lunedì 12 maggio 2014

NEBBIA SULLA MARTESANA di Andrea Lagrein




Risuona lento lo sciabordio del canale. Tutto tace. Tutto è silente. Tutto è avvolto dalla nebbia qui, lungo la Martesana. Case senza volti. Paesi senza storia. Contrade sconosciute se non a chi vi abita.
Il vecchio ponte in legno che attraversa il naviglio, li dove c'è la chiesa di Gorgonzola. Le rogge che si perdono nei campi coltivati di Cassina de Pecchi. I parchi giochi ben curati che si susseguono a Cernusco. Un vecchio pensionato che getta l'amo della sua canna da pesca a Vimodrone. Un'anziana signora che veloce torna a casa sulla sua bicicletta lungo il canale là a Inzago.
La vita scorre lungo il naviglio Martesana. Anche questo tardo pomeriggio avvolto dalla nebbia. E io vi cammino dentro, sperso nei miei pensieri oziosi. Il richiamo di un'anatra. La sirena di una fabbrica in lontananza. Lo sferragliare della metropolitana che passa poco distante. L'ululato di un'ambulanza. Il rombo di una motocicletta. Il canto della corrente che dall'Adda si riversa nel naviglio.
Finche giungo nei pressi di una panchina. Non una panchina qualunque. Ma quella panchina. Son passati tredici anni, ma il suo ricordo è talmente indelebile che quasi sembra ieri quando ci sedemmo sopra. Anche allora c'era la nebbia. Anche allora il naviglio scorreva placido.
Lei era bella, bellissima. Mai avrei immaginato quel che il futuro ci avrebbe poi riservato. Per me c'erano solo i suoi capelli dorati, i suoi occhi nocciola, le sue tette generose, le sue cosce ben sode e le sue labbra sempre pronte a baciarmi.
Ci sedemmo su quella panchina. O meglio, io mi sedetti. Lei si adagiò sulle mie gambe. Troppo fredda, quella panchina, mi disse con fare malizioso. Io nemmeno me ne accorsi, del tanto il calore del suo corpo mi scaldava.
E prendendola fra le mie braccia mi abbandonai a un lungo e selvaggio bacio. Lei sarebbe diventata mia moglie, qualche anno dopo. E poi la mia ex moglie, molti anni dopo. Infine il mio incubo erotico ricorrente. Ma al momento, in quel momento, su quella panchina, c'era solo l'eccitazione di due ragazzi che si cercavano, si desideravano, si volevano.
Lasciai scivolare furtivo la mano fra le sue cosce. Ardimentoso esploratore! Il quel freddo giorno nebbioso di passanti non ve ne erano. Nessuno avrebbe notato la mia spudorata impresa!
Lei sorrise sfrontata e maliziosa a tale mia audacia. Sotto la gonna indossava un paio di autoreggenti. Scoppiò a ridere nel vedere la mia espressione esterrefatta e al contempo eccitata. Subito le mie dita scivolarono sulla morbida pelle dell'interno coscia, accarezzando l'elastico delle calze. Quella sensazione mi dava i brividi. Saperla in autoreggenti infuocava l'assoluto desiderio di possederla. E questo, lei, lo intuiva benissimo!
I nostri baci divennero ancor più ardenti. Le sue mani iniziarono a scivolare lungo il giaccone che indossavo per poi indugiare sul mio inguine e sul mio sesso, teso ormai allo spasimo per l'eccitazione. Con le dita le scostai il perizoma. Sentire la morbida peluria della sua vulva mi rese folle di avida lussuria. Le infilai delicatamente un dito nella fica tracimante umori di piacere. Lei ansimò.
"Ti voglio!" mi sussurrò con voce strozzata all'orecchio. "Ti voglio adesso, qui, ora. Ti voglio tutto dentro di me!". E mentre parlava mi slacciava i jeans. Non attendevo altro. L'abbracciai e la feci inginocchiare sopra di me. Con un colpo secco la penetrai. E il suo urlo si perse nelle nebbie che ci avvolgevano.
Risuonava lento lo sciabordio del canale. Tutto taceva. Tutto era silente. Fuorché i gemiti della nostra passione. Mia e di colei che presto sarebbe divenuta mia moglie. Poi ex moglie. Ed infine mio incubo erotico ricorrente.
Ora son qui fermo innanzi alla medesima panchina. Il naviglio continua a narrare le sue storie di volti sconosciuti e anime inquiete. La nebbia mi avvolge, mi accarezza, mi blandisce insieme ai ricordi.
E ora son solo, qui, nella nebbia sulla Martesana.

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