giovedì 15 maggio 2014

IL MAESTRO E MARGHERITA di Andrea Lagrein




- Voi umani siete addormentati ancorché svegli!- sentenziò mentre si versava nel bicchiere altro whisky. - Fate i pagliacci, fate gli offesi, fate i grandi, fate gli insofferenti. Ma lo fate senza accorgervi di essere diretti come delle marionette, del tanto ormai siete diventati ottimi attori. Attori di una tragicommedia, aggiungerei!-. Stefano mi guardava serio, come se tutto ciò che dicesse fosse quasi banale e scontato. Distolsi lo sguardo per non scoppiare a ridere. Non volevo offenderlo!
Quello fu probabilmente il periodo più buio della mia vita. Un misto di fallimenti e miseria che stava per portarmi sull'orlo di un baratro davvero pericoloso. Sfratti, licenziamenti, un conto in banca perennemente in rosso, giorni e giorni senza mangiare nulla. Ironia della sorte fu proprio lui a salvarmi!
Stefano era un pazzo visionario, senza alcun dubbio. Probabilmente drogato e alcolizzato. Si autocelebrava come capo compagnia di un gruppo di accoliti che si definivano attori. E giravano paesi e città inscenando i loro spettacoli teatrali non autorizzati, raccimolando pochi spiccioli e molti calci in culo dalla polizia, che inesorabile giungeva sempre per farli allontanare.
Ma lui non demordeva. Diceva di essere una creatura superiore e di essere ispirato da un fine sovraumano. Si faceva chiamare Woland che quello, a suo dire, era il suo vero nome. Come se io non sapessi da dove lo avesse preso!
-Siete miopi, fanatici, prevaricatori. Volete sempre imporre il vostro punto di vista sul vostro interlocutore. Come può un pidocchio invisibile e parassita arrogarsi il diritto di avere solo lui la conoscenza infallibile? Perché voi esseri umani altro non siete che questo. Miseri pidocchi!-.
Mi versai anch'io dell'altro whisky, in attesa che terminasse il suo sermone e si levasse dai coglioni. Però, a ben vedere, non aveva gran che torto!
In fondo era un bravo diavolo. Di quelli che la vita aveva malmenato e costretto a ritagliarsi una realtà tutta sua, visionaria. Ed eravamo in molti, nelle sue condizioni. Solo che non lo ammettavamo! Mi aveva raccattato in una serata da sbronza colossale. Non so quanto avessi bevuto in quel locale. So solo però che ero al limite della follia, buono solo oramai per il manicomio. Quando riaprii gli occhi, trafitto da un malditesta lancinante, mi ritrovai a casa sua. Mi diede ospitalità per più di tre mesi, senza chiedermi nulla in cambio. E io la accettai, per Dio se l'accettai. Mia àncora di salvezza! Stefano, o Woland che dir si voglia, mi diede un tetto, un materasso su cui dormire, un pasto caldo ogni giorno, birra a volontà e un cesso in cui pisciare. Sarà stato pure un folle, ma un folle di buon cuore!
- Il vero uomo libero è colui che riesce a liberarsi da se stesso, dal proprio ego, dai limiti che gli vengono imposti. Voi umani dovete imparare ad aprire la mente. La mente è creativa, il pensiero è creativo, le parole sono creative. Basta pensare a tutti gli infiniti universi che la mente è in grado di creare mentre sognate. Questa è la vostra vera forza. E questa forza continuate a castrarla!-. Lo osservavo rapito. Nella sua concitata follia, Woland, dispensava saggezza a piene mani. Più lo ascoltavo, più iniziavo a convincermi che forse era davvero un essere superiore. Cristo, dovevo smetterla di bere!
Ma rimanevo lì, inchiodato su quel divano, ad ascoltare i suoi filosofeggiamenti, perché in fondo stavo aspettando lei. Solo lei. E poco dopo, infatti, arrivò.
Lei era Gabriella, ennesimo naufrago salvato da Woland. D'una bellezza tutta sua, di quella classica bellezza che, prima ancora di incendiare corpo e sensi, infiamma la mente.
La conobbi due giorni dopo che mi trovavo in casa di Woland. Lei arrivò e nulla fu più come prima. Io ero ancora delirante, per i postumi della sbornia e per un futuro che proprio non vedevo. Lei mi guardò sorpresa, ed io all'improvviso e del tutto inaspettatamente, compresi che per tutta la vita avevo amato proprio questa donna. I nostri occhi si incastrarono in un abbraccio ricco di promesse. E una settimana dopo già i nostri corpi, madidi di sudore, gemevano l'uno sull'altro.
Il suo volto incendiava la mia mente. Il suo corpo sferzava i miei sensi. La sua foga sessuale devastava i miei pensieri. Era come fossi drogato. Drogato di lei, del suo seno, delle sue cosce, del suo culo, della sua fica, dei suoi umori. Un drogato costantemente in astinenza!
Woland depose il suo bicchiere di whisky appena Gabriella arrivò. Si alzò e sorrise a entrambi, un sorriso complice e divertito. Poi si rivolse a lei.
- Mia cara, dimmi, cosa vuoi per te? Cosa desideri veramente?-. Gabriella mi fissò. Mi sorrise. Quindi abbassò lo sguardo e rispose in un sussurro.
- Venderei anche l'anima al diavolo affinché qui, subito, io possa avere il mio amato maestro!-. Woland scoppiò a ridere e si diresse verso la porta d'ingresso.
- E allora così sia. Buon divertimento, miei adorati!-. E uscì di casa.
Gabriella non perse tempo e si lanciò fra le mie braccia. A lei piaceva chiamarmi maestro. Amava leggere ciò che scrivevo. Ma soprattutto amava, come mi sussurrava maliziosa, il modo in cui la facevo godere. Gabriella era fatta così. Si dava anima e corpo, e tutto in me faceva risplendere e ardere. Se ne uscii vivo da quel periodo, il merito fu soprattutto suo.
Adoravo il suo ventre, le sue cosce, la sua pelle setosa, l'aroma pungente e fragrante della sua fica. E lei adorava raggiungere l'orgasmo mentre la mia lingua non dava tregua al suo clitoride. Poi passavamo istanti infiniti stesi sul letto, abbracciati, ricoperti dai nostri umori, fumando sigarette e bevendo birre, parlando di letteratura e filosofia. Finché le nostre voglie non riprendevano il sopravvento.
Si era sposata giovane, non ancora diciannovenne. Ma per amore della libertà, ben presto aveva lasciato casa, marito, benessere, per unirsi a quella strana, ridicola comitiva di residui umani. Ed era felice! Un giorno mi confidò che non aveva mai veramente amato l'uomo che aveva sposato. Addirittura era giunta al punto di disprezzarlo, grezzo e superficiale com'era. L'aveva fatto solo per compiacere i suoi genitori, quasi fosse un matrimonio combinato fra famiglie. Giovane e bella, si era trasformata in una strega agli occhi dei suoi stessi familiari.
Ma non ai miei. Ben presto divenne la mia musa ispiratrice e, quando non trascorrevo il tempo fra le lenzuola con lei, il suo solo pensiero accendeva in me una foga creativa mai prima sperimentata. Succhiavo la sua vulva, mordevo i suoi capezzoli, scopavo il suo culo e nel mentre ne facevo poesia! E lei, fottendo il mio corpo, scopava e violentava la mia mente, accendendola, illuminandola, spronandola sempre di più. L'eros era divenuto comunione. E quest'ultima si era trasformata in potenza creativa!
Quella sera era l'ultima in casa di Woland. Ero riuscito a risollevarmi. Nuovo lavoro, nuove prospettive, nuova casa. In affitto, ovviamente! E tanta, tanta voglia di ritornare a scrivere. Quella sera Gabriella e io facemmo l'amore con più passione, con più intensità del solito. E come al solito, a notte fonda, lei se ne andò.
Mi svegliai a mattino inoltrato. Woland non c'era. Non era rincasato. Nulla di strano, infondo. Si sarà perso in qualche sua impresa folle. Uscii sorridente e felice, dopo molto tempo. L'aria frizzante primaverile mi accarezzava dolcemente. Andai al mio nuovo appartamento. Presto vi avrei portato anche Gabriella e con lei avrei iniziato una nuova vita.
A sera, dopo aver comprato una bottiglia di buon rosso, tornai a casa di Woland, così, per un'ultima cena. Suonai ripetutamente il campanello. Sempre senza risposta. La padrona di casa mi disse che quel giorno stesso, senza alcun preavviso, il signor Stefano le aveva comunicato che avrebbe lasciato l'appartamento immediatamente. E con lui se ne era andata via anche tutta quella accozzaglia di individui di cui era solito circondarsi.
Passai i giorni seguenti a cercarli. Sempre senza successo. Erano come svaniti nel nulla. E Gabriella, la mia bella Gabriella, svanita con loro. Non li rividi mai più!
Un giorno, rincasando, trovai fuori dalla porta tre scatoloni. E un biglietto. Di Woland. "Non hai meritato la luce, hai meritato il riposo!".
Sorrisi amaramente. Vecchio pazzo di un ubriacone! Mi aveva donato la sua biblioteca. Mi aveva donato la sua conoscenza. Mi aveva donato la sua saggezza. Nelle scatole c'erano libri, libri e ancora libri.
E scoppiai a ridere quando estrassi il primo. Gli scherzi del destino. Era proprio Il Maestro e Margherita!

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