lunedì 26 maggio 2014

LA MONETA DEL SOGNO di Andrea Lagrein




La scopai. La scopai con foga e brutalità. In fondo lei era lì per quello. Era il suo mestiere. Nulla di strano nel ritrovarsi sul sedile reclinato di un'auto ferma in un parcheggio deserto, alle due di notte, puzza di alcool e sudore, profumo a buon mercato e precarietà infinita. Quella sera anche l'indifferenza di una puttana poteva esser meglio che ritrovarmi a tu per tu con la mia stessa anima. La sua fica a pagamento era una fugace via di fuga da tutto ciò che mi circondava. Grugnii, gemetti e venni copiosamente. Ritornai poi al posto di guida e le consegnai la cifra pattuita. Tre banconote da dieci euro. Mi sfuggì un sorriso nel vedere che su una di queste qualcuno vi aveva scritto la parola libertà. Ma libertà da cosa? Misi in moto e, muti nei nostri silenzi, la riaccompagnai sul marciapiede dove l'avevo rimorchiata. Lei scese ed io svanii nella notte!

Alina si svegliò in tarda mattinata. Come tutti i giorni. Il suo pappone era uscito presto quel giorno. Pertanto si ritrovò da sola in casa. Un fatiscente appartamento chiazzato di umidità, scarafaggi in sovrabbondanza e il cesso sempre sporco di merda. Si accese una sigaretta e guardò fuori dalla finestra il solito paesaggio suburbano di quella porzione di malandata periferia milanese. Ancora una volta si ritrovò a sognare a occhi aperti i campi, i prati e gli alberi del suo paese in Romania. Sua nonna sorridente sull'uscio della cascina dove abitava e sua madre china nell'orto. Ma come cazzo era possibile che si fosse ridotta così? Puttana e schiava, vuoto involucro di piaceri a pagamento. E non poteva nemmeno scappare. Oh, quante volte lo aveva desiderato. Quante volte lo aveva sognato. Ma il rischio era troppo alto, che se l'avessero ripresa avrebbe fatto sicuramente una brutta fine. Sotto terra! Si vestì velocemente e uscì per fare un pò di spesa. Aveva fame e, al solito, la dispensa era vuota. Entrò in un negozio di alimentari, comprò il necessario e pagò il conto. Quindici euro in tutto. Allungò le banconote alla commessa. Una da cinque e una da dieci. In bella evidenza, scritto con un pennarello rosso, campeggiava la parola libertà. Un sogno, un miraggio per Alina!

Angela abbassò la serranda del negozio. Erano le otto meno dieci di sera. Tutta la stanchezza della giornata ora si faceva sentire. D'accordo, non era poi così vecchia, si ripeteva. A cinquantun anni certi sforzi si potevano ancora reggere. Ma era la crisi che la faceva sentire spossata. La crisi e i continui pensieri di non riuscire più a reggere. Quando lei e il marito avevano aperto quel negozietto, non pensava certo di arricchirsi. Ma sognava comunque un buon tenore di vita per poter far crescere i propri figli in un certo agio e benessere. Ora invece le cose peggioravano di giorno in giorno. La crisi, continuavano tutti a ripetere. La crisi, certo, ma anche una concorrenza sleale e incontrollata, una tassazione ormai impossibile da sostenere, una classe politica inetta e incapace di far fronte ai veri problemi dei cittadini, se non continuando ad andare in televisione facendo proclami altisonanti. E aumentando le imposte! Angela sospirò. Fra poco avrebbero dovuto chiudere il negozio. Troppe le spese da sostenere. E pochi i guadagni da mettere in tasca. Afferrò una manciata di banconote dal registratore di cassa e raggiunse il marito in strada per tornare insieme a casa. Lungo il tragitto incontrarono il figlio quindicenne che stava uscendo per far serata. Le solite raccomandazioni inascoltate. La solita richiesta di danaro. Angela prese dal portafogli due banconote da dieci euro e le diede al figlio, che quasi manco ringrazziò. Libertà, c'era scritto su una. Angela sospirò. Magari avesse potuto avere qualche istante di libertà dalle continue preoccupazioni che l'assillavano. Ma a ben vedere, era una pia illusione!

Filippo entrò nel locale. Non gli era mai andato a genio quel posto. Roba da comunisti, vecchi compagni e sfigati senza una lira. Ma ci andava perché lì si ritrovavano tutti i suoi amici. E quindi, se non voleva passare le serate da solo, era costretto a sorbirsi tutta quella roba tipo bandiere del Che, inni socialisti e sproloqui da sindacalista. Che poi, a lui, della politica in fondo non gli fregava un cazzo! Cioè, se volevi rubare e fare la grana in modo facile, quella poteva essere una buona soluzione. Altrimenti una noia mortale, due palle infinite. Lui aveva altri pensieri per la testa. Aveva altri problemi. Altri sogni. E il suo desiderio aveva la forma di una mela smangiucchiata. Doveva trovare i soldi per comprarsi l'ultimo modello di I-phone, quello che avevano tutti i suoi amici, quello che lui non aveva. Già era imbarazzante essere soprannominato il figlio del salumiere, come lo chiamavano tutti. Il fatto poi di non essere come gli altri, di non avere l'ultimissimo modello di telefono, lo faceva sentire un reietto, un escluso. E queste cose i suoi genitori mica le capivano. Era del tutto inutile spiegargliele. Dunque si appoggiò al bancone e ordinò una media chiara, in attesa che arrivassero gli altri. Tirò fuori dieci euro e li diede a quel cazzo di vecchio barista fricchettone. E manco si accorse che sulla banconota era ben visibile la parola libertà!

Giorgio ne aveva le palle piene. Non si poteva andare avanti così. Spense la radio, immancabilmente sintonizzata su Popolare Network. Era tempo di elezioni e quante cazzate gli toccava ascoltare da parte di tutti quei mestieranti del buon governo! Giorgio era uno della vecchia generazione. Eskimo, falce e martello, pugno chiuso e Guccini. Ci aveva sempre creduto. Anche adesso, nonostante tutto. Cazzo, Giorgio era un comunista, di quelli veri, di quelli convinti, di quelli che ormai erano rimasti in pochi. Ma chi se ne frega, continuava a ripetersi. Lui non scendeva a compromessi. I suoi ideali non li svendeva che oggi, gli ideali, eran merce assai rara. Soprattutto non li svendeva a quelli lì. Alle puttane di Montecitorio. Giorgio ne aveva le palle piene dei vari Berlusconi, Renzi e Grillo, sbiadite figure di politicanti da quattro soldi. Se solo avesse avuto il coraggio, ma non lo aveva, avrebbe fatto come i vecchi compagni di un tempo. Una bella molotov su per il culo di quella combriccola di ciarlatani. Ma Giorgio sapeva bene di non essere un eroe. Sicché si limitava a sbuffare e inveire contro di loro. Alle due di notte chiuse il locale. Ma non aveva voglia di andare a dormire. Non quella sera. Così andò al solito parchetto. Lui era lì, immancabilmente come ogni notte. Andava da lui perché aveva l'erba migliore che avesse mai provato. Il solito? Il solito! Lui gli diede il sacchettino e Giorgio pagò il convenuto. Quella notte si sarebbe rilassato. E gli tornò il sorriso. Sorriso che divenne quasi una risata quando vide una delle banconote che stava dando all'uomo. Scritta in rosso, c'era in bella evidenza la parola libertà. Cazzo, ma allora qualche compagno esisteva ancora!

Kamal entrò nella stazione centrale di Milano felice e contento. Il suo sogno si stava per realizzare. Suo fratello lo aveva chiamato un paio di giorni prima per dargli la splendida notizia. Finalmente Kemal lo avrebbe raggiunto in Germania dove gli era stato trovato un posto di lavoro in regola in una fabbrica metalmeccanica. Kemal avrebbe abbandonato quella vita di merda da clandestino che si trovava a fare qui in Italia. Non che se la passasse male. Spacciare droga gli riempiva le tasche di bei soldi, anche se i veri guadagni li facevano altri. A lui comunque girava bene. Solo che proprio non gli andava a genio dover sempre vivere guardandosi alle spalle per paura degli sbirri o, peggio, di bande rivali sempre pronte a ammazzare per un nonnulla. Figurarsi quando c'era di mezzo lo smercio di droga. Che poi anche la pula voleva la sua parte, per star zitta e non rompere i coglioni! Così, quando il fratello gli aveva detto che poteva raggiungerlo a Dusseldorf, a lui gli si aprì il cuore. Finalmente poteva veramente iniziare una nuova vita. Ed era con questi pensieri e sogni che si avvicinò allo sportello della biglietteria e fece il biglietto, sola andata, per la Germania. Pagò e si allontanò sorridente. Perché sapeva male l'italiano, altrimenti si sarebbe accorto della scritta su una delle banconote che diede al cassiere. Su quella banconota da dieci euro vi era scritto tutto il suo futuro. Su quella banconota vi era scritta la parola libertà!

Ernesto imprecò a bassa voce dopo aver guardato l'orologio. Ancora due ore e mezza. Due ore e mezza di rottura di coglioni in quel posto di merda. Ernesto odiava il suo lavoro. Lo trovava noioso, ripetitivo. Eppure doveva esser grato di averlo. Molti dei suoi amici a quest'ora erano mezzi ubriachi in qualche schifoso barettino di periferia, uccisi dal bianchino e dalla disoccupazione. Lui no! Lui era ancora uno dei fortunati che il posto di lavoro ce lo aveva. E se lo teneva ben stretto, nonostante gli facesse schifo. In fondo star dietro a un vetro a vendere biglietti in una stazione ferroviaria non era il massimo della vita. Ma gli permetteva di avere uno stipendio, modesto d'accordo, ma pur sempre uno stipendio, con cui mantenere la famiglia e, ogni tanto, farsi qualche giro con le battone della zona. Tanto ormai, a cinquantanove anni, scopare con la moglie non se ne parlava più. Che poi, a ben vederla, probabilmente non gli si sarebbe nemmeno alzato. Gesù, quella donna russava e scorreggiava nel letto come fosse uno scaricatore di porto. Va bene, lo faceva pure lui. Ma Cristo santo, lui era un uomo, lei una donna, e certe cose facevano proprio schifo! Così ogni tanto rimorchiava qualche zoccola dalla carne giovane e fresca e sfogava i propri istinti. Chissà, magari questa sera mi vado a fare un giretto! A questo pensava Ernesto quando si avvicinò una ragazza davvero niente male chiedendogli un biglietto per il TGV diretto a Parigi. Fece quel che doveva fare, con i soliti automatismi, continuando a sognare a occhi aperti la fica dolce della mignotta che si sarebbe fatto quella sera. Sì, perché ormai aveva deciso. Nel mentre prese il danaro dalla giovane e le diede il resto. Sbuffò nel vedere che su una banconota da dieci euro c'era scritta la parola libertà. Quanto avrebbe desiderato, lui, avere quella libertà. Prendere il primo treno a caso e partire verso un futuro migliore. Ma poi guardò nuovamente l'orologio. Cristo, ancora due ore di rottura di coglioni in questo posto di merda!

Vanessa accarezzò tutti i suoi libri. Uno per uno. Ci era affezionata. Ognuno di loro, per lei, rappresentava un pezzo della sua vita. Ognuno di loro! Per questo li accarezzò. Per l'ultima volta! Non sopportava l'idea di privarsene, ma non c'era altra soluzione. Non poteva portarseli con sé. E aveva bisogno di soldi per il viaggio che aveva deciso di intraprendere. Una nuova vita. Una nuova esperienza. Un nuovo sogno. Lui la aspettava a Parigi. Lei lo avrebbe raggiunto a breve. Per questo aveva deciso di vendere tutti i suoi libri. Vanessa aveva una bancarella nel mercato del rione, dove vendeva un po di tutto. Si guadagnava da vivere così. E il giorno dopo eccola al suo posto dietro al banchetto, con in vendita la sua biblioteca. Contava di farci su un bel po di quattrini, visto il numero dei libri e l'ottimo stato in cui erano. Gli acquirenti non mancavano. E su questo faceva affidamento. E poi via, verso Parigi e il suo uomo che faceva il pittore. Avrebbero vissuto una vita romantica, fatta di candele e soffitte da bohemien. Sarebbero stati liberi. Liberi da tutto. Liberi da tutti. Libertà! Sorrise quando l'uomo le pagò il libro che aveva in mano. Nel dargli il resto, si accorse che sulla banconota da dieci euro c'era scritta proprio quella parola. Libertà!

Mi piaceva perdermi ogni tanto nei mercatini rionali. Cianfrusaglie, carabattole, oggetti inutili. Ma alle volte si potevano trovare anche autentici tesori. Come quel pomeriggio di primavera inoltrata. Camminando fra le bancarelle assiepate lungo la darsena del naviglio, mi fermai davanti a una che vendeva libri. Molti dei titoli esposti già li conoscevo e li avevo letti, ma uno in particolare attirò la mia attenzione. La bellissima copertina riproduceva La Città Eterna di Peter Blume ed era uno di quei libri che, seppur già letti, lo avrei volentieri ripreso in mano. Marguerite Yourcenar. La moneta del sogno. Non esitai nemmeno un istante. Chiesi quanto e pagai. La ragazza mi diede il resto. E non potei fare a meno di scoppiare a ridere quando vidi quella banconota da dieci euro. Gli scherzi del destino! Me la ricordavo bene. Mi chiesi quante mani avesse incontrato prima di ritornare da me. Quante storie, sogni, affanni avesse conosciuto. Quanti desideri avesse contribuito a esaudire. Con la sua promessa ben evidenziata in rosso. Libertà!

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