mercoledì 11 settembre 2013

NON HO PREZZO di Gianluca Jazz Giannini




Non ho mai fatto grande attenzione alla differenza che c'era tra desiderio e piacere. Così tutto ciò che diventava desiderio lo prendevo per farne il mio piacere. Ho incominciato a scuola a liberarmi dei tabù del mio corpo. I ragazzi pagavano perché gli facessi vedere come ero fatta. Le mie forme non hanno aspettato a crescere, avevano voglia anche loro di mostrarsi. A 14 anni avevo già una 5ª di seno. I ragazzi si voltavano sbavando quel desiderio, così fecero una colletta perché mostrassi a loro quel ben di dio. L'evento fu organizzato negli spogliatoi della palestra, nel dopo scuola. Era una semplice contentino, ma avevano racimolato una discreta somma, segno dell'importanza data a quella devianza giovanile. Avrei dovuto alzare la maglietta per qualche istante lasciando scappare fuori il mio seno. Per giorni, la scuola fu invasa da un tam tam che riguardava la sottoscritta senza che alcuna di quelle voci avesse fondatezza, da li, il passo fu breve, perché la cosa esplodesse in mille rivoli senza controllo, una ragazza si è spogliata, hanno fatto sesso negli spogliatoi, un orgia ha interessato numerosi alunni e così via. Niente di tutto questo. Diventai così una legenda metropolitana all'interno della scuola. Quel mio seno aveva scosso gli ormoni della popolazione scolastica. La notizia arrivò sino al preside il quale mi convocò chiedendomi la veridicità dell'accaduto. Negai, ma in realtà leggevo nei suoi occhi quel desiderio insoddisfatto di poter entrare nel clan di chi mi aveva visto in mezzo busto nuda.
- Per inciso – dissi mentendo – non farei mai qualcosa del genere all'interno della scuola.
Il preside era un uomo insoddisfatto, separato e con voglie troppo evidenti nei confronti delle sue alunne. Mi abboccò qualche giorno più tardi, proponendomi lezioni private per migliorare il mio standard scolastico, in realtà avevo già intuito che il suo interessamento era di tutt'altra natura.
Accettai perché mi piaceva l'idea di quell'uomo che si interessava a me, di quell'uomo colto con le sue fragilità.
E le sue fragilità le mise subito in campo, che quasi mi faceva pena.
- Sono un uomo solo, disse guardandomi dritto negli occhi –
(certo non è colpa mia se tua moglie ti ha lasciato - pensavo - ti sei fatto beccare mentre ci provavi con sua sorella).
- Da mesi non tocco una donna – continuò - mi masturbo pensando a te, a quei seni che sono esplosione di vita.
Mi eccitava quel discorso diretto, e gli chiesi spudoratamente di poterlo vedere mentre si masturbava, in cambio gli avrei gentilmente concesso di mostrare a lui i miei seni.
Si sedette nella poltrona all'angolo delle due librerie e tolse fuori il suo sesso, oggetto nerboruto vittima di tante e insistenti battaglie tra le sue mani.
- Avanti professore, sto aspettando che lei si masturbi, sollecitavo con forza acquisendo le redini di quel mio insano piacere di comandare quell'uomo derelitto del suo desiderarmi.
L'eccitava che io fossi salita in cattedra, seduta dietro la sua scrivania a comandare le sue voglie. Il mio seno appoggiato sul suo scrittoio.
Muoveva la sua mano scappellando il suo sesso ogni volta che il suo pollice ridiscendeva lungo la sua asta. Mi incuriosiva vedere il suo glande quasi boccheggiare di desiderio. Non riuscì a contenere lo schizzo, che nella sua parabola comunque non riuscì a raggiungere la scrivania dinnanzi a lui e dalla quale io ora stavo sollevando la maglietta per consolidare la sua eccitazione. Fiotti continui venivano fuori dal suo sesso mentre continuava a far salire e scendere velocemente la sua mano.
Con lui sono diventata grande in fretta. Sono diventata donna.
Dissero che avevo avuto una storia con lui, per fargli del male, ma non accadde niente tra me e lui, niente di fisico intendo. In realtà lui sapeva deliziare i miei desideri, pagava si, ma per guardare la creazione del desiderio con altri. Il posto non era mai lo stesso, poteva essere la spiaggia, la pineta, il parco o una camera non riconducibile a lui e che teneva sfitta. Proprio in quella camera assistette alla prima volta che persi la verginità. Era con Massimo, un ragazzo che in quel periodo tempestava i miei sogni e i desideri adolescenziali. Mi disse di eccitarlo in un certo modo, di legarlo. Mi fece indossare una vestaglia, probabilmente appartenuta a sua moglie. Era una vestaglia trasparente e mi fece attendere Massimo comodamente sdraiata nel lettone.
Quando il mio partner sarebbe arrivato avrebbe trovato la porta aperta. Avevamo programmato tutto. Massimo si presentò con un desiderio già pronto per essere saziato.
Lo spogliai avidamente levandole la maglietta e lasciandolo a petto nudo. Le mie mani disegnavano la sua muscolatura già ben delineata. Indietreggiò fino al letto cadendovi sopra. «Ti voglio legare» dissi senza attendere la sua risposta, sapevo già che avrebbe fatto di tutto per soddisfare il suo desiderio. Presi due foulard e legai le sue mani alla testiera del letto, una in ciascuna estremità. Passai poi a sbottonarle i jeans, la cinta, la zip. Il suo sesso era già duro. Pronto al mio incondizionato piacere. Vi passai la mano disegnando quell'erezione sopra gli slip. Lo abbandonai per un istante e gli tolsi le scarpe, gli sfilai i jeans e finalmente liberai il suo sesso che saltò fuori dritto.
Accompagnai gli slip fino alle sue caviglie e successivamente mi posizionai tra le sue cosce.
Mentre con le mani toccavo la sua asta. Mi avvicinai delicatamente con le labbra ed esegui la mia prima fellatio, sentivo il sapore acido della sua pelle che affondava fin dentro la mia gola, provocandomi dei conati di vomito, passai allora al capitolo successivo, affogando la sua verga tra i miei seni. Gesti calcolati, consigliati dal mio mentore, il preside che osservava tutto da un piccolo foro occultato dietro un quadro. Sapevo dove dovevo stare perché lui avesse la miglior visuale, sapevo cosa gli piaceva, e a me, allora bastava. Non è stata una bellissima prima volta, come tutte le prime volte non lo è mai, vi assicuro. Il dolore passa e diventa un propedeutico passaggio al piacere delle volte successive. Così quando sfregai il suo sesso sul mio tormentandomi le labbra e il clito, pensai che era giunto il momento che quella verga meravigliosamente calda mi penetrasse, I muscoli i muscoli di Massimo erano tesi, aspettavano solo quel momento. Sentii quel dolore, sentii il suo sperma un attimo dopo riempirmi, anestetizzando il mio piacere dentro, tutto così veloce da non sentire il mio l'orgasmo, che infatti non venne. Non venne li e neanche dopo. Solo ora capivo quel desiderio del preside, quello di masturbarsi per ottenere un piacere che solo lui poteva darsi. Sentii freddo, quel freddo che solo l'idea dell'autoerotismo avrebbe potuto lenire. Ero sempre stata sola. Così dopo esser rimasta avvinghiata a Massimo una lacrima scese sul mio volto e andò a confondersi nel lago di sangue che avevo lasciato sul letto una volta ripulito il mio sesso. Massimo mi guardava senza capire, e non seppe consolarmi come invece feci io una volta che lui uscì da quella porta. Era la giornata delle prime volte, mi masturbai, lo feci per il preside, mi masturbai provando un piacere mai provato. Godetti e finalmente lo vidi davanti a me, il preside, il suo sesso in mano, in una masturbazione congiunta che riempi i nostri desideri del nostro nettare. Il piacere è appagamento del desiderio, di quell'impulso che mi fa star bene. Compresi quella lezione, io non ho prezzo. Solo io stabilisco quanto felice posso essere e non una tariffa che stabilisce una prestazione.

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