sabato 11 gennaio 2014

DEFECOGRAFIA (per ridere un pò) (cahiers del tempo che fu) di Andrea Lagrein




Mia madre me lo aveva sempre detto.
“Guarda che con la vita sregolata che fai, prima o poi la paghi!”.
Funesto vaticinio. Sesso, alcool, droga, pasti saltati, orari assurdi. E in effetti il destino giunse a chiedermi il conto. Cazzo! Ma non pensavo così presto. A venticinque anni si pensa ancora di essere immortali, immuni da tutto. E invece........e invece ecco una bella ulcera. Ed anche piuttosto bruttina!
Sala operatoria. Non c'era altra soluzione. Ma prima, tutta una serie di esami di rito. E uno in particolare merita di essere raccontato.
Il nome già di per se era tutto un programma. Defecografia! Si trattava di un esame in cui, letteralmente, dovevo evacuare sotto gli occhi di una telecamera che, mediante una sequenza radiografica, avrebbe reso visibile la dinamica della defecazione. In poche parole, i dottori avrebbero spiato al mio interno mentre cagavo! Sangue e merda. L’inizio perfetto per un racconto pulp-trash!
Mattino presto. Ospedale Policlinico di Milano. Entrai in un cortile circondato da stabili alquanto fatiscenti. Scesi alcuni gradini per raggiungere un seminterrato. La classica puzza di formaldeide mi colpì immediatamente appena entrai. Reparto di radiologia. Espletai le formalità burocratiche del caso. Mi sedetti in paziente attesa. Ero il primo!
Giunse il fatidico momento. Un’infermiera mi indicò la stanza in cui dovevo andare. Bussai alla porta ed entrai. Ad attendermi c’era un infermiere che, senza troppe cerimonie, mi ordinò di togliermi pantaloni, slip e maglietta indicandomi un paravento dietro il quale potevo lasciare gli indumenti, e di indossare una sorta di piccolo camice di carta che doveva servire a coprirmi. In teoria!
Quindi mi disse di sdraiarmi su un fianco in quei classici lettini da ospedale, ricoperti da ruvida carta. Mentre ero steso iniziai a sentirlo tramestare alle mie spalle. Rumori metallici. Mi voltai per capire quel che sarebbe accaduto. Mio Dio! Stava preparando una cannula di lunghezza sconsiderata, riempiendola con uno strano liquido. Capii immediatamente. Quel lungo affare sarebbe finito dritto dritto nel culo!
Iniziai a sudare freddo. Lui si avvicinò alle mie spalle. Mi prese un gluteo ed iniziò a massaggiarlo con vigore.
“Si rilassi!”
mi disse con la sua cadenza napoletana. Rilassarmi un cazzo, pensai. Non ero preparato a quella deflorazione. Ma non ebbi il tempo di formulare alcuna protesta che immediatamente sentii il bruciore di quell’inattesa penetrazione. Gridai e tutto il mio corpo si contrasse.
“Non faccia così!”
protestò quasi spazientito l’infermiere
“Altrimenti sentirà ancor più male. Si rilassi, che non è niente!”
sentenziò mentre tentava di spingere a fondo quell’aggeggio infernale. Facile fare i finocchi con il buco del culo degli altri, pensai!
Tentai di rilassarmi e lui riuscì a terminare. L’esame non era ancora iniziato e io ero già prostrato dall’imbarazzo. Ma il peggio doveva ancora arrivare!
Ai piedi del letto sul quale ero sdraiato vi era una parete mobile in cartone, una sorta di paravento, dietro la quale era posto un cubo di plexiglass avvolto da un sacco nero della spazzatura, con un’apertura sulla sommità. L’infermiere mi fece alzare e mi disse di sedermi su quel sedile improvvisato. Non ci fu bisogno di grandi spiegazioni. Era del tutto evidente che dovevo evacuare lì dentro!
Con gesti veloci, dettati dalla consuetudine, il mio nuovo “amico” napoletano posizionò una telecamera sul mio fianco e mi disse di aspettare. Fra poco sarebbe giunto il dottore e l’esame avrebbe avuto inizio. E in effetti non dovetti attendere molto. Quasi subito infatti giunse il dottore.
Ma……….cazzo! non era un lui, bensì una lei! Bella, bellissima, sensuale all’infinito. Due occhi verde smeraldo in cui perdersi senza ritorno, in contrasto con il profondo nero corvino dei lisci e lunghi capelli, e tumide labbra d’un rosso carminio. Per non parlare poi del corpo sinuoso, celato inutilmente da un freddo e impersonale camice medico, che nulla poteva nel vano tentativo di nascondere quelle forme perfette. Pareva proprio la gemella di Alessia Merz. E io………e io mi trovavo a dover cagare di fronte a quella Venere rediviva!
Il mio imbarazzo divenne immediato, seduto così com’ero su quel cubo e con indosso quell’assurdo camice da cui si vedevano tutte le mie vergogne.
Lei invece non si scompose minimamente. Anzi, non mi degnò neppure d’uno sguardo. Si diresse velocemente all’interno d’una piccola stanza chiusa, divisa da dove ero io da un vetro dal quale potevamo vederci. Una serie di monitor s’illuminarono a un qualche suo tocco. Quindi accese un microfono, attraverso il quale poteva parlarmi.
“Bene, signor Lagrein!”
disse con voce calma ma autoritaria, comunque melliflua ed estremamente sensuale. Al sentirla quasi iniziavo a eccitarmi!
Ma immediatamente fui riportato alla realtà.
“Quando glielo dico, inizi a evacuare!”.
L’infermiere si avvicinò e mi disse di afferrare una maniglia che sporgeva dalla parete mobile. “Perché? A che serve?”
chiesi un po’ stupito. Lui mi guardò. Sogghignò divertito.
“A spingere meglio!” disse lapidario. E quindi si allontanò. Giuro, mi pareva di essere piombato in un incubo!
“Perfetto. Inizi!”
intimò la dottoressa. Nonostante tutto il mio disagio e imbarazzo, non dovetti farmi pregare ulteriormente. Evidentemente la purga stava sortendo i suoi effetti. Quasi con sollievo iniziai a liberarmi senza fatica alcuna. Ma il peggio doveva ancora arrivare!
“Adesso si fermi e trattenga!”
ordinò la Venere rediviva. Certo! più facile dirsi che a farsi! Con grande sforzo, contraendo tutti i muscoli, riuscii a bloccarmi. Quasi sbiancarono le nocche della mano che con forza si tenevano alla maniglia. Iniziai a sudare tanto era la difficoltà. I secondi d’attesa parvero divenire eterni. I crampi all’addome sempre più insistenti e dolorosi. L’imbarazzo ora era del tutto sparito. Era rimasta solo la gran voglia di terminare quella cagata!
Serrando le mascelle per la gran fatica, di sottecchi spiai ciò che stava facendo la mia bella dottoressa. Fissava. Fissava un monitor dove probabilmente osservava l’interno del mio culo. Le fitte alla pancia divennero ancor più forti. Ero giunto quasi al limite.
D’improvviso lei si voltò a guardarmi.
“Bene”
disse quasi con noncuranza
“Riprenda a evacuare!”.
Non attendevo altro. Mai parole furono più dolci per me. E grande fu il sollievo che seguì alla mia obbediente esecuzione.
Al termine mi lasciai andare a un lungo sospiro, sentendo i muscoli che lentamente si andavano rilassando. Mi stavo già rasserenando quando, inavvertitamente e senza preavviso, emisi una lunga e alquanto sonora flatulenza. Immediatamente arrossii di vergogna, sperando vivamente che la bella Merz non si fosse accorta di nulla.
Ma non ebbi il tempo di pensarci troppo. Avvertii che una nuova ondata stava per sopraggiungere. Mio Dio, quel clistere era davvero potente! In quel mentre la dottoressa si girò a guardarmi e nuovamente mi ordinò di trattenere. E qui la situazione degenerò.
Degenerò in quanto non avevo più la forza di trattenere un cazzo! Ci provai, oh lo sa solo Iddio se ci provai. Ma gli effetti della purga furono fatali alla mia resistenza ormai già sufficientemente provata. Una nuova scarica scosse il mio intestino e non riuscii più ad arginare nulla. La Venere rediviva si voltò immediatamente a guardarmi. Avrei giurato che i suoi occhi volessero incenerirmi.
E quello sguardo ebbe il potere di eccitarmi. No, no, Cristo santo, no! Imploravo a me stesso. Ma non ci fu nulla da fare. A venticinque anni, in piena tempesta ormonale, davanti a una gnocca stratosferica, è oggettivamente impossibile trattenere l'erezione.
L'uccello, teso e gonfio, non fece alcuna fatica a uscire da quella ridicola vestaglietta che indossavo.
Ora! Mettetevi, se riuscite, nei miei panni. Ero lì, seduto su un cazzo di cubo di plexiglass, con un'erezione ben visibile, dovendo cagare o trattenermi a seconda del momento, mentre scorreggiavo come una trottola impazzita, e il tutto davanti agli occhi di una delle donne più belle che avessi mai visto. Cristo santo, non sapevo più se ridere o piangere!
“Trattenga, trattenga. Non espella!”
iniziò a dire affannosamente, quasi urlando la dottoressa.
“Si trattenga!”.
Ma io non riuscivo. Semplicemente non potevo. Il mio corpo, per la sua stessa sopravvivenza, doveva cagare! Non avevo più alcun controllo su me stesso!
“Insomma, le ho detto di trattenere!”
ululava dall’altoparlante la sua voce ormai squillante. Ma io quasi non la sentivo più. Le fitte all’addome erano divenute lancinanti e l’unico sollievo era, beh, scaricare tutto quanto, altro che trattenere!
Portai un braccio sul ventre nel tentativo di lenire il dolore, piegandomi leggermente su me stesso. “Si rilassi, si rilassi!”
mi disse la dottoressa. Pareva non finisse mai. Temevo quasi di prosciugarmi.
“La prego, cerchi di trattenere!”
quasi mi supplicò. Quelle parole scatenarono una risata isterica, ma ciò aggravò ancor di più la mia situazione, già penosa di per sé. Il movimento produsse un’ulteriore forte spinta, che si tradusse in una gigantesca scarica e in un’immensa scorreggia di proporzioni bibliche.
“Adesso basta! Si contenga, per piacere!”
fu il suo ordine perentorio, alquanto scocciato.
“Le ripeto, si contenga!”
disse indignata.
A quel punto non riuscii più a trattenere una grossa risata. E il tutto si risolse con un ultima cagata!
La bella dottoressa non diceva ormai più nulla, ma mi fissava a metà fra l’allibito e il contrariato.
I miei occhi lacrimavano. Non so nemmeno io se per lo sforzo, il dolore, la vergogna o la comicità della situazione. Entrambi ci guardammo per un tempo che parve infinito. Il mio imbarazzo e disagio erano pari solo al tanfo nauseante che in quella stanza ero riuscito a produrre.
Ahimè, chiederle di uscire una di quelle sere era diventata pura utopia!
Così terminò quel mio esame medico il cui nome già di per se era tutto un programma. Defecografia!
E ancor oggi, a distanza di quindici anni, non so ancora se piangere o ridere!

Nessun commento:

Posta un commento