lunedì 21 luglio 2014

UN SALTO NEL VUOTO di Andrea Lagrein



Jeanne aprì la finestra. La gelida aria invernale le sferzò il volto, il suo splendido volto. Tutto era buio. Tutto era silenzioso. Erano le tre del mattino di quel 25 gennaio. La gente del vicinato, buoni borghesi zelanti come i suoi genitori, dormivano placidamente nelle loro dimore. Rabbrividì. Si accarezzò il ventre, un ventre gonfio da nove mesi di gravidanza. Fra poco avrebbe dovuto partorire. Fra poco avrebbe dovuto dare alla luce il frutto dell'amore con l'unico uomo che avesse mai amato.
Quell'uomo non c'era più. Era morto il giorno prima, stroncato malamente dalla tubercolosi, ma prima ancora da alcool e droga, da una vita dissoluta vissuta intensamente, e che intensamente aveva finito per bruciarlo. Quell'uomo era un genio e senza di lui, ormai, nulla aveva più senso.
Davanti a quel davanzale, fluì davanti ai suoi occhi tutta la sua vita. O meglio, i tre anni che aveva vissuto con lui, che poi null'altro erano se non la sua stessa vita.
A quel tempo, a Parigi, se si frequentava la vita artistica di Montparnasse, si doveva per forza essere dei folli. O dei geni! Jeanne amava l'arte e aveva pure talento. Suo fratello, anch'egli pittore, l'aveva spinta verso quel mondo. Era diventata modella del grande Foujita. E per tutti era divenuta noix de coco, in onore dei suoi lineamenti bellissimi.
Quelli erano gli anni dove nelle strade e nei vicoli parigini si incontravano artisti maledetti, pazzi ubriaconi intrisi di genialità, opere straordinarie partorite da menti folli. Jeanne sorrise mestamente al solo ricordo. Picasso, Utrillo, Rivera, Apollinaire, Foujita. Tutti presi da un unico sogno, da un unico demone. L'arte!
E pure lei ne fu rapita, grazie al suo talento, grazie alla sua bravura. All'accademia di belle arti Calorossi non le lesinavano i complimenti. Si vedeva che quella ragazza ci sapeva fare.
Ma tutto cambiò quando arrivò lui. Lui che divenne l'unica ragione della sua vita. Lui, a cui tutto sacrificò e a cui tutto dedicò.
La creatura che portava in grembo iniziò a scalciare. Evidentemente non gradiva l'aria gelida che entrava dalla finestra. Jeanne si accarezzò il ventre con tenerezza. Non ha senso, piccolo mio, che tu nasca senza aver avuto la possibilità di conoscere tuo padre. No! non ha proprio senso, pensò con tristezza.
Per Jeanne, dopo essersi scaldata al fuoco della passione, essersi abbeverata alla fonte della genialità, essersi sfamata con l'amore più intenso che si potesse avere, nulla aveva ormai più senso. Nemmeno la creatura che di lì a poco avrebbe dovuto dare alla luce.
Era andata contro tutto e contro tutti pur di rimanere al suo fianco. I suoi genitori le tolsero il saluto e la parola, rea ai loro occhi di aver dato scandalo con quella relazione, un concubinaggio così distante dal loro placido mondo borghese, dove la donna doveva sposarsi con un buon partito vivendo silenziosamente all'ombra del marito e delle incombenze domestiche. Gli amici la deridevano, considerandola poco brillante e senza carattere, ragazzina insipida pallido riflesso dell'uomo amato. Per tutti, lei stava facendo un salto nel vuoto, una discesa negli inferi da dove non sarebbe più tornata, strada senza speranza e senza futuro!
Ma Jeanne sapeva bene che non era così. Non era la sua ombra, bensì la sua luce splendente. Fu la sua grande musa ispiratrice, fu l'essenza stessa della sua anima e per lei, questo, fu il più grande segno del suo amore.
Ricordava ancora il primo giorno in cui lo incontrò. Jeanne era una ragazza bellissima, della qual cosa lei ne era conscia. Viso perfettamente ovale, lunghi capelli lisci castano chiaro, occhi a mandorla di un azzurro intenso, labbra tumide, un collo fine e allungato, carnagione pallida e diafana. Aveva molti ammiratori e spasimanti, soprattutto nella cerchia di artisti a Montparnasse, scopatori incalliti che non si lasciavano mai sfuggire un'occasione. Ma lei scelse Amedeo. Lei si innamorò perdutamente di lui.
Quando lo vide, quando vide il suo sguardo, capì immediatamente che la sua vita si sarebbe legata indissolubilmente a lui. Puzzava di alcool e di fumo. Era sbronzo marcio. Vestiti sporchi e scarpe lise. Ma quando la vide, lui rimase a bocca aperta, come fosse davanti a una dea. E così Jeanne si sentì. Una dea agli occhi di Amedeo. Lui le sorrise, un sorriso franco e gentile, un sorriso da innamorato perso. "Questa ragazza ha delle ossa bellissime. Va assolutamente ritratta". Poi collassò a terra svenuto.
Jeanne si sporse dalla finestra, ispirando l'aria gelida della notte. Quanta purezza trovava in quel momento. Quanta pace e serenità. Pace e serenità che non trovò mai nei tre anni trascorsi con Amedeo. Però trovò passione, fervore e intensità. Tutte cose che spesso, alla gente comune, venivano precluse.
Sorrise amara nel ricordare quegli anni. Lei ben presto si trasferì da lui. Non fu per nulla facile vivere al suo fianco. Vivevano in una casa diroccata, che lui utilizzava come studio. Amedeo, poi, tornava spesso a notte fonda, sempre ubriaco o strafatto di droga. Era un bell'uomo e le donne non gli mancavano. Che si trattasse di puttane o gran dame, modelle o artiste, lui non si tirava mai indietro. Quanti tradimenti dovette ingoiare Jeanne in quel periodo!
Ma lei lo amava. E lui amava lei. In modo tenero, disperato, furibondo, appassionato. Jeanne salì in piedi sul davanzale tenendosi allo stipite della finestra. L'aria sferzava le sue vesti ma lei non sentiva il freddo di quella notte. Lei era scaldata dal ricordo dell'amore prepotente di Amedeo.
Le lacrime iniziarono a rigarle il viso. Sì! era stato proprio un amore prepotente, pieno, assoluto, di una forza inaudita. Jeanne passò ore e ore in posa davanti a lui. Lei, che ai suoi occhi era la sua musa ispiratrice. Lui, l'unico che riuscì mai a carpirle l'anima. E a metterla su tela!
La vita fu veramente dura al suo fianco. Riuscivano a sfamarsi grazie al buon cuore degli amici, o quando Amedeo raramente piazzava qualche suo disegno. Era un genio, ma un genio incompreso. Vivevano in un appartamento umido, dormendo sul pavimento, sopra un materasso sfatto. Ma vivevano, vivevano sostenuti dalla loro passione e dal loro amore. Che senso c'era nell'avere una bella casa, calda e asciutta, una tavola ricca e imbandita, vestiti sempre freschi e profumati, se la forza prepotente e impetuosa dell'amore non era un inquilino ben accetto?
Jeanne si sporse dal cornicione. Le pareva proprio di vedere il volto di Amedeo innanzi a lei. Era il volto dell'amore, di quell'amore che li aveva sostenuti durante quegli anni. Lui la dipingeva e lei gli donava l'anima. In fondo, lui, l'aveva resa immortale. E nulla si può chiedere di più al proprio amato!
Ancora in quel preciso istante lo vedeva seduto sulla sedia di paglia, davanti a lei, dietro il cavalletto, con l'immancabile bottiglia di vino rosso, piena prima di iniziare, vuota alla fine del dipinto quando lui, in una sorta di rituale, vi infilava il pennello come ultimo gesto finale.
Era un genio, un demone, un folle, un puttaniere, un ubriacone. Era l'uomo che Jeanne amò più di se stessa. E ora che se ne era andato per sempre, nulla aveva più senso!
Un leggero movimento in avanti. Un ultima carezza al ventre gravido, estremo gesto di tenerezza. E poi il salto, un salto nel vuoto, proprio come furono quei tre anni di folle passione. Il volo durò la lunghezza di cinque piani. Le lacrime si asciugarono sul suo viso, facendo posto a un caldo sorriso. Sì! Finalmente era felice. Finalmente Jeanne Hebuterne si stava rincontrando con il suo Amedeo Modigliani.
E il loro amore sarebbe durato per l'eternità!

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