martedì 23 settembre 2014

LA BALKA DELLA SALVEZZA di Andrea Lagrein



Le fiamme del camino crepitavano vivaci. Il tono della sua voce era basso e nostalgico, quasi non volesse disturbare i lontani ricordi. Gli occhi erano velati di malinconia. Carlo mi raccontava la sua storia venuta dal passato, come fosse una confidenza, come se ancora si trovasse là.
Ci dissero che era una scampagnata, una vacanza. Vacca boia, dopo l'Albania pensavamo che l'inferno fosse alle spalle. E noi stupidi ancora a credergli! Ma non potevamo fare altrimenti, così salimmo sui treni e via, che la grande Russia ci aspettava. Cristo, doveva essere solo una scampagnata, dovevamo solo essere di appoggio ai toni che, a sentir loro, avrebbero presto preso Stalingrado e ci avrebbero portato donne e vodka a volontà.
Non era passato che un anno da quando eravamo tornati dall'Albania. Di notte mi svegliavo sognando ancora il fango e la neve dei Guri i Copit. Avevo ancora davanti agli occhi quel dannato bersagliere, le nostra urla, i nostri avvertimenti di non passare sul ponte che avevamo ricoperto di mine. Era come se fossi ancora lì, mentre lo vedevo saltare in aria e andare in mille pezzi, gambe, braccia, testa, tutto a brandelli, puzza di carne bruciata e sangue ovunque. Mi svegliavo e mi veniva il voltastomaco. E quei geni giù a Roma che parlavano di scampagnata! Vacca puttana, che ci andassero loro in Russia, con le loro belle divise da parata, le loro feste, le loro bottiglie di champagne e le loro puttane profumate. Che io, la scampagnata, avrei preferita farla nei prati del mio paese, con la Nina, fra le spighe di grano maturo.
Invece ci fecero salire sulla tradotta e via, in giro per l'Europa. Passammo la Germania, la Polonia e infine in Ucraina. Da qui con i camion fino alla nostra destinazione. Vacca boia, la nostra scampagnata! Ero con i miei compari della 45 compagnia fucilieri alpini del battaglione Morbegno. Io, che dal paese le montagne le vedevo solo in lontananza quando il cielo era terso! C'eravamo noi reduci dall'Albania, oltre alle nuove burbe tutte eccitate per la nuova avventura. Avventura! Avventura dei miei coglioni! Al primo colpo di mortaio se la sarebbero subito fatta addosso, come tutti noi, del resto.
Ci posizionammo lungo il Don. Gesù, in vita mia non avevo mai visto una bestia del genere! Noi che al paese, se volevamo bagnarci le chiappe, si andava al canale Villoresi o tutt'al più giù al Seveso. Vedere un fiume del genere era per noi uno spettacolo. Se non ci fossero stati i rossi dall'altra parte, si sarebbe potuto fare delle pescate della Madonna, vacca boia! E invece giù a scavare trincee, posizionare mortai e mitragliatrici e passare il tempo a grattarsi per i pidocchi e le pulci. Comunque all'inizio fu tutto tranquillo. Tanto i toni stavano per prendere Stalingrado, continuavano a ripeterci.
E invece quei nazi del cazzo si fecero sorprendere dai comunisti e tutto il fronte crollò. Noi ci trovammo così in mezzo a una pioggia di bombe e merda, di katiusce e mitragliate, roba da pisciarsi addosso dalla paura. Altro che scampagnata, Dio bono!
Poi arrivò l'inverno, che ci congelò anche i peli del culo. Non ho mai visto un gelo del genere. E neve, neve, neve e ancora neve. Per i nostri grandi generali a Roma, noi si doveva fare una bella scampagnata. E come tali ci avevano vestito. Cristo, il freddo ti entrava dappertutto e non ti restava altro che stringerti al commilitone più vicino per cercare un po di calore. Gran bella scampagnata per davvero. Che poi io, come tutti del resto, ne avremmo fatto volentieri a meno di tutta questa guerra di merda. Sarei rimasto a Cesano, a fare quel che sapevo fare, cioè il mobiliere, mentre al sabato si andava per i campi insieme a papà a mietere il grano, e alla sera giù in locanda per un bicchiere di barbera e una bella partita a scopone. E invece ci avevano fatto credere di fondare un impero e allora via, armarsi e partire, per la gloria del re, della patria e del duce. Che si fottano tutti quanti, adesso, mentre avevo le palle congelate da questo fottutissimo inverno, distante un'infinità da casa.
La situazione divenne insostenibile. Iniziò a circolare la voce che la grande e mitica Julia era stata spazzata via, dopo aver resistito eroicamente. Le altre divisioni di fanteria se l'erano squagliata già da un pezzo. E così anche i toni, se l'erano già date a gambe. Arrivò l'ordine di ritirarsi. Una benedizione. Almeno pensavamo all'inizio. Ma l'inferno doveva ancora iniziare!
Tu non puoi capire, Andrea, cosa vuol dire marciare con quaranta gradi sotto zero mentre i russi ti sparano dappertutto e devi pure combattere per aprirti un varco per andare avanti, andare oltre, inoltrarsi sempre di più in quell'inferno bianco, inferno di ghiaccio. Che poi, a dirla tutta, i rossi potevano anche evitare di spararci addosso. Ci pensava già l'inverno a farci a pezzi. Camminavo, camminavo, camminavo ancora come un ebete, ormai non capendo più nulla e non facendo più caso ai compagni che crollavano a terra, esausti, lasciandosi semplicemente morire congelati. Vacca boia, quei furboni di Roma pensavano veramente a una scampagnata e ci avevano dato divise estive. Mettiti tu una divisa estiva con meno quaranta sotto zero! E poi dimmi se non ti verrebbe voglia di infilargli i loro fasci littori del cazzo su per il culo!
Era tardo pomeriggio di non so più quale giorno di gennaio. So solo che non ce la facevo più. Semplicemente non riuscivo più ad andare avanti. Avevo perso la colonna in marcia. Ero solo. E' finita, Dio bon! pensai. Decisi di sdraiarmi e aspettare di morire. Poi sentii un paio di colpi di fucile. Non sapevo da dove provenivano, ma l'istinto di sopravvivenza mi fece correre verso una balka. Mi gettai dentro per ripararmi e in fondo all'avvallamento vidi un'isba da cui usciva del fumo dal comignolo. La mia unica speranza di salvezza!
Iniziai a correre, correre, correre. Inciampando, cadendo, rotolando, per poi rialzarmi e tornare a correre, terrorizzato dall'aver solo pensato di lasciarmi morire in quell'immensità di freddo e neve. Giunsi alla porta. Ero pronto a tutto. Tirai fuori la mia rivoltella e impugnai anche l'unica bomba a mano che mi era rimasta. Ero pronto ad ammazzare pur di potermi sdraiare a fianco di un camino acceso! Sfondai la porta con un calcio. Entrai. Ma non ci fu bisogno di sparare alcun colpo.
All'interno c'era solo una ragazza che avrà avuto più o meno la mia eta, intorno ai venticinque. Mi guardò e mi sorrise. "Italienish?" domandò goffamente. Feci un gesto affermativo con il capo. Lei non disse nulla. Ma si avvicinò alla credenza e tirò fuori del pane secco e una rapa mezza congelata. Mi indicò di sedermi accanto al fuoco e mi porse quel poco che aveva. Mi vennero le lacrime agli occhi nel vedere tale generosità, nel trovare quel po di umanità in mezzo a tanta e tale barbarie. Ma avevo troppa fame e freddo per indugiare oltre. Mi sedetti accanto al fuoco e iniziai a divorare quel povero pasto. Dopo, tutta la stanchezza di quei giorni venne fuori, e caddi letteralmente addormentato.
Mi svegliai che era notte fonda. Mi svegliai perché un paio di mani mi stavano toccando. In realtà mi stavano accarezzando! Mi svegliai di soprassalto pronto a combattere per la mia sopravvivenza. Invece mi ritrovai steso a terra, svestito, accanto al fuoco, mentre gli stracci che indossavo erano appesi a scaldarsi sul camino, avvolto da una pesante coperta di lana, con quella ragazza sconosciuta avvinghiata a me.
Non dicemmo niente. Non ce n'era bisogno. Furono i nostri corpi a ballare insieme il canto della vita. La mia mano scivolò istintivamente fra le sue cosce. Il tepore delle sue carni risvegliò l 'uomo che c'era in me. Infilai due dita nella sua fica, già umida e fremente. Lei mi baciò. Io la baciai. Poi le montai sopra. La penetrai più e più volte. Il tempo parve fermarsi. L'orrore della guerra si dileguò. Finché stanchi ed esausti ci addormentammo abbracciati, stretti l'una all'altro.
Al mattino mi svegliai di buon ora. Onestamente non volevo più abbandonare quell'isba. Che si fottano tutti! pensai mentre lentamente riaprivo gli occhi. Che si facciano da soli il loro impero. A me non importa nulla. Ma fuori dalla capanna iniziai a sentire un vociare sempre più vicino. Mi rivestii velocemente, subito imitato dalla mia salvatrice. Ben presto capii che si trattava di soldati italiani. Era un plotone della 53 compagnia del Vestone. Avevano combattuto tutta notte e ora si stavano riaggregando al resto del battaglione. Il mio senso del dovere mi spinse dal desistere dai miei propositi. In fondo erano miei compagni. E tutti insieme si stava cercando di uscire da quell'inferno. Sicché mi unii a loro.
Prima di andarmene, la ragazza mi allungò un involucro con dentro due patate e una crosta di pane. La baciai dolcemente, in un ultimo gesto di ringraziamento. E poi nuovamente mi gettai in quell'inferno di ghiaccio.
Carlo fece una pausa, come se il ricordare quei giorni lo avesse nuovamente stremato. Vedi, Andrea, alla fine ne sono uscito vivo, ma se non fosse stato per quella ragazza, di cui non ho mai saputo il nome, sarei sicuramente morto su quella balka, congelato da quel dannato freddo!
Carlo chiuse gli occhi, come se volesse ancora sognare quella donna. Lasciai mio zio sulla poltrona davanti al fuoco crepitante. Andai in cucina a farmi una birra. Non volevo disturbare i suoi teneri ricordi.
Era giusto che ora rimanesse solo con una ragazza di cui non seppe mai il nome!

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