Short story – Racconti – Poesia - Drabble... Vogliamo emozionarvi, rendervi partecipi dei nostri flash della mente. Entrate, siete i benvenuti.
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martedì 24 settembre 2013
lunedì 23 settembre 2013
PIC NIC METAFISICO di Alice Stregatta
TACI ! di Alice Stregatta
ntrò in camera in punta di piedi,le aveva preparato il caffè...
Lei dormiva... Si soffermò ad ammirarla,intuiva la sua figura,avvolta nel piumone fin sopra la testa... Sorrise tra sè...
"Sei stato proprio un cretino!"
La svegliò dolcemente,scostando le coltri e coprendola di baci...il collo,l'incavo della clavicola...prese a mordicchiarle un capezzolo...
"Hhummff...lasciami stare,sono furiosa con te!" disse,voltandogli le spalle...
Ancora baci...intorno alle scapole,lungo la schiena...l'incavo dei reni... Baci...baci...
Lei continuò a mugugnargli improperi...e si voltò,di nuovo...
Baci sul ventre...baci sul pube... Baci...baci...
Scese tra le sue cosce...
Iniziò a leccarle il clitoride,e la penetrò con due dita.Era bagnata (troia).
Lei trasalì...gemette...ancora ad occhi chiusi.
"Non mi sembra lei sia incazzata con me,Alice..." Le sussurrò all'orecchio...
La penetrò con un colpo deciso e iniziò a scoparla,dolcemente...
"Siamo tutte incazzate con te,e lei è solo una stronza che ha una reazione fisiologica ai tuoi baci... Non t'illudere..."
Finalmente,lo strinse,forte,e incrociò le gambe attorno ai suoi reni...
"Già che mi hai svegliata,fottimi come si deve! E,dopo,TACI...io con te,oggi,non ci parlo!"
Lei dormiva... Si soffermò ad ammirarla,intuiva la sua figura,avvolta nel piumone fin sopra la testa... Sorrise tra sè...
"Sei stato proprio un cretino!"
La svegliò dolcemente,scostando le coltri e coprendola di baci...il collo,l'incavo della clavicola...prese a mordicchiarle un capezzolo...
"Hhummff...lasciami stare,sono furiosa con te!" disse,voltandogli le spalle...
Ancora baci...intorno alle scapole,lungo la schiena...l'incavo dei reni... Baci...baci...
Lei continuò a mugugnargli improperi...e si voltò,di nuovo...
Baci sul ventre...baci sul pube... Baci...baci...
Scese tra le sue cosce...
Iniziò a leccarle il clitoride,e la penetrò con due dita.Era bagnata (troia).
Lei trasalì...gemette...ancora ad occhi chiusi.
"Non mi sembra lei sia incazzata con me,Alice..." Le sussurrò all'orecchio...
La penetrò con un colpo deciso e iniziò a scoparla,dolcemente...
"Siamo tutte incazzate con te,e lei è solo una stronza che ha una reazione fisiologica ai tuoi baci... Non t'illudere..."
Finalmente,lo strinse,forte,e incrociò le gambe attorno ai suoi reni...
"Già che mi hai svegliata,fottimi come si deve! E,dopo,TACI...io con te,oggi,non ci parlo!"
FRAMMENTI di Ali Spezzate
Sentirti ridere.
Sussurrare.
Godere.
Emozionarti.
Pronunciare il mio nome...
Vivo più di quell'ora rubata alla penombra, che di una vita scaldata al sole.
REALTA' di Sereno Notturno
Devi sentirla
viverla
farla tua.
Succhiare di lei fino all'ultima goccia
impossessarti del suo colore
del suo odore
del suo aroma
tu sai farlo
puoi farlo comodamente seduto.
Guardandola negli occhi.
Lei andrà con chiunque
fregatene
prenderà i sensi di entrambi
godi e apri un'altra birra.
Lei non ti tradisce.
UN DRINK di Gianluca Jazz Giannini
Seduto
al tavolino, James, trangugia il suo mojito. Il primo della giornata.
Nel tumbler le bollicine salgono copiose in superficie. Il succo di
lime, prepotente, gli invade il palato, mentre un torrente di rhum gli
disinfetta la gola e l'odore della menta inebria, invece, le narici.
Sensazioni fuori dal tempo, sensazioni cercate nella vicina Avana
(Cuba). Fiumi di alcool senza problemi. Là, da dove viene lui c'è il
proibizionismo, l'Avana è una città ospitale a cui piacciono i dollari
americani, sono la fortuna di quella terra povera vissuta all'ombra di
un gigante che si domanda ora il senso di quel scellerato atto del
deputato Andrew Volstead. Proibire la fabbricazione, la vendita,
l'importazione e il trasporto di alcool. Proibizionismo, si chiama così
questa lunga e buia notte della vicina America.
- Un'altro! Ordina James, mentre un cameriere in giacca bianca raccoglie la sua ordinazione.
- Subito signore.
Il cameriere ritorna immediatamente con il drink, ne servono tanti,
ogni sera. Sono molti i turisti americani che vengono a sciacquarsi
le budella con i drink cubani.
James affera il braccio del
cameriere, e gli dice...
« Sono certo che lei conoscerà qualche posto
dove poter concludere la serata.»
James allunga una banconota da 10 dollari che si infila velocemente nella tasca della giacca bianca del cameriere.
Pablo, il cameriere, ha il senso degli affari, sa come arrotondare il
misero stipendio che si guadagna portando alcolici ai tavoli dei
facoltosi americani e indicando agli stessi come concludere nel
migliore dei modi la serata. Così anche ora, si avvicina
all'orecchio di James e bisbiglia accompagnandosi con gesti dove
poter concludere la sua serata.
James ingurgita tutto d'un fiato
il suo secondo mojito della giornata e ordina il suo terzo prima di
lasciar andare la presa sul braccio del cameriere.
Il cameriere
lo guarda, forse ammirando la sua capacità di reggere l'alcool, o
forse, sapendo che quel terzo mojito lo porterà a conoscere un
significato sconosciuto ai più.
James, indossa il suo avana e,
raccogliendo il suo bastone, si reca nel posto indicatogli dal
cameriere. Imbocca un vicolo, subito dopo il locale dove ha tragugiato
quella bevanda di cui ora sente gli effetti in tutto il corpo.
E' una casa di color azzurro, almeno così semba alla luce di quella
pallida luna che illumina il cielo, le cornici degli infissi sono
bianche, al più avorio. Bussa, un uomo di colore gli apre la porta, lo
invita all'interno. Un'orchestrina suona all'interno di un piccolo
cortile, le note si propagano in tutto l'edificio, salgono su, fino
alle camere.
Due ragazze di colore si avvicinano a James, hanno
poca roba addosso, una tunica, bianca, semitrasparente in lino, dalla
quale si percepiscono dei seni tirati su oltremisura, e che così
schiacciati inducono a pensare che quelle donne ne abbiano molto di più
di quanto realmente possano dimostrare di averne. Si contendono
James, il quale non ha la forza di dire no ad entrambe e si lascia
accompagnare nelle stanze al piano superiore.
James, sente le sue
gambe molli, troppo molli, il suo corpo sembra non appartenergli più,
l'ultimo gradino è fatto più perché sorretto dalle due giovani donne,
che per una sua reale volontà. Lui è li, come una proiezione
extracorporea che vede se stesso più avanti di buoni due passi.
Vede il suo corpo buttato sul letto. Tutto ciò che avverte, lo
percepisce con quel ritardo fisiologico di quei due passi indietro.
Così anche il suo ondeggiare sul letto, dopo esservi caduto di peso, e
la sua svestizione, viene avvertita prima dal corpo e in seconda
battuta dal suo cervello.
Si danno il turno sopra di lui, le due
ragazze cubane, e a fine rapporto frugano nelle tasche di James
prendendosi il loro compenso, più un'extra per aver dovuto fare tutto
loro..
L'americano cade nel torpore e qualche ora dopo ancora
assonnato constata che ha ripreso possesso del suo corpo. Accasciato
insieme a tanti altri corpi nel vicolo. E' stata una giornata piena
per quel locale, tante persone hanno fatto la sua fine, pensa, vedendo
quelle informe massa di persone.
Stropicia gli occhi e si sente
diverso. La prima cosa che avverte è il colore della sua pelle, è
nera, ma non di uomo, è una donna, si ritrova addosso due seni che la
notte prima era certo di non avere, anzi era certo di non averli
mai avuti.
Il suo indagare sul suo nuovo corpo si arresta poco
dopo, quando l'alba incomincia a rischiarare il vicolo, e compare una
signora con i capelli bianchi, che scivolano fluenti e lunghi sotto
il suo capello avana che la donna indossa sulla sua testa
« Oggi,
avete avuto prova del potere del vudù. Americani non seducete oltre con
i vostri dollari questa popolazione, altrimenti al vostro prossimo
risveglio, ciò che voi ora siete, non è detto che scomparirà.»
Un
raggio di sole colpì quella visione avvolgendola nel suo bianco
chiarore e facendola scomparire agli occhi degli astanti, inducendoli a
chiudere nuovamente i loro occhi.
Mister, mister, si deve alzare,
non è permesso dormire in strada, Pablo, il cameriere della sera
prima, quello dei 10 dollari, riportò alla realtà James, il quale, ora
potè constatare di aver ripreso effettivamente i panni di uomo e
di americano.
Balbettò qualcosa
« Phuà, diabolici intrugli....»
raccolse il bastone e si diresse verso il suo albergo. Lungo la
strada del ritorno incontrò una figura ricurva su se stessa, che al suo
passaggio avevo il volto beffardo di chi nonostante l'età conosce
la vita.
« Questo è suo. »
disse allungandogli il panama.
« Si, vero. Dove lo ha trov...»
« Non importa, questo, si ricordi la promessa. »
« Quale promessa? »
La vecchia prese a stare dritta e disegno sull'esile corpo due seni.
James, non era ancora perfettamente lucido, ma improvvisamente si
ricordò del sogno appena fatto, così reale, e vivo. Guardò dritto
negli occhi quella vecchia, cercando conferma dei suoi pensieri.
La vecchia non era più lì, scomparsa, James girò su stesso, ma non
riuscì a trovare manco la sua ombra, solo un'improvviso senso di
sfiorarsi per assicurarsi che tutto fosse in ordine nel suo corpo.
P.S. Una dei probabili significati di Mojito (quello meno probabile)
si fa risalire alla etimologia della parola, infatti mojo, è una parola
vudù il cui significato è incantesimo.
ULTIMO IMBARAZZO di Giuseppe Balsamo
Avevamo
già avuto il nostro primo bacio, sapevamo come sarebbe andata. Mi sono
spogliato con disinvoltura. Sentivo i tuoi occhi sul culo per nulla a
disagio.
Sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire, sarei stato dentro di te, avremmo scambiato la nostra saliva, i nostri umori, i nostri respiri, il nostro piacere.
Sdraiato ti visto uscire nella penombra dal bagno, con movimenti da gatta sei salita su di me, il tuo baby doll morbido lasciava intravedere le tue mammelle.
L’ultimo tuo imbarazzo inspiegabile nel coprirle al mio sguardo malizioso ed ingordo.
Il tuo sorriso, infine il nostro piacere su tutto.
Sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire, sarei stato dentro di te, avremmo scambiato la nostra saliva, i nostri umori, i nostri respiri, il nostro piacere.
Sdraiato ti visto uscire nella penombra dal bagno, con movimenti da gatta sei salita su di me, il tuo baby doll morbido lasciava intravedere le tue mammelle.
L’ultimo tuo imbarazzo inspiegabile nel coprirle al mio sguardo malizioso ed ingordo.
Il tuo sorriso, infine il nostro piacere su tutto.
sabato 21 settembre 2013
BUONGIORNI di Indeeper Yoursoul
..si si lo so che questi messaggi mattutini sono spesso dei saluti fugaci..ma mi piace pensarti in ogni momento, anche ora mentre ti prepari per andare a lavoro, ritoccando l'acconciatura o il trucco proprio all'ultimo secondo, all'ultimo specchio che incontri prima di uscire dal tuo guscio che sa ancora di te nell'aria rarefatta della notte non ancora completamente rinfrescata e tuffarti all'esterno diffondendo e regalando il tuo profumo di donna al mondo...
CHIAMAMI di Gianluca Jazz Giannini
Veronica
abita in un appartamento nel centro storico della sua città. Da un
po' di tempo esce di casa con gli occhi stanchi e gonfi per il sonno
perso. In questo ultimo periodo trascorre le nottate a ripassare per
l'imminente (ultimo) esame universitario. Si dovrebbe laureare, infatti,
nella prossima sessione. Veronica, inoltre, oltre ad essere una
studentessa universitaria, è anche una lavoratrice. Durante il giorno è
impegnata in un lavoro part-time, che le permette di sopperire alle
sue più elementari esigenze oltre a pagare l'affitto della camera e la
retta universitaria.
Ha rinunciato a tutto, sacrificando buona
parte della sua vita per quei risultati che ora vede alla sua portata.
Non ha rinunciato all'amore, alla sua Erica, già, perché a Veronica
piacciono le ragazze, lo ha capito fin da subito quale era la sua
tendenza e fin da subito l'aveva schiaffata in faccia ai genitori, che
ricambiavano quello sguardo con occhi pieni di vergogna, la loro. Così
aveva capito che di quelle due strade davanti a lei, ne avrebbe dovuto
percorrere una.
Una, sarebbe stata drastica e la avrebbe portata a
recidere il cordone ombelicale con la sua famiglia, e un'altra, sarebbe
stata una scelta di compromessi e convivenza impossibili volendo avere
il conforto dei genitori per quella sua scelta che chiaramente non
accettavano e vivevano come una imposizione. Veronica per indole non era
incline a compromessi, era stato pertanto facile scegliere di andare
via, di diventare grande. Di diventare adulta e responsabile di tutto
ciò che le sarebbe accaduto da quell'istante in poi.
Il cellulare di
Veronica, appena acceso, la avverte che le è arrivato un messaggio, è
lei Erica, la sua compagna da qualche tempo, «appena puoi chiamami»
dice quel messaggio.
Cosa sarà successo, non mi chiama mai a quest'ora.
Prova a chiamarla, ma il telefono squilla a vuoto.
Quel tarlo continua a frugarle la testa, per tutta la mattinata.
Ogni tanto prova a chiamarla, ma il telefono ora, dopo il primo squillo, si mette in segreteria.
Apprensiva Veronica lascia allora un messaggio
«Ciao Eri, tutto bene? Rispondi! Mi fai preoccupare»
Erica abita in un altra regione, abita lontano. Si sono conosciuti
avendo amici in comune durante una vacanza, e da una vacanza sono appena
rientrate con splendidi ricordi, quelle anime quasi si sentono,
sanno quando uno sta giù, lo percepiscono nell'aria.
Erica ha paura,
questo Veronica lo avverte, solitamente si precipita a rispondere. Non
lascia passare neanche il 2° squillo, che lei apre la comunicazione.
Oggi no, oggi è diverso, le deve confessare un pesante fardello. Un
qualcosa che riguarda loro due.
All'ora di pranzo Erica prende il coraggio e chiama.
Veronica, risponde aggredendola, perchè lei è anche una persona
impulsiva e viscerale. «Finalmente, ma che fine avevi fatto?».
«Scusa ti devo dire una cosa importante».
Silenzio.
Una pausa che aggrava la situazione, l'esasperazione di
quell'incertezza, che è poi ciò che Veronica sa non vorrebbe sentirsi
dire. Almeno non così, non al telefono.
Ingoia un rospo grande quanto una casa e Vero risponde. «Eri dimmi, dai, non farmi preoccupare, cosa c'è?».
«Ho conosciuto un'altra persona, mi piace».
No! Non può essere pensa Vero, siamo stati in vacanza assieme,
abbiamo progettato il nostro futuro, ci siamo scambiati l'amore, il
nostro desiderio più profondo e ora mi viene a dire, che tra noi
due c'è un'altra.
«Da quando?», chiede Veronica come se la cosa del
quando, fosse ora più importante del fatto che quella persona c'è,
esista, e si sta intromettendo nella loro storia d'amore.
«L'ho conosciuta lo scorso week end, ed è stato subito qualcosa di travolgente.»
Erica cerca di usare parole che non feriscano, ma in quell'istante
qualunque cosa dica diventa una lama tagliente che affonda nel cuore di
Veronica.
Come fai, come puoi, cosa cazzo sei. Vorrebbe dirle. Ci rinuncia, diventando l'ennesima vittima dell'amore.
Vorrebbe controbattere a quella decisione presa alle sue spalle, vorrebbe fare qualcosa, ma si sente impotente.
Le dice solo «Ti auguro la tua felicità», anche se lei, Erica non
sapeva di cosa lei stesse parlando. Lei la felicità gliela stava
togliendo, le aveva regalato un dolore.
Veronica chiuse la comunicazione e cancellò il numero, definitivamente.
Si avvicinava la pausa pranzo di quella infernale giornata.
Una nuova chiamata in arrivo, la riportò alla realtà. L'idea, ritorna a Erica, magari ci ha ripensato.
No è la madre, non la sente da tanto tempo.
- Vè.., come stai piccola mia,
Da tempo Veronica aspettava quella chiamata, aspettava che la
chiamasse, si sentiva sola, tremendamente sola ora. Vince il suo
orgoglio e piange, senza controllo
- Grazie Mamma.
- Di cosa piccola mia.
- Avevo bisogno che qualcuno oggi mi chiamasse e mi facesse capire che esisto per lei.
- Ve, che brutta cosa hai detto, tu ci sei sempre stata per noi, non
capiamo, ma ci sei, sei il nostro sangue, sei....a proposito hai
mangiato? Perché non vieni a pranzo da noi oggi?
Veronica, attende, «Si, Ma, vengo a pranzo. Dimmi una cosa. Perché proprio oggi, perché mi hai chiamato proprio oggi?»
«Avrei dovuto farlo prima, molto tempo fa, ma oggi ho sentito che
non poteva essere più domani. Oggi era un giorno giusto per
chiamarti.»
TI-TUBANZE di Indeeper Yoursoul
..esco
piano la sera, c'è come qualcosa di irriverente che mi aspetta dietro
l'uscio all'uscita..mi preparo con cura, non vorrei mai che la notte mi
cogliesse di sorpresa alle spalle mentre le luci del night club mi
percuotono il vestito di satin.. resto spesso assorta nel vedermi
cambiare pelle, riempire il mio caricatore di pallottole sessuali per
non aver paura di uomini blateranti emozioni da poco..ti penso, un pò,
tanto per darmi un motivo ad uscire, e solo allora che mi ricordo di una
bambina fragile che aveva tanta voglia di diventare donna davvero.
INFILTRATO di Allie Walker
Sto ancora raccogliendo pezzi
della tua poesia
sulla mia carne.
Ecco cosa succede
quando si fa l'amore
con uno scrittore;
i pezzi della loro esistenza
si infiltrano così profondamente,
che i resti di un atto di passione
diventano una parte di te.
Tu,
la tua poesia,
siete parti di me.
TRA IL DOLCE E L'AMARO, MI CONSUMO. di Allie Walker
E mi consumo.
Tra il dolce di due giorni in tua compagnia e l’amaro del resto della
settimana lontana da te, tra il miele della tua lingua e il morso dei
tuoi denti, tra la gioia del momento in cui arrivi e la tristezza di
quando te ne vai.
Dolce e amaro, di ogni cosa.
E mi consumo.
Tra il piacere delle tue mani che mi toccano e la presenza delle mie
sole mani quando non ci sei, tra la morbidezza del tuo cuore e la
ruvidità dei mie tagli che non sanguinano, tra il modo in cui mi
comprendi e quando ti rifiuti di farlo.
Dolce e amaro, in ogni cosa.
E mi consumo.
Tra la solitudine che non è più solitudine, ma presenza accorta e
sincera, e il tempo che è sempre troppo breve, tra il modo in cui
aggiungi voluttà e la distanza che metti tra noi quando ti oscuri in
volto.
Dolce e amaro, in ogni cosa.
E mi consumo.
Tra
la brillantezza della notte che mi fai vivere tra le tue braccia e il
buio di una giornata assolata passata tra gente che non conosco, tra
quello che mi dici e quello che mi tieni nascosto, tra il modo in cui ti
senti, mostrandolo, e le parole non dette.
Dolce e amaro, in ogni cosa.
NOVECENTO di Giuseppe Balsamo
Il
balilla passò quell’immagine stropicciata ed umidiccia al suo giovane
camerata, quando la vide per poco non gli cascò il moschetto di spalla.
Guardava quelle mammelle immature, il monte di venere glabro. Non
avevano nulla a che vedere con le poppe abbondanti di sua madre, con il
pelo scuro e folto che ricopriva il pube di sua sorella.
Come due
ladri, insieme osservavano quell’immagine, cercando di carpire l’odore
di quella femmina, la consistenza di quelle carni abbondanti, sode,
calde.
Quotidianamente si ritrovavano davanti al casino, lei usciva
vestita di tutto punto, ma loro la vedevano nuda, sognavano di poterla
avere.
venerdì 20 settembre 2013
LA SUA CORSA ERA ROTONDA di Gianluca Jazz Giannini
Finalmente
dopo mesi che mi sfrecciava affianco, il duro allenamento al
quale mi ero sottoposto dava ora i suoi frutti. Almeno ora riuscivo a
stare al suo passo, quasi. Scappava ma facevo il suo stesso
percorso. Era stimolante poter pensare di calcare il suo stesso
tragitto e poter osservare quei passi che sfioravano terra leggeri.
Lei aveva una corsa rotonda, sospesa in aria per quel tanto che
bastava a farla volare sull'asfalto. Una piuma e l'assenza di rumore di
quel passo felpato che rimbalzava sull'asfalto. Le sue gambe dentro
quella calzamaglia nera sembrano pistoni, esprimevano forza e
delicatezza. Salivano e si distendevano.
Così ora riuscivo a
starle dietro, almeno per un po', ansimando e in debito di fiato
certo, ma lei era davanti a me. Un altro particolare che ricordo di
quella sua corsa è che portava i sui capelli raccolti dietro in una
coda di cavallo, che ondeggiava al ritmo della sua cadenza.
Pian
piano avevo imparato ad essere leggero, pian piano avevo imparato a
respirare, senza annaspare. Pian piano ora stavo accorciando le
distanze, faceva la lepre e io...
Già, cosa ero io, tanto tempo ad
inseguire quella corsa, senza pormi la domanda più importante, potevo
innamorarmi di una corsa o il mio desiderio era lei? Questo non
lo avevo ancora compreso, impaurito forse di non reggere quel ritmo
atletico. Ecco ora ero quasi al suo livello atletico, marcata a
distanza, ma senza aver sciolto la distanza di quella unica semplice
domanda ...e poi? Parlavo tra me, come spesso accade quando sei da
solo a correre, con te stesso, con le tue paura che mangiano metri di
asfalto.
Ti piace eh? Per lei eri disposto a fare un sacrificio per raggiungerla. Lei è li, allunghi il passo e le parli.
Si ma cosa le dico? Buongiorno, buona corsa? Mi sto rincretinendo a
parlare da solo. Io e lei non abbiamo niente in comune, è un
desiderio, uno dei tanti desideri. Uno di quelli che lasci come
tanti sogni nel cassetto. Uno di quelli che fanno grandi le tue
paure e piccoli i tuoi sogni.
Corri Gian, improvvisa, sii naturale. Corri Gian, corri.
No, non mi va, non mi sento sicuro, non sono uno che sa
improvvisare, uno che ha la battuta pronta, sono uno che
incespicherebbe sulle sue stesse parole. Allora vai così, come ti
senti, sii te stesso. Ah ecco, questo è un discorso che posso
accettare...del tipo o la va o la spacca. Lascio o raddoppio. Se fosse
stato in un'altra situazione avrei cercato elementi in comune e....
Gian tu te la vuoi portare a letto diamine, altro che dialoghi...
Si, però così sembra tutto tremendamente ruffiano. Io la cerco perché
voglio fare sesso, e se a lei piaccio scopiamo? Non piace, mi
sentirei sporco.
Oddio! E ora che fa? Rallenta. Si ferma zoppica, grida, piange, si accascia.
La supero, la osservo. Mi fermo torno indietro. Le prime parole che dico sono stupidate...
- Tutto a posto?
- No che non è tutto a posto, non vedi? Mi sono storta una caviglia. Cazzo che dolore. Mi fa un male cane.
Tentenno ferito più dalle sue parole che colpiscono il mio ego, ecco vedi a voler fare del bene ci si rimette.
- Scusa dice alzando lo sguardo fa veramente un male cane.
- E dopo sarà anche peggio, aggiungo. (Bravo invece di rincuorare ci metto il carico da mille)
- Già adesso è insopportabile, sento che mi si sta gonfiando la caviglia.
Le slaccio la scarpa, gliela levo delicatamente, levo il fantasmino e provo a cercare il punto in cui le duole.
- Li ahi, mi fa male li, fermo. Mi fa male.
- Vieni tirati su, ti accompagno a casa....dico tendendo la mano dopo essermi rialzato.
- Non ce la faccio....
- Non devi camminare, ti porto a cavalluccio.
- Davvero?
- Si davvero..., vieni monta.
Mi volto e l'aiuto a salire sulla mia schiena, il suo petto schiacciato sulla mia schiena e le sue gambe tra le mie mani.
Mi stringe le sue mani al collo e mi sussurra ora affettuosamente e ridendo ahio cavallino, ahio
- Destinazione madame?
- Corso America, 22.
- Ai suoi ordini.
A volte certe cose accadono e quel desiderio si proietta oltre i
nostri pensieri che diventano corpi che si cercano, così il suo pube
mi cavalca stringendomi nella morsa delle sue gambe schiacciando il
petto sul dorso della mia schiena. Come un cavallo senza sella i suoi
seni mi accarezzano mentre ricambio la stessa cortesia con il
vellutato contatto delle mie mani sulle sue gambe. Il suo respiro
cerca il mio collo e si inebria del mio profumo. L'immagino con gli
occhi appena abbassati come se volessero essere trasportati lungo un
pensiero indecente che li attraversano.
Il pollice delle mie mani esegue una piccola pressione sull'interno delle sue cosce
- Come va la dietro?
- Come? Sembra ritornare in se, per un attimo sembrava persa nei suoi pensieri.
- Come va la dietro?
- Bene il dolore si sta calmando, ma so che il piede si sta gonfiando.
- Siamo arrivati madame....
- Accompagnami fino a dentro, mi chiede
Stacca la mano dal mio collo e fruga in qualche tasca estraendo le
chiavi di casa, faccio una rampa di scalini e la sua mano si tende
sulla toppa della porta, ma è fuori forza, così la mia mano stringe
la sua avvolgendola e il suo domicilio si schiude ai miei occhi.
- Dritto 2ª a destra.
- Eseguo madame.
Stiamo ancora giocando, all'amazzone e al suo cavallo, quando con la
mano abbasso la maniglia della stanza. La sua camera da letto, il suo
enorme letto bianco con le lenzuola ancora sfatte. Mi volto cercando
di accompagnarla e frano insieme a lei nel suo letto.
E' un
attimo, e l'incrociarsi dei nostri sguardi diventa l'assecondare dei
miei pensieri e dei suoi. Le mani spogliano a vicenda i rispettivi
corpi e cercano quel contatto di pelle sudata.
Le mie mani scorrono sui suoi seni.
- Sono eccitata, è tutto il percorso che il mio pube sfrega sulla tua schiena desiderando il tuo sesso dentro.
Ci stringiamo, entro facilmente nella sua carne. La sento avvolgermi
calda. I suoi seni minuti sulle mie labbra mentre il mio pube ora
ondeggia sul suo, un onda lunga inarrestabile che diventa esplosione,
orgasmo, poco dopo. Stretti a tal punto da farci mancare il respiro.
Così ora riuscivo a starle dietro, almeno per un po', ansimando e in debito di fiato certo, ma lei era davanti a me. Un altro particolare che ricordo di quella sua corsa è che portava i sui capelli raccolti dietro in una coda di cavallo, che ondeggiava al ritmo della sua cadenza.
Pian piano avevo imparato ad essere leggero, pian piano avevo imparato a respirare, senza annaspare. Pian piano ora stavo accorciando le distanze, faceva la lepre e io...
Già, cosa ero io, tanto tempo ad inseguire quella corsa, senza pormi la domanda più importante, potevo innamorarmi di una corsa o il mio desiderio era lei? Questo non lo avevo ancora compreso, impaurito forse di non reggere quel ritmo atletico. Ecco ora ero quasi al suo livello atletico, marcata a distanza, ma senza aver sciolto la distanza di quella unica semplice domanda ...e poi? Parlavo tra me, come spesso accade quando sei da solo a correre, con te stesso, con le tue paura che mangiano metri di asfalto.
Ti piace eh? Per lei eri disposto a fare un sacrificio per raggiungerla. Lei è li, allunghi il passo e le parli.
Si ma cosa le dico? Buongiorno, buona corsa? Mi sto rincretinendo a parlare da solo. Io e lei non abbiamo niente in comune, è un desiderio, uno dei tanti desideri. Uno di quelli che lasci come tanti sogni nel cassetto. Uno di quelli che fanno grandi le tue paure e piccoli i tuoi sogni.
Corri Gian, improvvisa, sii naturale. Corri Gian, corri.
No, non mi va, non mi sento sicuro, non sono uno che sa improvvisare, uno che ha la battuta pronta, sono uno che incespicherebbe sulle sue stesse parole. Allora vai così, come ti senti, sii te stesso. Ah ecco, questo è un discorso che posso accettare...del tipo o la va o la spacca. Lascio o raddoppio. Se fosse stato in un'altra situazione avrei cercato elementi in comune e....
Gian tu te la vuoi portare a letto diamine, altro che dialoghi...
Si, però così sembra tutto tremendamente ruffiano. Io la cerco perché voglio fare sesso, e se a lei piaccio scopiamo? Non piace, mi sentirei sporco.
Oddio! E ora che fa? Rallenta. Si ferma zoppica, grida, piange, si accascia.
La supero, la osservo. Mi fermo torno indietro. Le prime parole che dico sono stupidate...
- Tutto a posto?
- No che non è tutto a posto, non vedi? Mi sono storta una caviglia. Cazzo che dolore. Mi fa un male cane.
Tentenno ferito più dalle sue parole che colpiscono il mio ego, ecco vedi a voler fare del bene ci si rimette.
- Scusa dice alzando lo sguardo fa veramente un male cane.
- E dopo sarà anche peggio, aggiungo. (Bravo invece di rincuorare ci metto il carico da mille)
- Già adesso è insopportabile, sento che mi si sta gonfiando la caviglia.
Le slaccio la scarpa, gliela levo delicatamente, levo il fantasmino e provo a cercare il punto in cui le duole.
- Li ahi, mi fa male li, fermo. Mi fa male.
- Vieni tirati su, ti accompagno a casa....dico tendendo la mano dopo essermi rialzato.
- Non ce la faccio....
- Non devi camminare, ti porto a cavalluccio.
- Davvero?
- Si davvero..., vieni monta.
Mi volto e l'aiuto a salire sulla mia schiena, il suo petto schiacciato sulla mia schiena e le sue gambe tra le mie mani.
Mi stringe le sue mani al collo e mi sussurra ora affettuosamente e ridendo ahio cavallino, ahio
- Destinazione madame?
- Corso America, 22.
- Ai suoi ordini.
A volte certe cose accadono e quel desiderio si proietta oltre i nostri pensieri che diventano corpi che si cercano, così il suo pube mi cavalca stringendomi nella morsa delle sue gambe schiacciando il petto sul dorso della mia schiena. Come un cavallo senza sella i suoi seni mi accarezzano mentre ricambio la stessa cortesia con il vellutato contatto delle mie mani sulle sue gambe. Il suo respiro cerca il mio collo e si inebria del mio profumo. L'immagino con gli occhi appena abbassati come se volessero essere trasportati lungo un pensiero indecente che li attraversano.
Il pollice delle mie mani esegue una piccola pressione sull'interno delle sue cosce
- Come va la dietro?
- Come? Sembra ritornare in se, per un attimo sembrava persa nei suoi pensieri.
- Come va la dietro?
- Bene il dolore si sta calmando, ma so che il piede si sta gonfiando.
- Siamo arrivati madame....
- Accompagnami fino a dentro, mi chiede
Stacca la mano dal mio collo e fruga in qualche tasca estraendo le chiavi di casa, faccio una rampa di scalini e la sua mano si tende sulla toppa della porta, ma è fuori forza, così la mia mano stringe la sua avvolgendola e il suo domicilio si schiude ai miei occhi.
- Dritto 2ª a destra.
- Eseguo madame.
Stiamo ancora giocando, all'amazzone e al suo cavallo, quando con la mano abbasso la maniglia della stanza. La sua camera da letto, il suo enorme letto bianco con le lenzuola ancora sfatte. Mi volto cercando di accompagnarla e frano insieme a lei nel suo letto.
E' un attimo, e l'incrociarsi dei nostri sguardi diventa l'assecondare dei miei pensieri e dei suoi. Le mani spogliano a vicenda i rispettivi corpi e cercano quel contatto di pelle sudata.
Le mie mani scorrono sui suoi seni.
- Sono eccitata, è tutto il percorso che il mio pube sfrega sulla tua schiena desiderando il tuo sesso dentro.
Ci stringiamo, entro facilmente nella sua carne. La sento avvolgermi calda. I suoi seni minuti sulle mie labbra mentre il mio pube ora ondeggia sul suo, un onda lunga inarrestabile che diventa esplosione, orgasmo, poco dopo. Stretti a tal punto da farci mancare il respiro.
L'AMICO NON AMICO di Gianluca Jazz Giannini
- Non ho mai pensato a te se non come un caro amico.
Caspita che rivelazione, è una di quelle frasi che ti mette
fuorigioco. Out per tutto il campionato. Avevo passato l'ultima parte
della mia vita (gli ultimi due anni e mezzo) con il suo desiderio tra le
mani. Sprecando ovviamente litri del mio seme. Mattina e sera, da
quando mi alzavo a quando andavo a letto. Lei, il mio chiodo fisso.
La mia finestra infatti mi consentiva di vedere ogni suo movimento sbirciando attraverso la sua.
Quella frase ora chiudeva ogni porta, ogni speranza. Da oggi me la
sarei dovuta scordare. Avrei dovuto dimenticare i vestiti trasparenti
che indossava, i mini completini che non lasciavano sfuggire niente
alla mia fervida immaginazione adolescenziale e le sue sfilate nella sua
stanza, dove lei era assolutamente inconsapevole che i miei occhi si
riempivano di lei.
Si perché la storia che sto per raccontarvi appartiene al mio passato giovanile.
Lei era di qualche anno più grande di me. Un divario che io cercavo
appunto di colmare osservandola di nascosto dalla mia finestra. Abitava
allo stesso piano, non proprio dirimpettai, ma vicini di casa.
Dicevo... che non faceva caso a me, non mi considerava, per cui questo
fattore giocava a mio vantaggio, perché mi consentiva di vederla
passare spesso attraverso la sua finestra, davanti alla mia camera in
abiti sucinti. Aveva un seno già compiuto, uno di quelli per i quali
immagini di fare certe zozzerie e non ti risparmi a fantasticarne 1000
altre.
La vedevo uscire con ragazzi più grandi lei, di quelli che
avevano macchine di lusso, una cravatta per ogni giorno della settimana.
La testa sempre impomatata e l'aria che si impestava di profumi
esotici. Già perchè li faceva salire fino alla sua porta di casa e poi
scompariva insieme a loro, per poi ricomparire sotto, nello spiazzo del
palazzo dove il cavaliere di turno le apriva la portiera dell'auto.
Ma di questo lei non era felice, le mancava qualcosa.
Ecco allora che io, nei miei sogni ero il suo salvatore. L'aspettavo
rincasare, per fantasticare nel reale, la vedevo spogliarsi e
abbassare la tapparella, rinchiusa nella sua solitudine.
Quel giorno
la tapparella non la chiuse, la vidi piangere, sconsalata tra i suoi
avambracci ripiegata sulle sue ginocchia. Il suo corpo sussultava fino
a che non si accorse della mia luce accesa e di me che che ero rimasto
incautamente ad osservarla dalla mia finestra. Si alzò asciugando le
sue lacrime sui suoi avambracci, sbavandosi tutto il trucco della
serata. Ma forse le lacrime glielo avevano già sbavato.
- Non dormi?
- Non ci riesco se so che stai piangendo.
Si era alzata appoggiandosi sul davanzale, lo ricordo bene, aveva una sottoveste trasparente rossa.
- Se non fossi così giovane Gian..
ecco l'aveva detto
- Perchè cosa faresti se non fossi così giovane?
- Niente - disse - Non ho mai pensato a te se non come amico.
- Io però ti ho spesso pensato in modo molto diverso.
Dico audacemente, forse ho scambiato il sogno per la realtà? Dove ho trovato
tutto quel coraggio.
- Davvero Gian? E come mi avresti pensato?
- Sei sicura di volerlo sentire proprio oggi? Non sono cose da dire
affacciati alla finestra. Posso fare una pazzia....vengo da te?
- E come fai è altuccio da qui.
- Scavalco....
- …..
Il desiderio è pazzia, follia allo stato puro.
- Non è altissimo, si può fare passo attraverso il cornicione e sono da
te
(più facile a dirsi che a farsi). L'operazione riesce, una mano sul
mio parapetto e uno su quello della sua finestra.
- Tirami su, gli chiedo. Mi afferra e lascio la presa della mia finestra. Scavalco il suo parapetto e sono da lei
Siamo uno a un passo dall'altra. I nostri respiri si intrecciano,
almeno così sento io, il suo alito profuma di fresco, di menta.
- Sei bella - esordisco
- Dimmi Gian, oggi può essere la tua giornata dell'amico non amico.
- La guardo. Non ho parole, non ho discorsi. Si sono tutti prosciugati dentro le mie labbra. Quelle che ora cercano le sue.
Gesti semplici, e la sua sottoveste scivola giù. Aiutata chiaramente dalle mie mani.
Per un attimo si stacca da me.
- Aspetta Gian. Spegniamo la luce.
La sua pelle diventa blu, la luna ha il colore dell'amicizia e risplende sulla sua pelle.
I suoi capezzoli rispondono ai palmi delle mie mani, raccoglie i
capelli, con un elastico che toglie da non so dove e mi ofre la sua
bocca, baciami Gian, desiderami, oggi voglio essere desiderata.
Mi
prende per le mani e finiamo nel suo letto. La bacio ovunque, seguendo
la spinta delle sue mani verso il suo ventre. L'assaggio con
circospezione, è la prima volta che assaggio una donna li. Sorride.
- Gian, con quante donne sei stato
- ...
Meglio non dirlo, è tutto chiaro, troppo chiaro.
- Vieni qua.
Scende lei su di me. Massaggia il mio sesso con la sua mano. Cerco il
suo, ma sono alquanto impacciato. Mi ferma, accompagna la mia mano sul
suo sesso.
- Ora - mi dice - muoviti piano, cerca di capire come
sono fatta e cosa mi piace e pian piano aumenta il ritmo. Ecco così,
toccami lì. Sento indurirsi quello che poi scopro essere il suo
clitoride. Il suo sesso si sta bagnando diventa più facile percorrerlo,
sentire il suo desiderio che mi chiama dentro. Prima le dita, poi lei
avvicina la mia erezione, la guida e lentamente e la infila dentro di
lei. Apre le gambe e mi invita a muovermi piano. La guardo mentre giaccio
sopra di lei , tra le sue gambe, ora ho tutte le parole che vorrei
dirle. Ho quelle che riescono a scuotere i suoi sensi.
- Sei bella, mi piaci, mi fai impazzire, ti desidero, ti voglio.
Le mie mani si muovono sui seni, si impratichiscono con qualcosa di
completamente nuovo. Vivo. Respira. L'eccitazione è tanta, esplode,
forse presto, forse no. Sicuramente si. Si accorge del mio smarrimento.
- Gian va bene, oggi non mi sono sentita sola. Sei l'amico più non amico che io abbia.
Mi guarda e capisco che sarà l'unica volta. Rimaniamo abbracciati tutta
la notte, fino a che la luna lascia il posto all'alba. Vorrei che ci
fossero 1000 prime volte...
QUESTIONE DI SCELTE di Andrea Lagrein
Ero
steso nel mio letto. Dio mio, avevo ancora il suo profumo sulla pelle,
odore di selvaggia sensualità, afrore di sesso infuocato. Mi accesi una
sigaretta. Il momento andava gustato con lentezza. Intanto la guardavo.
Arianna era rannicchiata sulla poltrona sotto la finestra. Nuda,
completamente nuda. E bella, tremendamente bella. Con gli occhi seguivo
le flessuose curve della schiena, dei fianchi, di quel culo superlativo
di cui tanto avrei voluto farne poesia. La guardavo e nel mentre
sognavo. Ok, era una ragazza bellissima e scopava in modo divino, da
mozzare il fiato. Ma c'era di più, molto di più. Di donne che a letto
erano state superlative ne avevo già incontrate. Come lei, però, mai!
Era una questione di affinità, di vicinanza intellettuale e spirituale.
Con lei il fottere era la logica conseguenza del tempo trascorso
insieme. Tempo passato a discutere, dialogare, ridere e sognare. Con lei
mi confidavo. Le raccontavo i miei dubbi, le mie paure, le mie
illusioni. Con lei mi aprivo, senza pudore, senza timore. E lei
ascoltava, rifletteva e mi rispondeva. Con lei, sentivo, avrei potuto
tentare di tornare alla vita, quella vita che mi aveva preso a calci in
culo, quella vita che mi era sfuggita di mano, quella vita a cui avevo
deciso di voltare la schiena. Con lei, ci sarei riuscito! La guardai e
sorrisi. Perché no? In fondo mi potevo concedere una seconda
possibilità. Perché non pensare ad una vita insieme? Ad un lavoro
decoroso e una casa con i fiori sul balcone, al posto della merda che mi
circondava ora. Perché no? Arianna era assorta, pensierosa mentre
fissava distrattamente fuori dalla finestra.
"Cosa c'è, bella signora?"
domandai. Lei non rispose. Ma si alzò, lenta e sensuale, e si avvicinò
al letto. Mi prese la sigaretta dalla mano, aspirò, la spense nel
posacenere e mi soffiò sul viso una nuvola di fumo. Sorrise maliziosa. E
sempre senza dire una parola, si inginocchiò fra le mie gambe. Big jack
reagì immediatamente e le sue labbra iniziarono a scivolare, calde e
languide, lungo l'asta palpitante. Le affondai le dita nei lunghi
capelli corvini e mi gustai, pazzo di eccitazione, quel magnifico
pompino. Già, perché no? Perché non riprovarci? La sua lingua guizzava
sul glande, le mani delicate mi massaggiavano sotto l'inguine, la saliva
colava copiosa dalle sue labbra, i suoi ansimi blandivano la mia
virilità. Perché no? Non ci impiegai molto a venirle in bocca. E lei
bevve, dissetando le sue voglie, nutrendo i miei sogni. Le sorrisi beato
e soddisfatto. Perché no? Arianna si sollevò e si sedette sul mio
petto. La sua fica era a pochi centimetri dal mio viso. Dio, che buon
profumo aveva. Ne ero sopraffatto, soggiogato. Perché no? Lasciò
scivolare una mano fra i miei capelli. Dolce carezza. Poi si chinò
leggermente.
"Tu lo sai, vero, che non lascerò mai mio marito?".
Già,
perché no? E ora Arianna mi stava dando la risposta. La guardai.
"E
allora questo cos'è stato? Una sorta di pompino d'addio?".
Sorrise,
continuando ad accarezzarmi.
"Tu scrivi da Dio, Andre, e mi piaci
davvero molto. Mi piace leggere le cose che scrivi, discuterne,
ispirarti. E poi scopi ancora meglio. Non ho mai goduto così in vita
mia, credimi. E ci divertiamo un casino quando stiamo insieme. Ci
sbronziamo, fumiamo erba, facciamo cose folli. Tutte cose che con lui
non mi sognerei mai di fare!".
Pausa. Silenzio. Imbarazzo.
"Però?"
domandai con la consapevolezza di non voler sapere la risposta.
"Però le
nostre vite sono diverse".
Si guardò attorno, abbracciando con gli
occhi il buco d'appartamento in cui vivevo.
"Non riuscirei a vivere in
questo modo. Cioè, ogni tanto sì, ed è quello che facciamo. Ma una vita
del genere non so se riuscirei a reggerla. Non te la prendere, ma sono
abituata ad un altro tenore, io!".
La fissai con il gelo nel cuore e
lame di ghiaccio negli occhi.
"Quindi vieni qui, ogni tanto, a scoparti
lo scrittore derelitto perché in fondo fa figo ed è un passatempo
divertente? Tanto per sfuggire alla noia domestica?".
Non so se ero più
incazzato o più amereggiato. In fondo i miei sogni, ancora una volta,
stavano andando a puttane. "Non è il sogno di tutti voi uomini?"
rispose
strizzandomi l'occhio, con fare malizioso e sensuale. Fanculo, pensai
fra me. La puttana mia vicina di casa, almeno, è più onesta!
"Certo"
risposi tentando di celare il mio sconforto. Poi scoppiai a ridere.
"Hai
ragione, cazzo! E' proprio tutto quello che voglio. Scoparti, scoparti e
poi ancora scoparti!".
A quel punto le diedi la messinscena che
desiderava. Mi alzai. Andai al frigorifero e mi presi una birra.
"Grazie
per lo splendido pompino, gioia. Sei stata davvero divina. Ora però mi
devi scusare. Mi sono scordato che avevo un impegno, eh? Anzi, sono già
tremendamente in ritardo. Facciamo così, mi butto in doccia e poi ti
chiamo nei prossimi giorni, ok? Tanto sai dov'è la porta, tesoro, no?".
Arianna mi guardava con occhi tristi. Aveva capito. Non era una stupida.
Non lo era mai stata. Ma non le diedi il tempo di rispondere. Mi
cacciai in bagno. Feci scorrere l'acqua, ma non entrai in doccia. La
sentii rivestirsi e uscire di casa. Lanciai la lattina di birra contro
il muro. Urlai. Gridai tutto il mio dolore, tutta la mia sconfitta. La
mia ennesima sconfitta. Ancora una volta, mi ritrovavo in quel cesso
d'appartamento solo. Terribilmente solo.
E Arianna.......Arianna non la rividi mai più!
QUESTA SERA VOGLIO ESSERE TUA di Gianluca Jazz Giannini
Sono
mesi che non incontravo Lara. Tra noi c'è sempre stato qualcosa,
un'alchimia di sguardi rimasta sospesa. Ibernata vuoi per un verso, vuoi
per un altro, dai fatti della vita. Prima lei fidanzata, con Antonio,
poi io, quando lei era sfidanzata, con Giada. I nostri occhi parlano
chiaro, si cercano, quello sguardo che ora è pronto a cogliere un
desiderio. Libero io, libera lei. Nessun legame che possa finalmente
interferire tra di noi.
E' ancora mattino, è ancora tempo di saldi, ci siamo incrociati su una vetrina nella quale ci siamo riflessi.
- Vieni ti offro un caffè da Sergio. Sergio è il nostro pusher di
energia fin da ragazzi, allora era tempo di paste e cappuccini, ora lo è
per entrambi di caffè.
Ci sediamo al tavolino, prima da ragazzi
eravamo costretti a fare a spinte per arrivare al bancone, ora Sergio
ha avuto la concessione per mettere alcuni tavolini nella piazza
antistante in questa parte della città antica. Traballano un po' sui
sampietrini, con le mani giochiamo quasi a fare una seduta spiritica,
sorridiamo, arriva il pinguino e ordiniamo due caffè. Lei lo prende
amaro, senza zucchero. Io ordino un Ginseng.
- Gusti raffinati, esordisce lei
- Per un Ginseng?, replico io. E tu da quand'è che lo bevi amaro. Mi
ricordavo di lei le svalangate di zucchero che metteva nella chicchera
del suo cappuccino.
- Alcuni gusti cambiano. Altri no. -
Lo dice alludendo al fatto che ha ancora interesse per me
– Stai ancora con Giada?
- No è finita, non c'era più passione, e allora è meglio interrompere prima che ci si faccia del male. Non trovi?
- Il dolore a volte può essere piacere, dice...io ne so qualcosa
fidati.
Allunga il piede facendolo penzolare dalla sua gamba appoggiata
al suo ginocchio e urtando la mia di gamba. La butta li
- ... ma
com'è che noi due non siamo mai finiti insieme?
- I fatti della
vita forse. Non che io non ti abbia mai pensata, forse non eravamo
pronti l'uno per l'altra. Tu poi eri impegnata con Antonio.
Mi osserva e apre la sua lingua sul cucchiaino a leccare la crema che ora si è trasferita sulle sue labbra.
Mi avvicino, accenno a pulirle i baffetti e lei mi afferra il dito tra le sue labbra. La sua mano sul mio ginocchio.
- Questa sera voglio essere tua.
- Mi farà piacere averti come ospite. Ho comprato casa, poco distante da qui, ricordi il fruttivendolo nel corso.
- Si.
- Ecco, io abito sopra quel negozio, ora è diventato un negozio di sigarette elettroniche
- Ah si, mi sembra di averlo notato quando sono passata prima.
La sua mano non ha ancora abbandonato il mio ginocchio. Ora non
servono più parole il suo desiderio è il mio desiderio. Concordiamo
l'orario, mi faccio lasciare il suo numero telefonico. La chiamo, così
gli rimane impresso il mio numero e verifico di aver scritto giusto
il suo. Squilla.
- Simpatica la tua suoneria.
- Ah, ah, ah. Dai scemo ci vediamo questa sera ho tante cose da raccontarti e tu non fare il timido.
- IOOOOOOOOO?
- Si tu, a questa sera allora.
L'idea iniziale è quella di un bacio, poi una leggera virata da parte
sua ci porta a sfiorare le guance per un tempo interminabile, cercando
di fermare quell'odore dei rispettivi profumi sulla pelle e nella
nostra mente.
Puntualissima Lara sale nel mio appartamento. Ho predisposto una serata al lume di candela.
Nel dopo cena, complice un po' di alcol che ci fa perdere le ultime
inibizioni rimaste, e che nel suo caso sono già abbastanza ridotte, Lara
incomincia a spogliarsi e a sfiorarsi nel basso ventre lasciando
inflettere su se stessa il vestitino tubolare che indossava. Spengo la
candela, una flebile luce esalta le sue delicate forme. Alza il suo
vestito e rivela l'assenza di intimo.
Il suo sesso è glabro. Ho già desiderio di lei.
- No aspetta, non ancora, fammi capire che mi desideri, fallo anche tu. Spogliati! Toccati.
La osservo un istante e mi rendo complice di quel suo desiderio.
Affonda le dita nel suo ventre, piccoli movimenti rotatori, piccoli
piaceri escono dalle sue labbra, una nenia piacevole che va crescendo di
attimo in attimo.
Ora si sdraia sul tavolino, divarica le sue gambe che riluccicano oltre le dita.
- Lara mi stai eccitando. Glielo dico spudoratamente.
- Toglilo fuori, fammi vedere.
il mio sesso è duro, teso. La sua mano si sfiora il seno, appena
visibile se non fosse per il capezzolo che ora svetta fuori dall'abitino
che ha sollevato appena sopra il suo petto. Umetta le dita e continua a
toccarsi.
- Lara quanto mi hai desiderato?
- Tanto direi, ora ti voglio dentro, ti voglio mio.
Prendo il controllo della situazione le mie mani plasmano le sue
voglie, il suo desiderio. Le dita affogano nel suo sesso, annegano in
quel piacere che le fa inarcare la schiena.
Cerca il mio sesso e
contemporaneamente cerca le dita che l'hanno penetrata. Le infila in
bocca, e con il mio sesso scorre su e giù le sue grandi labbra. A un
certo punto lo posiziona e mi avvicina a lei.
- Ora, ti voglio ora,
dice respirando a fatica. Un colpo secco e sono dentro di lei. In fondo
a quel piacere che abbiamo cercato senza mai trovare per lungo tempo.
Mi muovo dentro di lei piantando bene i piedi per terra. Lei mi blocca i
fianchi con le sue gambe.
Morde e succhia le mie dita. Stringo il
suo vestito nel pugno della mia mano, diventando l'animale che ho
rinchiuso per anni desiderandola. Le spinte diventano assalti a un
piacere sconosciuto, brutale.
- Si così
mi incita
- voglio essere completamente tua.
Mi guarda e ora sa che lo è, che è scandalosamente mia a ogni livello del mio desiderio.
Il suo addome si contrae, mi stringe a se, quasi mi vuole buttare
fuori. Esplodo, riempendola di un piacere che non si esaurisce subito.
Mi guarda ancora, occhi spalancati che accompagnano il mio pulsarle
dentro.
Ho ricordi confusi dopo, l'alcol, la stanchezza, ci siamo
ritrovati tra le lenzuola, come bambini in posizione fetale il mio petto
sulla sua schiena, abbracciati in quell'infinito desiderio che avevamo
di incontrarci. Almeno per un giorno.
ZOMBIE di Gianluca Jazz Giannini
E'
un esemplare di femmina. L'ho incatenata giù in cantina, pian piano
quel locale glielo sto arredando, quasi potesse importarle qualcosa a
lei o qualunque cosa sia ora.
E' uno zombie, è priva di vita. I
suoi occhi vitrei risultano spenti e si muove goffamente. Ha un
collare al collo e stupidamente cade all'indietro ogni volta che
cerca di avvicinarsi a me.
Lo utilizzo per soddisfare i miei bisogni sessuali.
La terra è stata colpita da uno strano virus che tende ad addormentare
le coscienze. Lo hanno chiamato Virus B, e il virus A dov'è? Non c'è
mai stato. Lo hanno trasmesso a livello subliminale, le TV, hanno
imparato a decodificare i meccanismi della mente e da allora bisogna
stare attenti, guardarsi intorno, chiunque è il nemico, il
potenziale avversario pronto a sottrarti ogni cosa in tuo possesso.
Ecco io posseggo lei, non è molto, ma è una delle poche cose che
ancora mi da piacere. L'ho chiamata Orgasmo.
Sembra vera quando
gode, ha imparato dai miei gemiti animali. Alla fine so che non può
godere, però quel suo tentativo di compiacere il mio desiderio, un
po' mi piace e me la fa sentire umana.
Oggi le ho insegnato a
toccarsi li, tra le gambe, è proprio un tubero, compie gesti
meccanici. Rido, inclina la testa da un lato e i suoi occhi mi
osservano senza vita.
Mi ha preso con se, è innocua, vuole che gli
faccia le cose che le ho insegnato. Dopo un po' uno si abitua, non da
gli stessi piaceri dell'inizio. Seppure affezionato oggi non mi va. Non
voglio scoparmela.
Insiste.
No!
Ribadisco alzando la voce. Mi guarda inchinando nuovamente il viso.
Non sono eccitato, è da un po' che non mi eccito più con lei. E dire che insieme abbiamo provato un po' tutto.
L'ultima volta è stata più di un mese fa, l'ho lavata accuratamente.
Orgasmo aveva un po' di paura dell'acqua, dopo quando mi vedeva
eccitato a sfiorare le sue forme, si è tranquillizzata seppure ogni
tanto qualche mal rovescio glielo ho dovuto dare, giusto perché così
capiva quali distanze tenere. Non sono stupidi questi
esseri, hanno un solo istinto, ma a legnate riesci a farglielo
dimenticare.
Continua a cercarmi tra le gambe, vuole prendermelo in bocca. Stock, un altro colpo. Si allontana.
Forse se io fossi donna e lui un esemplare maschio questo racconto
prenderebbe un'altra piega. Forse dovrei mettergli quella cintura
fallica che ho barattato con il televisore al plasma.
L'ultima emozione, ecco questa non l'ho mai provata, farmi penetrare da Orgasmo, chissà come deve essere.
Una volta indossata Orgasmo si mette a saltare, il fallo ondeggia
in alto e in basso, per lui è un nuovo divertimento. Chissà se a me
piacerà, si deve pur godere nella vita e questo non l'ho ancora fatto.
Orgasmo mi guarda incapace di capire cosa deve fare. Mi preparo,
penso che mi farà male allora infilo due dita nel mio posteriore e
pian piano mi avvicino a lei cercando quell'organo artificiale.
Orgasmo ha un sussulto, mi penetra con violenza, stringo un pezzo di
tessuto che avevo provvidenzialmente tenuto a portata di mano. Le
pareti del mio sfintere non ne possono più, sembrano lacerarsi, credo
che potrei morire così, perché Orgasmo non si ferma e io, per quel
perverso gioco che le cose da sfatare sono sempre le migliori, sono li,
sotto di lei, a farmi penetrare all'infinito, perché lei non ha tempi,
non si esaurisce mai, e questo mi era passato dalla mente nell'istante
in cui mi è venuta la malsana idea di averla dentro di me. Potrei
morire godendo, sai che bella fine. Orgasmo mi prende il sesso e
incomincia ad agitarlo nel suo pugno, godo, meravigliosamente godo,
per l'ultima volta. Lei mi ha sfondato, sento il sangue fluire fuori,
le forze mi mancano e l'ultima cosa che ricordo è il suo fiato
fetido e i suoi occhi puntati senza vita. La stessa vita che ora sta
abbandonando me, per sempre.
CATTIVISSIMA ME di Francesca Delli Colli
“Ma tu chi sei?"
Chiesi alla mia immagine riflessa nello specchio. Una figura
conosciuta, belloccia e attraente a cui pero’ non sapevo dare una
identita’effettiva.
“Sei uno sbaglio della natura o la perfezione assoluta?” continuai stupita nel cercare di riconoscermi.
L’aspetto fisico e’ solo un biglietto di presentazione ma poi nessuno e
tanto meno io sapevo cosa o chi potesse esserci dentro a
quell’involucro.
L’introspettiva e’ una cosa che ho sempre ricercato
in me stessa, ho sempre amato il poter capire, il cosa potesse spingere
ad essere o non essere, i propri limiti e le proprie liberta’, l’etica
e l’immoralita’.
Sempre eternamente divisa a meta’ e senza la forza di poter prevaricare questa divisione.
“ E tu chi vorresti essere?” mi rispose l’immagine a tradimento .
“Ma tu stai parlando!” esclamai allucinata ed anche impaurita nel sentire quelle parole provenire dallo specchio.
La mia immagine assunse una espressione quasi strafottente ed ironica
mentre reclinava il capo verso una spalla e mi scrutava con un’aria
dubbiosa e divertita.
“Certo che parlo, come non potrei considerato che io sono te!” rispose beffarda quasi deridendo la mia incredulita’.
“Ma c’e’ una enorme differenza tra me e te “ continuo’ pacata.
“ Io SO mentre tu non sai, vaghi nel dubbio , nel buio alla ricerca
di te stessa, ma non so quanto tu possa riuscirci senza che io ti possa
mettere a confronto con cio’ che sei nella realta’ con quello che vedi
riflesso e parla per te”
Poche parole e secche che arrivarono dritte dentro di me, trafiggendo ogni vana sicurezza che cercavo di ostentare.
“Quindi cio’ che sto vedendo non sono io! E’ questo che stai cercando
di dirmi?” Esclamai lasciando da parte la sorpresa e partendo come al
solito all’attacco cercando di cautelarmi.
L’attacco e’ sempre la miglior difesa..in genere, ma non in questo caso.
“Assolutamente no, siamo la stessa identica cosa ma con la variante che
una e’ l’integrazione dell’altra” Rispose con gran tranquillita’
fregandosene del mio stato d’asia che aumentava sempre piu’.
“ Io
sono cio’ che vorresti essere ma non riesci ad essere , sono la tua
inquisitrice che ti condanna, ma ti condanna alla liberta’ nel momento
in cui diventerai consapevole, cosa che ora non sei perche’ prigioniera
della tua ignoranza e dei mille dubbi che ti corrodono l’anima”.
Sogghigno’ nel dire questa parola e assunse un’aria di superiorita’ .
“Ma io non sono cosi tenera dai rosicare cosi facilmente e da qui la
tua lotta intestina per capire chi sei” inizio’ a spiegarmi .
La
situazione era nettamente cambiata e sfuggita di mano, mentre
inizialmente ero io che mi chiedevo cosa fossi, il “cosa fossi” ora
aveva iniziato la sua arringa contro di me , il colpevole avversario.
(short stories)
La mia difesa era debole perche’ sapevo che le accuse erano forti ma fondate.
“Vedi , cara me…” continuo’ senza pieta’ “A te manca la forza di
presentati come un unico essere e completo, hai paura di essere te
stessa e di prendere decisioni affinche’ tu “SIA” preferendo rimanere
in quella terra di mezzo ma continuando a piangere su te’ stessa
perche’ non riesci a sbocciare”.
Ora quella voce era delicata e
dolce, ma sentivo comunque un dolore dentro che mi lancinava mentre mi
nutrivo di quelle parole e piu’ si diffondevano e piu’ entravano in me.
Piano piano iniziai a provare uno strano sollievo, quel valzer di
opposti iniziava a costruire una sola sicurezza ,mettendomi davanti
alle mie potenzialita’ sempre rifiutate per comodo!
L’immagine belloccia e superficiale di botto spari’ dallo specchio ed iniziai a vedermi con altri occhi.
Iniziai a vedere cio’ che volevo vedere ma che celavo con la paura e l’insicurezza.
La mia anima!
L'ALBA DI UN DOMANI di Gianluca Jazz Giannini
Al
Zx02C, era l'ultimo fiammante robot uscito dai laboratori della
multispaziale industria Entropia s.a.s., dove la s stava per Società, la
a, stava per Aeronautica, e l'ultima s stava ovviamente per Spaziale.
Questo modello si differenziava dai precedenti per avere un
cervello positronico capace di simulare le emozioni umane. Era
riuscito talmente bene che il giorno che la società presso la quale
prestò servizio ne acquisì le prestazioni per la modica cifra di 12000
stellar, fece schizzare il PIL aziendale di oltre il doppio del
capitale investito.
Si era visto da subito che le sue capacità
fuori dal comune gli consentivano di primeggiare, leggere le diverse
situazioni, analizzarle e prendere la decisione migliore senza mai
fallire.
L'azienda, da quando c'era lui, poteva contare su enormi
profitti, che l'avevano portata a guadagnarsi nuove fette del mercato
ipergalattico.
Al termine della giornata trovava accoglienza nella capsula rigeneratrice, ormai era parte dell'ufficio.
Non badavo a lui, così al termine di giornate stressanti, tra
incartamenti e personale che rompeva a tutte le ore, trovavo rilassante
distendere i piedi sulla scrivania.
Levavo le scarpe e massaggiavo i piedi per fargli riprendere la circolazione.
Al entrò, per un attimo istintivamente cercai di ritrarre le gambe,
ma la sedia non reggendo il peso mi fece fare un capitombolo
all'indietro.
Al era li, accanto a me, aveva la faccia dispiaciuta
che mi fossi fatta male. Fece una scansione veloce del mio corpo,
senza riscontrare lesioni, solo una contusione del piede.
- Al è bravo, Al chiede di poter inizializzare programma massaggi
Certo non mi sarebbe dispiaciuto se a quell'ora un bel massaggio mi avesse disteso il fascio di nervi.
- Procedi Al, mi farà piacere
- Eseguo
Dal primo momento che le sue mani fredde si posarono su di me ebbi
quella scossa elettrizzante che non provavo da tempo. Al percepì quel
mio irrigidimento scusandosi per le sue mani fredde, aveva scollegato
il circuito per risparmio energia avendo la batteria low.
Ora il
caldo pervase le mie caviglie, altri brividi. Al mi guardò, non
riuscendo ad interpretare questa volta il significato.
- Al ha sbagliato qualcosa, Miss?
- No Al, va tutto bene, continua...continua. Anzi ora sali, lungo la gamba.
- Miss...., mi sembra sconveniente per lei.
- Al, lo voglio.
- Miss devo caricare il programma erotico?
- Ne hai uno Al? Non ne sapevo niente, certo caricalo questo non me lo voglio proprio perdere.
- Si Miss, qualche preferenza?
- No fai tu Al
Al ne caricò uno, uno che lui pensava potesse piacere a Miss.
Fece spazio sulla scrivania, con rudezza scaraventando tutti gli
oggetti per terra, sdraiò di forza Miss sul tavolo e incominciò a
strapparle i vestiti, dalla camicetta saltarono i bottoni, il
reggiseno a balconcino fu invece letteralmente strappato, quanto
alla gonna fu portata poco sopra le cosce, e gli slip scostati di
lato.
Nessuno aveva osato tanto con lei, Miss era l'Amministratore
Delegato della Società, e ora provava un grosso piacere ad essere
dominata da quel cervello positronico. Un piacere che sentiva bagnarle
le gambe come mai prima d'ora.
Al entrò in lei, con un sol colpo, netto, deciso.
Un solo gemito da parte di Miss, poi perse il controllo reclamando
Al dentro di lei, con quella furia e desiderio che Al interpretò
alla perfezione. Nessuno l'aveva fatta godere così. Nessuno mai gli
aveva procurato quella disconnessione dalla realtà, gli orgasmi si
succedettero uno dietro l'altro. Avrebbero potuto continuare
all'infinito se Al non avesse esaurito definitivamente la carica.
-
Al.....
chiese Miss, riponendolo nella sua teca, e accertandosi
che i comandi rispondessero nuovamente ai suoi ordini
- Al,
cancellerai tutto di questa sera.
- Sarà fatto Miss
Ma Al
conservava quel prezioso ricordo nel suo circuito positronico, come
un gioiello prezioso. Aveva scoperto l'amore, aveva scoperto cosa
provano gli umani, tentò di piangere, dolore o piacere, ma nessuna
lacrima uscì dal suo condotto lacrimale, doveva attendere solo una
ulteriore evoluzione, Al Zx02D.
IL NEGOZIO DI INTIMO di Gianluca Jazz Giannini
Era
entrata in quel negozio che prometteva saldi di fine stagione a
prezzi stracciati. 50-60-70. Passeggiò tra le corsie senza trovare niente
che la soddisfacesse. Ad un certo punto trovò un angolo nascosto del
locale con la scritta in alto “Intimo particolare” la cosa la
incuriosì. Scostò la tendina e sporse la testa la dentro. Una stanza
con grandi specchi da una parte e dall'altra una serie di ceste
ricolme di abbigliamento intimo che aveva destato la sua attenzione.
Perizomi, tanga, body, sottovesti trasparenti, con paillettes o senza,
c'era un vasto assortimento. La stanza fungeva anche da spogliatoio,
una volta entrata si era accesa la luce occupato sopra la tendina che
aveva richiuso dietro di se.
Incominciò ad appoggiarseli addosso,
per vedere come le stavano, poi disse che ciò non era sufficiente e
incominciò a spogliarsi.
Si tolse la camicetta e la ripose
nell'appendiabiti affianco alla specchiera, sganciò la gonna
lateralmente e questa le scivolò giù per le gambe. Stette un attimo
li davanti allo specchio a guardarsi. Aveva indossato un completino
di pizzo color vinaccia, le stava da dio, era fiera di quell'acquisto,
ora cercava qualcos'altro per implementare la sua collezione personale.
Mise i capi che aveva scelto sul guardaroba affianco alla specchiera.
Non contenta di come le scendevano , le venne il desiderio di
spogliarsi e di indossarli. Certa che nessuno avrebbe avuto da ridire
se ci sarebbe stata dentro per un infinitesimo istante.
Si liberò
così del coordinato, rimanendo nuda davanti allo specchio, si
piacque, era una donna che a detta di tutti aveva ancora una
silhouette invidiabile, e lei lo sapeva, da come gli occhi degli
uomini si posavano su di lei. Certo non era una bellezza eccezionale,
ma compensava con la classe nel vestire e nel portare abiti, che
compensavano quella quasi assoluta mancanza di seno e qualche evidente
segno di cellulite, niente di grave, a quello poteva fare ben poco.
Per l'occasione si era depilata e vedere il suo ventre così le
produceva sempre piacere. Quello specchio poi invogliava a mettersi in
mostra. Anzi le era venuta proprio un'idea, quella di fare uno strep
tease al contrario, cioè rivestirsi anziché spogliarsi con la roba che
intendeva indossare. Prese la sedia allora al suo fianco e la
posizionò come una vera star davanti allo specchio, immaginando di
avere un pubblico che la seguisse.
Si sedette, pose le mani sulle
ginocchia e giocò un po' ad allargare e chiudere le gambe, mostrando e
occultando il suo ventre.
Pensò, farebbero la fila per vedermi,
forse pagherebbero anche. Voltò la testa verso il primo capo, le
piaceva, era di colore viola, andavano di moda quei colori quell'anno,
era un corsetto in raso con ricami neri, quasi trasparente, i ricami
erano opportunamente posizionati all'altezza delle zone sensibili del
suo seno e si espandevano a raggiera fino ad avvolgerla completamente
scendendo verso la sua schiena in prossimità dell'osso sacro, le
avrebbero lasciato la schiena completamente scoperta, cosa che lei
gradiva molto. Le piaceva avere gli occhi sulla schiena e talvolta li
sentiva scendere ancora più giù, dalle parti delle rotondità dei
suoi glutei.
Quanto al poco seno quel corsetto lo esaltava facendolo apparire più florido.
Il primo capo lo aveva scelto, lo ammirò sulla sua pelle sfilando
davanti alla vetrata in lungo e in largo. Si avvicinò allo specchio e
dette un bacio al pubblico che la stava “idealmente” osservando.
A
questo punto della storia qualcuno potrebbe pensare che dietro lo
specchio ci fosse qualcuno, magari anche più di uno a godersi
quello spettacolo. Mi dispiace, non era così. Almeno per quanto ci è
dato di sapere.
La donna si tolse il corsetto e indossò gli
altri capi ritenendosi egualmente soddisfatta, le donavano tutti e
le piacevano tutti. Ritornò in possesso dei suoi abiti, e uscì da
quel locale lasciando gli abiti selezionati sulla sedia davanti alla
specchiera.
Scostò la tenda e il locale con la scritta “Intimo
particolare” ritornò libero. Si avvicinò alla cassa alla quale stava un
distinto uomo, in giacca e cravatta.
- Spero che lo spettacolo sia stato di suo gradimento.
disse in tono inequivocabile la signora ancora piacente.
- Lo è stato madame. La signora ha scelto?
- Certo, la sua roba è impeccabile, la può portare a casa lei direttamente questa sera.
Ovviamente, questo tra di loro era un gioco collaudato, essendo la
signora sua moglie, e lui conosceva i vizi e le virtù di quella
signora come nessun altro, rimanendone ancora innegabilmente attratto, e
anzi, se mai fosse possibile, ne era ancor più innamorato.
mercoledì 18 settembre 2013
AUSCHWITZ (Per non dimenticare. Mai!) di Andrea Lagrein
I
suoi passi correvano rumorosi sul selciato bagnato. Non gli importava
nulla della pioggia che gli sferzava il volto, del vento che gli
schiaffeggiava le gote, del gelo che gli penetrava nelle ossa. Non gli
importava nulla del cuore che martellava impazzito nelle vene. Voleva
solo raggiungere la stazione. Voleva solo che il tempo, per una volta,
si fermasse. Mio Dio, cosa ho fatto? Cosa ho fatto? urlava con veemenza
la sua mente. Cosa aveva fatto? Aveva reciso il fiore più bello, il
fiore della sua vita. Grazie alla sua stupidità, alla sua debolezza,
alla sua ignavia, aveva consentito che glielo portassero via. Per
sempre!
Lui si chiamava Vincenzo ed era un figlio della ricca
borghesia milanese del tempo. Futuro già scritto, mondanità, feste e
belle donne. L'orrore di quei giorni pareva non toccarlo minimamente. La
strada era tracciata, e lui doveva solo seguirla!
La conobbe in una
giornata soleggiata di Marzo, al parco. Se ne invaghì immediatamente.
Doveva averla, doveva possederla. E fece di tutto per sedurla!
Lei
si chiamava Rita. Figlia di bottegai, viveva con pacata dignità gli
affanni di quel tempo. Scarpe riciclate, abiti rattoppati, serate
trascorse sognando al balcone. Ma era bella, bellissima. Ed era ebrea. E
l'orrore e la follia di quei giorni segnarono irrimediabilmente il suo
futuro!
Ma a questo, Vincenzo, non ci pensava. Pensava solo a quelle
gambe slanciate, a quel culo tondo ed invitante, a quelle tette grosse e
sode, a quelle labbra tumide e carnose. Pensava al corpo di Rita, a
come poterla scopare, al piacere che avrebbe goduto da quelle forme
sinuose. Vincenzo non pensava a Rita, ma alla sua figa!
In fondo
sapeva bene di che razza fosse, razza inferiore, razza appestata, razza
animalesca. Buona solo come carne da macello, come carne da servirsene,
come carne da schiavitù. Così gli avevano sempre detto, così gli avevano
sempre insegnato. E così lui credeva!
Lei fu immediatamente
attratta da quel giovane dalle buone maniere, elegante e galante. I
cinema, i ristoranti, le gite al lago, le risate e la dolcezza. Una
dolcezza fuori luogo in quei tempi terribili, e per questo ancor più
bella e seducente. A Rita parve che i suoi sogni si avverassero. E con
trasporto e calore, si concesse!
Lui la fotteva. La fotteva con
veemenza e impeto infuocato. Non v'era giorno o luogo in cui non la
desiderasse, in cui non desiderasse sprofondare in quel corpo da delirio
sensuale. Mai nessuna donna prima d'ora gli aveva fatto quell'effetto.
Gli bastava il solo pensarla che il suo uccello già iniziava a
sussultare!
Lei si dava con passione. Gli piaceva quel ragazzo e gli
piaceva in un modo mai prima sperimentato. Gli piaceva la sua focosità
virile. Gli piaceva quando le mordeva i capezzoli. Gli piaceva quando le
stringeva i fianchi e la penetrava da dietro. Gli piaceva vederlo
venire copiosamente sul suo ventre. Gli piaceva perché ne era
innamorata!
Vincenzo, come tutti i ragazzi della sua età, se ne
vantava con gli amici. Smargiassate da adolescenti, ricche di
particolari inventati o accresciuti a dismisura. Sposarla mai! Eh no,
che state scherzando? E' una lurida ebrea. Ma fotterla è un'altra cosa.
Fotterla si può. Mica si fa nulla di male! E sotto l'effetto di robuste
dosi di vino rosso nacque la leggenda della puttana ebrea, gran
succhiatrice di cazzi, amante di scopate sensazionali!
Ma quando
stava con lei, le cose cambiavano completamente. Giorno dopo giorno, la
dolcezza, la tenerezza, la sensibilità di Rita iniziarono a
conquistarlo. Non si trattava più solo di scopare. Lentamente Vincenzo
iniziò ad aprirsi a lei, a confidarsi, a trovare in quella ragazza
un'anima affine. Giorno dopo giorno, Vincenzo iniziò ad innamorarsene!
Solo che follia e stupidità, in quei giorni, regnavano sovrane. E Vincenzo ne ebbe paura!
Una sera, nella solita osteria, incontrò Francesco, amico d'infanzia,
ora importante personaggio dell'establishment politico locale. Serata di
baldoria, di risate, di ricordi, di robuste bevute. E di sussurrate
confidenze. "Dicono che te la fai con una puttana ebrea!" buttò lì con
noncuranza Francesco. Vincenzo voleva far colpo sull'amico. Nella
posizione in cui era poteva sempre far comodo, un domani. "Già! Cosa
vuoi, una vacca da monta serve sempre, no?" disse strizzando l'occhio
con fare complice. Francesco lo squadrò con fare furbesco. Poi scoppiò a
ridere. "Fai bene, amico. Un'ebrea è buona solo per svuotare i
coglioni. Se poi è troia, meglio ancora. Buon per te. Goditela, finché
puoi!". E Vincenzo si lanciò in racconti osceni sulle abilità sessuali
della puttana ebrea. Nomi, cognomi, indirizzi. Tutto raccontò. Non
tralasciò nulla. Voleva fare una bella impressione sull'amico. E così
non si accorse che Francesco annotò tutto mentalmente!
Passarono i
giorni e il delirio prese forma. L'umanità sprofondò nella follia più
assurda, nella follia più totale. Ma Rita e Vincenzo non si accorsero di
nulla. Non si avvidero dell'uragano che si stava abbattendo su di loro.
Rita e Vincenzo erano persi nel loro amore. Nella loro felicità!
La
corsa di Vincenzo terminò alla stazione ferroviaria. Entrò con la
speranza che il treno non fosse ancora partito. Cercò fra i vari binari,
incurante dei militari che lo osservavano truci. Vincenzo aveva il
cuore che gli scoppiava in petto!
Alla fine vide Francesco. Anche
l'amico si avvide di lui. Sollevò un braccio in segno di saluto. Si
avvicinò. Sigaretta pendula dalle labbra, gli sorrise amichevolmente.
Gli diede una pacca sulla spalla. "Amico mio, sei venuto anche tu a
goderti lo spettacolo? Mi spiace, sei arrivato tardi!" disse
sghignazzando. "Dovevi vedere! Che spasso! Tutti quei porci che
piagnucolavano mentre a calci in culo li sbattevamo sui vagoni! Uno
spettacolo, davvero!".
A Vincenzo iniziarono a tremare le gambe. Gli
parve che il mondo gli crollasse addosso. Era come se fosse caduto in
trance. Non vedeva, non udiva più nulla. Fu la voce di Francesco a
riportarlo alla realtà. Rideva di gusto. "Ah, già, c'era anche quella
tua puttana ebrea di cui mi hai parlato l'altra sera. Mi sa che adesso
ti devi trovare un'altra troia, amico mio!".
Vincenzo fece fatica a
trattenere le lacrime. Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? continuava a
ripetersi. Poi guardò Francesco. L'illusione è sempre l'ultima a morire.
"Che ne sarà di loro? Quando torneranno? Tu lo sai, vero?" chiese
speranzoso con un filo di voce. L'amico lo guardò quasi sorpreso. Poi
scoppiò nuovamente a ridere. "Amico mio, questo treno ha il solo
biglietto d'andata. Va dritto dritto all'inferno con tutto il suo
carico!".
A Vincenzo parve di morire. Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita!
Francesco si voltò per andarsene. Con un ultimo ghigno, posando una
mano sulla spalla di Vincenzo, disse : " Quel treno va dritto dritto ad
Auschwitz!".
L'uomo fermo immobile sulla banchina, fradicio di
pioggia, con il gelo nelle ossa e l'inferno nel cuore, era mia nonno. E
questo fatto non gliel'ho mai perdonato!
LENZUOLO BIANCO di Gianluca Jazz Giannini
Mi
piaceva quando si gonfiava e l'aria entrava dentro accompagnando il
lenzuolo sul tuo corpo, come una foglia che plana adagiata a terra dal
vento. Ora è tutto diverso, il mio viso è una maschera impalpabile e
stanca.
Fa uno strano effetto, ora, oggi, vedere le tue forme che riempiono il lenzuolo.
I seni, il tuo volto. Il naso. Sei la sotto, inerme. Non respiri, non ti muovi.
Lo tiro giù tenendolo per i lembi, ti voglio vedere ancora, voglio
stampare il tuo corpo nei miei ricordi. Emergono i tuoi capelli,
neri come il mirto maturo, riccioli disordinati sparsi sul letto ove
giaci e gli occhi chiusi. Solo io, ora, ne ricordo il colore. Verde,
come quello delle foglie d'olivo. Intensi, come lo sguardo che mi
lanciavi ogni mattina quando ti svegliavi e cercavi i miei, prima che il sole ci dicesse che era tardi e la vita ci chiamava a se.
Il naso si scopre. E' aquilino, mi strappi un sorriso, ti ho sempre
presa in giro, quando lo percorrevo con il mio indice, ricordi?
Questa è di mamma aquila. La nostra Bibi, la nostra piccola riccioli
neri ha preso da te. Cucciolo, come farà ora senza i sorrisi che le
regalavi quando veniva in mezzo a noi.
Una parte del tuo naso
viene illuminato dalla luce del neon, fa freddo qua dentro, l'altra
invece è in zona d'ombra. Hai sempre avuto una vita di cui non mi hai
parlato.
Le labbra sono leggermente aperte, pallide come quando
uscivamo dall'acqua, quante volte le ho disegnate tra le dita, quante
volte sono diventate tue quelle dita, un tuo gioco, un tuo piacere, di
assaggiarmi e di assaggiarti. Labbra carnose, piene che sapevano
trascinarmi in un vortice senza fine.
Una lacrima scende sul mio
volto, lo riga, scopro il tuo petto, quello che spesse volte mi ha
accolto in lussuriosi piaceri, vorrei sdraiarmi su di te, anche
ora. Trovare il modo di quietare i miei pensieri. Pensavo avessi
tutto ciò che desideravi. Perché lui, chi era per te. Tu che eri sempre
prudente quando viaggiavi. Perché non indossavi il casco.
Mi dicono che devo lasciarti andare, che ti trattengo qui, con me, in questo mondo.
Hai freddo? Il tuo corpo gela sotto le mie mani.
Pian piano realizzo che sei un ricordo, il più bel ricordo che la vita mi abbia dato.
Qualcuno si avvicina, incerto, mi stringe sulle sue spalle, mi strappa le mani di dosso e mi porge le sue condoglianze.
Non ce la faccio più, piango, come un fiume in piena.
No! Non sei solo un ricordo, sei viva dentro di me, ti sento battere nel mio cuore in quel posto che era solo nostro.
Sento la tua carezza sul volto. Le lacrime si fermano, me le stai
portando via. Anche lui ora non c'è più, vi farete compagnia li dove
siete andati. Chiudo gli occhi, lui era solo l'altro, quello che
divideva il tuo cuore con me, e ti ha portato via. Quello che non ho
saputo fare io.
Mi volto nuovamente, sei un lenzuolo bianco.
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