lunedì 21 luglio 2014

DOLCE E SALATO di Giuseppe Balsamo



La città era totalmente al buio, almeno in quel punto dove si trovava lui non c’era luce. Così era stato costretto ad incamminarsi su quelle stradine bagnate, alla ricerca di una fonte di luce. Non comprendeva come mai fosse asciutto, nonostante avesse evidentemente piovuto da poco, certo aveva freddo e la magliettina smanicata non era affatto sufficiente a coprirlo dall’umidità, inspiegabilmente però non era bagnato.
Prese a camminare, a passo rapido, verso l’unico lampione acceso, sostando appoggiato al freddo metallo, quasi volesse prendere fiato. L’ampio spiazzo che si trovò davanti, conduceva ad almeno quattro strade urbane, alcune persone, di spalle, camminavano con andatura caracollante facendolo sentire meno solo.
Quasi si fossero tutte accorte contemporaneamente della sua presenza, si voltarono a guardarlo, consentendogli di appurare che avevano tutte le stesso viso, la stessa espressione per nulla stupita nel vederlo lì.
Ne contò nell’immediato quattro, come volessero presidiare ogni via di fuga, le donne erano abbigliate tutte nel medesimo modo: un abito sciatto e sformato di colore scuro, lungo appena sotto il ginocchio, i capelli scarmigliati e neri, scarpe basse da collegiale, occhiali dalla pesante montatura nera, stonava e contrastava il rossetto di un acceso color rubino.
Riconobbe bene quel viso, anche se quell’espressione, a metà tra il ghigno malefico e canzonatorio ed una minaccia sussurrata a bassa voce, non l’aveva mai veduta.
Il primo istinto fu di andare da loro, non sapeva da quale delle quattro; restava però immobile, bloccato, come se per uno strano incantesimo i suoi muscoli non rispondessero alla sua volontà.
Cominciarono a quel punto a sopraggiungere altre donne, tutte uguali, tutte identiche. Questa volta non si erano limitate a voltarsi per constatare che fosse lì. Si dirigevano a passo spedito verso di lui; cominciava a contarne dieci, quindici, venti, trenta. La piazza era gremita di queste femmine, con lo stesso volto e la stessa smorfia innaturale, ormai si avvicinavano a lui pericolosamente.
Doveva fuggire, immediatamente, ma non riusciva a farlo, perdendo il conto di quegli esseri che sembravano moltiplicarsi per osmosi. A questo punto ne poteva sentiva il respiro, il puzzo acido ed innaturale dell’ alito, si sentiva tirar via i pantaloni e le scarpe da quelle che erano riuscite a raggiungerlo per prime. Le mani, ossessivamente, gli laceravano la maglietta, spingendolo e facendolo rovinare a terra. Avvertiva i denti e le unghie, sapeva che si volevano cibare del suo corpo, sentiva la saliva calda ed aveva la percezione del suo sangue che ormai sgorgava impiastricciando l’asfalto.
Un morso più incisivo e più deciso degli altri, gli provocò uno squarcio nell’addome, il dolore fu lancinante, una sorta di fitta che gli arrivò dritta al cuore.
Quel cuore che batteva all’impazzata, mentre respirava quasi a fatica seduto sul letto, completamente coperto da un sottile strato di sudore gelido.
Ci volle un po’ prima di riprendersi da quell’incubo ed orientarsi nel buio della stanza, le mani appoggiate sul materasso ed il petto che faceva su e giù seguendo il ritmo impazzito del respiro.
Il pomo d’adamo si muoveva allo stesso modo, costingendolo a deglutire la saliva bloccata in gola.
Le due donne gli davano la schiena, immerse nel sonno. Erano nella stessa posizione fetale, eguali in tutto e per tutto. Si domandò se facessero anche gli stessi sogni, notando che ognuna di loro aveva poggiato sul comodino gli occhiali da vista, con la vistosa montatura nera., esattamente nel medesimo modo.
Un brivido lo percorse, mentre Anna e Irene respiravano profondamente.
Facendo attenzione, scavalcò Anna e si rintanò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle. La luce gli diede sollievo, riportandolo ad una dimensione più razionale e tranquillizzante. Si svuotò la vescica, sciacquandosi abbondantemente il viso con l’acqua fresca. Seduto sulla tazza, completamente nudo, si accese una sigaretta:
”Che situazione di merda”.
In fondo la nottata non era stata male, però adesso doveva fare i conti con la realtà e quell’incubo spaventoso ne era il chiaro segnale, insomma le sue solite lacrime da coccodrillo.
Aveva conosciuto Anna alla fermata del 72 sbarrato, la ragazza era lì ogni mattina alla stessa ora, quella fermata era proprio davanti l’edicola di Armando, il suo spacciatore preferito di quotidiani ed altre riviste più o meno serie da quando si era trasferito lì. Anche Anna si rivolgeva a lui per l’acquisto dell’abbonamento del bus e per rifornirsi di ciarpame da leggere; così dapprima limitandosi ad un saluto, era finita che qualche volta le aveva dato un passaggio in auto fino all’università.
Anna Carlisi, oltre ad essere molto carina, si era rivelata simpatica, così l’aveva invitata a cena ed avevano cominciato a frequentarsi ed erano finiti a letto insieme.
Una relazione apparentemente del tutto nella norma: ci stava bene con Anna e poi cazzo a letto era fantastica, sembrava ogni notte di far l’amore con una donna diversa, talmente era fantasiosa e vogliosa.
Si accorse immediatamente che qualcosa non andava e che era diventato oggetto di uno strano gioco la prima volta che lei lo aveva invitato a mangiare dai suoi.
Seduto a tavola con quel simpaticone di papà Carlisi e con Anna, si prospettava una gran bella serata, non pensava nemmeno lui che si sarebbe potuto sentire così a suo agio a casa della fidanzata e dei potenziali suoceri
Prima che la padrona di casa portasse in tavola gli antipasti, però era arrivata trafelata in sala da pranzo anche Irene.
Anna gli aveva appena accennato all’esistenza di una sorella, non approfondendo più di tanto l’argomento, né lui si era incuriosito dell’esistenza di una cognata; quando però la vide entrare, non fu più così certo che la cosa non lo riguardasse da vicino.
“Ciao Angelo…scusate il ritardo”, si era poi seduta a tavola con noncuranza alla sua destra, mentre anche Anna, come se nulla fosse successo, era alla sua sinistra.
Stralunato, con la tartina alle uova sgombro a mezz’aria, la bocca semi aperta come volesse imitare l’espressione della “signora sgombro” mentre faceva le uova, osservava le due ragazze.
Due gocce d’acqua: cioè due gemelle che più gemelle non si può. Nessuna minima differenza, quasi fra loro ci fosse la spasmodica ricerca del particolare per rendersi indistinguibili l’una dall’altra. Stesso taglio di capelli, stesso smalto, stessa marca di jeans e stessa felpa, identiche le scarpe, uguale la voce ed il modo di parlare, cazzo anche l’anello e la collanina erano uguali.
Poi quel modo di rivolgersi a lui, quel: “Ciao Angelo…” pronunciato in maniera così naturale e scontata, così come lo aveva sentito ripetere molte volte, gli aveva dato la certezza di quello che stava accadendo.
Si seguirono le portate, pur sforzandosi di partecipare al momento conviviale, peraltro era la prima volta che conosceva i genitori di Anna, non riusciva a non pensare che le due si stavano prendendo gioco di lui. Glielo leggeva negli occhi, ogni volta che si voltava a guardare prima l’una e poi l’altra, aveva la netta sensazione che gli lanciassero sorrisetti ambigui che solo lui riusciva a percepire.
La situazione era veramente imbarazzante, alla fine cominciò ad avere persino dubbi che l’ultima arrivata fosse Irene e non Anna.
Fortunatamente la cena finì in fretta, fu Anna (oppure era Irene?), a toglierlo da quella situazione scomoda, proponendo di andar fuori a bere qualcosa.
“Quasi quasi vengo anche Io…”.
Sconsolato Angelo, abbassò il capo afflitto, ascoltando l’affermazione di Irene (oppure era Anna?).
La cosa positiva era che l’allegra famigliola abitava in centro, non lontano da casa sua, quindi era possibile spostarsi a piedi; inoltre c’era un ottimo pub a pochi passi da casa. Affrontando cinque minuti di gelo, si rintanarono nel locale caldo e già gremito di gente; era venerdì sera i molti dei presenti erano lì per la bevuta pre discoteca.
Angelo non aspettò nemmeno di uscire fuori dall’androne del condominio elegante, troppa l’ansia di capire, rivolgendosi ad Anna (oppure era Irene?), chiese le dovute spiegazioni:”Mi spieghi che cazzo sta succedendo?”.
La ragazza sorridendo, prendendolo sotto braccio, come una dama d’altri tempi, gli posò un bacetto sulla guancia:”Non sta succedendo proprio niente, ho una sorella gemella, tutto qui, cosa c’è di sconvolgente?”.
Per un istante fu sollevato da quella affermazione, probabilmente era tutto un equivoco, fu però immediatamente smentito dall’altra gemella, anche lei lo prese alla stessa maniera, posandogli le labbra sulla guancia:”Il lato positivo di essere gemelle è che possiamo dividerci gli impegni ed ottimizzare i tempi…”.
Il vero terzo grado avvenne all’interno del pub, più Angelo andava avanti con le domande, più lo sconcerto cresceva:
”Quindi quella sera al cinema era Irene?”
“La festa di compleanno di Mara è venuta Anna?”
“Il week and alla SPA eri tu Anna vero?”
Non riusciva a capire come aveva fatto a non accorgersene, però obiettivamente erano veramente due gocce d’acqua, anche a letto non aveva fatto differenze, gongolandosi nell’idea di aver trovato una donna estremamente fantasiosa, rendendosi invece conto che aveva avuto due donne, si esteticamente uguali, ma comunque due persone diverse.
L’aspetto paradossale di tutta la vicenda era che, le due, affrontavano la situazione con una tranquillità che rasentava il disturbo psichiatrico; allegramente ridevano sulla questione, adducendo scuse assurde sui continui scambi di ruolo:
“Angelo quella sera ero veramente stanca”,
“Angelo, il fatto è che Anna quella sera aveva il ciclo”,
“Angelo, cazzo renditi conto che Anna aveva l’esame all’università”.
Le due ragazze, solo a fine serata, si resero conto che probabilmente avevano inferto un duro colpo al loro fidanzato comune, concordarono quindi nella necessità di accompagnarlo entrambe a casa.
Una volta nell’appartamento, riuscirono un minimo a sciogliere la tensione dell’uomo, ormai entrambe conoscevano bene sia quell’appartamento che il proprietario.
Angelo effettivamente si rilassò un minimo, era però allibito nel constatare come le sue si muovessero a casa sua con estrema naturalezza. Era come vedere la stessa persona duplicata, come fosse ubriaco e ci vedesse doppio, così da osservare due copie della sua fidanzata in movimento nel suo appartamento.
Bisogna dare atto che sia Irene che Anna erano estremamente allegre, per di più così a loro agio. Cercarono di coccolarlo, avendo un minimo senso di colpa per quello che era accaduto.
Farsi coccolare da due donne non è poi una cosa così brutta, questo pensava Angelo sentendosi le due donne addosso, così cercò almeno di sfruttare l’aspetto positivo della questione.
Dalle coccole ben presto passarono al materasso.
Non servì certo a distinguere chi fosse Anna e chi fosse Irene, non era importante, le ebbe entrambe.
In un turbinio di corpi aggrovigliati, dolce e salato diventarono tutt’uno, le assaggiò contemporaneamente e le due donne ebbero la soddisfazione di averlo insieme.
Non fu affatto male, a parte l’incubo e quell’ultima domanda, seduto sulla tavoletta del cesso:
”Ma poi, è veramente una situazione così di merda?”

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