***PAGINE DEGLI AUTORI ***
COPENAGHEN (cahiers del tempo che fu) di Andrea Lagrein
Non
riuscivo a prendere sonno. Proprio non c'era verso. L'ostello, se di
ostello si poteva parlare, era stato ricavato in una palestra di una
scuola. Le camere erano semplici pareti di compensato in cui erano stati
stipati tre letti a castello per ciascun loculo. Si sentiva di tutto.
Rutti, scorregge, russate, imprecazioni, risate sguaiate. D'improvviso
entrò il ragazzo tedesco che occupava il letto sopra il mio. Teneva per
mano una ragazza e, quasi strattonandola, la spinse verso la scaletta in
ferro. Completamente ubriachi, biascicavano frasi in tedesco che io
assolutamente non comprendevo. Ma intuivo. Lui, con brutalità, le mise
una mano sul culo e a forza la spinse a salire. Lei fece un versetto di
finto sdegno, poi, con un sorriso, salì lesta la scala. Lui, gettando la
maglietta a terra, la seguì. Il materasso sopra di me si arcuò
pesantemente e la rete metallica si avvicinò pericolosamente al mio
viso. E quasi subito iniziai a sentire ansimi e mugugni. Non scoperanno
sulla mia testa, vero? Ma la risposta era ovviamente scontata. E la
dimostrazione fu il materasso che incominciò a muoversi al ritmo dei
gemiti di lei. Questo era troppo! In realtà era tutta invidia, perché
una bella scopata me la sarei fatta anch'io. Non sapevo se masturbarmi o
alzarmi e uscire a prendere una boccata d'aria. Avevo ancora un fottuto
malditesta dato dalla gita pomeridiana a Cristiania. Optai infine per
la seconda soluzione. M'infilai velocemente jeans e maglietta, afferrai
il pacchetto di sigarette e me ne andai!
Camminavo stranito,
allucinato, smarrito, faticando a mettere un passo davanti all'altro, a
camminare diritto, nel disperato tentativo di tornare all'ostello dove
collassare sul letto, chiudere gli occhi e dormire, dormire, dormire.
Vedevo i passanti che mi guardavano chi con disgusto, chi con tenerezza,
chi con compassione, chi con paura, chi con riprovazione. Mi veniva da
ridere, e forse ridevo veramente, solo che non me ne accorgevo. Andate
tutti affanculo, pensavo mentre cercavo di concentrarmi per non cadere a
terra. Andate tutti affanculo, con i vostri giudizi e pregiudizi.
Andate affanculo, non sapete chi io sia. E chi ero io? Nessuno. Ero uno
dei tanti. Uno dei tanti che quel giorno aveva deciso di andare a
visitare il quartiere di Cristiania. Utopico progetto simbolo del peace
and love, dell'amore libero, dell'amore universale, oggi ne sopravviveva
solo l'ombra di quel sogno, alimentato dal danaro di visitatori in
cerca di un minimo di ebrezza, fra i fiumi di birra dei molti pub e i
fumi di hashish e marijuana in vendita nelle tante bancarelle. Ero con
amici. Acquistammo ciascuno una canna di super skunk francese. Ci
sedemmo sul prato e iniziammo a fumare, sentendoci liberi e felici. Ma
liberi da che? E felici perché? Non lo sapevamo nemmeno noi, ma il sole
scaldava la nostra pelle, in lontananza sentivamo una canzone dei Doors,
i problemi quotidiani svaniti e un aroma di salsiccia alla brace
stuzzicava il nostro appetito. Così fumavamo, e più fumavamo più un
piacevole torpore si faceva strada nelle nostre menti. Non me ne
accorsi, cazzo, ma a un certo punto svenni su quel prato e iniziai a
dormire per non so quanto tempo. Quando mi svegliai era già tardo
pomeriggio. La testa mi pulsava e tutto ruotava intorno a me. Con fatica
mi rimisi in piedi. Dovevo raggiungere l'ostello. Questo fu l'unico mio
pensiero. E come un ebete, in un tempo senza tempo, infinito ed
indefinibile, attraversai la città e alla fine riuscii a raggiungere il
letto. Sopra il quale collassai definitivamente!
L'aria fresca
della notte mi fece tremare. Mi sedetti su una panchina subito fuori
l'ostello e mi accesi una sigaretta.I pensieri iniziarono a volare
liberi. Beatamente mi lasciai trascinare da quel senso di pace e
tranquillità. Ero talmente assorto che quasi non la sentii. - Posso?- mi
chiese. Colto di sorpresa, alzai lo sguardo e la guardai. - Prego,
siediti pure – le feci di rimando. - Me ne offri una? - domandò facendo
cenno con la testa al pacchetto di sigarette. Allungai il braccio,
porgendole anche l'accendino. Lei ne prese una, l'accese e aspirò,
gettando leggermente indietro la testa. Quindi si strinse nelle spalle,
portando le braccia in grembo, nel tentativo di proteggersi dalla brezza
notturna. - Piacere, mi chiamo Simona!- disse infine. Annuii. E le
sorrisi!
-Brutti pensieri?- mi chiese dopo un attimo di silenzio.
Inspirai a fondo. - Più che altro ricordi che fanno male - risposi
guardando a terra. - E' lei che ti ha lasciato, vero?- domandò a
bruciapelo, aspirando una nuova boccata. Mi voltai a fissarla. Lei
sorrise. Spense la sigaretta sotto la suola della scarpa. - Ci sono
passata anch'io e qualche segno ormai so riconoscerlo - fece in tono
distratto, accavallando le gambe e tentando di lisciare il corto vestito
che indossava, in un gesto noncurante. La guardai. I suoi lisci capelli
corvini, lunghi fino alle spalle, erano tutti spettinati, sollevati
sulla fronte da una fascia elastica dai colori della bandiera
giamaicana. Il volto aveva tratti comuni, quasi banali, ma gli occhi
scuri guizzavano di una luce ammaliante, profondi e luminosi al tempo
stesso. L'accento era marcatamente romanesco. Il bianco vestitino a
fiorellini blu stampati, aveva una profonda scollatura da cui si
intravvedevano perfettamente due tette belle piene, nel cui incavo
oscillava un medaglione in cuoio dove era raffigurata la sagoma
dell'Africa. - Beh, comunque ci hai preso! - risposi in un sussurro.
Lei mi guardò e sorrise. - E quindi sei qui a Copenaghen per cercare di
dimenticarla fra le cosce di qualche biondina locale? -. Scoppiai a
ridere. In breve le raccontai la mia storia. Al termine mi chiese
un'altra sigaretta. Fumammo in silenzio, ognuno perso fra i propri
pensieri. Alla fine, dopo un tempo che parve interminabile, si voltò
verso di me, mi abbracciò e senza dire nulla mi baciò. Le sue labbra
morbide e tumide si dischiusero appena e le nostre lingue si
intrecciarono in una tenera e delicata danza. Quindi lei si distaccò
appena e in un sussurro mi disse - Io invece sono venuta qui proprio per
dimenticare. Mi piaci. E vorrei che mi aiutassi!-. La guardai dritto in
quei suoi occhi caldi e profondi. - Io parto domani!- feci senza mezzi
termini.- Un passato non lo cancellerai in poche ore, quelle poche ore
che abbiamo a disposizione!- le dissi accarezzandole i capelli. Lei mi
baciò nuovamente con delicatezza. - Per me poche ore sono già
un'eternità. Fosse anche un minuto, sarebbe comunque un minuto di tregua
dalla mia sofferenza. Domani tu sarai chissà dove. E io, beh, io ormai
mi sono stancata di chiedermi dove sarò. Ma questa notte, adesso, ci
siamo tu ed io, e questo per me è più che sufficiente! -. Le presi il
viso nel palmo della mano. Il dolore le si leggeva sul volto, un volto
che d'improvviso era divenuto splendido e sensuale. Non conoscevo la sua
storia. Non me l'aveva raccontata. Né ci tenevo a saperla. Si vedeva
solo che era una storia di patimento. L'abbracciai. - D'accordo!- le
dissi infine - Dimentichiamo insieme!- E il profumo della nostra
sessualità ci avvolse in quella strana notte di oblio!
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