata. I tuoi amichetti d’un tempo, fra i primi seni e le prime cosce, non erano pronti a concepire altri cieli che non fosse il loro e ti derisero, e ora sei qui, in auto, per l’ultimo tuo viaggio su questi viali, con l’ultimo cliente di cui già non ricordi più il nome, ma non importa perché questo è il tuo lavoro, niente nomi, niente volti, niente passati, solo sesso di pochi minuti scivolato fra una banconota e una sigaretta, ritmato da autoradio sempre differenti, dalle più svariate colonne sonore, mentre ti sfili gli slip sotto la pressante richiesta di questo tuo ultimo cliente, sotto un manto di stelle che non conosci e che presto abbandonerai. Fuggiamo cara Anna, che non ci resta altro, fuggire da tutto e da tutti, dove non si sa, ma è sempre meglio di questo lampione di solitudini ataviche e mentre lui si affanna attorno al tuo corpo tu pensi al biglietto d’aereo che hai in borsa, al cielo azzurro infinito, sola e sconfitta ritorni da dove sei venuta, solo e sconfitto rimango in questo mio freddo inverno a cantare la storia di Anna Paula e della sua ambiguità, la storia di una donna imprigionata in un uomo ma pur sempre donna
- Sì! Sono donna, sì!
Era donna perché se lo sentiva dentro e questo era più che sufficiente.

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