martedì 23 settembre 2014

INVITO RISERVATO di Giuseppe Balsamo





Non sono un uomo da incontri al bar, o almeno, per un periodo della mia vita lo sono stato, ma non più.
Ora quando entro in un locale, lo faccio per un caffè, oppure per bere qualcosa di forte, quando le quattro mura di casa mi stanno troppo strette e mi manca l’aria.
Ovvio mi guardo in giro, ma mi limito a quello; occhiate fugaci che sono legate più al mio istinto che alla mia reale volontà.
Non appena me ne rendo conto me ne pento immediatamente, mi sento ridicolo, così distolgo lo sguardo e ricaccio in gola i miei stinti.
Quando vedo i miei coetanei approcciare una bella femmina al bar, per strada o chissà dove, mi sento a disagio per loro. Non so se sia corretto questo mio atteggiamento, semplicemente ne prendo atto, consapevole che mi costringe a serate solitarie davanti al bicchiere, pieno per metà di alcool e per l’altra dei miei pensieri.
Ormai sono tre giorni che dopo il lavoro non riesco a rimanere in casa, così faccio il giro dei locali che conosco. In solitaria ed in macchina, la moto è troppo impegnativa mi distrae da me stesso, così preferisco l’intimità dell’abitacolo dell’auto.
Devo rassegnarmi all’idea che mi sento meno solo con i miei pensieri piuttosto che nei bar che frequento. Continuo però ad andarci perché non si sa mai, perché qualcosa devo fare, perché è inutile crogiolarmi nelle mie paranoie senza far nulla.
I miei pensieri mi rendono cattivo, rabbioso, devo esserlo ne ho bisogno. Ad alcune cose non ci si abitua mai, neanche dopo averle viste per anni. La crudeltà, la rabbia e la violenza degli uomini, specie quando è rivolta verso i più deboli, è il mio pasto quotidiano. Sono consapevole di essere diverso da costoro, ma allo stesso tempo devo mettermi sul loro stesso piano, finchè ne ho le forze. L’adrenalina che si sprigiona mi serve, mi rende attento, mi rende vigile ne ho bisogno per superare le giornate ora per ora.
L’unico posto dove parlo con qualcuno è l’ultimo locale di quello che sta diventando il mio abituale giro notturno.
Potrei arrivarci prima, ma quella sosta la riservo solo quando non ce la faccio più a restare in silenzio e senza che nessuno mi rivolga parola; è il mio ultimo approdo, il mio porto sicuro, dove riesco finalmente a decidere che la notte è finita ed è arrivato il momento di tornare a casa, perché altrimenti il giorno dopo sarò un fantasma e non me lo posso permettere.
Non è il locale a determinare la differenza, piuttosto chi ci lavora dentro.
Non so come faccia ad avere la volontà di sorridermi dopo tutte quelle ore di lavoro dietro il bancone, dopo tutte le stronzate degli ubriachi che le passano davanti sera dopo sera, notte dopo notte.
Sta di fatto che una parola per me ce l’ha sempre, un sorriso anche, quindi è lì che termino le mie notti.
Quando siamo lì dentro lei evita di chiamarmi per nome, limitandosi a qualche parola. A dire il vero anche quando siamo fuori e da soli si rivolge a me con il termine “sbirro”, oppure “Leanza”; lo fa in maniera tutta sua, rendendo la cosa piacevole e complice.
Ho talmente insistito e litigato con Bea, la padrona del locale, che alla fine l’ha levata dai tavoli per metterla al bar, a lei non ho mai detto niente di sta cosa, ma so benissimo che ne è al corrente.
C’è un altro motivo per cui queste sere passo da lei all’orario di chiusura, per poi accompagnarla a casa.
Dopo che tre giorni fa abbiamo trovato il cadavere di quel ragazzino sono cominciati gli SMS, non è la prima volta che mi capita una cosa del genere, ma stavolta sento che è diverso, sento il freddo risalire dalla spina dorsale e so che mi devo preoccupare. Dapprima si limitavano al solito:”Sbirro fatti i cazzi tuoi”, poi sono diventati di tenore diverso:”Sbirro te la ammazziamo la tua troia”.
Anche di questo lei non sa nulla, anche se credo si sia accorta che nel mio sguardo c’è qualcosa di strano.
Sono le tre e tra un’ora stacca, sono sul solito sgabello all’angolo del bancone. Masha, senza che le dicessi niente, dopo avermi sorriso, mi porta un’acqua tonica con del limone, al posto della solita birra.
Nel poggiare il bicchiere mi lancia un’occhiata di rimprovero, cosa che non fa quasi mai. C’è tutto in quell’occhiata: i troppo bicchieri bevuto prima di arrivare, le troppe sigarette, la mia barba incolta, i miei occhi gonfi, il sonno perso, la mia rabbia e la sua preoccupazione.
Non so fare altro che borbottare un:”Merda…” e fare un sorrisetto stupido.
Quando esco dal night, per aspettarla fuori, sento il suo sguardo sulla schiena, l’aria fredda mi rigenera per qualche istante, ma le ossa mi fanno male ed ho sonno.
“Sei uno straccio sbirro, se continui così non arrivi ai cinquanta”. Mi sorprende alla schiena, sorride ma so che è un sorriso triste, mi prende sotto braccio e ci avviamo verso casa sua.
“Va tutto bene è solo un momento”, cerco di darmi un contegno, mi piace quando mi prende sotto braccio, lo fa spesso ultimamente, specie quando la accompagno a casa.
“Stanotte ti fermi da me, hai bisogno di dormire”. Non replico e poi di andare a casa da solo non ne ho voglia, domattina sarà più vicino al lavoro.
Dall’ultima volta che son stato a casa sua è passato un bel po’. Ho sempre evitato, pur avendone voglia, in quella occasione era mattina, ricordo di averla salutata velocemente prima di partire, trovandola a letto con addosso una delle mie magliette. In quel periodo ho dormito spesso da lei, ho un ricordo piacevole di quei giorni, forse anche lei, non gliel’ho mai chiesto, non ne abbiamo più parlato, anche se prima o poi mi piacerebbe affrontare questo argomento.
Devo essere parecchio stanco se mi si accumulano dentro tutti questi pensieri, uno sull’altro; si sovrappongono come una matassa di fili elettrici ingarbugliati, dai colori più disparati.
Come in quei giorni passati mi lascia usare il bagno per primo, rifugiandosi in camera da letto. Sto attento ad alzare la tavoletta e mi spoglio, restando a petto nudo. Mi guardo allo specchio, sono uno schifo: i capelli bianchi cominciano ad essere più di quelli scuri, le mie occhiaie sono quasi violacee.
“Quanto sei lento Leanza, cosa stai pensando?”
Riflessa allo specchio c’è anche Masha, sono talmente sovrappensiero che non l’ho sentita entrare, indossa la mia maglietta.
“Quella è mia”, le sorrido alludendo alla t-shirt che le sta un po’ abbondante, coprendole appena le mutandine.
“Devo levarla?”, fa per toglierla e restare nuda ma la blocco, sorridendo. Mi annusa e fa una smorfia teatrale di disgusto:”Hai bisogno di una doccia sbirro”. Allunga le mani verso di me e mi slaccia la cintura ed i bottoni dei jeans:”Ora lascia che mi occupi un po’ di te”.
Non ho la forza, né la voglia di replicare. Come un‘automa, tenendo i miei occhi stanchi fissi nei suoi, mi chino a levare le scarpe, per poi denudarmi completamente. Non è la prima volta che mi vede senza abiti, però si gira lo stesso, forse per restituirmi un minimo di intimità, oppure semplicemente per aprire il rubinetto della doccia.
Lo scroscio è invitante, guardandola con gratitudine mi infilo sotto, chiudo gli occhio e sollevo il viso.
Mentre mi godo l’acqua bollente che lenisce la mia stanchezza lei si unisce a me: “Fatti più in là, egoista!”. Mi fa spostare appena, per poi cominciare ad insaponarmi con una spugna. Mi appoggio alle mattonelle fredde, mentre le sue mani percorrono la mia gola, il mio petto, il mio addome, spingendosi sul mio sesso e sulle cosce.
Non oso proferir parola, voglio solo lasciarmi andare. Sono immobile se non fosse per il mio diaframma impazzito ed il mio respiro affannato. Sono eccitato, le sue mani indugiano sul membro ormai duro, la sue labbra bagnate assaggiano i miei capezzoli delicatamente, risalendo sul collo.
Non resisto oltre e le prendo il capo con entrambe le mani, infilo le dita fra i suoi capelli dorati e le faccio prendere il mio posto addossata alle piastrelle, soffocandola con un bacio.
Non avverto nemmeno più l’acqua su di me, solo il suo corpo caldo e bagnato contro il mio, il suo seno ed i capezzoli turgidi che premono sul mio petto. Le sollevo una coscia e la penetro, costringendola in punta di piedi.
Trasale per il piacere di quel primo affondo, i suoi denti incidono l’incavo della mia spalla ed un gemito strozzato le esce dalle labbra.
Si avvinghia a me, piantandomi le dita sulla schiena e sulle natiche, quasi a trattenermi dentro.
Ma io non voglio fuggire, voglio restare e rimanere dentro di lei. Voglio sentire il sapore dei suoi baci mentre i colpi si fanno profondi ed istintivi, quasi cattivi e sempre più incessanti.
Il mio piacere cresce dentro di lei, pulsa impazzito fino a non poterne più; lei mi abbraccia e mi segue in quel territorio di estasi e passione, lasciandosi andare all’istinto.
Lei mie labbra non si staccando dalle sue nemmeno all’arrivo dell’orgasmo, furioso e travolgente come lo tenessi da troppo. Continuo e continuo, avvinghiato a lei anche dopo esserle venuto dentro, sentendola gemere di piacere nella mia bocca.
Restiamo abbracciati sotto l’acqua calda, con gli occhi chiusi, recuperando il respiro. I nostri baci diventano troppi per poterli contare, come le gocce che martellano la nostra pelle.
Esco per primo dalla doccia. Voglio provvedere a lei, asciugarla e frizionarle il corpo per poi vederla di nuovo indossare la mia maglietta, voglio metterla a letto.
Starò disteso e lei si sistemerà fra le mia braccia, accompagnandomi nelle poche ore di sonno che mi separano dal giorno.
E’ tanto che non faccio una doccia con una donna, forse stanotte dormirò.

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