***PAGINE DEGLI AUTORI ***
VENERE SFUGGENTE di Andrea Lagrein
Nel suo giovane corpo fasciato dal nulla risiedeva un’anima, una
persona con i suoi desideri, pensieri, sentimenti, aspettative, dolori, gioie,
tristezze, ignorati dai pellegrini di queste strade.
- ... guarda quella!
sulle loro alcove a quattro ruote, finestrino abbassato
- ... quanto vuoi
amore?
e via con la cantilena del listino prezzi, si mercanteggia un
po’
- ... e se te lo prendo in bocca io?
- Lo steso tessoro.
- D’accordo! Sali.
la portiera si spalanca, lei sale, il calesse del piacere si rimette in
movimento lungo vie, muri, strade differenti eppure identiche nel gioco di
ombre e luci, trasformismo da grande illusionista
- Come ti chiami
piccola?
- Ana Paula e tu?
- Lorenzo.
- Sei di Milano?
- No no vengo da fuori, e
tu da dove vieni?
- Sau Paulo Brasil
- Cazzo che bei posti! Ci dovrò
andare prima o poi
- Che anni tu tieni?
- Trentatre e tu?
- Venti e uno
- Sei
giovane
- Già! Tu es sposado?
- Sì! con un figlio
sempre uguali, gli stessi
dialoghi, doverosa conversazione per ingannare il tempo prima di
raggiungere la destinazione dove il suo giovane corpo verrà asperso da
una lussuria estranea che non le appartiene, situazione partorita dalla
necessità, che cazzo m’importa chi sia questo Lorenzo, è solo lavoro,
soldi, per tenere accesa la speranza, la speranza poi di cosa? Per poter
vivere la propria femminilità interiore senza dover ascoltare ogni
notte queste frasi idiote.
- Gira dietro chela machina, cossì bravo
una
stradina chiusa, poco illuminata, lunga teoria di automobili parcheggiate
appartenenti a chi di questi problemi non ne ha, o forse sì, ma non ha
importanza. La vettura ferma, i fanali spenti, le sue dita ingorde sulla
sua coscia annoiata
- Prema i soldi tessoro
fruscìo di banconote che
rapide vengono inabissate nello stivale, scricchiolio del sedile mentre
viene reclinato, lei che si stende si sfila gli slip e divarica le
gambe, lui che si china ed afferra ciò che impedisce a lei di essere
veramente donna, qualche movimento verticale per erigere ancora una
volta la sua consapevolezza di essere fisicamente uomo, quindi le labbra
e la lingua a inumidire il tormento della sua femminilità nascosta dai
lampioni del mestiere, ma ben desta sotto quei vestiti da mignotta
sudamericana, indifferente al libidinoso con il quale ora si trova,
qualche frase per lusingare la lascivia di questo succhiatore di
impossibili gocce di latte al silicone
- Dio tessoro che boca calda che
tu tieni! Ah Dio, cossì, cossì, gustosso sì...
e lui che aumenta il ritmo come
spronato da queste parole mentre lei aiuta il movimento con le mani fra
i suoi capelli, e la sua destata mascolinità che sta per esplodere
- Adeso basta tessoro si no vengo
- Vieni, vieni!
Mugugna con la voce rotta
dal perverso piacere
- No puede, devo lavorar...
lui che si stacca
- Cazzo!
Mi piaceva così tanto, la prosima vuelta me dai de più e andiamo a cassa
mea sta bien?
cliente dopo cliente le medesime azioni, le medesime
parole, i medesimi olezzi disciolti su volti sempre differenti già
scordati alla chiusura della portiera, nudità accettate con indifferenza
sotto lune dal sapore aspro.
Seduta su uno sgabello fissava la sua
immagine allo specchio, faro inesorabile di dualismi incompresi, facili
prede dei cacciatori di spicciole morali assetati del sangue del
diverso, forti di sentenze decretate da chissà chi e chissà dove,
all’ombra di una croce o in un salotto per bene, perseguitati per
equivoci genetici e scelte obbligate, ma lei ormai non vi badava più,
che cazzo! Di giorno mi sputano addosso, di notte cercano i miei baci,
che cazzo! Di giorno tracciano svastiche sui miei muri, di notte pagano
per il mio culo, che cazzo! Di giorno parlano di ghetti per nascondermi,
di notte visitano i marciapiedi del peccato, il segreto è non farci più
caso, seduta su uno sgabello si accarezzava il seno gonfio di chirurgia
plastica, illusione di una vagina che non c’è e non ci sarà mai, ma è
davvero così importante un buco per determinare la psicologia d’una
persona? Sì, no, graffiti confusi su membra venute da lontano da
baracche, da povertà, da emarginazione, finocchio finocchio mi gridavano i
miei amici nella calura di immondezzai mai sopportati. Seduta su uno
sgabello lasciava scivolare su di sé il profumo pungente, aroma di
carezze e baci ricevuti con la stessa indifferenza di quelli dati alle
fanciulle delle mie baracche, per dimostrare che anch’io, cazzo, sono
uguale a voi, non sono diverso, ma quando poi Isabella prese in mano il
mio sesso e lo trovò moscio, quando poi Maria lo prese in bocca e sempre
moscio rimase, quando poi Ramona aprì le gambe senza sortire alcun
effetto, capìi allora che ero immune dall’eccitazione dei miei amichetti, e
cominciai a cercare altrove la mia identità. Seduta su uno sgabello
fissava allo specchio la sua trovata personalità, un reggiseno più nero
della notte che fascia a stento queste mie tette più tette delle tette
della più formosa femmina, desiderio di sospiranti mani maschili, velate
autoreggenti cingenti queste mie gambe da lamette monouso che fanno
invidia a fotomodelle da passerelle, copertine, cartelloni pubblicitari,
rossetti, trucchi, acconciature da professionista di tacchi a spillo e
borsetta ondeggiante. Anna Paula guardava ciò che appariva agli
avventori di strade e carezze a pagamento, ma vi era altro oltre
all’immagine di mercenaria che contemplava, altro di cui solo io conosco
l’esistenza, Cristo! Nessuno s’è mai fermato a parlarmi, nessuno se
n’era mai interessato, vogliono solo insalivare o essere insalivati,
indifferenti a chi sta dietro a questa mia impalcatura, attratti solo
dalle pubblicità su due gambe di questi marciapiedi. Seduta su uno
sgabello si rimirava rimirando la donna che era, nonostante la voce
tenorile e il grosso uccello, non aveva importanza perché lei si sentiva
donna, sì! Sono donna, sì! Era donna perché se lo sentiva dentro, e
questo era più che sufficiente.
Cerca di smorzare il tuo livido
rancore Garcia, vecchio padre dai dettami radicati nell’alba dei tempi
insensibili a cervelli differenti dal così fu, così è sempre stato, così
dev’essere ora, dimenticami se ciò ti fa sentir meglio, vecchio padre
frutto di incroci fra i corazzati conquistadores e i nudi indios,
partorito dalla giusta civiltà sanguinaria giunta all’insegna d’una
croce e l’incolta barbarie di genti la cui unica colpa era essere altro,
ma dimenticarmi non cambierà la mia natura che così faticosamente sono
giunta a comprendere, vecchio padre sempre in cerca d’un lavoro in
quell’angolo fatto di catapecchie di lamiera, al riparo delle quali
sfondavi nostra madre, pace all'anima sua, per sentirti un vero uomo e
farci imparare come si comporta un vero uomo.
- Non entrare che ci sono
mamma e papà.
sbuffi, sbuffi, colpi da percussionista volenteroso
- Ma devo
far pipì
- Vai a pisciare dietro al muro
- Vecchio padre, io andavo a
pisciare dietro al muro, in strade polverose ricoperte dalla più povera
delle povertà, ma quel rumore tambureggiava così forte nei miei timpani
che dovevo coprirmeli con le mani del tanto la tua mascolinità sradicava
la mia ingenuità infantile.
Stava immobile su quel ritaglio di
asfalto che ormai le apparteneva per diritto grazie alle innumerevoli
ore notturne, trascorse sotto qualsiasi cielo, madido di nuvole e piogge o
lindo e stellato, sotto acquazzoni, nevicate, , venti, nebbie, calure e
afosità d’ogni tipo, in una vetrina senza vetro ad attendere il prossimo
portafogli, con rossetti al gusto di fragola, mela, amarena, vaniglia, per
meglio insaporire gli olezzi della cupidigia a buon mercato, il sapore
di vecchi rugosi e i liquami di giovani virgulti in cerca del brivido di
facile sesso, ottenuto senza regali di compleanni, anniversari, Natali.
- Stronzo! Trovati una ragazza da amare ed essere amato, da poter stringere
come io vorrei un uomo tutto mio, per essere vezzeggiata e coccolata e
potergli dare un figlio dal mio grembo, e allattarlo al mio capezzolo, ma
non posso, perché Garcia, vecchio padre, vedendomi appena nata giustamente
mi diede il nome di Pablo.
- Guarda quanto è maschio questo mio nuovo
figlio!
diceva a tutti mostrandomi nudo, non sapendo dello scherzo che il
destino gli avrebbe tirato.
- Stronzo! Trovati una ragazza...
perché lei era
troppo maschio per essere una donna
- ti posso baciare, ti posso leccare,
ti posso succhiare, ma non potrò mai essere la ragazza da amare ed essere
amato, nonostante tu mi dica ti amo amore mio, sotto l’effetto
dell’attualità dell’orgasmo compreso nel prezzo. Altro giro, altra corsa. Inserisci il gettone e la giostra si rimette in movimento eseguendo ogni
tuo desiderio, portandoti in quell’inferno mascherato da paradiso,
preteso dalle banconote che mi hai allungato, rantoli, sudori, sussulti, cosce, braccia, profumi sovrapposti, frasi lusinghiere, bugie, ormonali
liquidi al dettaglio, passioni all’ingrosso, amori ammortizzati da
ammortizzatori dei più svariati modelli di automobili. Stronzo! Guardo
il tuo giovane volto e provo invidia per quel che tu potresti avere ed
io non ho, per ciò che non cerchi ed io vorrei, ma se vuoi la mia lingua
sul tuo cazzo di matricola universitaria va bene, dammi i soldi che il
mio lavoro è questo, ora ti invidio e provo rabbia ma appena scesa dal
tuo carrozzone ti avrò già dimenticato, come tutti gli altri, che il suo
lavoro era questo.
Si svegliava alle due del pomeriggio
stiracchiando le gambe nel lenzuolo azzurro, si guardava nello specchio a
muro e contemplava la perfezione del suo giovane corpo femminile, i suoi
lineamenti delicati e allo stesso tempo provocanti.
- Dio! Farei
impazzire qualsiasi uomo, salvo poi indugiare su quei ventidue
centimetri in eccedenza e maledire il giorno in cui Garcia, vecchio padre,
mi mostrasti nudo a tutti esultando per quel maschio che più maschio
non si può. L’ho fatto io, cazzo! È mio, maledetti i tuoi spermatozoi
Garcia vecchio padre, spermatozoi di vero uomo, uomo che vorrei stringere
e fare mio e amare alla luce del sole solo che non puoi Anna Paula al
secolo Pablo
- Ti devi nascondere, vai contro natura, sei uno schifoso,
vergognati finocchio, finocchio
mi gridavano i miei amici anche quando
decisi di andarmene e me ne stavo andando, neanche un saluto, un sorriso
mentre lasciavo alle mie spalle la calura di quel letamaio che non mi
capì e non mi accettò, neanche una mano amica o una frase gentile - addio
Pablo buona fortuna - no! Solo cori di scherno di gente che si faceva
forza nel numero e cacciava il diverso in quanto tale, perché il diverso
fa sempre paura in quanto tale, e tu Garcia, vecchio padre, acconsentisti a
tutto ciò, anzi fosti il primo a salire sulle barricate dell’ottusità e
a urlare più forte di tutti.
- Vattene schifoso, che non ti conosco più,
sei la mia vergogna, madre de Dios, uno lavora tutta una vita si spezza la
schiena, cresce i propri figli come è giusto che debbano crescere, perché
è sempre stato così, e poi si ritrova un finocchio in casa. Vattene che
mi hai spezzato il cuore!
e lei abbandonava, abbandonata,
quell’immondezzaio che era l’unica cosa che aveva per andare non si sa
dove, ma con la speranza di poter essere finalmente ciò che era. Ma, cara
Anna, nemmeno all’ombra dell’angolo più scuro del paese più sconosciuto
potrai evitare i millenari pregiudizi di menti coltivate con le sementi
della piccolezza, cara Anna te ne accorgesti ben presto, ancor prima di
giungere fra questi asfalti uguali a tutti gli altri che ti desiderano
per l’eccitazione del momento, fregandosene della tua storia di
principessa imprigionata tra i bastioni di una roccaforte maschile.
Baciata dal sole passeggiava solitaria fra queste vie straniere
recandosi a fare spese utili ed inutili, corazzata di mascara, cipria, rimmel, incurante degli sguardi altrui e dei ghigni di ragazzini
allattati alla tetta dell’ovvio, visitando negozi e sfidando la
cattiveria di bottegai troppo simili a te Garcia, vecchio padre, che la
gente anche se divisa da migliaia di miglia e secoli di tempi, su certe
cose, è fin troppo unita.
- Garcia, vecchio padre, non ti rividi più, non so
nemmeno se il verme sta indugiando sulle tue fredde carni o se stai
ancora ribadendo la tua virilità con giovani fiche, visto che nostra
madre, pace all’anima sua, la sfondasti fino all’ultimo, e nostro Signore
per pietà la richiamò al suo fianco. Garcia, vecchio padre, andai a San
Paolo ed anche lì trovai le stesse difficoltà, solo che trovai anche più
indifferenza ed imparai a nascondermi come è giusto che si debba
nascondere il reietto, solo che lei non aveva nessuna colpa, che colpa
ho se il destino ha fatto in modo che potessi amare gli uomini, visto che
mi sento donna, nonostante la tua fierezza, Garcia, vecchio padre,
nell’aver messo al mondo un nuovo maschio che più maschio non si può. Colpe non ne hai, cara Anna, sono colpe altrui che ti vengono riversate
addosso in nome di una natura innaturale che non tiene conto dei
sentimenti ma solo di ataviche apparenze, e per queste colpe dovrai
scontare la tua pena di asfalti brulicanti di indifferenza e piaceri
comprati con qualche banconota. Cara Anna, grida forte il tuo
diritto, la tua libertà ad essere ciò che sei, ciò che vuoi, che in fondo
non hai mai fatto nulla di male, non hai mai nuociuto a nessuno. Esatto,
dolce Anna, ma sei andata contro una tradizione che il maschio è maschio
perché fotte la donna con tutta la sua mascolinità, e la donna è donna
perché viene fottuta da tutta la mascolinità del maschio, perché un
maschio non può essere fottuto altrimenti che maschio è? E non conta ciò
che provi ciò che senti, madre de Dios, tutto si divide in fottere o
essere fottuti, è così che vanno le cose, cara Anna, e il tuo seno non ha
alcun valore perché quando nascesti Garcia, vecchio padre, ti mostrò nudo e
pianse ringraziando Dio per avergli concesso ancora un altro figlio
maschio, che cazzo! Perché il mondo è degli uomini, è di chi porta i
pantaloni, capisci Anna Paula? E Garcia, vecchio padre, non è il solo a
pensarla così, e chi ha di queste idee non potrà mai accettarti per
quello che sei realmente, perché ha orecchie solamente per la tua voce
tenorile e occhi solamente per quei ventidue centimetri di virilità,
sicché sei costretta a salire in auto con Riccardo e a spalmare di
libidine Antonio dai gusti nascosti, chè questo è il tuo lavoro. Giusto,
Anna Paula, perché se si continuerà a pensare in questo modo quello sarà
il tuo unico solo lavoro.
Cara Anna narrami la tua diversità perché
in tutta questa diversità siamo uguali tu, io, il casellante, la barista,
il lettore di queste pagine, perché è la persona con i suoi sentimenti e i
suoi pensieri che conta, e non le lenzuola frequentate, e allora non ci
resta che fuggire scomparire nascondersi dietro un muro, una lattina di
birra, un rossetto, una palma, una penna con cui annotare le proprie
sconfitte e delusioni, cazzo! Garcia, vecchio padre, si affanna tra la sua
normalità e le sue vagine perché, madre de Dios, - sono un vero uomo io - , e ti ha scacciata. I tuoi amichetti d’un tempo, fra i primi seni e le prime
cosce, non erano pronti a concepire altri cieli che non fosse il loro e ti derisero, e ora sei qui, in auto, per l’ultimo tuo viaggio su questi
viali, con l’ultimo cliente di cui già non ricordi più il nome, ma non
importa perché questo è il tuo lavoro, niente nomi, niente volti, niente
passati, solo sesso di pochi minuti scivolato fra una banconota e una
sigaretta, ritmato da autoradio sempre differenti, dalle più svariate
colonne sonore, mentre ti sfili gli slip sotto la pressante richiesta di
questo tuo ultimo cliente, sotto un manto di stelle che non conosci e che
presto abbandonerai. Fuggiamo cara Anna, che non ci resta altro, fuggire
da tutto e da tutti, dove non si sa, ma è sempre meglio di questo
lampione di solitudini ataviche e mentre lui si affanna attorno al tuo
corpo tu pensi al biglietto d’aereo che hai in borsa, al cielo azzurro
infinito, sola e sconfitta ritorni da dove sei venuta, solo e sconfitto
rimango in questo mio freddo inverno a cantare la storia di Anna Paula e
della sua ambiguità, la storia di una donna imprigionata in un uomo ma
pur sempre donna
- Sì! Sono donna, sì!
Era donna perché se lo sentiva
dentro e questo era più che sufficiente.
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