mercoledì 18 settembre 2013

AUSCHWITZ (Per non dimenticare. Mai!) di Andrea Lagrein




I suoi passi correvano rumorosi sul selciato bagnato. Non gli importava nulla della pioggia che gli sferzava il volto, del vento che gli schiaffeggiava le gote, del gelo che gli penetrava nelle ossa. Non gli importava nulla del cuore che martellava impazzito nelle vene. Voleva solo raggiungere la stazione. Voleva solo che il tempo, per una volta, si fermasse. Mio Dio, cosa ho fatto? Cosa ho fatto? urlava con veemenza la sua mente. Cosa aveva fatto? Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita. Grazie alla sua stupidità, alla sua debolezza, alla sua ignavia, aveva consentito che glielo portassero via. Per sempre!
Lui si chiamava Vincenzo ed era un figlio della ricca borghesia milanese del tempo. Futuro già scritto, mondanità, feste e belle donne. L'orrore di quei giorni pareva non toccarlo minimamente. La strada era tracciata, e lui doveva solo seguirla!
La conobbe in una giornata soleggiata di Marzo, al parco. Se ne invaghì immediatamente. Doveva averla, doveva possederla. E fece di tutto per sedurla!
Lei si chiamava Rita. Figlia di bottegai, viveva con pacata dignità gli affanni di quel tempo. Scarpe riciclate, abiti rattoppati, serate trascorse sognando al balcone. Ma era bella, bellissima. Ed era ebrea. E l'orrore e la follia di quei giorni segnarono irrimediabilmente il suo futuro!
Ma a questo, Vincenzo, non ci pensava. Pensava solo a quelle gambe slanciate, a quel culo tondo ed invitante, a quelle tette grosse e sode, a quelle labbra tumide e carnose. Pensava al corpo di Rita, a come poterla scopare, al piacere che avrebbe goduto da quelle forme sinuose. Vincenzo non pensava a Rita, ma alla sua figa!
In fondo sapeva bene di che razza fosse, razza inferiore, razza appestata, razza animalesca. Buona solo come carne da macello, come carne da servirsene, come carne da schiavitù. Così gli avevano sempre detto, così gli avevano sempre insegnato. E così lui credeva!
Lei fu immediatamente attratta da quel giovane dalle buone maniere, elegante e galante. I cinema, i ristoranti, le gite al lago, le risate e la dolcezza. Una dolcezza fuori luogo in quei tempi terribili, e per questo ancor più bella e seducente. A Rita parve che i suoi sogni si avverassero. E con trasporto e calore, si concesse!
Lui la fotteva. La fotteva con veemenza e impeto infuocato. Non v'era giorno o luogo in cui non la desiderasse, in cui non desiderasse sprofondare in quel corpo da delirio sensuale. Mai nessuna donna prima d'ora gli aveva fatto quell'effetto. Gli bastava il solo pensarla che il suo uccello già iniziava a sussultare!
Lei si dava con passione. Gli piaceva quel ragazzo e gli piaceva in un modo mai prima sperimentato. Gli piaceva la sua focosità virile. Gli piaceva quando le mordeva i capezzoli. Gli piaceva quando le stringeva i fianchi e la penetrava da dietro. Gli piaceva vederlo venire copiosamente sul suo ventre. Gli piaceva perché ne era innamorata!
Vincenzo, come tutti i ragazzi della sua età, se ne vantava con gli amici. Smargiassate da adolescenti, ricche di particolari inventati o accresciuti a dismisura. Sposarla mai! Eh no, che state scherzando? E' una lurida ebrea. Ma fotterla è un'altra cosa. Fotterla si può. Mica si fa nulla di male! E sotto l'effetto di robuste dosi di vino rosso nacque la leggenda della puttana ebrea, gran succhiatrice di cazzi, amante di scopate sensazionali!
Ma quando stava con lei, le cose cambiavano completamente. Giorno dopo giorno, la dolcezza, la tenerezza, la sensibilità di Rita iniziarono a conquistarlo. Non si trattava più solo di scopare. Lentamente Vincenzo iniziò ad aprirsi a lei, a confidarsi, a trovare in quella ragazza un'anima affine. Giorno dopo giorno, Vincenzo iniziò ad innamorarsene!
Solo che follia e stupidità, in quei giorni, regnavano sovrane. E Vincenzo ne ebbe paura!
Una sera, nella solita osteria, incontrò Francesco, amico d'infanzia, ora importante personaggio dell'establishment politico locale. Serata di baldoria, di risate, di ricordi, di robuste bevute. E di sussurrate confidenze. "Dicono che te la fai con una puttana ebrea!" buttò lì con noncuranza Francesco. Vincenzo voleva far colpo sull'amico. Nella posizione in cui era poteva sempre far comodo, un domani. "Già! Cosa vuoi, una vacca da monta serve sempre, no?" disse strizzando l'occhio con fare complice. Francesco lo squadrò con fare furbesco. Poi scoppiò a ridere. "Fai bene, amico. Un'ebrea è buona solo per svuotare i coglioni. Se poi è troia, meglio ancora. Buon per te. Goditela, finché puoi!". E Vincenzo si lanciò in racconti osceni sulle abilità sessuali della puttana ebrea. Nomi, cognomi, indirizzi. Tutto raccontò. Non tralasciò nulla. Voleva fare una bella impressione sull'amico. E così non si accorse che Francesco annotò tutto mentalmente!
Passarono i giorni e il delirio prese forma. L'umanità sprofondò nella follia più assurda, nella follia più totale. Ma Rita e Vincenzo non si accorsero di nulla. Non si avvidero dell'uragano che si stava abbattendo su di loro. Rita e Vincenzo erano persi nel loro amore. Nella loro felicità!
La corsa di Vincenzo terminò alla stazione ferroviaria. Entrò con la speranza che il treno non fosse ancora partito. Cercò fra i vari binari, incurante dei militari che lo osservavano truci. Vincenzo aveva il cuore che gli scoppiava in petto!
Alla fine vide Francesco. Anche l'amico si avvide di lui. Sollevò un braccio in segno di saluto. Si avvicinò. Sigaretta pendula dalle labbra, gli sorrise amichevolmente. Gli diede una pacca sulla spalla. "Amico mio, sei venuto anche tu a goderti lo spettacolo? Mi spiace, sei arrivato tardi!" disse sghignazzando. "Dovevi vedere! Che spasso! Tutti quei porci che piagnucolavano mentre a calci in culo li sbattevamo sui vagoni! Uno spettacolo, davvero!".
A Vincenzo iniziarono a tremare le gambe. Gli parve che il mondo gli crollasse addosso. Era come se fosse caduto in trance. Non vedeva, non udiva più nulla. Fu la voce di Francesco a riportarlo alla realtà. Rideva di gusto. "Ah, già, c'era anche quella tua puttana ebrea di cui mi hai parlato l'altra sera. Mi sa che adesso ti devi trovare un'altra troia, amico mio!".
Vincenzo fece fatica a trattenere le lacrime. Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? continuava a ripetersi. Poi guardò Francesco. L'illusione è sempre l'ultima a morire. "Che ne sarà di loro? Quando torneranno? Tu lo sai, vero?" chiese speranzoso con un filo di voce. L'amico lo guardò quasi sorpreso. Poi scoppiò nuovamente a ridere. "Amico mio, questo treno ha il solo biglietto d'andata. Va dritto dritto all'inferno con tutto il suo carico!".
A Vincenzo parve di morire. Aveva reciso il fiore più bello, il fiore della sua vita!
Francesco si voltò per andarsene. Con un ultimo ghigno, posando una mano sulla spalla di Vincenzo, disse : " Quel treno va dritto dritto ad Auschwitz!".

L'uomo fermo immobile sulla banchina, fradicio di pioggia, con il gelo nelle ossa e l'inferno nel cuore, era mia nonno. E questo fatto non gliel'ho mai perdonato!

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