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VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE di Andrea Lagrein
Celine e una birra. Celine e una serata in solitudine. Celine e una lunga notte davanti a me. Tutto sommato ero soddisfatto.
Vaffanculo, puttana! Lo sanno tutti che troieggi con mezzo mondo. Zoccola che non sei altro!
Bastardo, bastardo, bastardo! Toglimi le mani di dosso, stronzo! Sei
sempre ubriaco, non fai mai un cazzo, e ti sbatti tutte quelle
puttanelle che rimorchi al bar. Ti odio, sei un fallito di merda!
Io ti ammazzo! Hai capito? Ti faccio sputare anche l'anima a forza di calci nel culo. Troia!
Stabile C, appartamento F 13. Edilizia popolare. Sussulti di ordinaria
vita coniugale. Squarci domestici fra le macerie delle nostre miserie.
Prosit! Ci bevo sopra. E meno male che avevo una buona scorta di Beck's,
altrimenti sarei impazzito ad ascoltare queste litanie di amori ormai
smarriti.
Però, cazzo! Celine meriterebbe un pò più di rispetto.
Non era da molto che vivevo in quel bilocale in affitto, zona
ortomercato di Milano, dove miseria e povertà si mischiavano a un certo
benessere di chi si faceva il culo lavorando onestamente da mattina a
sera, senza troppi grilli per la testa.
Ne ho piene le palle, di una come te! Me ne vado!
E vattene, stronzo, che ne trovo cento meglio di te. Vattene!
Puttana! Vieni qui che ti massacro. Vieni qui!
E poi c'era gente come loro, i miei vicini. Lui, un omaccione grande e
grosso, trasandato, spettinato, barba incolta, pantaloni larghi e
maglioni sformati, puzzo di fritto e andatura caracollante, sempre
gentile e educato nelle rare volte che ci si incontrava nell'androne,
sempre sorridente e cordiale nei suoi buon giorno e buona sera. Lei, bel
culo e belle tette, viso da ragazzina di trentacinque anni su per giù,
occhi cerchiati dalle troppe notti insonni, schiva e timida, sguardo
sempre basso e saluti sussurrati quasi fosse uno sbaglio, carina se non
fosse stato per quell'aria sciupata ed eternamente malinconica. C'era
anche una figlia, di undici anni, bella, bellissima in quella sua aurea
di fanciulla cresciuta troppo presto, in quel suo veloce e continuo
sgattaiolare fuori di casa in cerca di un riparo dal dramma familiare.
Brutta testa di cazzo, non mettermi più le mani addosso, altrimenti ti denuncio!
Mi denunci? Mi denunci? Ma io ti spacco la testa, hai capito? Puttana!
Quella sera, proprio, non c'era verso. Erano particolarmente esaltati.
Cristo, stavano dando il meglio di sé! Forse è meglio che esca, non è
certo il clima adatto per Celine! pensavo quando d'improvviso bussarono
alla porta. Non è proprio serata questa, guardai sconsolato il buon
Louis Ferdinand.
Andai alla porta. La aprii. Due grandi occhi
supplicanti mi fissavano. Alessandra, la figlia undicenne dei miei
vicini, era in piedi davanti a me. "Posso entrare?" chiese in un timido
bisbiglio. Mi feci da parte e con un ampio gesto del braccio la invitai
dentro. Addio definitivo a Celine!
Si guardò fugacemente attorno.
"Posso stare un pò da te? Vorrei guardare la TV!". Sorrisi sconsolato.
"Mi spiace, ma io non ho il televisore!". Mi fissò stupita, come si
osserva una bestia rara. Non avere un televisore in casa, al giorno
d'oggi, è decisamente sinonimo di follia.
Con chi sei stata, eh, puttana? Da chi ti sei fatta sbatterre oggi? Dimmelo, cazzo, perché tanto lo so. Lo so, troia!
Non te ne deve fregare un cazzo con chi sono stata io oggi, hai capito?
Sì, sì, sì, ho spompinato tutto il giorno, alla faccia tua, cornuto di
merda!
Vieni qui. Vieni qui, che ti cavo le budella! Così la finirai una volta per tutte di troieggiare in giro, stronza!
Alessandra mi guardava, non so se più con occhi imbarazzati o
sofferenti. Non ero preparato a tutto questo. Cristo santo, se si fosse
trattato di fica, di scopate, di whisky, birra o puttane, allora va
bene, non c'era problema, ero nel mio territorio. Ma trovarmi di fronte
una bimba quasi in lacrime, che chiedeva conforto e un pò di calore per
sfuggire, anche solo per breve tempo, a due genitori che di genitori
hanno ben poco, beh.......questa era tutt'altra faccenda.
Venne lei
in mio soccorso. "Allora perché non ascoltiamo un pò di musica?".
Scoppiai a ridere. La tensione si stava allentando. "Buona idea,
piccola. Vediamo un pò cosa farti ascoltare!". Non avevo dubbi. Rage
Against the Machine. Killing in the name. La chitarra di Morello e il
basso di Commerford invasero subito la stanza. Le urla di mamma e papà
svanite come d'incanto. Alessandra mi guardò soddisfatta e sorridente.
"Fuck u, I won't do what ya tell me......mutha fucker!". Fanculo, non
farò quel che mi dirai.......figlio di puttana. Urlò la voce di Zack.
Più che altro era un augurio per lei, diventare altro dai suoi genitori.
"Potrei avere qualcosa da bere? Ho sete!". Cazzo, non sono mai stato
bravo con le buone maniere. "Ma certo, piccola. Adesso vedo cosa posso
offrirti". Impresa ardua! A parte l'acqua del rubinetto, temevo di avere
solo birre e qualche super alcolico. E invece..........una bottiglia di
Coca-cola, arma da taglio per il mio rum invecchiato sette anni,
efficace in quei rari momenti in cui desideravo sognare notti all'Avana.
Le allungai il bicchiere. Mi sorrise grata in un cenno di
ringraziamento. "Che lavoro fai?". Gesù, mi sembrava di stare nel bel
mezzo di un interrogatorio. Ma forse era il suo unico modo che conosceva
per instaurare una sorta di relazione. Decisi di mentirle. Viveva già
sufficientemente nella merda per buttarle addosso anche la mia.
"Racconto storie. Le racconto a chi le vuole sentire e si diverte ad
ascoltarle". Ci sedemmo sul divano. "Che bello! E' forte!". "E' forte?"
chiesi divertito. "Sì, è forte! Creare storie e aiutare la gente a
sognare, a volare lontano!". Mi sorrideva ma nei suoi occhi leggevo
tutta la sua tristezza. Volare lontano! Come poteva essere altrimenti,
se non che il suo desiderio fosse volare lontano dallo schifo in cui si
trovava a vivere.
Dove cazzo sei stata questo pomeriggio, eh? Me lo vuoi dire o no?
Non sono fatti che ti riguardano. Faccio quel che mi pare, hai capito?
Noooo! Tu non fai quel che ti pare, stronza! Tu mi devi dire cosa fai, altrimenti ti ammazzo a furia di sberle!
Bussarono nuovamente alla porta. Feci ripartire la musica. Andai ad
aprire. Questa serata cominciava ad essere decisamente affollata.
Samara, il trans dell'appartamento sopra il mio! "Ma li senti? Va a
finire che questa volta si ammazzano per davvero!". La guardai. Pronta
per i marciapiedi. "Non vai a lavorare?" chiesi ironico. "Certo, tesoro!
Solo che sono preoccupata. Se questi si ammazzano, sai che giro di
sbirri qua attorno? Non mi va tanto l'idea!". Sghignazzai divertito.
"Dai, buona samaritana, non preoccuparti, che quelli lì mica si
ammazzano. Dovresti esserci abituata, ormai!". Fece spallucce. "Sarà! E
la figlia dov'è?". Mi scostai leggermente e le indicai l'interno
dell'appartamento con un rapido cenno del capo. "Hai bisogno d'aiuto?".
La squadrai. "Desiderio di maternità?" sogghignai. "Fottiti!" disse
entrando senza attendere un mio invito.
"Ale, tesoro. Che bello
vederti!". Samara prese subito in mano la situazione. "Oh, ciao Sam!
Stavamo ascoltando un pò di musica!" salutò Alessandra. Mi appoggiai
allo stipite della porta osservando la scena. Surreale!
Passo tutto
il giorno a bere per dimenticare la tua faccia da troia! Non sopporto
più di vederti. Non ti sopporto più, hai capito?
Vai affanculo,
merda che non sei altro! Vattene, vattene, che di una testa di cazzo
come te qui non sappiamo che farcene. Vattene!
"Bene, e adesso che
si fa?" chiesi per alleggerire la situazione. Lei sorrise timida.
"Inventiamo delle storie, dai!". La guardai con infinita tristezza nel
cuore. L'invenzione come via di fuga. L'immaginazione come difesa
dall'inferno della realtà. Quante volte ho visto le colpe dei genitori
riversarsi sui figli. Quante, Cristo santo! E so già come andrà a
finire. Strafatta di crack e vodka da due soldi. Finzioni per
dimenticare. Finzioni per sopravvivere. Ma che si fottano!
Così,
seduti sul divano, passammo un paio di ore a inventare storie
divertenti, allegre, esilaranti. In fondo anche questo era un modo per
dimenticare, un modo per sopravvivere. Un mezzo fallito, un trans e una
piccola disadattata. Praticamente la famiglia perfetta!
All'una e
mezza eravamo ancora aggrappati a noi stessi fuggendo dai nostri demoni
in quella lunga notte. Alessandra sbadigliò stropicciandosi gli occhi.
"Posso rimanere da te a dormire?". Più che una domanda era una supplica.
Guardai di sottecchi Samara. Cristo, proprio non son buono con ste
cose. La parte del buon padre di famiglia, poi....!
"Era da tanto
tempo che non stavo così bene. Avessi io una famiglia così.....". Non
terminò neppure la frase. La voce strozzata pronta al pianto. Mi passò
le braccia lungo i fianchi e nascose il volto sul mio petto, in un
abbraccio struggente. Cazzo! piccola mia, devi proprio star messa male
se per te il massimo della famiglia è rappresentato da un fallito come
padre e da un trans come madre. Birra e tette al silicone! E' questa la
famiglia che vuoi?
Ma non ebbi il cuore di dirglielo. Invece la
tenni stretta fra le braccia e la baciai delicatamente sui capelli. Lei
mi abbracciò ancora più forte. E nel calore di quel contatto tutto il
mio cinismo, tutto il mio schifo, tutta la mia irrequietezza, tutto il
mio ribrezzo per la vita si sciolsero e svanirono improvvisamente,
lasciando il posto a un'infinita dolcezza e tenerezza che da anni non
riuscivo più a provare.
Mi commossi. Un terribile groppo mi si formò
in gola. E senza che io potessi farci nulla, le lacrime iniziarono a
scendere lungo il mio viso. Fica, scopate, whisky, birra e puttane!
Nulla! Tutto svanito. Tutto senza più importanza. Era rimasto solo il
nostro abbraccio, il nostro calore, il nostro dolore e la nostra,
immensa voglia di dimenticare i propri inferni.
Sentii un dito
asciugare delicatamente la mia guancia. Alzai lo sguardo. Samara mi
sorrideva dolcemente. Era il suo indice. La sua consapevolezza. La sua
comprensione. La ringraziai con gli occhi. Lei mi accarezzò come solo
un'innamorata può accarezzare. Questa era la mia famiglia. Questa la mia
ancora di salvezza.
Ci addormentammo così, tutti e tre sul divano,
ognuno perso nei propri sogni, nei propri incubi. Non so quanto dormii,
ma mi svegliai che era ancora notte. Mi alzai. Osservai le mie
impreviste ospiti, fiocamente illuminate dai lampioni della strada.
Samara, con il capo reclinato indietro, russava rumorosamente a bocca
aperta. Alessandra invece dormiva placida sdraiata con il viso
appoggiato sul ventre del trans. Le fissai i lineamenti del volto.
Dolci, delicati, d'una bellezza infinita. Cristo santo! e un futuro
sulla soglia di un precipizio!
Andai alla finestra. Un camion
dell'immondizia iniziava il suo turno. Le strade erano deserte. Presi
una birra e mi accesi una sigaretta. Che cazzo di colazione!
Lentamente, a est, il cielo rischiarava. Era giunto a compimento questo
mio lungo viaggio al termine della notte. L'alba stava sorgendo, e io
ero lì, fermo di fronte alla finestra, a un passo dall'aurora!
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