martedì 10 dicembre 2013

COPENAGHEN (cahiers del tempo che fu) di Andrea Lagrein




Non riuscivo a prendere sonno. Proprio non c'era verso. L'ostello, se di ostello si poteva parlare, era stato ricavato in una palestra di una scuola. Le camere erano semplici pareti di compensato in cui erano stati stipati tre letti a castello per ciascun loculo. Si sentiva di tutto. Rutti, scorregge, russate, imprecazioni, risate sguaiate. D'improvviso entrò il ragazzo tedesco che occupava il letto sopra il mio. Teneva per mano una ragazza e, quasi strattonandola, la spinse verso la scaletta in ferro. Completamente ubriachi, biascicavano frasi in tedesco che io assolutamente non comprendevo. Ma intuivo. Lui, con brutalità, le mise una mano sul culo e a forza la spinse a salire. Lei fece un versetto di finto sdegno, poi, con un sorriso, salì lesta la scala. Lui, gettando la maglietta a terra, la seguì. Il materasso sopra di me si arcuò pesantemente e la rete metallica si avvicinò pericolosamente al mio viso. E quasi subito iniziai a sentire ansimi e mugugni. Non scoperanno sulla mia testa, vero? Ma la risposta era ovviamente scontata. E la dimostrazione fu il materasso che incominciò a muoversi al ritmo dei gemiti di lei. Questo era troppo! In realtà era tutta invidia, perché una bella scopata me la sarei fatta anch'io. Non sapevo se masturbarmi o alzarmi e uscire a prendere una boccata d'aria. Avevo ancora un fottuto malditesta dato dalla gita pomeridiana a Cristiania. Optai infine per la seconda soluzione. M'infilai velocemente jeans e maglietta, afferrai il pacchetto di sigarette e me ne andai!

Camminavo stranito, allucinato, smarrito, faticando a mettere un passo davanti all'altro, a camminare diritto, nel disperato tentativo di tornare all'ostello dove collassare sul letto, chiudere gli occhi e dormire, dormire, dormire. Vedevo i passanti che mi guardavano chi con disgusto, chi con tenerezza, chi con compassione, chi con paura, chi con riprovazione. Mi veniva da ridere, e forse ridevo veramente, solo che non me ne accorgevo. Andate tutti affanculo, pensavo mentre cercavo di concentrarmi per non cadere a terra. Andate tutti affanculo, con i vostri giudizi e pregiudizi. Andate affanculo, non sapete chi io sia. E chi ero io? Nessuno. Ero uno dei tanti. Uno dei tanti che quel giorno aveva deciso di andare a visitare il quartiere di Cristiania. Utopico progetto simbolo del peace and love, dell'amore libero, dell'amore universale, oggi ne sopravviveva solo l'ombra di quel sogno, alimentato dal danaro di visitatori in cerca di un minimo di ebrezza, fra i fiumi di birra dei molti pub e i fumi di hashish e marijuana in vendita nelle tante bancarelle. Ero con amici. Acquistammo ciascuno una canna di super skunk francese. Ci sedemmo sul prato e iniziammo a fumare, sentendoci liberi e felici. Ma liberi da che? E felici perché? Non lo sapevamo nemmeno noi, ma il sole scaldava la nostra pelle, in lontananza sentivamo una canzone dei Doors, i problemi quotidiani svaniti e un aroma di salsiccia alla brace stuzzicava il nostro appetito. Così fumavamo, e più fumavamo più un piacevole torpore si faceva strada nelle nostre menti. Non me ne accorsi, cazzo, ma a un certo punto svenni su quel prato e iniziai a dormire per non so quanto tempo. Quando mi svegliai era già tardo pomeriggio. La testa mi pulsava e tutto ruotava intorno a me. Con fatica mi rimisi in piedi. Dovevo raggiungere l'ostello. Questo fu l'unico mio pensiero. E come un ebete, in un tempo senza tempo, infinito ed indefinibile, attraversai la città e alla fine riuscii a raggiungere il letto. Sopra il quale collassai definitivamente!

L'aria fresca della notte mi fece tremare. Mi sedetti su una panchina subito fuori l'ostello e mi accesi una sigaretta.I pensieri iniziarono a volare liberi. Beatamente mi lasciai trascinare da quel senso di pace e tranquillità. Ero talmente assorto che quasi non la sentii. - Posso?- mi chiese. Colto di sorpresa, alzai lo sguardo e la guardai. - Prego, siediti pure – le feci di rimando. - Me ne offri una? - domandò facendo cenno con la testa al pacchetto di sigarette. Allungai il braccio, porgendole anche l'accendino. Lei ne prese una, l'accese e aspirò, gettando leggermente indietro la testa. Quindi si strinse nelle spalle, portando le braccia in grembo, nel tentativo di proteggersi dalla brezza notturna. - Piacere, mi chiamo Simona!- disse infine. Annuii. E le sorrisi!
-Brutti pensieri?- mi chiese dopo un attimo di silenzio. Inspirai a fondo. - Più che altro ricordi che fanno male - risposi guardando a terra. - E' lei che ti ha lasciato, vero?- domandò a bruciapelo, aspirando una nuova boccata. Mi voltai a fissarla. Lei sorrise. Spense la sigaretta sotto la suola della scarpa. - Ci sono passata anch'io e qualche segno ormai so riconoscerlo - fece in tono distratto, accavallando le gambe e tentando di lisciare il corto vestito che indossava, in un gesto noncurante. La guardai. I suoi lisci capelli corvini, lunghi fino alle spalle, erano tutti spettinati, sollevati sulla fronte da una fascia elastica dai colori della bandiera giamaicana. Il volto aveva tratti comuni, quasi banali, ma gli occhi scuri guizzavano di una luce ammaliante, profondi e luminosi al tempo stesso. L'accento era marcatamente romanesco. Il bianco vestitino a fiorellini blu stampati, aveva una profonda scollatura da cui si intravvedevano perfettamente due tette belle piene, nel cui incavo oscillava un medaglione in cuoio dove era raffigurata la sagoma dell'Africa. - Beh, comunque ci hai preso! - risposi in un sussurro.
Lei mi guardò e sorrise. - E quindi sei qui a Copenaghen per cercare di dimenticarla fra le cosce di qualche biondina locale? -. Scoppiai a ridere. In breve le raccontai la mia storia. Al termine mi chiese un'altra sigaretta. Fumammo in silenzio, ognuno perso fra i propri pensieri. Alla fine, dopo un tempo che parve interminabile, si voltò verso di me, mi abbracciò e senza dire nulla mi baciò. Le sue labbra morbide e tumide si dischiusero appena e le nostre lingue si intrecciarono in una tenera e delicata danza. Quindi lei si distaccò appena e in un sussurro mi disse - Io invece sono venuta qui proprio per dimenticare. Mi piaci. E vorrei che mi aiutassi!-. La guardai dritto in quei suoi occhi caldi e profondi. - Io parto domani!- feci senza mezzi termini.- Un passato non lo cancellerai in poche ore, quelle poche ore che abbiamo a disposizione!- le dissi accarezzandole i capelli. Lei mi baciò nuovamente con delicatezza. - Per me poche ore sono già un'eternità. Fosse anche un minuto, sarebbe comunque un minuto di tregua dalla mia sofferenza. Domani tu sarai chissà dove. E io, beh, io ormai mi sono stancata di chiedermi dove sarò. Ma questa notte, adesso, ci siamo tu ed io, e questo per me è più che sufficiente! -. Le presi il viso nel palmo della mano. Il dolore le si leggeva sul volto, un volto che d'improvviso era divenuto splendido e sensuale. Non conoscevo la sua storia. Non me l'aveva raccontata. Né ci tenevo a saperla. Si vedeva solo che era una storia di patimento. L'abbracciai. - D'accordo!- le dissi infine - Dimentichiamo insieme!- E il profumo della nostra sessualità ci avvolse in quella strana notte di oblio!

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