domenica 21 settembre 2014

LA SIGNORA DELLE CAMELIE di Andrea Lagrein




Richiusi il libro che stavo leggendo. Troppi ricordi. Troppa sofferenza. E quel romanzo stava riportando tutto a galla. Semplicemente Margherita mi mancava. La ferita del suo addio mi bruciava. Ne ero ancora innamorato. Ne ero ancora geloso. E il fatto di non sapere, in quel preciso momento, quel che stava facendo o a chi si stesse dando mi faceva letteralmente impazzire.
L'avevo conosciuta una sera a teatro. Ero alla Scala ad assistere alla Traviata di Verdi e quasi ci scontrammo nel foyer, durante la pausa fra il primo e il secondo atto. Lei sollevò lo sguardo e mi sorrise. Un sorriso delicato, indelebile ai miei occhi. Fui trafitto dalla sua bellezza. Su un ovale di una grazie indescrivibile mettete due occhi neri sormontati da sopracciglia con un arco talmente puro da sembrare dipinto, velate quegli occhi con grandi ciglia che, quando si abbassano, gettano una lieve ombra sul roseo incarnato delle guance; disegnate una bocca regolare, le cui labbra si schiudono graziosamente su denti bianchi come il latte; date alla pelle quel colore vellutato delle pesche che nessuna mano ha ancora sfiorato. E allora avrete l'immagine di quel delizioso volto. Era pura e semplice poesia. Era Margherita. E io me ne innamorai immediatamente!
"E' una puttana!" mi confidò poco dopo Armando, l'amico con cui ero a teatro. Lo guardai fulminandolo con gli occhi. Quello splendido petalo profumato non poteva di certo essere una troia! Ma Armando aveva ragione. Come mi disse subito dopo, Margherita faceva la escort. "Roba di gran classe, Lagrein, che ne tu ne io, nemmeno dopo una vita di sacrifici, potremmo permetterci! Lascia perdere!".
Ma io, di lasciar perdere, non ne avevo la minima intenzione. Mi aveva fulminato, mi era entrata dentro, mi si era scolpita nell'anima. Cristo! Mi aveva del tanto ammaliato che, se non l'avessi più rivista, sarei impazzito. Sicché, dopo un paio di settimane e fiumi e fiumi di birre, riuscii a recuperare il suo numero. La telefonata fu veloce e sbrigativa. Mi disse che si ricordava di me. Ma io non le credetti. Figurarsi! Classica balla per lusingare un potenziale cliente!
Ci incontrammo in un bar molto chic giù nel centro. Per l'occasione sfoggiai i miei abiti migliori. Gesù, probabilmente son costati un decimo del paio di scarpe che indossava. Ma, molto educatamente, fece finta di nulla. "Allora, Andrea, mi han detto che scrivi!". Il suo sorriso era disarmante. Doveva aver preso informazioni su di me. Questo non giocava affatto a mio favore! Decisi pertanto di giocare a carte scoperte.
"Più che altro cazzeggio, imbrattando pagine per ingannare il tempo e soprattutto me stesso. Ti hanno raccontato male, tesoro. Sono un mezzo alcolizzato senza lavoro, un inguaribile sognatore che ruba notti di amore qua e là, dove capita, fingendo di saperla lunga ma infondo senza aver mai capito un cazzo della vita!". Come presentazione non era male. Se non se ne fosse andata dopo dieci secondi, mi sarei detto bravo da solo!
Sorrise. E nel farlo si alzò. Sei secondi! Avrei sempre potuto entrare in qualche fottutissimo guinness dei primati! "Domani sera. Dopo cena. Da te!". La fissai stupito. E continuai a fissarla mentre usciva dal locale, ovviamente lasciando a me il conto. Beh, mi dissi bravo da solo!
La sera successiva eccola varcare la soglia di casa mia. Mi sorrise nel salutarmi. La guardai senza credere ai miei occhi. "Avresti preferito che mi presentassi con la tenuta ordinaria da lavoro?". Mi fece un occhiolino complice. La Margherita che entrò nel mio squallido bilocale di periferia non era la escort scintillante che tanto irretiva i clienti facoltosi, ma una ragazza semplice, vestita come si vestivano le sue coetanee di ventitre anni, l'eta che aveva, pronta a farsi una birra piuttosto che una coppa di costosissimo champagne. In fondo mi stava facendo un regalo. Mi stava donando la sua vera natura, la sua vera anima, ciò che era in realtà e non l'apparenza di cui si rivestiva normalmente per il lavoro che faceva. Davanti a me avevo la vera Margherita! Lo ammetto, aveva un look particolarmente aggressivo, nulla però che ricordasse la professione che faceva. E i suoi capelli rossi, rosso fuoco, Dio mio, incendiarono immediatamente i miei sensi.
Da quella sera iniziò la nostra relazione. Una storia fatta di sesso infuocato, ma anche di visite ai musei, di serate a teatro, di concerti lirici e libri letti e commentati insieme. Margherita non era solo un'Afrodite rediviva per me, era anche e soprattutto una compagna di vita, con un'intelligenza fuori dal comune, dall'ordinario. Il fatto che facesse la puttana era assolutamente secondario. Almeno all'inizio!
Mi piaceva guardarla stesa nel mio letto. O osservarla mentre cucinava, completamente nuda. Mi piaceva gustarmi la sua bellezza in mezzo alla bruttura del mio appartamento. Era riuscita anche nell'immane compito di renderlo accettabile. Ora, sul tavolo, vi era sempre un vaso con camelie fresche, i suoi fiori preferiti. La dove un tempo c'erano solo lattine vuote e mozziconi di sigaretta, ora si stagliava l'effige della femminilità, del buon gusto e del desiderio di normalità.
Ma con il trascorrere del tempo, il solo pensiero di dover condividere la donna di cui ero innamorato con altri uomini, anche se solo per danaro, iniziò a esacerbarmi, a farmi letteralmente impazzire. D'accordo, era solo lavoro, ma io ero geloso, fottutissimamente geloso. Iniziai a indebitarmi, a indebitarmi pesantemente pur di garantirle ciò che i suoi clienti, senza alcuno sforzo, riuscivano a darle. Nella mia follia, pensavo che se fossi riuscito a farle fare la stessa vita che conduceva prima non avrebbe più avuto alcuna necessità di concedersi per soldi. E sarebbe rimasta unicamente mia! Cristo, io che tentavo di fuggire disperatamente dall'amore, ci andai a sbattere addosso in malo modo. E il baratro si aprì sotto di me.
Un pomeriggio di un'estate afosa eravamo stesi nel letto. I suoi umori ancora rivestivano la mia pelle. La mia eccitazione era ancora fremente, per nulla appagata dalla lussuria che il suo corpo costantemente faceva vibrare in me. Avevamo appena finito di scopare, un amplesso selvaggio, animalesco, fatto di morsi, graffi e urla quasi dolorose, che io ero già pronto a riniziare. Eravamo stesi nel letto e il nostro maledetto destino prese forma dalle frasi che pronunciai.
"Smettila di fare la escort! Smettila, ti prego. Non la reggo più, io, sta cosa!". Lei mi fissò con occhi dolci. "Ci siamo innamorati, vero?". Più che una domanda, la sua, era una costatazione. "Non pensavo, dopo quel che mi è successo, di poterci ricascare. Ma......beh, direi proprio di sì!". Era un ammissione, la mia, una sorta di capitolazione davanti ai demoni del mio passato. Scopate di una notte, sbronze colossali, ferreo cinismo. Tutto svanito di fronte a lei. A Margherita!
Mi abbracciò. Mi baciò. Mi montò sopra. Lentamente. Delicatamente. Facemmo l'amore con passione e tenerezza, con trasporto e avidità. Facemmo l'amore per tutto il resto della giornata. Ed io mi sentii l'uomo più felice di questa terra.
Il giorno dopo, quando rientrai a casa, trovai un foglietto sgualcito di fianco al vaso di camelie. Vi era scritta una sola parola. Addio! Ci misi un po a capire, a realizzare il tutto. A comprendere che Margherita se n'era andata. Per sempre!
Mi incazzai di brutto. Mi sentivo tradito, preso in giro, usato. Mi sentivo come una breve parentesi, una vacanza dalla solita vita, poche settimane di bohème per provare brividi sconosciuti, per poi tornare ai lussi e agli agi da mantenuta d'alto bordo. Ero furioso! Ma del resto dovevo saperlo, con la storia che si trovava alle spalle. Cresciuta in un orfanotrofio, adottata da genitori che presto si stancarono di lei, abusata da un padre che non seppe resistere alla sua acerba bellezza, fuggiasca da casa appena compiuti i diciotto anni, battona da marciapiede a diciannove per sopravvivenza, gran dama a pagamento a ventuno, con un bell'appartamento in centro città, una Maserati a sua disposizione, yacht e abiti costosi pagati da ricchi industriali che facevano la fila per la sua fica e le sue tette. E io invece cosa le offrivo? La merda di un bilocale in periferia, cheesburger e patatine fritte e l'ansia del fine mese. Oltre al mio amore, ovvio. Ma quella era solo una parola, che non serviva a un cazzo, tanto meno a pagare le bollette! Infondo tutto poteva essere comprato e venduto, perfino i sentimenti, e Margherita ne era il paradigma. Tutto ruotava attorno alla disponibilità o alla carenza di denaro, al mercato dei beni, ai creditori o ai debitori. E Margherita era lo spaccato impietoso di questa società di merda!
Dall'ira passai alla tristezza. Dalla tristezza alla desolazione. Quella ragazza che tanto mi era entrata dentro mi mancava. Mi mancava da morire. E se n'era andata. Per sempre! Solo tempo dopo venni a sapere la reale motivazione. Armando le aveva parlato. Le aveva chiesto lui di lasciarmi, perché mi stavo rovinando di debiti pur di tenerla stretta a me. E lei alla fine aveva acconsentito, a malincuore. Per amore mio! La prostituzione, anche se scelta volontariamente, in fondo è sempre una prigione, un pozzo tanto profondo dal quale, anche sforzandosi all'estremo per guardare in sù, non si riesce a scorgere il cielo. Quel cielo che io ero pronto a donarle e lei disposta ad accettare. Margherita non riuscì a scappare dal proprio passato, da ciò che era e da ciò che volevano che fosse. E infine si sacrificò per me, rinunciando alla propria felicità per salvare il derelitto naufrago che ero. La verità ultima era che Margherita mi amava!
Richiusi il libro che stavo leggendo. Le lacrime ancora solcavano il mio viso. Lacrime amare. Lacrime di solitudine. Mi faceva troppo male, quel libro. Alexandre Dumas figlio. La signora delle camelie!

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