***PAGINE DEGLI AUTORI ***
AUSCHWITZ (Per non dimenticare. Mai!) di Andrea Lagrein
I
suoi passi correvano rumorosi sul selciato bagnato. Non gli importava
nulla della pioggia che gli sferzava il volto, del vento che gli
schiaffeggiava le gote, del gelo che gli penetrava nelle ossa. Non gli
importava nulla del cuore che martellava impazzito nelle vene. Voleva
solo raggiungere la stazione. Voleva solo che il tempo, per una volta,
si fermasse. Mio Dio, cosa ho fatto? Cosa ho fatto? urlava con veemenza
la sua mente. Cosa aveva fatto? Aveva reciso il fiore più bello, il
fiore della sua vita. Grazie alla sua stupidità, alla sua debolezza,
alla sua ignavia, aveva consentito che glielo portassero via. Per
sempre!
Lui si chiamava Vincenzo ed era un figlio della ricca
borghesia milanese del tempo. Futuro già scritto, mondanità, feste e
belle donne. L'orrore di quei giorni pareva non toccarlo minimamente. La
strada era tracciata, e lui doveva solo seguirla!
La conobbe in una
giornata soleggiata di Marzo, al parco. Se ne invaghì immediatamente.
Doveva averla, doveva possederla. E fece di tutto per sedurla!
Lei
si chiamava Rita. Figlia di bottegai, viveva con pacata dignità gli
affanni di quel tempo. Scarpe riciclate, abiti rattoppati, serate
trascorse sognando al balcone. Ma era bella, bellissima. Ed era ebrea. E
l'orrore e la follia di quei giorni segnarono irrimediabilmente il suo
futuro!
Ma a questo, Vincenzo, non ci pensava. Pensava solo a quelle
gambe slanciate, a quel culo tondo ed invitante, a quelle tette grosse e
sode, a quelle labbra tumide e carnose. Pensava al corpo di Rita, a
come poterla scopare, al piacere che avrebbe goduto da quelle forme
sinuose. Vincenzo non pensava a Rita, ma alla sua figa!
In fondo
sapeva bene di che razza fosse, razza inferiore, razza appestata, razza
animalesca. Buona solo come carne da macello, come carne da servirsene,
come carne da schiavitù. Così gli avevano sempre detto, così gli avevano
sempre insegnato. E così lui credeva!
Lei fu immediatamente
attratta da quel giovane dalle buone maniere, elegante e galante. I
cinema, i ristoranti, le gite al lago, le risate e la dolcezza. Una
dolcezza fuori luogo in quei tempi terribili, e per questo ancor più
bella e seducente. A Rita parve che i suoi sogni si avverassero. E con
trasporto e calore, si concesse!
Lui la fotteva. La fotteva con
veemenza e impeto infuocato. Non v'era giorno o luogo in cui non la
desiderasse, in cui non desiderasse sprofondare in quel corpo da delirio
sensuale. Mai nessuna donna prima d'ora gli aveva fatto quell'effetto.
Gli bastava il solo pensarla che il suo uccello già iniziava a
sussultare!
Lei si dava con passione. Gli piaceva quel ragazzo e gli
piaceva in un modo mai prima sperimentato. Gli piaceva la sua focosità
virile. Gli piaceva quando le mordeva i capezzoli. Gli piaceva quando le
stringeva i fianchi e la penetrava da dietro. Gli piaceva vederlo
venire copiosamente sul suo ventre. Gli piaceva perché ne era
innamorata!
Vincenzo, come tutti i ragazzi della sua età, se ne
vantava con gli amici. Smargiassate da adolescenti, ricche di
particolari inventati o accresciuti a dismisura. Sposarla mai! Eh no,
che state scherzando? E' una lurida ebrea. Ma fotterla è un'altra cosa.
Fotterla si può. Mica si fa nulla di male! E sotto l'effetto di robuste
dosi di vino rosso nacque la leggenda della puttana ebrea, gran
succhiatrice di cazzi, amante di scopate sensazionali!
Ma quando
stava con lei, le cose cambiavano completamente. Giorno dopo giorno, la
dolcezza, la tenerezza, la sensibilità di Rita iniziarono a
conquistarlo. Non si trattava più solo di scopare. Lentamente Vincenzo
iniziò ad aprirsi a lei, a confidarsi, a trovare in quella ragazza
un'anima affine. Giorno dopo giorno, Vincenzo iniziò ad innamorarsene!
Solo che follia e stupidità, in quei giorni, regnavano sovrane. E Vincenzo ne ebbe paura!
Una sera, nella solita osteria, incontrò Francesco, amico d'infanzia,
ora importante personaggio dell'establishment politico locale. Serata di
baldoria, di risate, di ricordi, di robuste bevute. E di sussurrate
confidenze. "Dicono che te la fai con una puttana ebrea!" buttò lì con
noncuranza Francesco. Vincenzo voleva far colpo sull'amico. Nella
posizione in cui era poteva sempre far comodo, un domani. "Già! Cosa
vuoi, una vacca da monta serve sempre, no?" disse strizzando l'occhio
con fare complice. Francesco lo squadrò con fare furbesco. Poi scoppiò a
ridere. "Fai bene, amico. Un'ebrea è buona solo per svuotare i
coglioni. Se poi è troia, meglio ancora. Buon per te. Goditela, finché
puoi!". E Vincenzo si lanciò in racconti osceni sulle abilità sessuali
della puttana ebrea. Nomi, cognomi, indirizzi. Tutto raccontò. Non
tralasciò nulla. Voleva fare una bella impressione sull'amico. E così
non si accorse che Francesco annotò tutto mentalmente!
Passarono i
giorni e il delirio prese forma. L'umanità sprofondò nella follia più
assurda, nella follia più totale. Ma Rita e Vincenzo non si accorsero di
nulla. Non si avvidero dell'uragano che si stava abbattendo su di loro.
Rita e Vincenzo erano persi nel loro amore. Nella loro felicità!
La
corsa di Vincenzo terminò alla stazione ferroviaria. Entrò con la
speranza che il treno non fosse ancora partito. Cercò fra i vari binari,
incurante dei militari che lo osservavano truci. Vincenzo aveva il
cuore che gli scoppiava in petto!
Alla fine vide Francesco. Anche
l'amico si avvide di lui. Sollevò un braccio in segno di saluto. Si
avvicinò. Sigaretta pendula dalle labbra, gli sorrise amichevolmente.
Gli diede una pacca sulla spalla. "Amico mio, sei venuto anche tu a
goderti lo spettacolo? Mi spiace, sei arrivato tardi!" disse
sghignazzando. "Dovevi vedere! Che spasso! Tutti quei porci che
piagnucolavano mentre a calci in culo li sbattevamo sui vagoni! Uno
spettacolo, davvero!".
A Vincenzo iniziarono a tremare le gambe. Gli
parve che il mondo gli crollasse addosso. Era come se fosse caduto in
trance. Non vedeva, non udiva più nulla. Fu la voce di Francesco a
riportarlo alla realtà. Rideva di gusto. "Ah, già, c'era anche quella
tua puttana ebrea di cui mi hai parlato l'altra sera. Mi sa che adesso
ti devi trovare un'altra troia, amico mio!".
Vincenzo fece fatica a
trattenere le lacrime. Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? continuava a
ripetersi. Poi guardò Francesco. L'illusione è sempre l'ultima a morire.
"Che ne sarà di loro? Quando torneranno? Tu lo sai, vero?" chiese
speranzoso con un filo di voce. L'amico lo guardò quasi sorpreso. Poi
scoppiò nuovamente a ridere. "Amico mio, questo treno ha il solo
biglietto d'andata. Va dritto dritto all'inferno con tutto il suo
carico!".
A Vincenzo parve di morire. Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita!
Francesco si voltò per andarsene. Con un ultimo ghigno, posando una
mano sulla spalla di Vincenzo, disse : " Quel treno va dritto dritto ad
Auschwitz!".
L'uomo fermo immobile sulla banchina, fradicio di
pioggia, con il gelo nelle ossa e l'inferno nel cuore, era mia nonno. E
questo fatto non gliel'ho mai perdonato!
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