martedì 2 settembre 2014

GUERNICA di Andrea Lagrein




Le urla e le grida fra le bancarelle erano assordanti. Quella tarda mattinata vagavo ozioso nel mercato rionale settimanale. Teatro di ispirazioni attuali. La crisi economica portava sempre più gente ad affollarsi qui intorno, in cerca di risparmiare quegli spiccioli che servivano a arrivare a fine mese. Io invece vi trovavo storie da raccontare, che tanto manco alla fine della seconda settimana arrivavo!
Vidi Rosa venirmi incontro con in braccio il piccolo Pedro. Classica storia di un amore consumato troppo velocemente e un figlio come souvenir di addio. Lei era di Girona ed era giunta fin qui seguendo il ragazzo che tanto credeva di amare. Dopo averci fatto un figlio lui capì improvvisamente che il suo posto era altrove, fra le cosce di un'inglesina tutto fuoco. E Rosa rimase inchiodata qui da sola, con un figlio da crescere e un lavoro precario in una multinazionale tedesca. Era mia amica. E le volevo bene!
Quando fu vicina a me, scoppiò in un pianto dirotto. "Mi hanno lasciata a casa, Andrea. E adesso come farò?". La sua disperazione era senza limite. In Spagna non aveva più nessuno e qui a Milano la situazione non era migliore. Il bimbo mi guardava in silenzio, senza capire cosa stesse accadendo. Meglio per te, piccolo! pensai. Ennesime vittime della guerra invisibile che si combatteva ai nostri giorni. Niente bombe né mitragliatrici, ma PIL e reting vari. "Sono disperata. Come farò col piccolo Pedrito? Me lo porteranno via di sicuro!". Le sue lacrime erano un colpo al cuore. Ma io potevo farci ben poco. In questo conflitto ero solo un residuato bellico. "Ioan mi ha proposto di lavorare per lui!". A quelle parole il bimbo iniziò a piangere disperato. Come se avesse intuito ciò che c'era dietro le parole di sua madre. Al piccolo Pedro proprio non andava giù che la sua mamma divenisse una puttana! Rosa guardò il cucciolo, smise di piangere e mi fece un tenero sorriso. "Mi sa che Pedrito ha fame! Vado a dargli il latte. Ci vediamo. Ciao, Andrea". La salutai con un cenno stanco della mano, mentre la osservavo allontanarsi.
Mi sedetti a un tavolino del bar d'angolo. Una solerte ragazza cinese giunse immediatamente per l'ordinazione. I nuovi colonizzatori! Mentre sorseggiavo la mia Becks scaldato dal sole primaverile vidi passare davanti a me Stefano. Cristo, già sbronzo prima delle undici. Lui era messo decisamente peggio di me! Aveva in mano un bicchiere di plastica trasparente già mezzo vuoto di campari col bianco. Le palpebre erano semichiuse, occhi liquidi persi nel vuoto, un sorriso ebete e un'andatura barcollante. Gesù, e aveva solo vent'anni! Alla sua età io avevo dei sogni, delle speranze, dei progetti. Alla sua età io credevo ancora di poter cambiare il mondo, di migliorare lo schifo che i nostri genitori ci avevano lasciato. Poi, vent'anni dopo, mi ero reso conto del misero fallimento. Ma almeno, cazzo, ci avevo sperato! Stefano, e quelli come lui invece, non ci provavano neppure a tentare di cambiare lo schifo che ci circondava. Ennesime vittime del conflitto silenzioso dei nostri giorni. Già morti a vent'anni sul fronte della vita! E la cosa buffa è che aveva un tatuaggio in bella vista sulla spalla che raffigurava una spada spezzata. Come il suo futuro, del resto!
I miei tristi pensieri vennero interrotti dall'arrivo di Ioan, che si sedette di fianco a me. "Offrimi una birra, Lagrein!" disse con la sua sua classica inflessione rumena. Era sorridente e soddisfatto, lo stronzo! "Ti dicono bene le cose, eh, Ioan?" chiesi mentre gli ordinavo una birra. Scoppiò a ridere in modo sguaiato, ruttando una bestemmia da far impallidire anche il più incallito degli atei. "Che vuoi che ti dica? La crisi, a me, porta solo danaro. Ecco tutto. I ricchi sono più ricchi, e i poveri più poveri. Ma dei poveri non me ne frega un cazzo. E i ricchi diventano ogni giorno sempre più esigenti, sempre più perversi. E pagano bene!". I suoi denti marci mi facevano venire il voltastomaco. Ma Ioan, per i suoi clienti, era proprio una garanzia. "Domani mi arriva un altro bel carico di vacche ungheresi. Sono le migliori. E le più richieste. Belle, intelligenti e con la figa calda. Altro che romene e ucraine. Ormai quelle son buone solo per gli operai in bolletta! Queste invece sono roba di lusso. Me le chiedono e io ci faccio su un bel pacco di soldi!". E giù a ridere tronfio del proprio successo. "Ti dovrei denunciare, pappone del cazzo!" dissi io con noncuranza. Lui sogghignò. "Lascia stare, che fra gli sbirri e i giudici ho già un bel giro di clienti. Sarei fuori prima ancora che tu faccia una scoreggia!". Mi strizzò l'occhio. "Ascoltami bene" riprese poco dopo. "Ci sono i tori, gli uomini veri, quelli con due palle così, e le cavalle di razza, quelle da montare, da schiacciare sotto i propri desideri. E non c'è nient'altro. Il resto è solo merda che non vale la pena considerare. Ecco, vedi, i miei clienti sono i tori e io servo a loro delle puledre di razza per farli sentire ancora più tori. E' molto semplice la questione!". Mi diede una bella pacca sulla schiena mentre, finita d'un sol sorso la sua birra, si alzava per andarsene. Lo osservai allontanarsi. La guerra, seppur invisibile e silenziosa, si portava sempre con sé la barbarie. E Ioan ne era il paradigma!
Mi alzai anch'io e tornai a bighellonare fra le bancarelle. Una donna di età incomprensibile attirò la mia attenzione. Poteva avere trent'anni come cento! Vendeva candele, candele di ogni sorta e tipo. Mi adocchiò e mi fece cenno di avvicinarmi. "Compra una candela. Sei un bel giovane, ti servirà per creare una magnifica atmosfera con la tua bella signora!". Pareva una strega, una fattucchiera, o qualcosa del genere. Sorrisi sarcastico. "Non c'è nessuna bella signora che mi aspetta a casa. Più probabile che ad attendermi ci sia una bella raccomandata dove mi dicono che mi hanno tagliato la corrente perché non ho pagato le ultime bollette!". La donna evidentemente non dovette gradire la mia ironia. Avvertii in modo chiaro che mi mandò a cagare mentalmente. Non ero un cliente, quindi non ero nessuno. La guerra silenziosa!
Decisi di tornarmene a casa. Forse però avrei dovuto acquistare un paio di candele. Non scherzavo quando dissi alla fattucchiera che correvo il serio rischio di trovarmi al buio. Almeno così avrei potuto illuminare il cesso dove pisciavo! A noi, numeroso popolo dei disoccupati, toccava pure questo. Regredire al tempo dei nostri nonni, altro che migliorare il mondo dei nostri padri!
Mentre mi incamminavo mi imbattei in Federica. Aveva lo sguardo rivolto al cielo e un raggio di sole le illuminava il suo viso angelico. Appena mi vide mi sorrise. "Proprio te stavo cercando!" disse con occhi dolci e un po languidi. "Cosa guardi?" chiesi incuriosito. "Il cielo. Oggi è una splendida giornata e voglio imprimermi bene nella memoria questi colori!". "Perché?". Mi accarezzò un braccio. "Oggi parto. Vado a Londra. Nuovo lavoro, nuova vita, nuovi cieli. Ma non voglio dimenticarmi i colori da dove provengo!". Federica aveva ventotto anni, si era laureata e aveva ancora voglia di sperare. E per farlo fuggiva via da qui! Fuggendo e andando in cerca di speranza e felicità. L'abbracciai. La tenni stretta stretta a me. Non so nemmeno io se ero felice per lei, triste per me, incazzato con tutti noi. Forse ero tutte e tre le cose insieme. Non sono stato mai tanto bravo con gli adii. Perciò la salutai velocemente e le diedi una bella pacca sul culo. E dire che non me la ero mai scopata!
Mi ero quasi lasciato alle spalle il mercato quando d'improvviso sentii urla e grida. La mia naturale curiosità mi spinse ad andare a vedere cosa diavolo stava accadendo. "Lasciatelo andare, è solo un povero Cristo!" stava dicendo un fruttivendolo rivolto a un capannello di persone. Al centro c'era un uomo che sbraitava, divincolandosi come un ossesso nel tentativo di liberarsi dalla stretta delle persone che lo circondavano. "Lasciatemi, lasciatemi. Avevo solo fame. Lasciatemi!" gridava, scoppiando poi in un pianto isterico, condito di urla e imprecazioni varie. "Che roba!" disse un vecchietto al mio fianco, ozioso come me e accorso a gustarsi l'imprevisto fuori programma. "Ma che succede?" chiesi all'anziano. Lui scosse il capo, sospirando di antica saggezza. "Lo conosco. E' uno del quartiere. E' sempre stata una brava persona. Sposato e con due figli. Poi un bel giorno ha perso il lavoro, i soldi son finiti e la moglie lo ha lasciato portandosi via i bambini. Ora vive con un altro tizio, uno che lavora in banca o qualcosa del genere. Brutta storia. Non si è più ripreso. E adesso si è ridotto a rubare dalle bancarelle del mercato per sfamarsi. Brutta storia, caro il mio signore. Viviamo in brutti tempi!".
Mi voltai e mi allontanai. Ne avevo le palle piene di questa turpe scenografia. Come se non ne avessi già abbastanza di mio! Tornare a casa era la mia unica speranza di salvezza. Tornare nel mio mondo. Una birra, una fica, qualche buon libro e fogli bianchi da imbrattare con parole sconnesse e senza senso. In fondo, con questa guerra silente e invisibile, io non c'entravo nulla. Ero pur sempre un residuato bellico che non serviva a granché.
Ero pur sempre un sopravvissuto!

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