giovedì 18 luglio 2013

RITORNO DAL NON LUOGO di Giuseppe Balsamo



Chiudi gli occhi, sono passati appena pochi secondi ma ti sembra di aver dormito almeno un minuto, quando li riapri hai l’adrenalina a mille e ti risvegli in un attimo, vedi la strada scorrere sotto di te con l’auto lanciata ai 120 km orari e nessun ostacolo davanti. Sollevato perché non ti è successo nulla, senti l’esigenza di accostare e fermarti per prendere fiato, non lo fai per puro orgoglio personale. Tutte le volte che rischi in questo modo, che riesci ad evitare un ostacolo, hai la percezione del vuoto allo stomaco e dell’adrenalina che scorre, il respiro affannoso che solo lentamente ritorna alla normalità, deglutisci per lo scansato pericolo, pochi minuti e non ci pensi più.

Quel giorno non sentii né l’adrenalina, nel il ritmo diverso del mio respiro, nulla di tutto ciò. L’ultima cosa che rammento è il rumore forte, agghiacciante, delle lamiere che si piegavano, le plastiche che si rompevano, la strada che si volatilizzava sotto le gomme. L’auto, all’apparenza così robusta, così forte perdeva consistenza, come quando schiacci un formaggino senza togliere la stagnola e lo getti nella spazzatura. L’abitacolo, che ti sembrava poterti proteggere da tutto, non è altro che un debole e minuscolo rifugio ove riesci a perderti e scomparire dopo l’esplosione spaventosa dell’aribag, si ripiega su se stesso e ti inghiotte.
In quelle circostanza credo sia stato bene il sopraggiungere del buio, che quanto accaduto fosse più veloce della stessa corrente nervosa che mi avrebbe dovuto attraversare, altrimenti ne sarei rimasto folgorato dal terrore.
Col buio scompare anche il dolore, non lo senti, sei consapevole che è presente, che è come un lenzuolo di seta nera che lentamente sta coprendo il tuo corpo, ma non lo avverti. Non sai più nulla: il suono dell’ambulanza sta squarciando la notte, richiamando l’attenzione di tutti, probabilmente ci sono state molte telefonate angoscianti, forse là fuori i tuoi cari stanno piangendo disperati, ma tu non sai niente; hai la tua battaglia personale in un’altra dimensione, sei solo nel buio e nessuno lì in fondo ti può aiutare: sei tu ed il nulla, o meglio sei tu e tutto introno c’è qualcos’altro che non conosci ma che ti vuole e ti sta prendendo.
Quando mi accorgo di essere in quel non luogo, la prima cosa che mi colpisce è che sono spariti i colori. Il buio lentamente lascia il posto a tinte grigiastre ed angoscianti. In un primo istante penso di essere nel bel mezzo di una palude, poi quando quello che resta dei miei occhi si abitua al nuovo ambiente, mi rendo conte che quel grigio ha altre sfumature, ma sono tutte in bianco e nero. L’assenza cromatica mi spaventa ma non posso fare nulla, se non cercare di capire qualcosa in più su quello che mi sta accadendo. Cerco di orientarmi fra quelle ombre lunghe che mi inghiottono, si piegano su di me costringendomi a guardare avanti. Laggiù lontanissima c’è una luce bianca, immediatamente so che quella luce non mi salverà da nulla è solo lì che mi guarda, mi attende: è misteriosa, mi affascina, è una sirena ammaliatrice ed io sono Ulisse, ma non ho la cera alle orecchie ed è difficile resisterle.
I miei non sono veri e propri movimenti, so benissimo che non posso muovermi, mi rendo conto che non siamo solo corpo, perché è l’anima a questo punto a dettar legge, è lei che mi permette di spostarmi e che vuole andare verso la luce. Mi giro su me stesso, guardo meglio le ombre: non c’è una palude, in realtà sono in un bosco e le ombre sono gli alberi infiniti che spariscono nel buio; è una foresta senza inizio né fine in cui predominano tinte fosche di nero, grigio e bianco sporco. Lentamente non posso fare altro che andare verso la luce, più mi avvicino, più mi sento leggero, la mia fisicità perde consistenza così quel minimo di coscienza: come se mi avessero iniettato una sostanza allucinogena. Spariscono il dolore, le pene, le angosce, mi sento libero dalle colpe, dai rimpianti, dalle speranze.
Non sto parlando del dolore fisico, quello lo sento appena, forse mi hanno sedato e sono sotto morfina, forse sono anestetizzato, forse stanno frugando nel mio corpo, forse sono già cibo per vermi; parlo del dolore spirituale, delle pene quotidiane, sono sparite tutte e sono leggero, libero di raggiungere la mia “sirena”, quello che voglio ora è solo arrivare a quella fottuta luce e lasciarmi il bosco alle spalle, lì sarò al sicuro.
La foresta in cui mi trovo è strana, seppur mi terrorizza possiede una sua misteriosa bellezza, ma è pericolosa e piena di spettri, non ci voglio stare, devo solo lasciarmi andare e risalire laggiù dove è più luminoso.
Lo sto per fare, il mio cammino è lungo, ma so che posso arrivarci e lasciarmi tutto alle spalle, ma è proprio da quella direzione, lontanissima nel buio che mi chiamano, qualcuno non vuole che vada. La voce è lontana ma è un tuono dentro di me che mi provoca lacrime calde, le sento scendere bollenti sulle guance. Cado all’indietro, torno giù e la luce rimpicciolisce fino a scomparire. Tutto scompare e ritrovo il mio corpo, le mie sensazioni, ora sento male e tutto il dolore, quello vero quello fisico.
Qualcuno mi stringe delicatamente una mano, non ho la forza di aprire gli occhi e vedere chi è, sento le plastiche di tubicini che violentano il mio corpo mantenendomi in vita, avverto le voci umane e sono felice di non essere più solo. Ripenso a dove mi trovavo, a tutte le storie che ho sentito e letto su quel “non luogo”, ora so che non è un bel posto e non mi piaceva affatto, oppure semplicemente non ero pronto a starci ed entrare nella luce lontanissima.
Capisco quanto sono attaccato alla vita, comprendo che il mio corpo è distrutto, macellato, ma voglio sopravvive, a qualunque condizione anche se ad ogni respiro provo dolore. Mi scorre il mio passato sotto le palpebre e vivo anche quello che potrebbe essere il mio funerale, con la foto che preferisco bella incorniciata ed un modellino di una piccola HD nera a tenermi compagnia per l’eternità, a quel punto le poche lacrime diventano tante.
La mano delicata che teneva la mia ora mi asciuga gli occhi. Sento la voce è una donna, ascolto le sue parole:”Hei, sei tornato…cerca di dormire ora…”. Sprofondo nel sonno, quello vero, quello umano, quello terrestre, che trovo più tranquillizzante.
Non posso ancora fare tutto, passo molto tempo a letto, ma lentamente sto guarendo.
Sono rinato, vedo i colori in maniera nuova, i cibi hanno un gusto migliore e riconosco il sapore dell’acqua: è buona ha un gusto diverso che prima non conoscevo; le carezze umane sono più calde di prima e gli abbracci più confortevoli, anche il sole che mi bacia la pelle è diverso, la luna che un tempo mi intristiva ora la vedo allegra è luminosa. Certe cose ti cambiano la vita.

(Dedico questo racconto ad un’amica coraggiosa che ha voluto raccontarmi la sua esperienza)


Nessun commento:

Posta un commento