martedì 10 settembre 2013

LE COSCE DELL'OBLIO (acquarelli di vita reale) di Andrea Lagrain







 Questa sera voglio solo smarrire me stesso!
Mi fermo ad uno di quei chioschi ambulanti che alla sera vendono panini e bibite. Non ho fame. Compro tre birre. Voglio sentire l’alcool scendere in corpo, scaldarmi, bruciarmi, stordirmi. Dopo ciò che mi è stato detto, voglio s...olo dimenticare me stesso, la mia vita, il mio dolore. Voglio dimenticare lei!
Mi siedo su di una panchina in un parchetto lì a fianco. Apro la prima bottiglia e bevo tutto d’un fiato. La testa inizia a girarmi immediatamente. Una sigaretta, due sigarette, tre sigarette. Apro la seconda bottiglia. Poi la terza. Voglio bruciare negli inferi dell’autodistruzione. Annientare completamente me stesso, il mio corpo, la mia mente, la mia anima. Eppure non serve a nulla. Le sue parole rieccheggiano ancora come un tuono roboante!
Seduto su una scrostata panchina incisa dagli amori di ragazzini ancora sognanti, non mi accorgo del suo arrivo. Che fai lì da solo? mi chiede con un italiano stentato. La guardo. Lunghi capelli corvini sopra le spalle, un viso ovale di grande bellezza, rovinato dal pesante trucco da ragazzina cresciuta troppo velocemente, fiore reciso sul marciapiede della volgarità. Gli occhi, leggermente orientaleggianti, mi fissano con intensità da quelle sue iridi d’un profondo verde smeraldo. Ma non v’è luce in quello sguardo da puttana adescatrice. Tracanno un’altra lunga sorsata. Il clichè è perfetto. Minigonna sgualcita, stivale in pelle nera appena sotto il ginocchio, top elasticizzato rosa fuxia, probabilmente d’una taglia inferiore alle reali misure, reggiseno nero del quale sono ben visibili le spalline, tette straripanti, fisico asciutto, giubbino di pelle nera, chewin gum masticato rumorosamente. Abito qui vicino, mi fa con noncuranza. Vuoto d’un fiato ciò che resta della birra. Gesù, è tutto così perfetto. Sarebbe divenuto il canto della mia sconfitta!
Salgo le scale dietro il suo culo ancheggiante. Stabile fatiscente, dalle pareti scrostate ed intrise di umidità, con gli ingressi degli appartamenti che danno su un ballatoio a ringhiera, direttamente affacciato sul cortile di terra battuta, dove i resti di una povera umanità arrugginiscono sul lento fluire del tempo. Biciclette inutilizzabili, lavatrici devastate, vecchi televisori rotti, ferraglie di varia natura mi scrutano dall’oscurità di quella notte priva di luna. Suoni e voci, sussurri e urla giungono al mio orecchio dai vari loculi abitati da relitti umani, intrisi di fatica, povertà, affacciati su orizzonti d’un domani privo di gioie e soddisfazioni. Teatro perfetto per dar corpo al mio incubo!
Mi spoglio e mi siedo sul suo letto. Le molle emettono sinistri cigolii, sospinte come sono dal movimento di quel lurido materasso da pochi soldi. Non vi è nemmeno un lenzuolo. Le persiane che danno sulla strada sono semi aperte e gli schiamazzi dei molti stranieri giungono ben udibili. Peruviani, marocchini, albanesi, romeni e molti altri ancora consumano i loro rancori e le loro tristezze con voci roche e piene d’odio. L’odore di urina impregna tutto ciò che mi circonda. Il bagno, se di bagno si poteva parlare, è una cloaca nauseabonda. Un paio di scarafaggi scappano chissà dove al nostro arrivo. Una piccola lampadina al soffitto illumina appena quel tugurio da fatiscenza. Erika, Tania, Nicole. Non ricordo il suo nome. E non me ne frega un cazzo. Nulla ormai ha più importanza. Tutto ciò che mi circonda va benissimo. E' la perfetta cornice per il mio personale decadimento!
Ma perché, perché? urla con veemenza la mia anima. Perché? In fondo siamo ancora sposati. E' vero, ci siamo separati da quattro mesi, ma possibile che tutto sia così finito, terminato, concluso? In modo così irrimediabile? Dopo dieci anni di matrimonio? L'amore è una merda, una chimera, una finzione. O al massimo una gran illusione. Perché? Continuo a domandarmi. Ma risposte non ve ne sono!
E allora fotto. Fotto con rabbia. Fotto con tristezza. Le sue tette vengono scosse dal mio impeto. Il mio cazzo affonda con brutalità in quella fica abusata. Non bado ai suoi finti ansimi da mignotta a pagamento. Fotto con tutto me stesso. Fotto come se il mondo si sia fermato questa sera!
Affondo le mani fra le carni delle sue natiche. Addento, quasi morsico, i turgidi capezzoli delle sue grosse tette. Come un animale, famelico, mi getto su quel corpo con una furia esasperata. Il suo corpo, fino a quel momento coperto da succinti vestiti sintetici, puzza di sudore e scadenti profumi, nauseabondi del tanto intensi. La sua fica emana intensi afrori animaleschi di pescivendola da mercato. Il suo alito sa di cipolla e preservativi alla fragola. I suoi capelli, scuri e raccolti in uno chignon, odorano di lenzuola a basso costo e innumerevoli carezze di mani unte. Ma il suo corpo è caldo e palpitante, desideroso di accogliermi e voglioso di stringersi al mio. I suoi gemiti mi risuonano all’orecchio, mentre con il suo stentato italiano tenta di blandire la mia lussuria. E così, in tal modo, scivolo nella sua, nella mia, nella nostra miseria!
Urlo, grido, sborro. Vengo copiosamente. Vengo con rabbia. Vengo per dimenticare. Ma ancora le sue parole risuonano beffarde!
Esco da quel tugurio. Non so che ore siano. Non che m’importi granché. L’aria fresca della notte accarezza il mio volto rosso ed accaldato. Mi guardo attorno. I lampioni illuminano fiocamente la stradina su cui s’affaccia la casa. Mi dirigo all’auto. Voglio solo scappare. Da tutto e da tutti. Ma soprattutto dalle sue parole!
L’aria fredda schiaffeggia il mio volto, vorticando dai finestrini aperti della mia auto lanciata a velocità sostenuta sui viali cittadini. Aria, aria, aria. Il mio desiderio di aria è infinito. Mi sento soffocare. Ho la nausea dai miasmi che mi avvolgono. Reali ed irreali, fisici e metafisici. Birra, fica, sudore, piscio, tabacco, lacrime, nostalgia, tristezza, sconforto. L’aroma del mio decadimento. E' l’una di notte, l’ora dei nottambuli, il tempo di chi va in cerca delle risposte alle proprie domande più recondite. E' il tempo delle proprie vergogne. Il mio tempo. E poi, finalmente, accade. Accosto sul ciglio della strada e lascio che tutto si compia. Appoggio la testa sul volante ed inizio a piangere al suo ricordo!
Lei era lì, davanti a me, bella come non mai. Il suo profumo inebriava i miei sensi. Una nostalgica tenerezza s’impadronì del mio sguardo. Quattro mesi di separazione cancellati all'istante. Il mio cuore nuovamente sussultava. Ma il suo sguardo era basso. Non aveva quasi il coraggio di guardarmi. Non capivo. Non capii fino alla fine. La sua voce quasi tremava. I suoi occhi divennero lucidi. Sospirò. Ed infine mi guardò!
Alzò lo sguardo su di me e con un sussurro mi disse : “Aspetto un bambino dal mio nuovo compagno!”


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