sabato 31 maggio 2014

FOTOROMANZO di Giuseppe Balsamo




Resto a guardare il soffitto, lo so che sto ridendo come un’ebete, non ci posso fare niente. Quel sorriso scemo mi resta stampato sul viso e so che non se ne andrà così presto.
Sono passati due giorni: mi sveglio al mattino, mi sbarbo, lavoro, mangio, mi alleno . Ad intervalli di circa trenta minuti, quando l’astinenza dalla nicotina mi ricorda che devo fumare la mia sigaretta, ritorno a quarantotto ore prima.
Non amo indossare abiti e cravatta, quella sera però sono obbligato. Mi allento il nodo e sbottono la camicia sul collo alla ricerca d’aria, mentre l’ascensore sale verso il sesto piano. Ho la camera 626, in fondo al corridoio, gioco con l’enorme portachiavi, finchè le porte scorrevoli si aprono.
Lei è appoggiata con la schiena al muro, in posa plastica, sembra una modella dei fotoromanzi degli anni ’70, con la gamba poggiata al muro e lo sguardo provocante. Indossa un abitino a fantasia floreale bianco e nero, appena mi vede arrossisce imbarazzata, facendo finta di niente. Ci metto un attimo a capire che era in posa per una strana fotografia, infatti poco distante c’è una sua amica che se la ride. Faccio finta di niente, passo fra le due, chiedendo permesso, raggiungo la mia stanza, riservandomi un’ultima occhiata prima di riuscire ad aprire la porta per poi richiudermela alle spalle. Nel corridoio le sento entrambe ridere, chissà a cosa sarebbe servita quella foto: immortalare un momento di vacanza, da mandare al fidanzato o all’amante, oppure le due erano fidanzate ed amanti.
Sorrido anche io, preparandomi per la notte. Mi è sempre piaciuto intrufolarmi nelle vite altrui, in questi momenti di intimità strappati, per poi cercare di fantasticare sulle situazioni. Forse perché son troppo timido ed a me cose strane ed avventure particolari non sono mai capitate. Spesso le ho sentite nei racconti di amici, con un po’ di invidia, ho sempre pensato che mi pigliassero in giro e che comunque a me non sarebbe mai successo.
La mattina dopo a colazione sono meno a disagio, non ho più il mio abitino formale, i Ray Ban coprono le mie consuete occhiaie, con i jeans e la felpa sono senz’altro a mio agio, uno come tanti che passa inosservato fra i tavoli apparecchiati per la colazione.
Anche lei non ha più il suo abitino ed indossa occhiali da sole alla moda, la riconosco subito, intenta a spalmare della marmellata su una fetta di pane tostato. Al tavolo c’è un uomo, forse è suo marito. Non so perché ma vado immediatamente a cercare la fede al dito, infatti la trovo, anche la modella anni ’70 ha la fede, sono senz’altro sposati.
Il mio tavolo è poco distante dal loro, mi accomodo in attesa che il cameriere mi versi il’ caffè all’americana. Niente espresso, quando sono all’estero evito, anche se probabilmente è buono. Mi limito ad un caffè, ad uno yogurt e dei cereali, il necessario da consentire di apprezzare la mia prima sigaretta.
Mi accorgo che mi sta guardando, cioè io la sto guardando e lei sta pensando : “Questo che cazzo vuole?”, oppure è lei che mi guarda ritornando alla sera precedente. Non lo so, fatto sta che ci guardiamo, insistentemente, ad intervalli di pochi secondi ci guardiamo, ci siamo entrambi tolti gli occhiali da sole per guardarci meglio.
Quella mattina non ci sorridiamo, non accenniamo ad un saluto, semplicemente i nostri occhi si incrociano, ci osserviamo, io non riesco a farne a meno, lei non so. Ormai sono due giorni che ci guardiamo, capita che la incrocio nella hall dell’albergo e non resistiamo alla tentazione, ci osserviamo a colazione ed a cena. A pranzo no, io non ci sono, chissà se tu invece sei al tavolo e mi cerchi con gli occhi, io lo farei.
Ci stiamo raccontando molte cose con gli occhi, so diverse cose di te. Conosco il nome di tuo marito, anzi so il cognome perché il cameriere lo saluta con deferenza chiamandolo per cognome e facendo precedere il dottor:” buongiorno dottor Carli”, “buona sera dottor Carli”, “ben tornato dottor Carli” . So per certo che è tuo marito, me ne accorgo da mille piccole cose. So anche il tuo nome: Asia, perché lui un paio di volte ti ha chiamato così. So che ti piace la frutta, mangi poco pane e ti piace il vino bianco. Mi piace come bevi il vino bianco, porti il calice alle labbra e ne bevi due piccoli sorsetti, resta sempre un ‘ombra di rossetto sul bicchiere. A colazione bevi solo il caffè, fumi anche tu, ti ho visto sulla porta dell’albergo ed una volta anche in tabaccheria all’uscita.
Chissà cosa pensi quando mi guardi, spesso ormai sorridi ed io ricambio. Io ti accarezzo con lo sguardo, non ti spoglio con gli occhi, son troppo timido, semplicemente ti accarezzo, ti faccio i complimenti per come sei vestita. Una volta ti ho tolto una briciola di pane dal labbro con lo sguardo. Sei un po’ pasticciona, sei a tratti disordinata. Chissà se tutto quello che penso è vero.
Ieri sera hai riso di gusto a qualcosa che ti ha detto tuo marito, poi mi hai guardato, quasi sentendoti in colpa per avermi escluso da quella situazione. Forse sono io che immagino tutto.
Conosco la tua voce, ma non ci siamo mai parlati. Quello che conosco meglio è il tuo sguardo ed un tuo segreto, chissà se quella foto era un tuo segreto, forse no, ma mi piace pensarlo. Mi piace pensare di essere in possesso di un tuo segreto, di essere tuo complice.
I nostri sguardi ed i nostri sorrisi sono complici di qualcosa che ancora non conosciamo.
Mi sta esplodendo il cuore nel petto, spero di non darlo a vedere, sei qui vicino a me ad aspettare l’ascensore. Non so che cazzo dirti, cioè vorrei parlarti, ma mi è uscito un saluto stentato.
Non mi stai nemmeno sorridendo, io non riesco a sorriderti, sono impietrito.
Adesso conosco anche il tuo odore, hai un buon odore, di erba appena tagliata, l’ascensore ci sta mettendo un tempo infinito per salire al nostro piano.
Ci guardiamo in attesa, senza proferire parole, sento solo il mio respiro che rimbomba. Come fai ad essere così tranquilla!!
Finalmente il campanello dell’arrivo al piano, le porte scorrevoli che si aprono, spezzano quel silenzio imbarazzante, sono proprio un coglione. Avvilito ti cedo il passo, guardando che vai nella tua camera, ad appena due porte dalla mia.
So che sei sola, tuo marito a cena non c’era, avrei potuto parlarti, avrei dovuto bere qualcosa con te.
Mi lanci un ultimo sguardo prima di aprire la porta, un sorriso, forse è il tuo bacio della buona notte.
Mentre vado verso la mia camera, noto che hai lasciato la porta socchiusa, non hai acceso la luce. Respiro forte, non so dove trovo il coraggio per fare quello che sto per fare.
So pensando di dire qualcosa, un: “permesso, tutto bene?”, ma le parole sono bloccate, non ci riesco.
Lentamente apro la porta e seguo il buio ed il tuo odore.
Improvvisamente sento la tua mano calda sull’avambraccio mi trascini in quello che sto aspettando da giorni. Questa volta non ci sono i nostri sguardi, non ci sono i sorrisi, ma la tua bocca tiepida ed umida.
Nel buio cerco il tuo corpo, mi sazio dei tuoi baci inattesi.
Sei contro la porta del bagno, contro un muro, non lo so. So solo che mi sto riempiendo le mani di te.
Sollevo il lembo del vestitino a fantasia floreale, chissà perché stasera lo indossi, indugio sulle tue cosce, sulle tue natiche mentre le tue labbra impazzite mi mordono il collo.
Ti immagino in quella posa a tratti erotica, da fotoromanzo, mentre ti sollevo una coscia e spingo il mio ventre contro il tuo, mi struscio e ti faccio sentire quanto sono eccitato.
La tua mano cerca il mio sesso, lo impugna, sapientemente lo massaggia, mentre io esploro la tua fica, scostando il pizzo prezioso del tuo intimo.
Ti voglio così: in piedi, tu lo sai e lo hai sempre saputo.
Mi guidi dentro di te ed i miei affondi ti sollevano, lasciando il tuo collo alla mercè dei miei morsi.
Ti stringo un seno, sentendo il capezzolo duro sul palmo. Ti sollevo una coscia perché voglio entrare dentro di te finchè riesco.
“Sbattimi, scopami” ansimi mentre eseguo i tuoi comandi.
Godi nelle mie orecchie ed all’unisono ti vengo dentro, lasciando colare il mio seme tra le tue cosce.
Ti accasci sul mio collo ed io ansimo tra i tuoi capelli setosi e profumati, neri come il buio della notte.
In una notte ho imparato molte cose di te, alcuni sguardi ed alcuni sorrisi non mentono. Ora so come ti piace essere presa, non sei di porcellana, sei stata mia.
Aspetto che tu sia addormentata, faccio andare le mie dita sulla tua pelle ed in silenzio mi rivesto, tuo marito potrebbe tornare.
Sono passate quarantotto ore da quella notte, rileggo il tuo messaggio:”Non dovresti dettare il tuo numero ad alta voce quando ricarichi in tabaccheria”, guardo quella foto, chissà per chi era: sei bella, sembri una modella dei fotoromanzi.
Sono passate quarantotto ore e compongo il tuo numero.

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