giovedì 10 aprile 2014

LA STANZA SUL RETRO di Giuseppe Balsamo




La prima volta, credo di aver avuto otto o nove anni, tenevo sul palmo della manina quella farfalla dai colori sgargianti, la osservavo lì, immobile ed indifesa. Quasi potevo sentire le vibrazioni dell’insetto, la paura, il tremore, la sua emozione, la voglia di spiccare il volo e fuggire. Cominciai con l’ala destra, la avvertivo vellutata sotto le dita, percepivo sul polpastrello la polverina sottile che la ricopriva. Nell’immaginazione di bimbo pensavo che fosse proprio quella sostanza magica a permetterle di volare. Fu un istante, tirai leggermente e la piccola ala gialla e nera mi restò fra le dita. Affascinato osservai il piccolo insetto dibattersi sul palmo. Il corpicino si piegò su se stesso impazzito, l’unica ala rimasta si mosse ritmicamente, probabilmente nel tentativo di volar via. Piegai il capo, incuriosito, finchè lentamente l’esserino non restò immobile e privo di vita.
Provai con altri piccoli insetti, ma non mi davano la stessa sensazione, finchè non riuscii a catturare una piccola lucertola. Certo non fu facile, né prenderla né immobilizzarla, ancor di meno infilarla in un piccolo contenitore in plastica dalla quale non poteva più scappare. A distanza di anni, capisco solo ora che la differenza era il sangue. La lucertolina, per ogni tortura che riuscivo a infierirle, perdeva sangue: di un bel rosso scuro, denso. Inoltre semplicemente ci metteva di più a morire.
Credo a questo punto di poter affermare, con estrema tranquillità, che la parte più infelice della mia esistenza sia stata l’adolescenza, vi assicuro e ribadisco che non è così facile trovare e catturare animali di piccola taglia per poter soddisfare i propri desideri. Ci provo diverse volte, animato da qualcosa che mi costringe a farlo, come il bisogno di nutrirmi: troppa fatica, troppo rumore, inoltre troppo complicato trovare il posto adatto ed isolato per fare tutto ciò che ho in mente.
Sono sempre stato un solitario, forse tutti quelli come me sono solitari, almeno credo. Nessun amico, nessun’amica. Mi accompagno agli altri, al gruppo di adolescenti che frequento, partecipo a quelle insulse feste per salvare le apparenze, per salvare i miei segreti, ma sono avulso da quel mondo. Non che le ragazzine mi dispiacciano, trovo il corpo femminile stimolante, come il sesso. Semplicemente desidero vederle soffrire. Ho il bisogno di assaporare la loro paura, vederle piangere. Quando osservo le loro lacrime calde e salate, non riesco a trattenermi dall'accostarmi al loro viso. Dio quanto sono bastardo ed impostore, fingo di consolarle ammettendo con loro il gran pezzo di merda che sono a farle soffrire così; dentro di me rido, urlo di piacere. Quel calore sulle gote rosse ed umide, mi fa star bene, mi appaga.
Non ho fatto male a nessuna di loro, per lo meno fisicamente intendo, se è quello che state pensando. Questo limitarmi a godere della loro sofferenza è stata una sorta di crescita, in quegli anni accumulo tutto quel dolore che le provoco, consapevole che esploderà in qualcosa che potrà appagarmi definitivamente.
Per la mia prima volta ho bisogno di qualcuno che non conosco bene, anzi che non conosco affatto, in modo da spersonalizzarlo, di ridurlo alla stregua di uno di quegli animaletti su cui ho infierito da ragazzino.
Ho un ricordo confuso del mio primo atto sessuale, ho invece un ricordo nitido della mia prima volta, quella vera. Quando finalmente decido che è arrivato il momento, alla radio Lucio Battisti canta “Voglio Anna”, dicono che sia la canzone preferita del “mostro di Firenze”, forse è anche la mia. C‘è profumo di primavera ed è notte, non è stato facile trovare la persona giusta, scelgo una donna solo perché il tutto sarà più semplice. Ho già la patente ma non l’auto, utilizzo un vecchio motorino Garelli, in quegli anni non c’è bisogno della targa, una sorta di bicicletta col motore. Passo più volte su quello stradone, la osservo e la studio. Non è affatto piacente, ma non mi interessa, la mia immaginazione va oltre l’aspetto fisico. Aspetto a lungo che sia sola e che il flusso di macchine diminuisca fino a scomparire. La contrattazione è rapida, con il suono gutturale della sua voce straniera, mi offre il suo corpo per pochi soldi.
Rapida, è lei stessa a condurmi in mezzo ai cespugli, oscenamente si scopre le terga e me le offre. Non consumo l’atto sessuale, mi fa schifo, mi fa ribrezzo, semplicemente mi appoggio da dietro su di lei e la pugnalo. Sento il calore del sangue sulla mano, la troia si dimena, geme, cerca di ribellarsi, la trafiggo ancora ed ancora, finchè non resta inerme per terra. Sono sazio, appagato, ho il desiderio di girarla e guardarla in viso, ma ho paura, tremo anche io. Mi pulisco come posso e ritorno al mio Gilera. Quando arrivo a casa mamma dorme, corro in bagno. Mi guardo allo specchio soddisfatto, vorrei rimandare il momento della doccia per conservare l’odore del sangue, l’emozione della morte, ma sono sporco dappertutto, non posso permettermi errori, proprio ora che ho cominciato. Così di malavoglia mi lavo, mi disfo di tutti gli indumenti, vado a letto contento.
Uccidere, ma soprattutto arrecare sofferenza, è un’arte, occorre dedizione, amore, fantasia.
Mi rendo immediatamente conto che la mia prima volta si è svolto tutto troppo in fretta, ma anche che dovrò aspettare un po’ per dedicarmi alla mia seconda esperienza. Già il giorno dopo però so che ho bisogno di misurarmi con un essere umano di sesso maschile, allo stesso tempo ho bisogno anche di appagare la mia sessualità folle, così decido che sceglierò un transessuale.
Lo individuo attraverso le mie scorribande notturne, faccio esattamente le stesse cose che ho fatto con la puttana, solo che questa volta la mia vittima ci mette di più a morire. Questa volto la giro e scopro il suo sguardo impietrito, ci guardiamo per lunghi minuti, solo che il trans è morto. Odio il suo sguardo inebetito: mi accusa, mi vuol far sentire in colpa. Afferro alcune pietre, scelgo la più grossa, così la colpisco ripetutamente sul viso, fino s che i suoi bulbi oculari fuoriescono dalla loro sede e smette di fissarmi in quel modo.
E’ con l’avvento di internet che finalmente svolto pagina: adoro internet, anche se sono passati diversi anni dalla mia prima volta. Ho la possibilità di procurarmi un bel set di ferri del mestiere ed un teser. Quando mi arrivano a casa, in un pacchetto anonimo, sono l’uomo più felice del mondo.
Tutto diventa più facile: abito da solo ed ho una stanza in cui posso divertirmi con i miei giochetti. Adoro stordirli con la corrente elettrica, trasportarli nel mio luogo segreto per poi giocare all’allegro chirurgo. Ogni volta cerco di ripulire tutto, minuziosamente. L’unica cosa che resta è l’odore del sangue, l’odore di morte, quasi che le pareti se ne siano impregnate ed a nulla serve disinfettare.
Le torture si fanno più sottili, riesco a prolungare il loro dolore all’infinito, odio però il loro sguardo stupido e stupito, così la prima cosa che faccio è cucire loro le palpebre con ago e filo.
Senza i loro occhi addosso lavoro senz’altro meglio.
Non so quanti e quante ne ho uccise, ho perso il conto.
L’ultima donna è qui vicino a me, fa il bagno nel suo sangue. La troia è morta troppo in fretta, ormai muoiono tutte troppo in fretta.
Non mi diverto più, nessuna emozione, nessun gusto.
Ho mandato una lunga lettera agli sbirri in cui racconto tutto. Sto morendo lentamente, in maniera indolore, nella mia stanzetta nascosta. Sono un bastardo pauroso, ho paura di soffrire, ma diventerò famoso.
Alla radio non mettono più “Anna” di Battisti, così il mio I Pod la diffonde all’infinito, mentre la mia fantastica vita mi sfugge di mano.

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